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Autore: Violet 95    06/04/2011    1 recensioni
Un ragazzo gravemente ferito si trascina, combattendo contro la morte, fino al castello dove risiede l'Organizzazione XIII per chiedere un favore: ciò che tiene stretto fra le braccia, può rivelarsi un'arma mortale, un'esperimento risultato come un fallimento agli occhi degli altri ma l'ultima speranza per molte persone. Una ragazza che nasconde molti segreti e con un passato avvolto nell'ombra, rinasce come una fenice dalle sue stesse ceneri e deve decidere da che parte stare. Dodici Nessuno che cercano un cuore e che forse lo troveranno, un'ospedale dove vengono effettuati atroci esperimenti, un potere incontrollabile che risiede in un corpo imperfetto e una libertà mai concessa. Talvolta perfino la morte è solo un'illusione...
Spero che la trama vi abbia attirato... Mi raccomando: recensite!
Genere: Azione, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Organizzazione XIII, Saix
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Veritas

Veritas

 

 

 

Bisogna che si sia in due per scoprire la verità:

che vi sia uno che la esprima

e un altro che la comprenda.

Gibran

 

 

Nell’aria aleggiava una strana nebbia verdastra che copriva completamente il paesaggio circostante, quasi come se volesse nasconderlo alla vista del mondo. Dai mon fu il primo a mettere piede su quel terreno ormai morto, ispirando a fondo quell’aria malsana e tossica, disgustato e inorridito da questo mondo così malato: era stato via per poco, ma non poteva certo dimenticare questo odore così nauseante, a cui ormai sperava di essersi abituato da tempo. Tutto ciò caratterizzava la sua infanzia, se così poteva chiamarla. Socchiuse gli occhi per vedere al di là di quella coltre che ostruiva la visuale, in cerca dell’entrata o di qualche agguato teso per loro.

 

Se ne saranno già accorti?

 

Il portale dietro a lui era ancora aperto, con gli altri che attendevano pazientemente il suo permesso per avanzare: una macchia nera e viola, tremolante nell’aria rarefatta, unica nota di colore differente sul paesaggio verde ramarro. Al suo interno c’era anche lei. Aspettava come gli altri. Dopotutto, che altro poteva fare?

 

Sarò stato troppo duro a dirglielo? Dovevo agire con più prudenza?

 

No. Ormai non c’era più tempo, né per lui, né per loro. Non si aspettava certo di coinvolgere anche quegli strani individui senza un cuore che si ostinavano a seguirli fino alla fine, forse per controllarli o per riprendersi Lux quando sarebbe stato il momento adatto. Continuavano a sostenere il fatto che appartenesse a loro e che non poteva andarsene proprio ora. Forse, nemmeno lei l’avrebbe voluto. Non si aspettava nemmeno che lei si affezionasse così tanto alla gente, dopo tutto il tempo che aveva trascorso fra quelle quattro mura di quella dannata prigionia, peggiore dell’Inferno stesso. Doveva ammettere che era geloso: avevano trascorso molto tempo insieme e sperava, almeno in minima parte, che non si fosse dimenticata di lui; ma i suoi ricordi erano stati rimpiazzati da quelli nuovi, che persistevano a restare ancora nella sua mente. Una lunga catena di ricordi, ecco cosa c’era nella sua testa affollata da mille pensieri, confusa e sull’orlo del cedimento.

Un unico cenno della testa e tredici individui vestiti di nero uscirono dal portale, il volto celato dai cappucci abbassati per nascondere le loro identità in territorio nemico. Un’ultima figura, più piccola delle altre, uscì insicura per ultima, indugiando a muovere i primi passi su quella terra che aveva già conosciuto. Il portale oscuro si richiuse, impedendo ogni via di fuga da quel luogo. Ormai erano in trappola e non potevano più tornare indietro.

Alcuni di quegli individui, non appena respirarono, iniziarono a tossire e coprirsi nauseati il naso e la bocca, trattenendo a stento un conato di vomito. Dai mon li guardò divertito dalla loro reazione, così indeboliti da quel veleno irrespirabile e impotenti di fronte a questo mondo sconosciuto e avverso, dove i loro poteri erano inutili contro la vera natura di quella terra.

