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Autore: Bellis    04/04/2011    3 recensioni
Due fratelli passano un pomeriggio di svago nella campagna; uno scherzo del più giovane insegnerà al maggiore quanto importante possa essere ogni attimo della vita umana.
One-Shot Terza Classificata al "Contest - A Carnevale, ogni scherzo vale" indetto da marta86.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Diario della famiglia Anstruther'
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Per il mio buon Oscar.
(Al quale, molto spesso, sono io a giocare scherzi)
Come farei senza di lui?



Di infantili scherzi e loro inaspettate conseguenze


"Tobias!"

Un leggero sospiro, una risatina soffocata. Uno sguardo attento e tranquillo percorse il grande salotto della villa campagnola.

"Dove sono, fratellone, eh?" questa volta la voce squillante di bambino proveniva dall'altro lato della stanza.

Il primogenito della famiglia Anstruther fece due passi in avanti, iniziando a scrutare ogni anfratto del ben noto atrio, gli occhi leggermente socchiusi nel tentativo di scorgere ogni dettaglio che potesse rivelargli la localizzazione del congiunto.

"Too-bì-as!" cantilenò di nuovo Oscar, dispettoso. L'interpellato girò rapidamente su se stesso di centottanta gradi, sollevando le sopracciglia, una nuova risata di ingenuo divertimento che affiorava alle sue labbra.

"Non mi troverai mai!" dichiarò il più giovane, con tutta la sicurezza che i suoi otto anni compiuti potevano conferirgli.

Un fruscìo di stoffa nei pressi della dormeuse di velluto blu sembrò improvvisamente attestare il contrario; i tendaggi ondeggiarono accanto alla mensola del camino, avvolgendo per un momento l'angolo di uno stipetto di legno contenente vari servizi da the realizzati in porcellana decorata.

Il viso mite di Tobias si affacciò al di sopra dello schienale del divano appena in tempo: riuscì ad avere una breve ma nitida visione della chioma corvina del fratello minore, il quale sgattaiolava celermente in direzione dell'orologio a pendolo che, con le sue lancette in stile Hannover, faceva pendant con un ritratto a china di Carl von Linné.

"Fermati, ti ho visto!" intimò il maggiore, sorridendo divertito, ma l'altro non lo ascoltò e s'infilò prontamente tra le due vetrate socchiuse che portavano all'aperta brughiera circostante l'elegante edificio - luogo che era stato loro severamente interdetto dall'autorità locale: il dottor Henry Bartholomew Anstruther, loro padre.

"Oscar, ritorna - subito indietro!" ordinò Tobias, decisamente più serio. Era uno di quei gravosi casi in cui tre anni in più dovevano fare la differenza e ricondurre il già recidivo fuggiasco alla ragione.

Lo sguardo pressochè implorante ed il principio di broncio che gli furono rivolti lo disarmarono di qualsiasi intento di severità che egli potesse serbare in cuore.
"Oh, via, Tobias, un momento solo!"

Il fratello lo osservò, palesemente indeciso; quindi sorrise, complice, dopo neppure un minuto di attenta riflessione: la sua già pericolante devozione ai dettami parentali si era già dissolta nel nulla, come la polvere che il padre versava, centellinandola, nell'acqua bollente delle sue beute.

Oscar rise e indietreggiò, avvicinandosi ai prati verdeggianti ed agli ombrosi alberi, già vestiti a festa e adornati con sgargianti fiori dalla materna mano di Primavera.
"Tanto non mi prendi!" cinguettò, suadente, dileguandosi verso il più vicino profilo collinare.

Tobias non aveva alcuna intenzione di riuscire a prenderlo; tuttavia, oltrepassò anch'egli l'invalicabile confine e si lanciò all'inseguimento, correndo a perdifiato.

"Sei pigro, Tobias! Non mi prendi!" ripetè ridendo Oscar, le mani giunte a coppa dinanzi al viso arrossato dalla frizzante aria di Marzo e dall'entusiasmo per quell'uscita clandestina dai confini della dorata prigione che quell'austera casa costituiva.

