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Autore: Dhialya    05/04/2011    6 recensioni
Il legame profondo tra una ragazza divenuta Regina e una guerriera dallo sguardo dolce e le frecce dalle piume bianche.
Un passato di cui pochissimi sono a conoscenza, risalente a prima dell'arrivo di Jadis e dei cento anni d'inverno.
Il compito di una lupa dagli occhi di ghiaccio ed un destriero dal manto nero come la notte.
Cosa si cela realmente dietro la Grande Magia e il cui potere è conosciuto solo dal grande Aslan?
C'erano regole che erano state rotte, accordi strappati e segreti che non potevano più essere taciuti, legami che andavano ripristinati e compiti da svolgere. E tutto ciò sarebbe venuto a galla, presto. E non osava - o non voleva - immaginare le conseguenze che tutto ciò avrebbe comportato.
Sulle persone coinvolte e sull'equilibrio di Narnia stessa.

Sullo sfondo della guerra contro Telmar un segreto, tenuto nascosto per più di milletrecento anni, sta per essere rivelato.
[Revisione totale programmata alla sua conclusione.]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Edmund Pevensie, Famiglia Pevensie
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest
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- Questa storia fa parte della serie 'The Spirits Within - The Just and the Sly special moments.'
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Narnia's Spirits
L'alba del giorno dopo.










Osservò il paesaggio fuori dalla finestra della cucina, facendo arrivare lo sguardo impregnato di una nota di lontananza, come se non stesse realmente osservando ciò che si trovava di fronte e fosse immersa in tutt'altri pensieri, al giardino.

Posò gli occhi chiari, improvvisamente più presenti, sull'erba brillante, lucida delle prime gocce di rugiada che le notti di fine estate iniziavano a portare. Qualche fiore pareva avere ancora la forza di resistere ai cambi di temperatura che settembre aveva annunciato, stagliandosi con i propri colori sgargianti in quel mare smeraldino.

Fece scorrere lo sguardo di lato, con estrema lentezza, scontrandolo con l'imponente e nodosa corteccia del grande albero che silenzioso si ergeva in un angolo del giardino. I grandi rami e la folta chioma oltrepassavano in altezza il tetto della casa, donando ombra e riservatezza. Le foglie si mossero, tremando in una danza leggera a tempo di aria quando un delicato soffio di vento s'insinuò tra esse, creando degli strani sibili tutt'attorno.

La ragazza sorrise, ascoltando quei suoni che le arrivarono come una carezza alle orecchie e vedendo quei movimenti della natura, non potendo fermare i ricordi che le si palesarono come flash davanti agli occhi, sentì una profonda fitta di nostalgia al cuore.

Alzò maggiormente lo sguardo, specchiandosi nel cielo mattutino che sembrava riflettersi nel colore dei suoi occhi.

In lontananza era ancora scuro, di un delicato blu notturno, con qualche puntino luminoso che si scorgeva ancora brillare sereno, incapace di arrendersi allo spuntare del sole. Dal punto sopra la finestra attraverso cui stava osservando fuori, invece, era di un tenue azzurro rosato, segno che la giornata era appena all'inizio.

Sospirò affranta, distogliendo lo sguardo e voltandolo nella direzione opposta, studiando le nuvole scure che stavano facendo capolino e restando nel suo stato di riflessione.

Non era una novità che il tempo a Londra fosse più brutto che bello. Eppure si domandò perché, anche con la bella alba che aveva visto nascere quel giorno, il grigiore dovesse sempre cercare di avere la meglio anche su quella che sembrava avrebbe dovuto essere come la più solare delle giornate.

Percepì dietro di sé i movimenti dei fratelli, le correnti d'aria provocate dai loro spostamenti mentre sistemavano ciò che avevano usato per fare colazione.

I suoi pensieri cambiarono rotta, tornando a posarsi sul paesaggio.

C'era qualcosa di diverso, in quella mattina.

Era una sensazione strana, ma era come se sapesse che qualcosa, qualcosa d'importante, stava per succedere. Ad essere sincera con se stessa lo aveva sperato ogni giorno, quindi probabilmente si stava solo soggiogando da sola come tutte le volte già passate.