Solo Lux sembrava sentirsi a suo agio, completamente indifferente all’aria che respirava. Quei gas non potevano nuocere al suo corpo e ridurne la potenza, abituata come lui all’ambiente; si tolse il cappuccio e si guardò intorno in cerca di qualche particolare familiare, senza alcun risultato: ciò che ricordava, o che sperava di aver finalmente impresso nella sua memoria, riguardava tutto quello che si trovava all’interno del laboratorio, della sua “casa”. O prigionia, per lei e per Daimon. Avvertiva nell’aria l’ostilità di quel luogo e il pericolo imminente che avrebbe trovato andando avanti; un’altra e nuova sensazione serpeggiava dentro di lei e metteva le radici nel suo animo: l’adrenalina. Si aspettava di provare almeno un po’ di paura, ma si stupì nel vedere che questi sentimenti non avevano posto nel suo cuore e in parte – doveva ammetterlo – tutto questo la spaventava. Nella sua testa continuava a farsi sempre più insistente l’idea che lei non fosse del tutto umana, anche se aveva cercato di reprimerla con tutta la forza di volontà di cui era capace. Ma una parte di lei era convinta, nei più profondi meandri del suo essere, che lei, di umano, non aveva mai avuto niente. A prescindere dai suoi poteri.

Lo dimostrava soprattutto ciò che gli aveva detto Daimon, qualche ora fa.

 

Non puoi fare niente, se non abbandonarti alla tua sorte… E io alla mia.

 

Era proprio indispensabile?

 

 

 

Si mise a sedere con noncuranza, ignorando completamente le circostanze che l’avevano messa in quella situazione. Solo di una cosa era certa: finalmente poteva di nuovo parlare. Sentirsi la gola libera, sentire la propria voce ed esporre i propri pensieri in completa libertà; dentro di sé avvertiva una nuova forza che stava per rinascere ed esplodere in tutta la sua potenza, piegando gli altri al suo volere.

Cominciò a canticchiare, presa da un’euforia e un’ilarità incontenibili che la facevano sentire ancora più viva. Questa gioia, però, non durò a lungo, come i rari momenti di serenità che le accadevano e si infrangevano con pochi gesti, poche parole: come se tutto fosse stata la mera illusione di una realtà troppo infida  e ambigua da vivere.

La porta della Sala dei Troni si aprì di scatto e ne uscì Xigbar. Era serio in volto ed evitava di guardarla direttamente negli occhi, rivolgendo lo sguardo oltre le sue spalle. Lux sentì una morsa di gelo e una debole e fioca paura si impadronì lentamente di lei, intuendo la gravità della situazione e di un pericolo imminente. Xigbar le fece segno con la testa di entrare nella Sala e sparì in un portale per tornare al suo posto; Lux fece qualche piccolo passo titubante  e, prendendo quel poco di coraggio rimasto, entrò finalmente nella stanza a passo sicuro, mentre la porta dietro le sue spalle si chiuse di scatto. Dodici individui la osservavano camminare, lanciando sguardi ostili o indifferenti, altri – anche se non ne era del tutto sicura – erano pieni di pietà e amarezza. Poteva un Nessuno provare certi sentimenti?

Al centro della stanza, ad aspettarla pazientemente, c’era Daimon. Aveva lo sguardo perso dinanzi a sé, ignorando del tutto il suo ingresso; quando finalmente se ne accorse, si voltò verso di lei e le sorrise rassicurante. Lux cercò di ricambiare, anche se questo le costò molta fatica: si sentiva stranamente a disagio e l’aria che respirava era asfissiante, diversa dal clima mite e monotono presente durante le odierne riunioni. C’era agitazione e ostilità. Verso di lei.

Rimasero in silenzio per molto tempo, senza che nessuno proferisse alcuna parola. Tutti si osservavano a vicenda e osservavano lei, in particolare, non sapendo cosa dire. Dopo alcuni minuti di snervanti giochi di sguardi, il Superiore prese finalmente la parola.

 

“Numero XIII, ti ricordi il concetto di Nessuno?”

 

Lux annuì senza capire il significato di quella domanda. Xemnas socchiuse gli occhi e ricominciò il discorso.

 

“Noi siamo esseri privi di cuore, incapaci di provare dei sentimenti: questo è il concetto più elementare per definire un essere dell’oscurità come noi. Il nostro compito principale è quello di raccogliere cuori per completare il Kingdom Hearts, che ci permetterà finalmente di ritornare… Umani. Fin qui mi segui?”

