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Autore: crazyfred    07/04/2011    14 recensioni
Il destino può cambiare in un momento. Due anime scontrarsi e fondersi in un solo istante, senza preavviso, legate per non staccarsi mai. Non era lei quella che immaginava e quello non era il luogo che aveva in mente. Ma lui la guarderà negli occhi ... e saprà di non essere solo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
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When you crash in the clouds - capitolo 8












Capitolo 8
Won't stop till it's over














soundtrack

“No, ti prego” sbuffai “non anche tu!”
Sapevo che lasciarle carta bianca sui libri da scegliere si sarebbe rivelato un errore fatale, come lasciare una porta aperta nei film horror. Avrei dovuto escludere dalla lista volumi adolescenziali di urban fantasy.
“Non bastava mia sorella a sfondarmi i timpani e fracassarmi i maroni con tutti questi esseri soprannaturali … ti prego” la scongiurai “almeno dimmi che non sei per il vampiro!”
Rise di gusto al mio sproloquio nevrotico. Adoravo la sua risata, era così naturale e spontanea, ne gustava ogni secondo e lasciava che le sue labbra, carnose e provocanti, ma non volgari, si aprissero ad un sorriso liberatorio di quelli che da troppo non si concedeva e che non aveva, almeno per una volta, incollato a sé il ritratto macabro del suo mestiere, salato ed insolente come la lacrima del più malinconico Pierrot.
Mi rendevo sempre più conto, man mano che passavano i giorni assieme a lei, di stare abusando eccessivamente della sua presenza, sempre più allegra e positiva. Mi sarei fatto malissimo a starle così vicino e poi non vederla più; sapevo che sarebbe andata a finire così e lasciavo scorrere i giorni sperando che l’addio non arrivasse mai, osservandolo guardingo avvicinarsi da lontano, come una nuvola di pioggia nel bel mezzo di un barbecue estivo all’aperto. Mi sarei ferito alla fine, perché non sapevo dire di no alla parte più stupida ed egoista di me stesso; le stavo vicino e non avevo nemmeno il buon senso di indossare un giubbotto antiproiettile: ne sarei uscito disastrato, ma non è che me ne importasse più di tanto. In fondo, cosa avevo da perdere, se non una vita di cui ancora raccoglievo cocci dappertutto?
Lasciavo che si imboscasse tra gli scaffali della libreria e leggesse insieme a me per tutta la mia giornata lavorativa. Magari la lettura non era interessantissima: conoscere le rogne di una tizia, apparentemente sfigata, cessa ed asociale, costantemente contesa tra due eterni nemici, si da il caso uno più bello dell’altro, non era proprio lo scopo della mia vita, ma sentirla scandire con passione ogni parola e colorare ogni pagina con espressioni di stupore o disappunto era quasi un miracolo, lo spettacolo più bello sulla terra. Ecco avrei giusto gradito che non scaraventasse il libro contro una delle pareti, quando la protagonista piange tra le braccia del suo fidanzato per l’altro, apostrofandola con epiteti poco eleganti. Credo proprio che in questo potesse darsi la mano con Caroline e con un milione di fan sparse per il mondo. Valle a capire le donne …
“E così hai una sorella?” mi chiese incuriositasi quando la citai.
“Sì, Caroline. Ha 10 anni” risposi.
“Devi amarla parecchio” disse senza domandare, ma rivolgendosi a me con un dato di fatto a cui non potei far altro che annuire. “Si vede” mi confidò, timidamente “ti brillano gli occhi”.
Avrei voluto mostrare un pizzico di spina dorsale in più, cercando una scusa plausibile al mio inguaribile sentimentalismo, ma la verità è che la piccola dama dagli occhi blu era stata la mia ancora di salvezza per mesi e mesi, l’unico vincolo che ancora mi teneva legato alle mie radici e a quel mondo che era stato la mia casa e la mia famiglia per oltre vent’anni. E poi era arrivata lei, irriverente e scomoda come solo la verità può essere, ridandomi la voglia di vivere e di fare qualcosa, e non solo per mero spirito di sopravvivenza.
