La Vita Nova.
Capitolo XVII
Madame
Giry chiuse con lentezza la porta della camera di Phénix, dopo aver controllato
che stesse bene. Era tutto il pomeriggio che dormiva, del resto, e doveva
assicurarsi che non fosse morta nel frattempo senza che se ne accorgesse. Scese
le scale, diretta verso la cucina, dove trovò Rosalinda intenta a preparare un
dolce calorico per la loro ospite.
«Perdonateme, señora, se
non vi ho chiesto el permesso, ma la chica è debole,
come sapete.»
«Non preoccupatevi,
Rosalinda, ve l'avrei chiesto comunque.», fece la donna, prendendo
posto su una sedia e guardando le sapienti mani della domestica che mescolavano
la futura torta.
«Come sta la chica?», chiese
l'altra, continuando ad impastare, le guance piene e
rosse per l'impegno.
«Oh,
credo bene. Monsieur Faucon mi ha detto che si tratta
solo di una leggera polmonite che passerà presto, se continuerà a prendere le
medicine. Ormai il peggio è alle spalle.»
«Meno male, sono
così in pena!»
Claire sorrise,
pensando a quello che era stato l'ennesimo piano di Erik. Secondo lui se Phénix
avesse scoperto di essere gravemente malata, avrebbe
seguito docilmente le cure; viceversa avrebbe continuato a fare di testa sua,
aggravando la situazione per davvero. Faucon era stato avvertito della
testardaggine della zingara e, seppur riluttante all'inizio, aveva
acconsentito a reggere il gioco. Sperava solo che Phénix non venisse a
sapere anche quella verità, altrimenti sarebbero stati guai per tutti. Giocare
col fuoco, del resto, non è mai stato
saggio, lo sapevano entrambi bene.
L'altra cosa che la
preoccupava, poi, era quello che era sicuramente successo
qualche notte prima. Sapeva che Erik era stato da lei la sera della scoperta
della "malattia" e quelle successive, ma non sapeva se esserne felice
o meno. La situazione stava pian piano degenerando e temeva che tutti i nodi, prima o poi, sarebbero venuti al pettine. Non voleva che
Erik stesse male ancora una volta, quello sarebbe stato il colpo di grazia ad una vita che aveva già sofferto troppo in passato; così
come non voleva perdere quella cara ragazza che aveva imparato ad amare come
una figlia.
«Oh, señora, c'è il Monsieur
che vi aspetta.»
Claire alzò lo
sguardo verso la domestica, che sapeva bene del rapporto con Erik e del fatto
che avrebbe dovuto tenere a freno la lingua. «Grazie, Rosalinda, grazie di
tutto.»
La donna fece
spallucce. «Finché non me tocca, io non parlo.»
Erik la stava
aspettando nella cantina, avvolto completamente nel suo mantello nero. «C'è un
problema.», esordì l'uomo, prima ancora che l'altra potesse aprire bocca.
«Se ti riferisci al
fatto che è ancora presto per andare in giro per Parigi senza essere
riconosciuto, sono perfettamente d'accordo con te.»
«Non è quello di
cui voglio parlare.» Il tono di Erik era duro, non senza una venatura di preoccupazione
nella voce, che la fece tremare. «Ho visto Lucas gironzolare intorno alla tua
casa.»
«Lucas?
Intendi il figlio di quello zingaro?»
Erik annuì, tirando
un pugno all'innocente tavolo in legno che per sua
sfortuna gli era accanto. «E se me la dovesse portare via?»
Claire lo guardò
severamente. «Sapevi bene come sarebbe potuta andare a
finire questa storia. Non è tanto il fatto che possano portartela via,
quanto il fatto che la ragazza scopra quello che le hai sempre tenuto nascosto.
Credo che sia peggio avere il suo odio che non averla per niente, non trovi?»
Erik si sedette, le
mani tra i capelli in un moto di disperazione. «Ho
paura di aver sbagliato tutto, Claire. Ho paura di perdere quello che ho
guadagnato con fatica, ancora una volta.»