 

Lux annuì di nuovo. Non capiva il senso di quella lezione sull’essere Nessuno: lei lo sapeva come tutti gli altri cosa significava, no?

 

“Il tuo conoscente ci ha informato – con la conferma di Saix – che tu possiedi un cuore a tutti gli effetti, ma non ne avevi memoria. Eppure in questi mesi ti comportavi esattamente come un essere privo di cuore… Non ne hai mai sentito la sua presenza?”

 

Perché il capo parlava con tanta accortezza? Perché stava indugiando? Questo comportamento non lo capiva, come molte altre cose.

Lux scosse la testa, senza conoscere bene nemmeno lei la risposta.

 

“Superiore, con tutto il rispetto, vorrei iniziare il mio discorso senza troppi giochi di parole, se non le dispiace…” disse Daimon interrompendo le nuove parole rimaste sospese del Superiore.

 

Xemnas annuì e lo lasciò parlare.

Daimon fronteggiò Lux, inchiodandola al posto con una sguardo severo e freddo. Lux rimase ferma dov’era, spaventata da quegli occhi neri che la osservavano, privi di alcuna luce.

La domanda che sentì uscire dalle sue labbra, la spiazzò completamente.

 

“Lux, ti ricordi come sei nata?”

 

Il numero XIII lo guardò interrogativa, senza capire a cosa si riferisse. Dai mon, intuendo i pensieri della ragazza, sospirò rassegnato e il suo sguardo si addolcì di poco, esprimendo un profondo dolore e una pietà che desiderava nascondere nel suo intimo; si preparò allora a raccontare la storia dal principio, come gli avevano insegnato a fare molto tempo fa, cercando – in qualche modo – di risistemare di tasselli e di ricomporre quel puzzle confuso che era la sua memoria.

 

“Cercherò di essere sintetico dove posso… Comunque, alcuni anni fa venni trovato in fin di vita in un mondo sconosciuto e privo di alcuna vita. I motivi sono molteplici, in particolare uno soltanto: l’aria era composta da gas tossici per tutte le forme di vita, perfino gli uomini. Però, lì, non era così per tutti. Alcuni esseri umani si erano insediati in quel luogo dimenticato dal resto dei mondi ed erano riusciti, in qualche a modo, a sopravvivere; avevano costruito una fortezza invalicabile con i pochi materiali presenti su quelle terre, solo grazie all’intelligenza e all’astuzia di un uomo pieno di risorse che tutti chiamano “Dottore”: fu proprio quell’uomo a salvarmi. Se avessi saputo prima di cosa era capace quell’individuo e che cosa faceva all’interno del suo castello, avrei preferito morire per i gas tossici.

Nella sua fortezza eseguiva degli esperimenti piuttosto discutibili ed era una specie di “ospedale” per tutti i poveri disgraziati come me che erano capitati sulla sua strada; mi drogarono con ogni veleno, solo per farmi dormire e perdere quel poco di memoria che mi era rimasta, e fecero degli interventi anche sul mio corpo. Non erano così gravi le mie ferite, ma io a quei tempi non potevo certo saperlo: loro sì. Quando mi risvegliai, il mio corpo era cambiato. Ero intontito e confuso, incapace di capire cosa mi stesse accadendo intorno, memore solo di una cosa: dovevo essere morto. Eppure, mi svegliai da un precedente incubo e sprofondai in uno ancora più peggiore. Per diversi giorni fui circondato da uomini in camice bianco che si facevano chiamare stupidamente “medici”, anche se non lo erano affatto; mi somministravano strani farmaci, pronunciavano parole che non comprendevo e mi visitavano ogni ora, senza perdermi d’occhio per un secondo. Ma come potevo fuggire? Ero legato da strette cinture di cuoio. Intanto io vivevo in un mondo di illusioni, in un mondo che rappresentava i miei desideri e i miei sogni ma che non era quello vero: mi trovavo sempre sul limbo fra il sonno della fredda e carezzevole Morte e fra la realtà  crudele e menzognera.

Ci misi diversi giorni ad aprire finalmente gli occhi e uscire da quel fastidioso sonno completamente. La prima persona che vidi quando riacquistai coscienza e capacità di pensare ed esprimermi fu il Dottore. Capii che era lui dal suo aspetto, identico a tutti gli altri con il suo camice immacolato, ma con aura minacciosa e funesta che mi fece accapponare la pelle: se prima era un umano, adesso non possiede più alcun carattere di ciò che era. Tantomeno la coscienza o il cuore.