Erano passati solo cinque giorni dalla nostra cenetta a base di pizza e patatine ed eravamo passati dalla fase dell’ “hey” timido, pronunciato per sbaglio ed ascoltato ancora più per errore, alla fase dei nomignoli. Ty, Allie e lo stronzo cronico. Più che un appellativo, l’ultimo era proprio la più adatta delle descrizioni che potessero essere fatte di Aidan.
Lavorando e vivendo insieme a lui non avevo potuto escluderlo dalla mia conoscenza con Allison. All’inizio aveva storto il naso, proclamando una litania di raccomandazioni; proprio lui, che era la persona meno affidabile e responsabile sulla faccia della Terra. Ma alla fine era stato anche lui colpito dalla realtà delle cose, dalla brillante e dolcissima ragazza che si celava dietro la spogliarellista, al di là del suo magnifico corpo che, a discapito della morigeratezza dei miei costumi in sua presenza, ancora mi faceva tribolare in piena notte.
In più di un’occasione avevo dovuto trattenere quel cretino, perché solo così puoi chiamare una persona del genere, da commenti poco puliti ad alta voce in sua presenza: non che non vi fosse abituata, nello squallido posto dove lavorava ne avrà sentite sicuramente di peggiori, ma a me davano veramente fastidio, come se avessero offeso la mia ragazza con avances pesanti in mia presenza.
La mia ragazza … accostare questa definizione con Allison mi sembrava allo stesso tempo strano eppure naturale; mi sarebbe piaciuto avere una ragazza, dopo i casini dell’ultimo anno, mi sentivo pronto a rientrare in piazza e c’avrei messo la firma perché fosse come lei. Una di quelle che guarda al di là della facciata esteriore, una che sa apprezzare davvero le piccole cose come se fossero dei tesori. Ma lei no, era solo il modello da cui partire. Lei nessuno avrebbe dovuto sfiorarla, se non con il suo consenso: tantomeno io.
Averla vista all’ingresso della libreria il lunedì mattina, quando ormai, dopo una notte passata a rimuginare sui vari significati dell’espressione “ci vediamo presto”, mi ero persuaso che ci avrei messo un po’ per rivederla e che, anzi, avrei fatto prima a cercarla io stesso, fu per me la più piacevole delle sorprese, la conferma insperata della sua volontà di uscire fuori da quel mondo che le andava troppo stretto, che non era certo degno di lei. Eppure, quando terminavo il mio turno, tornava a chiudersi in sé stessa, proibendosi libertà che si era concessa fino a poco più di un minuto prima, precludendosi la possibilità di riscoprire il mondo con i suoi occhi, al di fuori delle pagine di un libro. E se ne tornava nelle fogne da dove era venuta, come punizione per aver osato chiedere troppo dalla vita e da se stessa, per un sogno che non le era permesso, un memento di ciò che per lei doveva essere solo un’esperienza fugace e furtiva, inevitabilmente destinata a finire. Lo vedevo dai suoi occhi quanto le dispiacesse andare via da ogni ultimo sguardo che lanciava alle pile di libri, ai tavolini del bar, al direttore del personale che mi avrebbe licenziato in tronco se non l’avessi fatta finita di importunare le nostre clienti più giovani. Erano un milione di ultimi sguardi, gli stessi di quella prima mattina passata insieme nella sua stanza quando incredula aveva trovato me ed una colazione decente al suo risveglio. Incapace di godersi il presente perché troppo convinta di non meritarselo. E lo stesso valeva per il suo futuro.
Tuttavia, finché l’avessi trovata ad aspettarmi ogni volta che prendevo servizio, non avrei perso la speranza di aiutarla, perché lei per prima stava combattendo contro se stessa.
“Cosa odono le mie orecchie?” domandò sorpreso Aidan, affacciandosi alla nostra postazione segreta per la lettura, dove riuscivo a stare con lei senza dare nell’occhio e al contempo sorvegliare l’intera situazione. Aidan, da parte sua, faceva da vedetta e mi avvertiva ogni qual volta il capo del personale passava in rivista il nostro piano. “La bellissima Cenerentola è ancora qui a deliziarci della sua presenza?!” continuò nella sua recita, confermando la teoria di Allison secondo cui sarebbe stato perfetto come giullare di corte “Per fortuna non esistono più le fate Smemorine di una volta e gli incantesimi non durano più fino a mezzanotte …” Lui, sornione, era riuscito a farla illuminare di nuovo con un sorriso ed i suoi occhi sorridenti e raggianti corsero immediatamente a me a cercare consensi. Risposi sommessamente al suo riso, per sostenerla, ma c’era poco da stare allegri.