Il fatto che Erik
le stesse confidando così apertamente le sue paure la fece
rabbrividire. Non ricordava che l'avesse mai fatto con così tanta disperazione
e pregò Dio o chi per lui che tutto potesse risolversi per il meglio. Un Erik le cui difese crollavano così platealmente era anche
un Erik pericoloso. «Dammi retta, amico mio. Parlale
con tutta la sincerità di cui disponi. Dille che volevi proteggerla e che
presto le avresti spiegato cosa accadde quando ancora era piccola. Sei una
persona buona e anche lei lo è; son sicura che
capirà.»
La porta della
cantina venne sbattuta con forza e Phénix si mostrò ai
due, con le lacrime agli occhi e uno sguardo che più furente di così non poteva
essere. «Cosa dovrei capire? Che mi avete mentito
entrambi?»
Erik non riuscì a
far altro se non sbarrare gli occhi, atterrito, mentre Madame
Giry tratteneva il respiro.
Quando si gioca troppo col fuoco...
«Credevate che non
lo avrei scoperto, prima o poi? Che non avrei
ricollegato quel bambino a te, Erik? Mi credevi tanto stupida?!»
Phénix piangeva, piangeva disperatamente, mentre a stento riusciva a parlare
tra un singhiozzo e l'altro.
...prima o poi ci si scotta.
«Phénix, per favore...»
«Voi non osate parlare, Claire! Non osate!», gridò
la zingara, coprendosi il viso con le mani. Quando Erik sentì su di sé quegli
occhi verdi ridotti ad una fessura, che proprio le
scorse notti l'avevano guardato con dolcezza, provò l'irrefrenabile desiderio
di morire. «Sei tu il bambino... tu mi hai mentito,
Erik. Io... io mi fidavo di te... ti ho dato la mia vita...» La ragazza strinse i pugni,
ferendosi con le proprie unghie. «Sai cosa abbia significato per me... dare la mia vita ad uno sconosciuto?»
Erik riuscì ad
alzarsi lentamente, come se qualcuno bloccasse i suoi movimenti e gli impedisse
qualsiasi gesto. «Phénix... perdonami, io...»
«No.», disse
risoluta lei, alzando una mano per farlo tacere e cercando invano di frenare le
lacrime. «Mi hai mentito e dovrei ucciderti, Erik. Lo
ricordi, vero? Ho promesso... l'ho promesso a loro.»
Erik allargò le
braccia, aspettando. «Lo so. E non mi tirerò indietro,
se è questo che vuoi.»
La ragazza si
morsicò un labbro per non riprendere a piangere. «Se solo me l'avessi detto... se
solo ti fossi fidato di me...» Respirò profondamente,
per placare il pianto, per poco che servisse. «E dire
che io...», mormorò, chinando il capo.
«Phénix...»
«No, no! Ti odio,
Erik! Vai all'Inferno!», esclamò, correndo via.
Lui non resistette
più e cadde sulle ginocchia, incapace di reagire, incapace
di rincorrerla per fermarla. Si sentì svuotato di tutte le forze, fisiche e
mentali. Avrebbe voluto bloccarla per spiegarle tutto, per dirle che aveva
avuto paura di confessarle la verità all’inizio, che si era affezionato a lei
troppo in fretta per rischiare di rovinare tutto, che l'amava
per farla soffrire.
Ma
non fece niente. Si comportò come il peggior codardo del mondo e si odiò ancora
di più.
All'Inferno ci sono già, Phénix. Ci sono già.
E dire che io...
La ragazza correva
per le strade di Parigi, lontano da quella casa, lontano da quella vita che
aveva scoperto da poco, ma che si era rivelata solo una mera illusione. Non
poteva credere che a mentirle fosse stato proprio lui, l'uomo di cui si era
fidata di più in tutta la sua vita; non poteva credere che fosse stata così
stolta da non collegare quello stesso uomo con il bambino dal viso deforme. Bugiardo, era solo un maledetto bugiardo!
E dire che io mi
sono innamorata di te...
Soffocò un grido di
dolore mentre continuava a correre, diretta verso
l'abitazione della nonna. Non si curò delle persone
che avrebbe potuto incontrare, che avrebbero potuto riconoscerla come la
zingara dai capelli rossi. Ora come ora non poteva importarle nulla.