Era crudele oltre ogni immaginazione, godeva a vedere gli altri soffrire. Disumano, ecco come lo descriverei, in una sola parola. Eppure, era mosso da un grande e insaziabile desiderio di conoscere e di apprendere ciò che per gli altri uomini era sconosciuto: lui voleva arrivare al di là della scienza umana. Voleva qualcosa di più. Qualcosa di molto potente, ma anche pericoloso. Per questo si servì di me: dopotutto, ero in debito con lui e la mia vita gli apparteneva, così come i miei servigi. Smise di somministrarmi quei farmaci, assicurandomi che ormai non ne avevo più bisogno, e mi istruì in un’arte molto raffinata e crudele a cui io ero destinato da sempre: l’assassinio. Appresi tutte le tecniche e mi accorsi che il mio corpo resisteva a fatiche inumane e a sofferenze profonde, senza mai dare segni di cedimento; quando gli chiesi cosa aveva fatto al mio corpo, mi disse che aveva fatto delle “leggere” modifiche per renderlo migliore, in modo che non si rompesse così facilmente. Rimasi traumatizzato da queste parole: non tanto per il loro significato, ma per la freddezza e la lucidità con cui le aveva pronunciate, come se si fosse trattato di un semplice e comune oggetto. Questo mi fece infuriare e mi ribellai: fu uno dei più grandi sbagli della mia misera vita.

La punizione che mi inflisse superava ogni limite della crudeltà umana e preferirei non raccontarvela, poiché non sarebbe molto importante. Da quel momento, non obiettai più alcuna sua scelta e acconsentivo in silenzio a ogni suo ordine, anche quello più insensato. Fra questi, quelli più frequenti riguardavano l’assassinio di alcuni individui a me sconosciuti e apparentemente inutili per la società umana: poveri, mendicanti, persone senza passato, assassini come me che volevano farla finita. Li invidiavo per questo coraggio. Altri ordini riguardavano il recupero di alcuni cadaveri all’interno di tombe; non che fossi superstizioso, ma a mio parere i morti devono essere lasciati in pace anche nell’altra vita. Non capivo il senso di queste missioni e non glielo chiesi mai, da servo fedele che ero. Finché non fu lui a rivelarmelo e a farmi entrare finalmente nei suoi veri piani: avrei preferito non scoprirlo mai.

Adesso si entra nel vivo della storia, vi prego di prestare ancora più attenzione. Il Dottore effettuava degli esperimenti umani sui cadaveri che gli portavo ogni giorno, come se stesse cercando freneticamente qualcosa che poteva trovarsi al loro interno: ciò che creava erano mostri che non avevano più niente di umano, esseri informi che gridavano con voci infernali da dietro le sbarre dove erano rinchiusi come bestie: esseri mossi dal semplice e puro istinto di uccidere o divorarsi a vicenda. Dopotutto, io non ero tanto diverso da loro. Quando mi fece vedere per la prima volta quello spettacolo, quelle gabbie dalle quali uscivano urla, braccia e volti animaleschi, vomitai perfino l’anima e cominciai a offendere l’uomo che mi aveva salvato, mentre quest’ultimo non batteva ciglio ai miei insulti. Una volta calmato, mi spiegò meglio nei dettagli: questi erano degli errori, ma ce n’erano altri che funzionavano e conservavano ancora qualcosa di umano. Loro erano i “prescelti” per adempire al suo scopo.

Il mio compito era quello di fare loro da balia e di partecipare, occasionalmente, alla loro creazione. Ogni esperimento veniva riconosciuto con un numero e un nome, anche se non sempre; i primi quattro esperimenti non li vidi mai, ma avevo sentito che il Dottore li aveva fatti sopprimere, poiché si erano rivelati inutili al suo scopo. Le cose andarono diversamente a partire dal quinto, il numero V: partecipai alla sua creazione e aiutai perfino nell’intervento, finché non ne uscì il mostro più umano che avessi visto finora. Era solo un bambino, non molto intelligente, ma con tanta voglia di vivere; lo osservai a lungo e lo tenni sotto custodia, mentre effettuava ogni giorno delle prove per testare il suo potere. Purtroppo non durò a lungo: il bambino cominciò ad avere dei dubbi, a pensare con la sua testa e delle piccole crepe si formarono su tutto il suo corpo. In qualche modo a me sconosciuto, si stava auto distruggendo. Per questo non servì l’aiuto degli altri medici, ci pensò da solo: alcuni giorni dopo, quando le crepe ricoprivano ogni centimetro del suo corpo, lo ritrovarono ridotto a polvere e terracotta, come una bambola fatta di fango. Alla fine, anche questo si rivelò un fallimento.

