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Autore: Kimberly Anne    06/04/2011    9 recensioni
«Per la trentaseiesima, sacrosantissima volta, Nardo: io quel Chiarolite non lo volevo neanche accettare! Avete finito di rompere le scatole, tutti quanti?»
Una terribile disgrazia sta per abbattersi sulla regione di Unima.
Ma gli Eroi non hanno alcuna intenzione di sventarla.
Direttamente da Pokémon Bianco e Nero: Unruly Heroes - Gli eroi che non avevano mai chiesto di diventare tali.
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, N, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unruly Heroes' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Capitolo 2

Disperazione e Macchinazioni

 

Toc toc.

«Vattene!» urlò la voce di Kim, da dietro la porta. «Avevo detto a mamma di dirti che ero morta!»

«In realtà mi ha detto che sei partita per Sinnoh, a caccia di Pachirisu.» la corresse Lee, senza poter trattenere un sorriso. Kim era sempre stata fissata con quei piccoli pokémon elettrici, tanto che uno dei suoi viaggi mentali preferiti (condiviso con chiunque fosse abbastanza paziente o sordo da starla ancora ad ascoltare) era il suo futuro viaggio verso la regione montuosa di Sinnoh per catturarne uno. La sua testardaggine faceva quasi tenerezza.

«Era nelle mie intenzioni.» borbottò Kim. «Ma poi ho pensato che tanto quel dannato stalker riuscirebbe a trovarmi perfino lì. Deve avermi piazzato un GPS nel cappello.»

«È appunto di lui che volevo parlarti.» sospirò Lee, tamburellando nuovamente le nocche sulla porta. «Mi fai entrare?»

«NO! È tutta colpa tua, se sono in questa situazione. Sarò arrabbiata con te, tipo, per sempre.»

Tipo, per sempre. Altre parole che aveva sentito uscire dalle sue labbra più di una volta – e che lei si era prontamente rimangiata cinque minuti dopo. Niente di cui preoccuparsi.

«Avanti, non fare così.» disse il ragazzo, con una smorfia. «Era l’unico modo di farci restituire Deerling, lo sai.»

«Ecco, lo vedi? Mi stai dando in pasto a quel maniaco e non te ne importa niente!»

«Guarda che ci vengo anch’io, con te...»

«Come se volesse dire qualcosa!» commentò Kim, stizzita. «Tu sei un ragazzo, non devi difendere la tua virtù o altro...»

Lee roteò gli occhi. Quella ragazza l’avrebbe fatto uscire matto, prima o poi. «Non ricominciare con la storia della virtù. Nessuno ti farà niente, quindi fammi entrare. Abbiamo bisogno di un piano.» Ovvio che ne avevano bisogno. N poteva anche aver promesso di restituire Deerling, ma non c’era garanzia che non ne avrebbe approfittato per... altro.

«Neanche per idea. Me lo troverò da sola, un piano.»

Razza di piccola, ingrata testarda! pensò Lee, pur avendo il buon senso di non dirlo ad alta voce. In quel momento, solo due cose potevano smuovere Kim: le lusinghe, oppure...

«Bene. Allora posso anche restarmene a casa, tanto N ha detto che gli vai bene anche tu da sola. Con il tuo piano geniale andrà tutto a meraviglia.»

...i ricatti.

La porta si aprì in meno di un nanosecondo. «Entra immediatamente, o tiro fuori Emolga.» ordinò Kim, squadrandolo in modo alquanto tetro.

Farle cambiare idea non era mai stato particolarmente difficile.

Entrarono nella camera, che era ridotta in condizioni pietose: il letto era sfatto, l’armadio aperto, i vestiti sembravano ricoprire ogni centimetro quadrato delle superfici piane e le tende erano chiuse, avvolgendo il tutto nella penombra. La stessa Kim pareva piuttosto sciupata, con i capelli sciolti e spettinati, un alone di grigio sotto gli occhi e l’espressione funerea di chi fosse appena venuto a sapere di un’improvvisa carenza di Pachirisu nel mondo.

«Hai fondato una setta satanica, per caso?» chiese Lee, impressionato. Kim non era esattamente un tipo ordinato, ma nemmeno le piaceva vivere nel caos; era sempre molto attenta ad avere a portata di mano tutto quello che le potesse servire e cercava, nei limiti del possibile, di non abbandonare calzini sporchi sotto il letto o vestiti freschi di lavanderia fuori dai cassetti. Per questo, vedere tutta quella confusione era sintomo di qualcosa di molto più grave di quello che si era aspettato.

«Uhm.» fece Kim, assente, mettendosi a rovistare in un cumulo di camicette. «Potrei anche farlo. Chissà che non esista un qualche patto col diavolo che mi permetta di liberarmi di N una volta per tutte.» Tra i vestiti, trovò una pokéball e ne premette il pulsante di apertura. Un piccolo Litwick uscì dalla sfera e iniziò a scivolare in giro, per i fatti suoi, diffondendo un tenue bagliore violetto nella stanza.

Lee deglutì a vuoto. Se la situazione avesse continuato a degenerare in quel modo, presto si sarebbe trovato anche lui in una stanza buia, sommerso da una montagna di vestiti. O peggio.

«Non ti sembra un po’... spettrale, l’ambiente?»

Kim alzò le spalle e si lasciò cadere sul letto, sollevando una piccola onda di vestiti. «Credevo che quel maniaco se ne fosse andato per sempre. Credevo di poter riprendere a vivere una vita felice, né troppo monotona né troppo spericolata, a caccia di pokémon un giorno e sulla spiaggia a prendere il sole l’altro. E invece...» sospirò e rotolò su un fianco, mordendosi un labbro. «E invece è tornato a tormentarmi.»