Quando la nonna la
vide in quello stato capì cosa fosse successo. Sapeva
che sarebbe andata a finire così, lei sapeva sempre tutto.
«Quindi
tu... avevi capito.», mormorò Phénix, una volta che il pianto le passò, davanti
ad una tazza calda di the.
«Mi dispiace, piccola mia. Ma non ne ero sicura.
Quando mi nominasti Erik mi venne in mente quel
bambino, si chiamava proprio così. E aveva il viso deformato, proprio come lui.
Ma non potevo dirtelo senza sicurezze. E non volevo
rovinare il tuo bel momento di felicità.»
«Capisco... ma ha
pensato bene lui di rovinare tutto.» Si asciugò le guance con il palmo delle mani, prima di parlare
ancora. «Posso rimanere qui per qualche tempo? Ho
intenzione di lasciare Parigi... ormai ho capito che questa città non fa per
me.»
La nonna la guardò
bonaria. «Puoi restare quanto tempo ti pare, sciocca.»
«Grazie.», sussurrò
in un sorriso tirato.
«E dimmi, dove hai
intenzione di andare?»
Phénix non fece in
tempo a rispondere, che qualcuno dalle mani pesanti bussò con forza alla porta
sgangherata di legno. Guardò con paura verso l'ingresso, temendo che Erik
l'avesse seguita e che ora la volesse portare via con la forza.
«Chi è là?», chiese
a gran voce la nonna, attendendo risposta.
«Sono
io, Lucas. Fammi entrare, vecchia.»
Phénix sbarrò gli
occhi, e pensò che forse avrebbe provato più sollievo nel rivedere Erik che
quell'uomo.
«Cosa
vuoi?», continuò la nonna, non aprendo la porta.
«Sai
bene cosa voglio. C'è Phénix in casa, vero? Non farmi perdere tempo. O
preferisci che butti giù il muro?»
Phénix guardò la
nonna e acconsentì con lo sguardo a farlo entrare. Vederlo dopo tutto quel
tempo non fece altro che spaventarla ancora di più. Lo sguardo da folle e da
gran mascalzone non gli era scomparso, anzi; il ghigno che gli spuntò sulle
labbra appena la vide lo fece sembrare ancora più malevolo.
«Salve
Phénix. Tutto bene? Mi sembri scossa.», esordì, quasi
allegro di vederla in quello stato.
«Puoi
anche andartene, Lucas. Non ho intenzione di seguirti.»
«No?
Peccato, speravo di non usare le maniere forti, mia cara. Sai quanto tengo a
te.»
«Oh,
immagino. Ci tieni così tanto da farmi picchiare dai
tuoi cugini, vero?»
Lucas assottigliò
gli occhi. «Non ho mai ordinato che ti venisse torto
un capello, ingrata! Mai!»
Scrollando le
spalle, Phénix voltò il viso, senza una parola. Era un uomo di parola, lo
sapeva, ma non aveva alcuna intenzione di dargli ascolto, non in quel pessimo
momento.
«Che sei venuto a
fare?», chiese burbera la nonna, a cui non era mai
piaciuto quell'uomo.
«Stai
zitta, vecchia. Non sono qui per te.»
«Abbi almeno un po'
di rispetto nei confronti di mia nonna!», esclamò Phénix, alzandosi e piantandosi
sotto il suo naso, i pugni stretti per la rabbia e la stizza.
Lucas
sorrise perfido, inchinandosi in segno di scuse. «Perdonami,
mia cara, ma divento parecchio suscettibile quando vengo
incolpato di fatti che non sono mai accaduti.»
«Perché sei qui?»,
domandò stancamente la ragazza, incrociando le braccia.
«Perché
sono venuto ad aiutarti nel momento del bisogno. Voglio darti una mano a
vendicare i tuoi genitori, i miei cugini e... mio padre.»
Phénix non capì,
corrugando la fronte. «Tuo padre?»