Ma il Dottore non si arrese. Ne fece altri, tutti diversi fra loro e diversi erano i loro poteri, ma ognuno accomunato da una stessa fine: la morte. Non duravano a lungo e nessuno arrivò mai ai livelli del numero V. Finché non arrivasti tu, Lux. Quanto ti portarono, eri poco più che un cadavere putrefatto, morto da circa nove mesi e abbandonato su un mondo dove imperversava la guerra: eri solo una bambina in un corpo da adulta. Eri difficile da ricostruire, ma il Dottore volle tentare ugualmente: vedeva qualcosa in te che corrispondeva ai suoi desideri. Il giorno in cui fece l’esperimento, ero presente anch’io e presi parte all’intervento; lo stesso giorno, venne ritrovato – forse per uno sciocco gioco del destino – il contenitore di un’anima: l’anima che il Dottore cercava da tempo.

Vuoi sapere a chi apparteneva? Da quello che ho capito, si trattava di una guerriera che sfruttava i poteri della luce, ma non so dirti di più: cadde durante una battaglia e la sua anime andò dispersa fra i vari mondi. Il Dottore voleva rimetterla in sesto e inserirla in un nuovo corpo abbastanza in sintonia con l’anima. E ci riuscì. Il tuo intervento durò a lungo e fu il più difficile: era la prima volta che qualcuno inseriva un’anima diversa dal corpo a cui apparteneva. Eppure lui realizzò l’impossibile. Dopo molte ore, eri finalmente nata: eri bellissima, un vero capolavoro, ma ai miei occhi eri simile agli altri esperimenti andati distrutti. Ancora dormivi e forse avresti dovuto farlo per sempre, ma non appena il Dottore ti ordinò di svegliarti, tu apristi gli occhi e tutti si accorsero del loro errore: ti mancavano gli occhi, al loro posto c’erano due pozzi vuoti e neri. Ma non fu un problema, ti donarono questi occhi che cambiavano colore a seconda del tuo volere: una vera rarità, anche se non sapevo dove li avessero trovati. Dopo questo ultimo intervento, eri pronta. Ti vennero affidati un nome e un numero: Lucia, N° XIII, detta “ANFANG”. L’origine di tutto, ecco com’eri considerata. L’inizio di una serie interminabile di esperimenti che avevano te come base. Prima di te c’erano altri due esperimenti attivi, il numero XI e il XII, ma vennero disattivati poco tempo dopo. Eri rimasta solo tu ed eri l’unica speranza per tutti. Io mi prendevo cura di te, ti osservavo in ogni piccolo gesto e capivo: capivo che in te c’era una battaglia interiore per il possesso completo del corpo. Una battaglia fra l’anima inserita con forza e la tua vecchia coscienza. Non saprò mai chi delle due riuscì a prevalere. Ma sapevo che non meritavi quel luogo e, seppur lentamente, mi affezionai a te in modo quasi morboso; non volevo che gli altri ti si avvicinassero, partecipavo a ogni prova che effettuavi e passavo molto più tempo con te che con gli esperimenti precedenti. Poi dentro di me si insinuò una folle idea: la fuga da quella prigionia, solo noi due. Ma accantonai quasi subito questo pensiero sciocco e malsano, finché tu non mi feci cambiare idea: un giorno, una settimana prima della nostra fuga, mi espressi con fermezza il desiderio di libertà e di avere finalmente uno scopo. A quel punto, avevo preso ormai la mia decisione.

Intanto tu, però, cominciavi a mostrare dei segni di ribellione e diffidenza verso il Dottore, nonostante fino a quel momento i risultati delle tue prove erano più che soddisfacenti e l’esperimento sembrava aver dato i propri frutti. Ma accadde che, il giorno prima della nostra fuga, tu feci una strage di tutti gli assistenti del Dottore, uccidendoli a sangue freddo e urlando di voler essere resa libera; quella doveva essere stata una decisione dell’anima “ospite”, ma in quel momento il Dottore era fuori di sé dalla rabbia e ordinò la tua distruzione. Ormai non eri più di alcuna utilità.