Forse voleva talmente tanto che arrivasse un'altra chiamata che non poteva fare a meno di sperarci ogni volta, creandosi aspettative solo perché il vento aveva soffiato in modo diverso o il treno era in ritardo.

Scosse impercettibilmente il capo, strizzando gli occhi e studiando qualche nuvola grigiastra, percependo un nodo allo stomaco che le fece quasi venire la nausea.

Era sicura, invece, che quel giorno non era come tutti quelli precedenti. Non avrebbe saputo spiegare come, ma lo sentiva, come un formicolio sottopelle.

-Eve, vieni o faremo tardi. Stiamo aspettando solo te.-

La voce di Peter arrivò chiara e limpida in mezzo a tutto il torpore che si era creata attorno con quel tono accomodante ma sicuro che aveva nei loro confronti.

Si voltò di scatto, apparentemente allarmata e sgranando gli occhi, scontrandosi con il volto sereno del maggiore. Era già pronto per uscire, e scorse allo stesso modo Lucy, Edmund e Susan, vicini alla soglia di casa a parlare tra di loro per ingannare l'attesa.

Si sforzò di sorridere a Peter, il quale le stava porgendo la borsa di scuola che prese dopo essersi specchiata nel forno per assicurarsi di essere presentabile.

Lanciò un'occhiata veloce al vetro, senza dare segni di volersi allontanare, come se si aspettasse qualcosa. All'ennesimo richiamo sul fatto che rischiavano di perdere seriamente il treno sussultò, affrettandosi ad uscire dalla cucina.

-Si, si, arrivo!-


***


Il cavallo dal manto nero correva, veloce e ritmico, sulla prateria che precedeva la foresta e le montagne. Il suo respiro formava delle nuvolette di condensa nell'aria fredda del mattino, e il terreno sul quale passava inevitabilmente veniva invaso dalla polvere alzata dagli zoccoli, che scattanti si muovevano in quella folle corsa.

Era ancora buio, ma il ragazzo che lo cavalcava sapeva benissimo che entro poco tempo l'alba avrebbe iniziato a farsi vedere, con le sue tinture tenui e delicate, e il sole sarebbe sorto in cielo, annunciando il nuovo giorno nel modo regale con cui quel cerchio dorato splendeva su quelle terre.

Ma in quel momento a lui della visione del nuovo giorno poco importava.

Si voltò indietro, scorgendo il gruppo di Telmarini che lo stava ancora seguendo. Incitò Destriero ad accelerare l'andatura, in modo da poter seminare il prima possibile gli uomini che lo stavano braccando.

Per ucciderlo.

Ancora non ci credeva, Caspian, anzi. Sperava fosse tutto frutto di un incubo da cui in realtà non si era ancora svegliato.

Si rese conto che il primo confine con la foresta era vicino, e non poté reprimere un fremito di titubanza, mentre Destriero continuava a galoppare e le urla dei soldati che stavano recuperando terreno gli arrivavano alle orecchie in modo sempre più pungente.

Correvano voci, sulle creature che abitavano la foresta. Il suo popolo li aveva combattuti, cacciati, a quanto sapeva, ma le leggende ancora si spargevano tra la popolazione in ricordo dei tempi di quando Telmar aveva invaso Narnia.

Leggende di creature mistiche, spiriti dei boschi e della natura, mezzi uomini e mezzi animali.

Ma, a quanto dicevano i Sovrani da anni, dovevano essere estinti.

-Dovete fuggire nella foresta.-

-Nella foresta?-

-Li non vi seguiranno.-


Le parole che il suo mentore gli aveva sussurrato poco prima che scappasse in groppa al cavallo gli tornarono in mente.

Si fece forza, confidando in tutta la fiducia e l'ammirazione che riponeva nell'uomo che gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva, e che aveva sostituito suo padre nel compito di formare l'animo nobile del giovane uomo che era cresciuto sotto i suoi insegnamenti.

Si fidava di lui – dopotutto, gli aveva salvato la vita facendolo scappare.

Incitò nuovamente Destriero ad imboccare un sentiero, immergendosi tra il fitto degli alberi, non facendo caso ai rami bassi che gli graffiarono il viso.