«Chi credi che
fosse l'uomo che quel mostro uccise quando eri ancora una mocciosa di due
anni?», tuonò Lucas, facendola arretrare di qualche passo.
Lei sgranò gli
occhi, interdetta. «Non me l’hai mai detto...»
«A quanto pare
nemmeno lui te ne ha parlato.», ribatté, secco. Poi, con un sorriso sbilenco,
aggiunse: «Ah, già. Non ti ha detto parecchie cose.»
Fu in quel momento
che tutto le fu chiaro. Il perché Lucas odiasse tanto
il Figlio del Diavolo, perché fosse cresciuto con quel brutto carattere
vendicativo e cattivo, perché continuasse a maledire quell'uomo che lei non
aveva mai visto ma che sembrava veramente il diavolo in persona. Erik, quel
giorno, non aveva mandato alla morte solo i suoi genitori, ma anche il padre
dell'uomo che ora le stava di fronte. Ma, a differenza
di quello che Lucas potesse pensare, lei non provò pena per la sua situazione,
bensì ne fu sollevata. Perché se da una parte non riusciva a perdonargli il
fatto di non averle detto la verità, ora che sapeva che Erik era stato usato
come il burattino di turno da parte di suo padre e da parte
di Lucas stesso, era più imbestialita che mai.
«Quel
mostro sfigurato avrebbe dovuto essere più che felice di essere d'aiuto al
nostro circo! Sai quanti soldi ci ha portato? E lui che ha fatto? Ha ucciso chi
gli stava dando il pane. Ti sembra giusto, Phénix?»
«E a te sembra
giusto che per vivere si debba deridere chi è meno fortunato di te?»
Lui divenne serio
tutto d'un tratto. «Lo stai difendendo, per caso?»
«Mi fai schifo, Lucas.»
Lo schiaffo che
ricevette dopo fu talmente forte da farle girare la testa. Stordita, non capì
subito cosa accadde dopo; ma fu sufficiente sentire un gemito soffocato di
dolore da parte della nonna e il tonfo sordo di quando cadde senza vita a
terra, a farla tornare lucida. «Nonna!», gridò, precipitandosi verso l'anziana
donna, ferita all'addome da una pugnalata. «Nonna, resisti, ti prego... non
lasciarmi anche tu...»
Lucas le arrivò
dietro, prendendola per la collottola e alzandola da terra. «Mai provare a
colpirmi alle spalle.», le disse, perfido. «Inoltre sbaglio o avevo un conto in
sospeso con quella vecchia?»
Phénix si morse il
labbro inferiore appena si accorse dello sguardo dell’altro, ma cercò di
ribellarsi e di non pensare al passato. Non poteva permettersi debolezze, non
in quel momento. «Lasciami!», gridò con tutte le sue forze, provando a
divincolarsi dalle grinfie di quell'uomo troppo forte per lei.
Lucas le bloccò i
polsi dietro la schiena e la fece cadere all'indietro contro il materasso
logoro della stanza. «Ora tu fai quello che ti dico, chiaro?», le sussurrò ad un orecchio, facendola rabbrividire per la paura quando
si accorse della lama sporca di sangue che le puntava alla gola. «Chiaro?»
Phénix dovette
annuire, vedendosi al momento senza via di fuga.
«Brava, bambina.»,
disse soddisfatto, dandole un bacio sulle labbra che la fece gemere dal disappunto.
«Sai, ho in mente tanti progetti, ora che sei di nuovo
con me. Non vedo l'ora di metterli in atto. Prima di tutto
fare fuori quell'assassino. E dire che pensavo fosse già morto!»
Con il pugnale
tenuto saldamente contro la sua schiena, Lucas le ordinò di alzarsi e di
camminare. Phénix si vide costretta ad obbedire, non riuscendo
però a staccare lo sguardo dal corpo esanime della nonna. Quando uscirono dal
vecchio edificio la luna venne oscurata da delle
nuvole nere, cosa che non le piacque. Sapeva interpretare il comportamento del
cielo, proprio come sapeva capire un uomo guardandolo negli occhi. Quel cielo
terso non le faceva presagire niente di buono.