Non può piovere per sempre … ma nemmeno il sole c’è in eterno; così come arriva l’estate, arriva anche l’inverno; persino più puntuale della bella stagione. Più tempo passava e più avrei faticato all’idea di non vederla più, perché l’incantesimo sarebbe stato spezzato prima o poi e quel momento si faceva sempre più vicino e cercare di allontanarlo dalla mia mente non serviva a granché. A meno che non fossi stato io a fermarla, sarebbe stata di nuovo inghiottita dagli abissi torbidi e profondi della mercificazione del proprio corpo. Sì, mi sarebbe toccato fermarla, ma mi ero talmente assuefatto all’idea di averla in giro a lavoro e vederla ogni giorno che agire contro la sua volontà mi sembrava quasi una prevaricazione nei suoi confronti, oltre alla consapevolezza che l’avrei persa per sempre se avessi commesso un solo passo falso, come poteva esserlo mettersi contro di lei. Ma dovevo ricordarci che era folle, nonché criminale, starsene con le mani in mano a permetterle di rovinarsi una vita ancora salvabile.
“Mi dispiace disturbarla dalle sue ascesi quotidiane Mr. Nichilismo in persona” blaterò Aidan, riscuotendomi dai miei pensieri “ma vorrei ricordarle che dobbiamo chiudere e andare a casa, non …”
“… non senza aver accompagnato alla sua carrozza la vostra amatissima principessa, nonché me medesima” completò la frase Allison, con quegli occhi furbetti di chi sapeva che era riuscita a spuntarla con noi e a farci suoi schiavi. Non credo che Aidan sarebbe stato tipo da seguirla fino in capo al mondo, non era nella sua indole, ma era riuscita a farsi offrire le ciambelline d’avanzo che di solito il bar gli dava a fine giornata; anche se lui non aveva speso un centesimo per averle, conoscendo il soggetto è come se l’avesse portata fuori a cena da Tribeca. Erano ancora entrambi sogghignanti e sgranocchianti, più che due ragazzi sembravano due pecore ruminanti, soprattutto Aidan aiutato dalla barbetta incolta che si ostinava a voler tenere. Diceva che faceva intellettuale. Contento lui …
“No!” esclamai, ancora catalettico, a metà tra il mondo dei sogni e quello della realtà.
“No?” ribatterono loro, interrogativi; in particolare Allison, che sembrava rimarcare nel suo volto il punto di domanda che aveva espresso a voce. Non capivano evidentemente a cosa fosse da collegare il mio no perentorio.
“No” spiegai meglio ad Aidan “non dobbiamo riaccompagnare nessuno”. Spostai la mia attenzione su Allison e la vidi ancora più perplessa e probabilmente timorosa che non ce l’avessi con lei per qualche motivo. Lasciai che i suoi occhi incrociassero i miei e non avessero paura; la vidi rilassarsi, almeno un pochino “Stasera stai con noi”.


Non era particolarmente convinta che la serata potesse mantenere il tenore che avevano le nostre giornate insieme in libreria e soprattutto, per quanto non rinunciasse mai a scambiare battute e risate assieme a lui, Allison metteva in dubbio l’autocontrollo sessuale di Aidan.
“Non me ne vogliate ragazzi … ma io cose a tre non ne faccio, sia ben chiaro!!!” Mise le mani avanti, mentre ci incamminavamo verso casa, con lei ancora titubante se restare con noi o meno. L’avevo convinta almeno a pensarci lungo il tragitto, visto che comunque l’ingresso alla sua linea della metro era di strada. Se si fosse convinta, bene, altrimenti ci avrebbe lasciati a meno di metà strada.