Lee alzò un sopracciglio, dubbioso. Eccola che ricominciava a fare la melodrammatica, come sempre. «Lo so, essere perseguitati da N non è esattamente piacevole.» tentò di rassicurarla. «Ci sono passato anch’io. Ma non mi sembra il caso di buttarsi giù così, no? Perché non incominciamo ad aprire la finestra e...»

«No!» Kim tuffò la testa in un cuscino, ottenendo come effetto collaterale di ritrovarsi coperta di calzini. «Sento che, quando in questa stanza entrerà un raggio di luce, accadrà qualcosa di terribile. Non voglio.»

Ancora con quei capricci assurdi. Era ora di finirla. Lee si avvicinò comunque alla finestra e ne tirò le tende, deciso a tirare fuori l’amica da quella malsana depressione. «Avanti, non succederà nulla. È solo un po’ di so-».

Un Archeops gli sorrise dall’altra parte del vetro.

«Ma che caz-...!» Il ragazzo indietreggiò e quasi cadde per la sorpresa, Kim urlò e il pokémon sbatté la testa contro la finestra, nel tentativo di aprirla. Dopo un paio di testate che non produssero risultati, l’Archeops decise di andarci di zampe, ottenendo finalmente di trasformare la finestra in una miriade di schegge di vetro volanti. Dopodiché, soddisfatto del suo operato, si appollaiò sul davanzale.

Kim, abbracciata stretta al suo cuscino, rivolse a Lee uno sguardo spaventato. «È l’Archeops di N.» disse, con un filo di voce.

«...già.» concordò Lee, cercando ancora di riprendersi dallo shock di trovarsi a venti centimetri di distanza da un pokémon nemico – di quel nemico, in particolare – che, nelle giuste condizioni, l’avrebbe volentieri sgranocchiato. «Ha qualcosa in bocca.» notò poi, stupito.

Come se quelle parole l’avessero chiamato, l’Archeops allungò il collo verso di lui, porgendogli ciò che trasportava. Non vedendo alternative, il ragazzo lo prese in mano.

Era una busta. Una busta verde, sigillata con un cuoricino a mo’ di ceralacca. Già quello bastò a dargli i brividi.

Avendo compiuto la sua missione, l’Archeops spiegò le ali e, infischiandosene bellamente di aver appena fatto a pezzi una finestra e spaventato a morte gli oggetti dell’amore del suo padrone, se ne volò via.

Senza dire una parola, Lee andò a sedersi sul letto accanto a Kim, facendosi spazio tra gonne e pantaloncini. Esaminò la busta centimetro per centimetro, ma sembrava non esserci scritto nulla; né il mittente, né il destinatario.

Intanto, Kim non sembrava intenzionata a lasciar andare il suo cuscino. «E se facessimo finta di non averla mai ricevuta...?» propose, esitante.

Lee alzò le spalle, ancora senza distogliere lo sguardo dalla busta misteriosa. «In ogni caso, sarà meglio sapere cosa c’è scritto.»

«Uhm.»

In realtà, anche Lee non sapeva se aprire veramente la busta o no. Era stato facile, tutto sommato, fare quella promessa a N, ma averci a che fare lo metteva come sempre a disagio. Le sue dita indugiarono sul sigillo a forma di cuore.

Kim gli prese la busta dalle mani. «Lascia fare a me.» disse piano, accompagnandosi con il primo, debole sorriso della giornata. «So che rapporto hai con i cuoricini rosa.» lo prese in giro, nonostante continuasse ad essere la più spaventata dei due.

Prima che lui potesse ribattere, Kim strappò il sigillo della busta e ne tirò fuori un sottile cartoncino verde prato, scritto in caratteri sottili e raffinati.

 

Passerò a prendervi oggi, appena avrò completato i preparativi per il nostro ap-pun-ta-men-to ♥

Fatevi trovare pronti, mi raccomando!

Sempre vostro,

N.

 

Seguiva uno scarabocchio di una faccina sorridente, che probabilmente doveva rappresentare N stesso.

Kim e Lee rabbrividirono.

«Io muoio.» piagnucolò Kim. «Non ce la posso fare.»

«Invece puoi.» disse Lee, anche se il suo tono non era deciso quanto avrebbe voluto. «Hai detto che l’avresti ucciso, no? Concentrati su quello che provavi in quel momento.»

«Nausea e un fortissimo mal di testa...?»

«No! Intendevo il sentimento

Kim parve pensarci su per qualche istante e illuminarsi, ma poi scosse la testa. «Ero appena stata colpita da un’Energipalla. Non ero in me.»

«Eri più che in te. Puoi farcela.» ribadì Lee, mettendole una mano sulla spalla. «E poi...»

Kim alzò un sopracciglio. «E poi, cosa?»

Lee sospirò, con un che di rassegnato. «E poi, ammettilo: senza quel Deerling non sopravviveremo a lungo. I soldi che ci ha promesso il Laboratorio di Ricerca in cambio sono tutto quello su cui possiamo contare per il prossimo mese. E tu non puoi rimanere da tua madre per sempre.»

Kim parve ancora più scoraggiata. «Lo so.» si lamentò. «Scommetto che, quando sei arrivato, mamma aveva già la faccia da “Portala-via-tu-o-la-butto-fuori-io”.»

«Precisamente.» annuì Lee. «E nemmeno io ci tengo a morire di fame. Preferirei qualcosa di più eroico, tipo morire per salvare il mondo o...»

L’amica gli lanciò un’occhiataccia. «Non dirlo nemmeno per scherzo. Però, anche se Nardo sembra aver avuto una pessima influenza su di te, hai ragione. Dobbiamo riavere Deerling indietro ad ogni costo.»

«E quindi ci serve un piano.»

«E quindi, ci serve un piano.»

 

   
 
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