Ti imposero dei sigilli per bloccare i tuoi poteri, sulla bocca, sugli occhi e sul resto del corpo; stavano per estrarti a forza l’anima ospite e rischiavi di morire veramente, realizzando finalmente i desideri del tuo creatore. Ma il fato aveva deciso diversamente per te. Uno stupido sfondò la porta della sala dove stavano per chiuderti gli occhi per sempre e uccise tutti i presenti, ad eccezione del Dottore che non era presente; ti caricò in spalla e fuggì via da quel luogo. Dopo aver varcato la soglia della prigionia per quella che sperava fosse l’ultima volta, venne ridotto quasi in fin di vita da alcune cavie che il Dottore liberò per fermarmi ma la forza della disperazione era più potente di quel dolore lancinante. Quando finalmente smisero di inseguirlo, lo stupido creò un portale per svanire in uno dei tanti mondi che aveva visitato e trovare così un rifugio, non per sé ma per lei. Si ritrovarono entrambi in un mondo con la luna a forma di cuore e un castello bianco e lì, dodici individui vestiti di nero, si presero cura dell’esperimento rotto. Intanto, il ragazzo, dopo aver adempito al suo scopo, scomparve avvolto in una luce bianca. Quello stupido ero io.

Ciò che accadde in seguito a lei, voi lo sapete meglio di me. Ciò che accadde alla mia persona, adesso non ha importanza. Con questo ho concluso”

 

Cadde nuovamente il silenzio. Daimon aveva parlato per quasi un’ora senza ricevere alcuna interruzione da parte dei suoi interlocutori, anche se si aspettava qualche domanda che gli facesse perdere il filo del discorso. Osservò uno a uno tutti i volti dei membri di quella strana Organizzazione che bramava un cuore: erano pallidi, increduli, spaventati, nonostante avessero saputo in anticipo alcuni frammenti del suo racconto.

Poi rivolse il suo sguardo a Lux.

Si aspettava un altro tipo di reazione. La ragazza aveva gli occhi persi, completamente vuoti e spaventati; la bocca semi aperta e il petto che aveva smesso di alzarsi a abbassarsi: sembrava visibilmente shockata. Tentò di scuoterla, ma ciò che ricevette fu inaspettato e improvviso: una potente scarica elettrica lo scaraventò dall’altra parte della stanza, indolenzito e confuso per quel gesto.

Le sue parole furono ancora più dolorose.

 

“Non ti avvicinare a me!” ordinò freddamente Lux.

 

Nessuno disse altro per alcuni minuti, finché non fu Axel a rompere quel pesante silenzio.

 

“Ma non ci hai ancora detto che cos’è in realtà Lux…”

 

Gli altri annuirono all’unisono.

 

“Vero. Noi tutti abbiamo conosciuto sulla nostra pelle i suoi poteri, ma non siamo riusciti a capire che razza di essere sia!” si lamentò Vexen.

 

“Oltretutto, può trasformare il suo braccio in un’arma e…” iniziò Xigbar, ma venne interrotto con un gesto da Daimon.

 

“Stavo per arrivarci. Questo potrà suonare ancora più incredibile: in realtà, non lo so nemmeno io che cos’è in realtà. È difficile da spiegare, ma nel suo corpo sono presenti numerosi DNA appartenenti ai generi più diversi di mostri e altre creature: possiamo vedere la traccia di un angelo, quella semidivina di un dio, quella appartenente a ninfe o creature che rappresentano gli elementi della natura, per non parlare di tracce di magia da parte dei più grandi maghi della storia! Insomma, in poche parole, Lucia rappresenta un grande contenitore dove sono riuniti i più grandi poteri dell’umanità, capaci di mettere la parola fine al mondo intero, tutti presenti in un corpo così piccolo. Ma quando la portai via era incompleta e rotta per tutti: le avevano portato via una buona parte dei suoi poteri e li avevano inseriti in un piccolo chip che alcuni di voi hanno già visto e che adesso si trova all’interno del suo corpo. L’unico accesso per quella piccola schedina era la bocca, motivo in più perché l’avevano ricoperta di maggiori sigilli impossibili da sciogliere. Ecco tutto”

 