Vedevo quella scalinata verso la New York sotterranea sempre più vicina, lei non aveva ancora deciso e Aidan ci metteva come al solito del suo per farla scappare a gambe levate. Se per oltre un mese aveva visto in me un bravo ragazzo, uno di quelli che nel suo locale ci mettono piede solo per sbaglio, ora grazie ad Aidan aveva iniziato a credere che fossi un maniaco sodomita.
“Oh tesoro mio” si rivolse a lei Aidan “non ci tengo a soddisfare le voglie omosessuali del mio coinquilino … a cui peraltro ho già rotto il naso per lo stesso motivo tempo fa … ma se proprio senti l’esigenza di fare qualcosa lo capisco, siamo fatti di carne. Sbattiamo fuori dai coglioni il nostro amichetto triste e moscio e ci prendiamo il suo letto per fare due capriole” le disse, rincarando la dose virgolettando con le dita alla parola capriole. Riusciva ad essere veramente idiota quel ragazzo, e per fortuna al suo fianco non aveva un’alunna del Sacro Cuore ma una a cui spesso la defecazione fuoriesce spedita dalla bocca e non dal sedere in quanto a linguaggio. “Due capriole te le faccio fare volentieri Aidan” le rispose provocante Allison, spiazzandomi del tutto “…  ma per le scale buttandoti fuori a calci nel culo se non chiudi quella fogna che hai tra naso e mento!!!”
Si voltò sorridente verso di me, lasciando che Aidan somatizzasse l’ennesima batosta simil-sentimentale e corse da me che ero rimasto più indietro rispetto a loro. Si mise sottobraccio e camminammo insieme per quelle poche decine di metri che ci separavano dall’ingresso della metro. Era bello stare insieme così, camminando semplicemente, anche senza dirsi nulla. L’avrei implorata di passeggiare con me per tutta la serata finché non fosse crollata per il sonno e mi avesse implorato di riportarla a casa. E poi vederla nei panni di una ragazzina acqua e sapone mi aveva fatto dimenticare l’immagine sporca di lei in quel locale, per me più un incubo che un ricordo vero e proprio.
“Non senti più freddo Ty?” mi chiese, ricordando il freddo boia della serata che avevamo trascorso insieme “che ti dicevo io che era solo questione di coprirsi un po’ di più?”
“La finisci di fare la maestrina?” la sgridai “altrimenti finisce che ti carico come un sacco di patate e a casa mia ti ci porto con la forza …”
“Voglio proprio vedere come fai …” cominciò a prendermi per il culo come al suo solito: era bravissima nel prendere in giro le persone, ma con me le riusciva particolarmente bene “… ultima volta che in libreria hai dovuto togliere 10 libri da uno scatolone c’è mancato poco che ti uscisse un’ernia …”
“Ah sì?!” le domandai, in tono di sfida, mentre lei, staccandosi da me, mi si era messa di fronte camminando all’indietro e non accorgendo di quanto fossimo vicini all’ingresso dei sotterranei. “Vieni qui!” le intimai, cominciando a correre verso di lei ed in poco tempo, per quanto fossero affollate le strade e lei molto agile e veloce la raggiunsi e me la caricai sulle spalle come fosse un sacco di patate, tanto era leggera. Iniziò a dimenarsi addosso a me come un’anguilla fastidiosa e viscida, riempiendomi la schiena e il torace con pugni e calci.
“Voglio vedere dove vai ora!!!” sogghignai, dandole delle pacche giocose sul sedere. Maledetto me quando avrei imparato a tenere le mani a posto: lei tirava forte, lo avevo già sperimentato e non so come riuscì con precisione millimetrica a sferrare un colpo al mio stomaco lasciandomi senza fiato. Riuscii però a mantenere salda la presa e a non lasciarla scappare via. Aidan, sconsolato e con la sua solita flemma ci raggiunse e, man mano che si avvicinava, rassicurava i passanti che non stavano assistendo ad un rapimento ma ad una zingarata di due matti. Intanto lei continuava a starnazzare come un’oca in preda ad una crisi isterica, intimandomi di lasciarla andare “Eddai Ty!!! Mettimi giù non sei per niente divertente” “Perché se no che fai … lo dici alla mamma? Uuuh povera piccola Mallory … Guarda!!! Di’ ciao alla metropolitana che si allontana … ciao metro!!!” “Che cosa? Noooo … sei uno stronzo Tyler!!!” “Lo so” ribattei ridacchiando, ormai eravamo proprio andati, parlavamo e litigavamo a ruota libera; non perché fossimo veramente arrabbiati l’uno con l’altro, io stesso d’altronde avevo iniziato quel gioco, ma perché non sopportavamo di dare vinta all’altro, nemmeno per gioco. “Eddai basta mettimi giùuuuuuuuu!!!!” continuò a blaterare lei “va bene dai! Ci vengo a casa tua …”.
