Dopo anche fin troppo tempo, ecco finito il terzo capitolo!
Non mi convince per niente. Fosse per me avrei lasciato la storia in sospeso! è_é Ma non è colpa mia, "They made me do it" cit. (Se qualcuno ha visto Donnie Darko capirà.) Mah, spero che piaccia... Ultimamente ho fin troppo poco tempo a disposizione per lavorarci seriamente, ma ringrazio comunque i miei pochi lettori e tutti coloro che hanno recensito i primi due capitoli, mi ha fatto molto piacere ^O^
Ok ok, la smetto, vi lascio a questa assurda lettura che state per fare e grazie in anticipo!

«Non ci posso credere» sussurrai sconsolata, mentre ero bloccata su un lettino rivestito con lenzuola un tempo bianche, con una lampada puntata contro.
Quella luce era talmente forte che non solo mi  stava letteralmente accecando, ma con tutta quella roba che mi ero messa addosso, stavo anche fondendo dal caldo.
«E sta’ un po’ ferma! Vuoi che ti prenda in un occhio col bisturi?»
In fondo, io, come ci ero finita in casa (enorme e desolata, sottolineo) di un tizio che nemmeno conoscevo?
Sospirai in totale rassegnazione, stringendo i denti ad ogni nuovo bullone che veniva inserito al mio braccio.
Passai almeno tre ore ferma in quella posizione, accorgendomi solo alla fine della lunga e sofferta tortura che mi si erano addormentate le gambe.

Il ragazzo si ricompose, osservò da lontano la sua nuova opera e riprese il suo sorriso soddisfatto e la sua aria sfrontata.
«Be’, devo dire che ho davvero fatto un capolavoro.»
«Ma che modestia!» diventava ogni minuto più irritante.
«Quando lo avrai provato ti convincerai del contrario.»
La sua sicurezza era disarmante.
Mossi il braccio sinistro in qualunque modo conosciuto da qualunque essere umano, e seppure mi facesse ancora male fin dentro la carne, riuscivo a muoverlo senza troppe difficoltà.
La novità era una lama (esageratamente lunga a mio parere) fissata all’attaccatura del gomito, capace di sgozzare un cavallo con un semplice taglio.
Sgranai gli occhi alla vista di quella nuova parte di me, e rivolsi poi il mio sguardo verso il ragazzo, ancora irritata per il suo comportamento. Lo odiavo, eppure...
C’era qualcosa in lui che mi impediva di ucciderlo istintivamente, come solitamente facevo senza alcun problema con i brutti ceffi che giravano per Central City.
Mi accorsi troppo tardi che lo stavo fissando da almeno cinque minuti: fu lui a farmelo notare.
Alzò un sopracciglio e i suoi occhi scuri mi scrutarono da non troppa distanza.
Senza rendermene conto, mi stavo perdendo in quelle iridi, tanto simili a due macchie di inchiostro, profondi come pozze di acqua scura, di cui non si riusciva a vedere nemmeno il fondo.
«Se hai finito di fissarmi, potresti anche dirmi come ti chiami!»
Arrossii violentemente, ma mascherai il mio imbarazzo con una finta rabbia che adoravo mettere in scena come uno spettacolo di teatro.
«Non so se te ne sei accorto, ma sei stato tu a voler mettere in atto tutto questo sfacelo pur non conoscendomi, preferirei essere io a chiederti come ti chiami. »
 Irritante. Era davvero, davvero irritante.
Sbuffò, senza mai smettere di guardarmi, e si arrese.
«Taiki. Sei soddisfatta, adesso? Che te ne fai del mio nome? Bah.»
«Potrei farti la stessa domanda. Io sono Xiwàn Li, comunque.» Pronunciai automaticamente il primo nome che il mio cervello aveva formulato nel giro di quei tre millesimi di secondo, trattenendomi dal dire il mio nome autentico. Non mi era mai capitato di avere così tanta voglia di rivelare a qualcuno la mia identità.
Era fin troppo strano. Che mi era successo durante quei mesi di riabilitazione?
Cos’era cambiato in me?
Feci spallucce, troppo stanca persino per contraddirmi da sola.
Il bacio fu l’ultima cosa di cui mi resi conto: per un momento credetti di essere diventata pazza.
Mi allontanai di scatto dalle sue labbra, più confusa che arrabbiata per essere stata appena baciata da un ragazzo che nemmeno conosco.
«CHE DIAMINE HAI FATTO?!» Gli urlai, così rossa da confondermi con le tende della finestra dietro di me, quella che dava sul giardino immenso e tremendamente pieno di cespugli e piante varie(non si riusciva nemmeno a distinguere il prato, dall’alto...).
«Non ti è piaciuto...?» Mi sussurrò all’orecchio, con un tono che non gli avevo sentito usare fino ad allora, (e che mi faceva quasi paura,) prendendomi per un braccio- quello buono!- e cingendomi il fianco con l’altra mano. Sentii il suo petto premere contro il mio.
Non capivo il motivo per cui non riuscivo ad oppormi a quei suoi gesti.
Il mio corpo era immobilizzato, come sotto effetto di un’anestesia totale: chiusi gli occhi, tenendo le palpebre talmente strette da farmi quasi male, incapace di prevedere cos’altro avrebbe potuto fare quel Taiki.
Ma fu lui a tirarsi indietro per primo.
«Aaaah, basta così. Ok, ok, sono stupido. Mi sono lasciato sopraffare! Di nuovo.»
Scosse forte la testa, evidentemente tentato dall’ipotesi di prendersi a schiaffi da solo, scena che avrei voluto vedere davvero, davvero tanto.
Non risposi, ancora troppo scossa per capirci veramente qualcosa.
«Eh, scusa, è stato solo un attimo di smarrimento... Mi ricordavi troppo una persona. Ma non pensiamoci più! Dunque, parlami un po’ di te e del perché ti trovi in questa merda di cittadina.»
Mi venne voglia di prenderlo a pugni talmente violentemente da rompergli un paio di denti, ma misi da parte l’idea e cominciai a parlare a stento.
«Comincia tu, dai, non vedo l’ora di sentire tutto di te.» e detto questo, assunsi la mia solita aria di sfida, e incrociai le braccia, in attesa di una risposta.