Detto questo, esplose il caos di mille voci. Tutti i membri volevano dire la loro opinione su quella storia, nessuno escluso. Grida di stupore, smorfie di disgusto, cori di: “Avevo ragione io!”…

In quel frastuono, solo Lux restava nel più assoluto silenzio a meditare su ciò che aveva sentito. In effetti, tutto questo sapeva di conoscerlo, almeno in parte: c’era qualcosa di lei che conosceva tutte le risposte a quelle domande e un’altra parte preferiva non venirne mai a conoscenza, o per paura o per proteggersi. Finché non era arrivato il momento di scoprire la verità sulla sua natura. E sul suo destino, ormai così chiaro che non c’era più alcun bisogno di rinnegarlo.

Trasformò il suo braccio in una pistola senza alcuna difficoltà, la puntò in alto e sparò un colpo per richiamare l’attenzione dei presenti. Le voci si acquietarono e tutti la osservarono come ipnotizzati.

Lux fece tornare alla normalità il suo braccio e, schiarendosi la voce, si preparò finalmente a parlare.

 

“Quanti di voi erano a conoscenza di tutto questo prima che entrassi in questa stanza?”

 

Tutti, nessuno escluso, alzarono titubanti la mano.

 

“Non tutto… Solo dei piccoli e confusi frammenti di storia. Il resto lo sappiamo solo ora” cercò di giustificarsi Demyx.

 

Lux lo raggelò con lo sguardo, tingendo i suoi occhi di scarlatto e intimandolo a tacere. Lui rivolse l’attenzione, spaventato, a qualcun altro.

 

“Quanti di voi mi considerano un mostro?”

 

I membri si guardarono sorpresi per quella domanda, a cui solo Vexen rispose alzando la mano. Lux lo ignorò e si concentrò sugli altri, sfidandoli con lo sguardo ad ammetterlo.

Passarono due minuti. Tre, quattro, cinque… Nessun altro alzò la mano e di questo Lux si sorprese. Guardò poi Daimon, che la osservava con il sorriso sulle labbra.

 

“Lux, nessuno ti considera un mostro. Sei tu a crederlo, insieme agli uomini di quella prigione. Io ti ho sempre considerato umana, fin dal primo momento in cui hai aperto gli occhi. Non sei un mostro, Lux, perfino loro te lo possono confermare…”

 

Lux rivolse di nuovo gli occhi ai membri dell’Organizzazione XIII, che l’avevano accolta fra di loro senza alcun pregiudizio perché, come loro credevano, era priva di un cuore. Sempre loro le avevano dato un scopo, sebbene effimero, ovvero quello di raccogliere cuori per completare il Kingdom Hearts.

Loro le avevano dato una casa.

Loro le avevano dato dei ricordi.

Loro le avevano dato una seconda possibilità, una seconda vita.

Sempre e solo loro.

Distese i muscoli e, con tutta la gioia che la situazione le permetteva, rivolse un sorriso di gratitudine a tutti i membri, perfino Vexen.

 

“Grazie di cuore, Organizzazione XIII. Grazie…”

 

Adesso sapeva cosa doveva fare: affrontare il suo incubo e mettere la parola fine a tutto questo. Forse, perfino a se stessa. Questo era il suo destino, ma anche il suo volere.

E il suo vero scopo.

 

 

 

Le parole del colloquio le rimbombavano in testa, auto convincendosi della realtà della situazione: era tornata alla sua “vera casa”, nel luogo in cui era nata. Fra poco avrebbe rincontrato il suo creatore e, con la stessa freddezza con cui lui eseguiva i suoi esperimenti, lo avrebbe ucciso senza indugiare.

Se pensava al corpo di quell’uomo, di cui ricordava così poco, diviso in due e bagnato in una pozza di sangue, con il suo camice bianco immacolato tinto del liquido rosso proveniente dal suo corpo, le venivano i brividi. Brividi di eccitazione e, in parte, di paura.

Cosa sarebbe successo dopo? Cosa avrebbe fatto?

C’era tempo per pensarci, ma forse la risposta la possedeva già, nei più profondi meandri della sua anima. O almeno, dell’anima ospite. Perché quel corpo era suo, ma l’anima no.

 

Ma il mio cuore… Mi appartiene?