Per vari minuti non sentì più nessuno dietro di sé, segno che i soldati si erano fermati, soggiogati dalle storie popolari su coloro che abitavano la foresta, ma nonostante il vantaggio l'istinto gli impose di continuare a scappare finché era in tempo per farlo.

Sbucò in riva ad un fiume, la spiaggetta e gli argini attorno ad esso fatti di sassolini e ghiaia così bianchi che in un'altra situazione si sarebbe fermato ad ammirarli.

Indicò al cavallo di attraversare il corso d'acqua, e si voltò rapidamente indietro, scorgendo che i soldati gli stavano nuovamente addosso.

S'inoltrò nuovamente nella foresta non appena Destriero ebbe superato il guardo e la restante spiaggetta, accorgendosi di come la vegetazione si fosse fatta più fitta – rendendosi conto, con stupore, che aveva raggiunto i confini con la vera foresta Narniana.

Non percepì più lo scapitare di zoccoli e le grida d'incitamento dei soldati alle sue spalle così, mentre Destriero continuava a correre seguendo il sentiero, Caspian iniziò a voltarsi indietro, la visuale spesso contaminata dai capelli mossi dall'aria che gli arrivava contro.

Il cavallo saltò un tronco caduto, e il ragazzo si girò nuovamente, per assicurarsi di aver seminato definitivamente i suoi inseguitori. Tirò un sospiro di sollievo, pensando che magari la paura li aveva fatti desistere dal continuare l'inseguimento e, dopo aver constato per l'ennesima volta che ciò che lo seguiva erano solo alberi e sterpaglie, si voltò per vedere in che direzione si stesse dirigendo il suo cavallo.

Ma, prima che potesse mettere a fuoco l'ambiente circostante, sentì una terribile fitta alla fronte. Caspian si ritrovò a terra con un dolore sordo alle tempie e alla schiena, la vista annebbiata, rendendosi vagamente conto di venire trascinato dal suo cavallo per via del piede che gli si era incastrato nella staffa.

Riuscì a liberarsi dopo vari minuti, sentendo il corpo tutto dolorante. Lo scapitare di Destriero divenne sempre più lontano e debole, fino a che non scomparì del tutto, inghiottito dal buio della foresta.

Caspian impiegò qualche minuto per riprendersi, mentre il respiro affannoso per la corsa e la miriade di sensazioni provate per tutto quel tempo iniziavano a scemare, lasciandogli solo un sordo buco vuoto e una forte confusione in testa.

La consapevolezza di essere scampato ad un attacco notturno e di essersi rifugiato nella foresta che tutta la sua gente temeva, rimanendo solo, lo assalì come uno schiaffo.

Solo, in un luogo a lui sconosciuto e tenebroso.

Si issò sui gomiti, guardandosi guardingo attorno e senza il coraggio di muoversi, attento al minimo rumore, facendo dardeggiare spasmodicamente gli occhi per quella vegetazione scura.

Sembrava tutto tranquillo.

Non percepiva che il frusciare del vento che muoveva le foglie ed il suo respiro. Il gruppo di Telmarini che lo inseguivano sembrava essersi arreso non appena lui era entrato nel folto della foresta, visto che non li aveva più visti alle sue spalle.

Caspian rilassò i muscoli, lasciandosi ricadere a peso morto sul terreno, non appena appurò che l'unica compagnia che aveva era il buio mattutino e la foresta.

Sospirò pesantemente, cercando di chiudere gli occhi per fare ordine nella sua mente, portandosi una mano alle tempie.

Un cigolio.


Caspian scattò sull'attenti come una molla, notando in tutte quelle ombre una luce. Si irrigidì. Da uno degli alberi poco lontani, le cui radici nodose spiccavano fuori dal terreno, notò un paio di figure in controluce.

Caspian arretrò, portando istintivamente la mano alla spada per potersi difendere.

-Ci ha visti.- Sussurrò una delle due sagome. Questi gli si avvicinò di corsa prima che potesse reagire, mettendo ben in vista la spada che impugnava e la sua altezza sotto la media. Il Principe sbattè le palpebre, incapace di reagire per la sorpresa.