«Dante!», esclamò
tutto d’un tratto la zingara, facendo trasalire l’uomo
che aveva al fianco.
«Che?», chiese
scocciato Lucas.
«Dante,
il mio gatto! L’ho lasciato a casa Giry...»
L’uomo la guardò
perplesso. «Non credere che sia così stupido da lasciarti andare a riprenderlo
da sola.»
«Non
intendo scappare, Lucas. A che scopo?», chiese più a sé
stessa che a lui. Non aveva più niente, scappare sarebbe servito solo a
peggiorare le cose.
«Brava,
piccola streghetta. Ti troverei comunque, anche se riuscissi a scapparmi.», le sussurrò. «Dato che sei così docile
ti accompagno a recuperare quella palla di pelo nera che ti piace portarti
dietro. Anche se ammetto che non mi sia mai stato simpatico.»
Phénix fece una
smorfia, guardandolo sbieca. «Se è per questo neanche tu
gli stai a genio.»
«Lo sospettavo.»
Camminarono in
silenzio attraverso le vie deserte di Parigi. Phénix sperò ardentemente di non
vedere ombre ammantate sparire dietro qualche vicolo; non avrebbe retto oltre.
«Ora, bambina, fai
la brava.» Lucas le girò un braccio intorno alla vita e l’avvicinò
al suo corpo una volta arrivati davanti alla lussuosa porta in legno in Cité d'Antin.
Phénix, prima di
bussare, prese un bel respiro e le venne in mente quella stessa notte in cui
tutto era cambiato, quando era ancora una ragazza perduta che aveva trovato nel
suo cammino una luce da seguire. Quella luce che l’aveva tradita, spegnendosi
proprio ora che ne aveva più bisogno.
«Ah, dì una sola
parola che sei con me contro la tua volontà o fai qualcosa per fuggire... e io agirò di conseguenza, intesi?» Phénix si vide costretta
ad annuire e lui sorrise soddisfatto. «Vedo che sei ragionevole come sempre.»
Fece appena in
tempo a finire la frase, mentre la ragazza bussava, che una Claire
Giry sconvolta aprì loro la porta. Stava per sciogliersi in un sorriso alla
vista della fanciulla, ma tutto morì istantaneamente
appena la vide accompagnata da quell’uomo che, per quanto affascinante fosse,
non prometteva niente di buono.
«Sono venuta a
riprendermi le mie cose.», disse con un tono freddo e pungente la zingara,
sorpassandola senza uno sguardo in più, seguita da Lucas che, invece, non le
tolse gli occhi di dosso, con quello sguardo da impertinente che si ritrovava
in stampato in viso.
«Gran
bella casa! Quasi quasi è meglio dei sotterranei
delle fogne, non trovi mia cara?», chiese Lucas,
curiosando in giro, mentre Phénix saliva le scale verso la soffitta.
Claire guardò
preoccupata e stizzita l’uomo, che invece sembrava perfettamente a suo agio. E
così era quello il ragazzo che aveva perso il padre, lo stesso che insieme al
genitore si prendeva beffe di Erik quando ancora era un bambino.
«Lui dov’è?»
La donna trasalì,
ma cercò come sempre di non darlo a vedere, nascondendo il suo stato d'animo
tormentato in una maschera d'impassibilità. «Di chi parlate?»
Lucas piegò il
labbro in un sorrisino cinico, poggiandosi contro il muro e guardandola
intensamente. «Lo sai di chi sto parlando, donna.»
«No,
non lo so. E se anche lo sapessi me lo terrei per me.»
Claire strinse le labbra in un cipiglio severo e risoluto per cui tanto era
rispettata e conosciuta. Non avrebbe venduto Erik a quell’uomo, tanto meno si
sarebbe fatta mettere i piedi in testa da un disgraziato come quello che aveva
di fronte.
«Mi piacciono le
persone coraggiose e che difendono i propri amici, davvero.», disse Lucas,
serio. «Credo che siano degne del mio rispetto. Ma vedi, ci sono situazioni in cui è meglio mettere da parte
il proprio coraggio e i propri sani e stupidi principi. Questo è uno di quelli,
signora mia. Ora...», continuò, parlando ora con un
po’ più di arroganza e muovendo qualche passo verso di lei. «Dov’è l’uomo che
ha rovinato la mia vita e quella di Phénix?»
