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Autore: Rocket Girl    04/04/2011    1 recensioni
Iniziai a scappare.
Fuggivo da quell’incubo.
Evadevo dalla mia realtà, che non distinguevo più.
Cercavo me stessa e la mia vita, lontano da ciò che ero.
Pregavo perché esistesse qualcuno sopra di me.
Impetravo perché mi sbagliassi tremendamente.

L'intero mondo distingue ogni singola persona fra i folli e i retti.
I folli fra gli psicopatici e gli anticonformisti.
Il problema è che, a volte, la linea fra malattia mentale e la semplice voglia di apparire e scandalizzare si fa talmente sottile da dubitare che esista.
Il problema è che, a volte, le differenze si riducono al nulla.
Genere: Dark, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Sorrisi, guardando l’inchiostro nero che, umido, ancora brillava sulla carta candida alla luce della candela.  Probabilmente, pochi avrebbero compreso le parole nascoste dietro quelle insensate frasi e pochi ne avrebbero colto la giusta immagine. D’altronde, era perfetta: l’allegoria non era qualcosa perfettamente accessibile, ma soltanto uno dei modi per selezionare quella cerchia di persone degne di attenzione.
Chiunque aveva un particolare talento, il problema era scovarlo.
Certo. Soltanto favolette per egocentrici depressi che continuano a credere d’essere unici e speciali. Non ne avevo mai capito il motivo, e non sarei riuscito a capirlo in quel momento, ma l’umano medio sembrava essere così attratto dalla possibilità di essere qualcuno che si lasciava abbindolare da stupidi giochetti come quello che, in fondo, necessitavano solo di un pizzico d’astuzia. Non credevo d’avere un’intelligenza superiore, per nulla. Ero soltanto meno ingenuo di quanto di norma gli egoisti come me erano. O forse io lo ero fin troppo per poter essere uno fra i tanti. Qualche strizzacervelli avrebbe detto che avrei sofferto di vari disturbi, o mi avrebbe direttamente chiuso in una cella e praticato chissà quale intervento, per aiutarmi. Avevo bisogno d’aiuto! Ero folle, ero incoerente, ero pericoloso! Che paura!
Era la paura che sentivo mentre percepivo i fremiti della pelle che sfioravo?
Oh, ma che tenerezza!
“Già, curioso come si accusi gli altri di ciò che tormenta il proprio, innocente, piccolo animo, vero?”
Il mio fu appena un bisbiglio, ma servì a provocare altri tremiti in quel corpicino così attaccato alla vita da farmi venire la nausea. Aveva già la morte, in sé; peccato che fosse così testardo da non ammetterlo a se stesso. O stessa. A dire il vero, ormai mi sembravano talmente uguali l’uno all’altra che faticavo a distinguerli fra loro. Erano creature così curiose, erano capaci di sperare fino alla fine che arrivasse l’angelo vendicatore a salvarli.
Mi scappò una risata che, sfortunatamente, provocò gemiti in quella cosa. Bastò ciò a farmi tornare impenetrabile, come pochi attimi prima; erano i particolari che odiavo di più, erano così detestabili da poter rovinare il buon gusto di un’ironia eccellente se si lasciavano andare.
Assaporai la voluttuosità della lama sottile, tanto raffinata da riflettere la luce riflessa che cadeva sulla stanza, era in assoluto ciò che preferivo di più: il modo in cui catturava anche i minimi bagliori, la sua infallibilità non dovuta ad una particolare natura, la sua assenza di pietà o di esitazioni; mi sussurrava dolci frasi d’amore, in una lingua sconosciuta che nessun’altra creatura avrebbe potuto comprendere  o imitare, ed i suoi pensieri! Non erano mai banali, superficiali o sciocchi, riuscivano sempre ad arrivare al mio cuore, rendendomi pateticamente sensibile, assoggettandomi al suo potere.
Aveva una forza implacabile, sì. Era spaventosa.
Sarei dovuto essere terrorizzato.
Sarei dovuto scappare.
Sarei.
Purtroppo, non potevo lasciarla sola.
Era la mia unica amante e la mia amica.
Era una sorella, una madre, una nonna, era me stesso. Non avrei saputo dire perché, ma mi rendeva emozionato ed orgoglioso d’essere chi ero.
Mi chinai.
“Ecco il tuo delizioso e divino oltretomba.”
Praticai un’incisione poco sotto l’osso frontale, appena dove finiva il bulbo. Sangue, sangue lucente iniziò a sporcare la pelle vellutata della mia piccola.
Digrignai i denti. Non potevo evitarlo.
Iniziai a sentire le sue urla, spazientito estrassi lei e placò quel rumore. Un pezzo informe di carne cadde a terra, e tornammo ad essere io e lei.
Praticai il pentacolo sulle palpebre, prima di rimuoverle. Continuai la mia opera, e al termine tirai un sospiro soddisfatto. Udii un rantolo rassegnato, e subito dopo la pace calò su noi due come le braccia protettive di una madre che tiene stretti i due suoi figli, per proteggerli. Antonio Egas aveva ragione.
  
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