 

Che importanza aveva? Adesso era viva e sarebbe stata libera fra poco, una volta varcata quella soglia ed entrata nel suo vero incubo: ma stavolta non era da sola, come lo era stata nelle notti al Castello.

I membri, dal canto loro, eseguivano solo gli ordini del loro capo, impartiti poco prima di partire per questa missione piuttosto pericolosa: la posta in gioco era molto alta.

 

“Se come dicono loro, questi individui possiedono un’infinità di cuori adatti a degli esseri come noi, non vedo il motivo di non partecipare a questa spedizione di recupero e vendetta. Inoltre, penso che la cosa sia piuttosto reciproca: Lux ci appartiene, adesso è di nostro diritto. Non posso permettere che ritorni nelle mani di quegli uomini e nemmeno in quelle del ragazzo. È troppo potente per un singolo individuo… Questa battaglia deciderà il possesso definitivo della ragazza, o dell’arma, e del nostro cuore!”

 

Solo Saix non era tanto convinto. Sarebbe successo qualcosa, non a loro come Organizzazione, ma a Lux: forse non sarebbe più tornata da loro, anzi, forse non l’avrebbero più rivista. Scacciò dalla mente questi pensieri e si concentrò sulla missione a cui tutti prendevano parte, perfino Demyx. Se c’era la minima possibilità di riavere il cuore e uscirne tutti vivi, sapeva già cosa fare una volta riacquistato l’oggetto bramato. Ma per farlo, Lux doveva restare in vita e lui avrebbe fatto di tutto per far restare le cose com’erano.

Immersi in questo e altri pensieri, i tredici membri e Daimon arrivarono davanti al portone della fortificazione: dall’esterno, sembrava una vera prigione, con le finestre sbarrate e i muri grigi e pieni di crepe. La porta, immensa e di metallo, mostrava tutta la minaccia di quel luogo desolato. Da fuori si potevano udire delle grida straziante, priva di alcun timbro umano. Tutti i presenti rabbrividirono, ad eccezione di Lux.

Il numero XIII rimase immobile di fronte al portone, mentre la nebbia verde ricopriva lei e i suoi compagni. Tese una mano guantata e l’appoggiò sulla superficie grigia: il metallo era gelido e sporco.

 

“E ora? Che facciamo?” domandò Xaldin, cercando qualche soluzione per entrare senza essere visti.

 

Lux si voltò e gli sorrise con scherno.

 

“Ora? Adesso facciamo irruzione!”

 

Detto questo, trasformò il suo braccio in un cannone nero e lo puntò contro la porta. Gli altri indietreggiarono e cercarono un appiglio per appoggiarsi, in modo da non essere scaraventati dall’onda distruttiva del colpo.

Caricò l’arma e sparò un solo colpo che risuonò su tutta la terra e quindi anche all’interno della fortezza. La porta cedette immediatamente, piegandosi su se stessa e cadendo a terra con un suono cupo e metallico.

Il braccio tornò normale e, con un gesto della mano, Lux fece segno agli altri di seguirla all’interno di quel labirinto di corridoi, come lo ricordava Daimon.

Tutti i membri vennero inghiottiti dall’oscurità senza il minimo timore, abituati com’erano a viverci insieme. Per loro era una speranza. Per Daimon era un sacrificio. Per Lux era l’inizio della fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccoci di nuovo qui! Scusate l’immenso ritardo, ma mi sono trasferita da poco in un'altra casa e il computer era fuori uso per un po’ di tempo. Mea culpa, mea culpa, chiedo umilmente perdono!

Comunque, tornando alla storia, siamo arrivati a un punto cruciale: la vera identità di Lux è stata scoperta (forse per molti era già chiara da alcuni capitoli, ma facciamo finta che sia il contrario XD) e ci accingiamo alla battaglia finale e all’incontro con il fantomatico Dottore! Ormai sta giungendo la fine… Che tristezza…

Spero che vogliate ancora seguirmi per gli ultimi capitoli. Avete già capito come finisce? Provate a indovinare! Io lo so già (se non lo sapessi, sarebbe un problema u.u).

Capitolo piuttosto lungo, ma non poteva sintetizzarlo più di così, mi dispiace… Spero solo che sia piacevole la lettura! Quindi, mettetevi calmi e comodi, prendete una tazza di caffè, thè o altro e leggetevi questo capitolo ^^. Per tutto il resto, ci vediamo al prossimo capitolo!

See you again!

 

  

  
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