Era un... nano?

Caspian vide lo sguardo dell'uomo – un nano! – posarsi sul corno riverso a terra e fuori dalla sua custodia di velluto, che Cornelius gli aveva consegnato, per poi rivolgerlo a lui non nascondendo un luccichio di stupore.

-Questo l'ho cercato per lunghi anni.-

Uno scalpitare di zoccoli distrasse i tre, e il nano davanti al Principe si rivolse alla figura che ancora non aveva abbandonato la soglia di casa.

-Occupati di lui, io li tengo occupati!-

Caspian si voltò nuovamente ad osservare il corno, poi la sua attenzione fu attirata dall'altro nano che velocemente gli si era avvicinato.

-Usatelo solo in caso di estrema necessità.-

Non ci pensò due volte ad ascoltare il consiglio del suo Maestro e afferrò l'oggetto.

-No!-

Caspian ci soffiò dentro senza remore, racimolando tutto il fiato che aveva in corpo. Il suono basso del corno che gli penetrava le orecchie, espandendosi per tutta Narnia e più, fu l'ultimo rumore che sentì.


***


Evelyn aveva fatto solo pochi passi dietro Peter, ma si fermò improvvisamente, senza nemmeno volerlo del tutto, quando un sibilo profondo le arrivò alle orecchie.

Si voltò di scatto verso la finestra, bloccandosi a guardare nuovamente un punto indefinito all'orizzonte, lo sguardo attento che cercava di mascherare lo stupore e la confusione. Si portò le mani alle orecchie, infastidita.

Puntò gli occhi nuovamente sul paesaggio circostante, concentrandolo soprattutto sul pezzo di cielo più lontano che riuscisse a scorgere, sentendo la morsa alla bocca dello stomaco darle improvvisamente più fastidio.

-Cosa c'è?-

A Peter, sempre attendo ad ogni suo fratello, non era sfuggito quel suo irrigidimento repentino. Quella si girò verso di lui, cercando di mascherare l'ansia che inspiegabilmente sentiva.

Non poteva dire niente, non poteva rischiare di toccare quell'argomento senza essere sicura di ciò che pensava. Già troppe volte ci erano rimasti male, tutti loro, pensando di aver colto dei segnali che invece si erano rivelati fasulli.

-Niente, mi sembrava di aver scorto… un'ombra strana.- mentì, iniziando ad avvicinarsi al fratello. Quello parve crederle, e le lanciò uno sguardo divertito, senza bisogno che le rispondesse a parole per farsi capire.

Evelyn si girò per l'ultima volta verso la finestra, le sensazioni di poco prima scomparse.

-Eve, dai, siamo in ritardo! Stai bene?- Si preoccupò allora Susan, trovando quel suo temporeggiare più strano del solito. Quella si sforzò di sorriderle, cacciando dalla mente l'idea di fingersi malata per stare a casa e raggiungendoli sul pianerottolo.

-Sto bene, grazie. Andiamo?-











































































Ehilà :)
Questa volta aggiorno in fretta. Ed è principalmente per due ragioni: una, il fatto che il primo capitolo fosse "solo" un prologo. L'altra che anche questo, come avrete intuito, è una spece di secondo prologo, inedito anche per i precedenti lettori, nato per far percepire qualcosa e far nascere forse ancora più dubbi. Quindi, tutto questo alone di calma e mistero, a volte descrizioni fin troppo dettagliate e lente - quasi irreali per il tempo che passa - sono volute. Soprattutto perché, come si sarà intuito, a me piace molto l'introspezione.

Evelyn è la nostra - mia - nuova co-protagonista di questa vecchia - nuova - storia. C'è chi la conosce già, chi invece avrà il piacere - ma anche no, mica deve stare simpatica a tutti - di capirla più avanti, man mano. Volutamente non è descritta per il momento.

Ringrazio tutti voi che avete letto e apprezzato, chi si è fermato a lasciarmi un parere, chi preferisce, segue e ricorda.

Spero che a tutti/e voi anche questo secondo capitolo sia piaciuto.
Un abbraccio
D
.
   
 
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