L'altro si fermò un momento, le mani sulle ginocchia ossute; mentre abbottonava la casacca, le cui troppo ampie maniche si erano abbassate fin sugli esili polsi, dovette convenire con il fratellino che, , in effetti, aveva passato troppo tempo nella propria stanza, lontano dalla luce e dagli svaghi.

Si incantò ad osservare le gemme che, dischiudendosi, accoglievano sulla loro superficie liscia la luce, e sembravano quasi irradiarla al mondo in un fresco fulgore, circondando d'un colore più tenue i timidi ma eleganti boccioli, esaltando la loro bellezza, come fanno le ancelle ed i paggi intorno alla famiglia reale.

Poi, riportando la propria attenzione sulla preda della propria folle caccia, si accorse, con intimo stupore, che essa era completamente scomparsa dal suo campo visivo.
Una subliminale inquietudine afferrò il suo cuore. Si raddrizzò, in fretta, e spiccò una seconda, leggera corsa, guardandosi intorno ed inerpicandosi sulla collinetta al di là della quale il congiunto, probabilmente, si era portato.

"Oscar!" chiamò, un'ombra del precedente sorriso permaneva sui lineamenti allungati.

Nessuno rispose; ma un tenue rumore acuto, unito a quello di rocce franose e terreno sassoso smosso, gli suggerì di accelerare il suo incedere, sino a che egli non raggiunse, finalmente, la cima, soffermandosi su di essa.
Il timore che gravava sul suo petto parve tramutarsi in una morsa d'acciaio.

Al di sotto di un ripido pendìo, l'acqua gorgogliava in un ruscelletto, mille vortici che si affollavano l'uno sull'altro, dando luogo a cascatelle che confluivano nel flusso di un'unica, imponente massa scintillante alla luce crepuscolare. Alcuni arbusti di salice avevano osato mettere radici proprio lì, dove le zolle compatte si sbriciolavano, dando luogo ad una consistenza quasi sabbiosa.

Il nome del fratello tremò per un momento sulle sue labbra.
"... Oscar. Oscar! Dove - dove sei?" domandò, al nulla; la voce sovrastava appena il ronzìo delle cicale che, ignare e spensierate, cantavano ininterrottamente.

Tobias si guardò intorno, freneticamente, come colui che, in un incubo, trovi innanzi a sé esattamente quel che più temeva di vedere. Scostò le fronde spinose del cespuglio, ritornò ad uno degli alberi e controllò dietro al tronco, poi... s'inginocchiò accanto al ciglio del piccolo dirupo, poggiando le mani sul terreno umido.
La terra era appena stata smossa.
Le iridi guizzarono nuovamente al fiumiciattolo, la cui notevole corrente avrebbe potuto trasportar via... in breve tempo... qualsiasi cosa...
... via, lesta, verso la valle, in un turbinìo di acqua e rocce aguzze...

"Oscar! Mio Dio - Oscar..." gridò il ragazzo, balbettando, ormai totalmente preso dal panico, un nodo in gola che gli impediva di dir altro.
Iniziò a correre lungo il profilo della scarpata, desiderando di scoprire un punto in cui fosse accettabile pensar di scendere fino al fiume, e nel frattempo cercando la figura del fratello ovunque, in ogni anfratto, in ogni cantuccio; alternava una risatina nervosa ad un singhiozzo, riflettendo nel contempo su quanto fosse bravo a nascondersi, il giovincello, e su quanto piccolo, fragile ed incauto si dimostrasse sempre.

Era stato solo un attimo.
Si era distratto solamente un istante, non poteva essere successo nulla.
No, no. Signore, no, non poteva esser successo nulla.

Eppure, Oscar non era lì. Non c'era. Non era in nessun luogo.
Non era ritornato verso l'avita dimora - l'avrebbe scorto.
Non si era intrufolato in una macchia di vegetazione - le aveva frugate tutte.
Non era salito tra i rami di un albero - li aveva controllati uno ad uno.
Non si era allontanato al di sopra del profilo collinare - sarebbe stato ben visibile.

A Tobias parve di deglutire qualcosa di amaro e bollente.
Passò la mano sul tronco rugoso di un basso e solido arbusto, ne studiò i rami flessuosi e pensò di poterne utilizzare uno per calarsi, con cautela, fino alla riva del torrente. Asciugò la fronte madida di sudore con un polsino candido ed afferrò l'estremità del suo sostegno di fortuna, pregando che non si spezzasse...