Contento di aver conseguito quel piccolo successo la lasciai andare e, mentre si ricomponeva al meglio, facendo finta di cercare Aidan con lo sguardo tra la gente cercai di riprendermi dal gesto atletico che non ero abituato a fare. Era difficile da ammettere, ma lei aveva ragione.
“Ehi piccioncini?! Avete finito?” Aidan … era il solito bambino egocentrico, che se non era al centro dell’attenzione si insospettiva e metteva il broncio. Ridemmo di gusto tutti e tre insieme … se solo fosse stato possibile, se solo lei me lo avesse permesso, saremmo potuti diventare una bella compagnia di amici e avremmo potuto divertirci parecchio.


“Dai ragazzi ma non avete visto che bordello lì sotto? Non lo saprà nessuno che ci siamo imboscati … dai non potete dirmi di no!”
Il rapporto di Aidan con l’alcol era piuttosto complicato. Non perché non lo reggesse, anzi lo tollerava piuttosto alla grande, talmente alla grande che con la dose necessaria a lui per essere sbronzo io sarei già  in una cella frigorifera in obitorio, pronto per essere squartato dal medico legale. Piuttosto era un rapporto difficile nella misura in cui non riusciva a stargli lontano; non alcolista, direi invece storia d’amore appassionata, di quelle dove ad amarsi troppo si finisce con il farsi del male. Ed è universalmente noto che le bevande alcoliche sono amanti focose e sadiche.
“Ed invece ti dico di no Aidan … devo tornare a casa mia più tardi e preferirei farlo con le mie gambe …”
“Eddai solo unooo!!!” continuava a pregarci, sperando di convincerci con le sue faccine ruffiane. Come se potesse funzionare con me che l’avevo visto strafarsi e vomitare l’anima o con lei, che di uomini marci ne vedeva a decine ogni sera.
“Uno? Aidan ricordami l’ultima volta che era stato solo uno?” gli domandai.
Iniziò davvero a riflettere a quella mia domanda retorica. “Prima comunione?!” rispose alla sua domanda da un milione di dollari. Io ed Allie ci guardammo e lo guardammo perplessi e preoccupati per il suo comportamento e la sua stupidità, e non c’era dubbio che nei nostri occhi passava silenziosa la stessa domanda, se mai quello spettacolo indecoroso avrebbe trovato fine. Ma il nostro compare di sventura pareva ben determinato nel suo intento di dare sfogo alle sue manie etiliste e fondo alle scorte di vino da quattro soldi che circolavano a casa degli inquilini del secondo piano; così, mentre ancora discuteva tra sé e sé il modo più opportuno per ricevere da noi il permesso di andare e trascinarci con lui, lo lasciammo lì sul pianerottolo tra i due piani a discutere con l’angioletto ed il diavoletto sulle due spalle. “Smettila di blaterare da solo e vai a divertirti!” gli urlai dal nostro pianerottolo. Non se lo fece ripetere due volte che lo vidi sparire dalla mia vista e buttarsi a capofitto per la tromba delle scale. Entrammo e chiusi la porta alle mie spalle.
“E così questa è casa tua …” commentò Allison, politicamente corretta, quando ebbe finito di fare un giro dell’appartamento. Non si era sbilanciata, ma i suoi occhi curiosi mi suggerivano un vago apprezzamento.
“… e di quel pazzo” precisai io. “Naaaaaa …” considerò “lui ci dorme solo qui, sei tu che la vivi”
“E cosa te lo fa pensare?” domandai incuriosito da una teoria interessante e potenzialmente vera. “Non c’è niente che ricorda lui qui dentro. Tutto mi parla di te … ed è un bene visto che non mi hai mai voluto dire nulla”
“E sentiamo …” la sfidai “cos’è che ti dicono queste quattro mura logore?”
“Che sei molto più profondo di quanto voglia far credere, che ti piace conoscere più cose possibile … e che vivi di ricordi, visti gli appunti sparsi sul tuo letto – che non ho letto sia ben chiaro - e le foto che riempiono questa casa …”
Ed io che mi ritenevo un abile lettore di anime! Aveva appena fatto una radiografia di me e della mia vita attraverso quelle quattro cianfrusaglie ammassate senza ordine e senza rispetto in quelle due stanze; in poco meno di mezz’ora aveva capito di me più di quanto io stesso sapevo di me stesso, dopo una vita di convivenza forzata. Vivevo di ricordi … avrei preferito che non fosse vero.
“Ah!” aggiunse, spensierata “e ho capito anche un’altra cosa. Che sei un porco … cioè hai visto quel bagno?! Dio che schifo!!!”
“Senti chi parla … preferirei farla per strada piuttosto che dovermi sedere sul cesso di casa tua. Veniva un profumino quando ci sono venuto!!!” “mmmmm” mi tirò una linguaccia bella e buona e finii col vendicarmi lanciandole un cuscino in pieno volto. Era uno spettacolo vederla tutta arrabbiata, con le rughe d’espressione che le corrucciavano la fronte ed il naso che si arricciava, contratto, insieme alle labbra che si serravano in un broncio che a vederla, mi veniva voglia di mangiarmela di baci. Ok, dovevo smetterla con certi pensieri del kaiser, sembravo una fan di Justin Bibier in calore, ma uscivano spontanei e non sapevo controllarli.
Mentre mi perdevo in fantasie adolescenziali, fatte di lettere d’amore imbucate nell’armadietto di scuola e di frullati alla fragola in un bar stile Happy Days, non avevo avuto modo di controllare e prevedere la reazione della piccola peste. Iniziò a rincorrermi per tutta casa con la stessa arma con cui l’avevo ferita e sapevo che, se conosceva il proverbio quanto me, avrei dovuto soccombere con la stessa spada, nella fattispecie un cuscino che perdeva piume neanche fosse un rettile nel periodo di muta.“Tyler KEATS Hawkins?!” scandì incredula e divertita “davvero ti chiami Keats … porca puttana, i tuoi devono essere dei tipi davvero pretenziosi?!” Nella fuga dai suoi fendenti per poco non inciampai ed evidentemente dalla tasca dei jeans venne fuori il mio portafogli, perché c’era un solo posto al mondo dove tenevo sigillata a tenuta stagna la verità sul mio nome intero: la carta d’identità, ben mimetizzata nel quarto scomparto a sinistra. Arrivammo nel piccola cucina e cercai di difendermi da lei con il primo oggetto che mi capitò tra le mani, un misero tagliere di legno, lasciato lì sulla mensola da una vita e chissà quando era stato usato per l’ultima volta.
Nella concitazione della battaglia, quasi arrivati allo scontro diretto, accadde quello che nessuno dei due poteva aspettarsi: eravamo vicini, a ridosso del mobile della cucina, talmente vicini da sentire i battiti dei nostri cuori rimbombare alle orecchie dell’altro e scontrarsi l’un l’altro, mentre i respiri concitati muovevano e scontravano le rispettive casse toraciche.
Oltre al martellare dei nostri cuori ed i nostri sospiri affaticati, c’era la musica ovattata della festa hippy al piano di sotto. Erano passati ai lenti anni '60/’70, tipico sintomo che il vino aveva iniziato a fare effetto. Sobrio di vino, ma ebbro della sua presenza cercavo di non pensare a quella colonna sonora come un segno del destino, ma come una razionale, seppur bizzarra, coincidenza. Bastava davvero poco ad annullare quella distanza, bastava solo volerlo. Vedevo i suoi occhi, mentre i miei si perdevano in quel suo visto disteso, concentrato in una comunicazione verbale che per una volta non riuscivo a cogliere, preso e perso com’era il mio cervello a studiare ogni dettagli di quella situazione. Sembravano dirmi qualcosa i suoi occhi, grandi e verdi, occhi irlandesi li avrebbe ribattezzati la bisnonna Hawkins, lei che il Donegal l’aveva visto davvero, sconfinati come l’oceano e verdi come le ampie radure; sembravano chiedermi perché eravamo arrivati fino a lì e cosa esattamente stesse accadendo. Cosa rispondere a degli occhi ammaliatori come quelli?