"Volevo solo farti uno scherzo."

Il ragazzo sobbalzò e per poco non ruzzolò giù insieme ai frammenti di pietra che si staccarono da un groviglio di radici intrecciate.
"O-Oscar!"

Il più giovane lo guardava di sotto in su, serio in volto, con l'aria timorosa di un bambino triste; aveva infilato le mani nelle tasche del soprabito scuro, e si teneva accuratamente a distanza.
"Non andare laggiù, poi ti fai male. Volevo farti uno scherzo." ribadì Oscar, stringendosi nelle spalle, "Mi dispiace. Sei arrabbiato con me?"

Tobias si passò una mano tra i capelli, poggiando la schiena alla corteccia ruvida. Molte risposte si affacciarono alla sua mente, come vezzose massaie civettuole che, aperte d'un tratto le imposte della loro finestra, si sporgano sulla strada per borbottare le loro pungenti opinioni sul fatto del giorno.
Non si fanno scherzi del genere. Non si gioca coi sentimenti altrui. Perchè sei stato così incauto da allontanarti? Non hai mai sentito la storia di quel giovinetto assai sciocco che finse di vedere il lupo al limitare della foresta?

Un solo, possente fiotto di sollievo, tuttavia, parve riversarsi dentro il suo cuore, sommergendo gran parte di quelle istintive recriminazioni; il ragazzo scosse il capo, afferrando un braccio del congiunto come a sincerarsi che quegli fosse veramente lì, e non disteso ed esanime sul letto del fiume che scorreva implacabile pochi metri al di sotto di loro.
"No," boccheggiò, bisbigliando, "No, non - non sono arrabbiato. Stai - bene?"

L'interrogato annuì, in silenzio. Il suo interlocutore, dopo una breve osservazione, decise che stesse dicendo la verità; socchiuse ancora le labbra, come per meditare di aggiungere qualche commento educativo alla decisamente poco aspra risposta, ma non riuscì che a scompigliare debolmente i capelli di Oscar, il quale gli scoccò un'occhiata irritata.

"Però non ci sei riuscito. Non mi hai preso!" esclamò quello, senza preavviso, un brillìo di soddisfazione che si faceva strada negli occhi vispi ed acuti.

Tobias si lasciò sfuggire una leggera risata nella quale si percepiva ancora distintamente un tentativo di sciogliere la tensione. "No, fratellino," sussurrò.

Il secondogenito sorrise, "Stai diventando vecchio!" constatò, con impietoso candore.

"Ahimè." riuscì a replicare l'altro, con un fil di voce, genuinamente divertito.

Il compiacimento di Oscar, però, svanì presto, perchè il suo goffo parente, pur non avendo conseguito alcuna vittoria nella tenzone svoltasi nell'arco della giornata, tenne la mano destra sulla sua spalla per tutta la strada del ritorno - una stretta peraltro piuttosto convulsa, che parlava di forte agitazione interiore - e non volle lasciarla andare che nel momento in cui furono entrambi al sicuro.

Ed anche allora continuò a fissarlo insistentemente.
Meditava su quanto sia importante ogni attimo della vita umana, e su come in ogni istante l'affilata falce del Tempo possa portar via in un solo crudele colpo le persone più care, svuotando la vita di ogni bene; e cresceva.
L'umorismo precoce (e decisamente troppo inglese) di Oscar poteva risultare obiettivamente irritante; ma si era rivelato altresì assai costruttivo.


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La storia è stata scritta per il Contest - A Carnevale, ogni scherzo vale, indetto da marta86., al quale si è classificata Terza.

Tobias ed Oscar Anstruther appartengono al gioco di ruolo The Strand Magazine - Il Forum di Baker Street (se vuoi conoscerli meglio, visita la loro pagina su EFP); ad ogni modo, questa one-shot ha partecipato al suddetto contest come Originale, e come tale è stata pubblicata sul presente sito.

Un ringraziamento alla rapidissima Giudice ed a tutte le colleghe partecipanti, alle quali porgo le mie più sentite congratulazioni.
Bellis
   
 
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