Ma lei sembrò abbastanza lucida da decidere per entrambi e si tirò indietro. Forse era meglio così: niente contatto, meno dolore quando fosse scomparsa dalla mia vita. Era così brava a saper riprendere il controllo della situazione, così padrona dei suoi istinti che sembrava impossibile avere davanti una diciassettenne. Era per questo, forse, che non era uguale alle altre, per questo c’era in lei qualcosa in più, solo per me.
Feci appena in tempo a riprendermi da quell’attimo un po’ pericolo, che capii che un altro era in arrivo, ben peggiore. Con la coda dell’occhio vidi partire un tiro mancino, pronto a colpirmi in pieno volto. Riuscii a schivarlo appena in tempo, ma forse avrei fatto meglio a prendermelo: una vagonata d’acqua bollente mi venne addosso dalla pentola in cui avremmo dovuto cuocere la pasta. Stavo aspettando che bollisse, quindi per fortuna non era eccessivamente calda, ma sentirsela addosso d’improvviso non era certo una bella sensazione.
“Oh merda! Tyler scusami! Cazzo! Non volevo, ti giuro! Ho esagerato come al mio solito … perdonami ti prego!” iniziò a scusarsi Allison che non sapeva dove mettere prima le mani, se correre a raccogliere il pantano sul pavimento oppure a me che, fradicio e bollente, sembravo appena uscito sulla neve dalla sauna ed avevo il corpo fumante. Mi affrettai a spiegarle che non aveva nulla di che scusarsi, era stato un incidente. “Capita” la rassicurai, sorridendole “quando si fa gli scemi per casa come facevamo noi!”. Certo che però se mi avessi baciato ora eravamo a fare altro ed i vestiti non avrei dovuto certo toglierli per evitare di ustionarmi!
Andai in camera a cambiarmi e lasciai gli abiti ad asciugare sul davanzale arrugginito della mia finestra, tanto comunque avrei dovuto portarli alla lavanderia a gettoni ad un paio isolato da casa. Lei era rimasta nella zona giorno, quasi avesse pudore a vedermi senza maglietta; lei, che era abituata a ben altre visioni, ben più raccapriccianti. D’un tratto la sentii bussare allo stipite della porta “Posso?” chiese, titubante. “Certo” la esortai.
Era guardinga, forse ancora un po’ in colpa per quanto era successo.
“Aspetta” disse, mentre mi abbottonavo la camicia “ma hai un tatuaggio sul petto? Non ti facevo tipo da tatoo, sai? Che poi sul cuore … spero non l’abbia dedicato ad una ragazza che ti sei scopato e poi hai lasciato la mattina dopo perché sarebbe imbarazzante …”.
“È il nome di mio fratello” la freddai e lei passò delicatamente la mano sulla pelle, percorrendo ogni lettera come fosse cieca e quella fosse una scritta in Braille, provocandomi un leggero brivido. Sembrava voler carpire ricordi ed immagini direttamente dal mio cuore, sul quale quel nome era stato inciso.
“Scusami” si giustificò, ancora, la voce balbettante “io … io non avevo idea che …”. Abbassò lo sguardo e si allontanò da me, andando a sedersi ai piedi del letto. Era sconvolta, neanche le avessi comunicato la morte di un suo parente; ma allora compresi che dietro il suo dramma doveva celarsi qualcosa di simile, un lutto o una perdita abbastanza grave da ridurla a schiava di qualcuno per chissà quali motivi. Non eravamo così distanti. La raggiunsi sul letto e mi avvicinai quel tanto che bastava a farle capire che non me l’ero presa e che, anzi, ero ben felice di levarmi finalmente quel peso con lei, dimostrandole che la mia vita non era poi così perfetta come lei credeva.
“È il ragazzo delle foto che hai di là, vero?” annuii. “Come …”
“Suicidio” faticai a spiegarle, anche se era necessario “si è impiccato poco più di un anno fa il giorno del suo 24esimo compleanno. Si era laureato in economia ed aveva da poco iniziato a lavorare con nostro padre … ma la sua passione era la musica e lui gliel’ha distrutta, mandando in rovina tutto il resto …”
“so che sembra strano ma … ma so come ci si sente. Sia nei suoi panni che nei tuoi, credimi”.
Mi stesi sul letto, ad occhi chiusi, cercando di riordinare le idee. Era stata una bella giornata, ma anche piuttosto lunga; con Allie le cose andavano a meraviglia e sembrava essersi instaurato tra noi un clima di distensione e amicizia, forse anche qualcosa di più. Mi riusciva difficile credere che quel qualcosa di più, per me, lo avesse lei; ma l’amore è cieco, non chiede permesso, ed il più delle volte si presenta a noi irriverente ed inopportuno. D’improvviso sentii il letto scuotersi sotto delle piccole mosse; era evidentemente Allison, che si stava avvicinando a me in maniera difficile, tanto perché tra noi le cose non erano abbastanza complicate. Venne ad appoggiare la testa sulla mia spalla e, mente una mano si era fermata sul petto, l’altra era corsa ai capelli, con una timida audacia che faceva di lei predatrice e preda nel medesimo istante, in un perenne gioco di attacco e difesa. Aprii gli occhi e le sorrisi, lei però non riuscì a distendersi e a rispondermi. Le carezzai la guancia con il dorso della mano ed i suoi occhi erano tornati ad essere fermi e tristi, imploranti una pietà ed un aiuto che non avrebbero mai potuto ottenere senza sapere quale fosse il problema.
“Hei?!” le sussurrai dolcemente, stringendola a me. Avrei voluto che quel momento non finisse mai. Il suo profumo si era addolcito, addomesticato da un mondo di nuove esperienze, e ne avrei aspirato e respirato l’essenza all’infinito.
Puntò il suo sguardo dritto nei miei occhi, con la severità che solo le cattive notizie possono dare. Lo sapevo che quel momento non avrebbe tardato la sua visita, lo sapevo che sarebbe stata questione davvero di ore. E quel che è peggio che lei lo sapeva, e si era tenuto dentro fino all’ultimo minuto, soffrendo fino all’estremo sacrificio dell’addio, eppur godendo fino all’ultimo di questi attimi. Era arrivato il momento dell’insensato abbandono.
“Oggi è l’ultimo giorno Tyler” mi disse, senza celare in alcun modo la disperazione di quelle parole “domani torno a lavoro”.
L’abbracciai, d’istinto, e lei non s’oppose, chiedendo solo con tutta se stessa di potersi gustare quell’ultimo momento d’amicizia tra noi.
Le cose sarebbero cambiate, inevitabilmente, in un modo o nell’altro.












NOTE FINALI
E fu così che i due amici ... che forse amici non sono veramente ... dovettero dirsi addio. Tyler non si rassegna all'idea di lasciarla andare e Allison si aggrappa a lui con tutti le forze che possiede. Una storia d'affetto che nasce per caso e sconvolge le esistenze di chi la vive. Le cose non possono andare mai bene ... ed è per questo che quando iniziano ad andare per il verso giusto, arriva qualcosa a sconvolgere l'equilibrio. Il bello deve quindi ancora venire.

Piccolo annuncio: per scrivere i prossimi capitoli, i più impegnativi di tutta la storia, credo che mi prenderò due settimane di pausa. Tuttavia, se saranno pronti prima del previsto, non esiterò a pubblicare.

Spero che questo di oggi sia stato di vostro gradimento, che non sia stata ripetitiva, pesante o prolissa.
Per qualsiasi consiglio, critica o commento in generale sapete dove trovarmi, e vi ringrazio per il sostegno ed il consenso che mi date ogni, volta. So che siete molti di più di quanti vi vedo ogni volta e mi piacerebbe che anche voi, lettori silenziosi, vi facciate sentire. Per me è fondamentale ... nonché gratificante.

Oggi sono di una chiacchiera ...XD Vabbè ... vi lascio andare
à bientot

Federica






   
 
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