«Se non siete
sordo, monsieur, vi ho appena detto che non lo so.»
«Non ti credo.»
Lucas la studiò per qualche secondo, irritato. Poi sorrise, o meglio ghignò. «Tu sai qualcosa, donna. E io lo
scoprirò.»
Phénix scese in
quel momento, con la sua borsa sghemba ed il piccolo
Dante tra le braccia, che per poco non saltò addosso all’uomo per graffiarlo.
Con Erik non faceva così...
«Lo troverò, farò
in modo di trovarlo.», fece Lucas a Claire, che tremò.
«Diteglielo anche. Ovunque egli sia. Andiamo, Phénix.»
«Sophie!
Che succede?»
La rossa si immobilizzò all’istante, terrorizzata nel sentire la voce
preoccupata di Meg.
Torna in camera, ti prego.
Lucas guardò la
ragazza senza celare un certo interesse e le sorrise cortese.
«Sophie, hai detto?»
«Meg,
non mi chiamo Sophie. Ora vattene a dormire.», sbottò
Phénix, maledicendo tutta quella situazione e scusandosi mentalmente per il
tono sgarbato e freddo che le stava rivolgendo. Ma non
voleva che Lucas capisse il loro legame di amicizia e ne approfittasse per
qualche sua stupida idea. Non se lo sarebbe mai perdonato.
«Sophie...»
«Meg, per l’amor
del cielo, tornatene in camera!», esclamò Claire, facendo sobbalzare tutti per
l’improvvisa alzata di voce. La ballerina guardò per un’ultima volta l’amica e
corse su per le scale, intimorita.
Lucas fu l’ultimo ad uscire dalla casa e, con un goffo e provocatorio inchino,
disse: «Bella casa e bella figlia. Arrivederci, signora!»
Claire si accasciò
senza forze contro il divano, subito soccorsa dalla figlia, che non aveva mai
abbandonato un istante della discussione di poco prima.
«Maman, tutto bene?»
«Sì, Meg, è solo un
calo di pressione... Sto bene.»
«Maman, che è successo? Chi era quell’uomo con Sophie?»
«Non lo so, piccola mia.»
«Maman!
Non ti sembra il caso di smetterla di nascondermi tutto?»,
chiese con troppa enfasi la ragazza, sentendo subito il pensante sguardo della
madre premerle contro. «Voglio sapere chi in realtà sia la donna che abbiamo avuto in casa per mesi! Perché è andata via?», aggiunse, ora con un po’ più di tristezza.
«Per colpa mia.»,
dissero all’unisono la madre ed Erik, quest’ultimo comparso in quel momento dal
nulla, il che fece sbiancare in un batter di ciglia la giovane ballerina.
«Erik!» Claire
scattò in piedi nel vederlo ancora lì. Al suo fianco Meg tratteneva il respiro
nel rendersi conto di quanto vicino fosse quell’uomo così pericoloso e che
tutti credevano morto.
«Maman...», mormorò. La madre le strinse una mano per rassicurarla
e poco a poco si rilassò, non fosse che la vista di quell’anima tormentata che
ora si era seduta sul divano, le mani tra i capelli, le fece
capire che in quel momento il Fantasma era tutto tranne che pericoloso. Non
aveva mai visto uno sguardo così triste e perso.
Claire si sedette
accanto a lui, ma non osò sfiorarlo. Vedeva benissimo quanto Erik stesse
trattenendo le lacrime della disperazione, non voleva che crollasse
definitivamente.
«L’ho perduta, Claire. Perduta per sempre.»,
disse con un filo di voce, tanto che la donna faticò a sentirlo.
«Niente è perduto
se non si prova a riprenderselo, Monsieur.», azzardò
timidamente Meg, facendo alzare uno sguardo stupito ad entrambi.
Erik scosse il
capo. «No, mi è stata data una seconda possibilità da
questa vita maledetta, ed io non l’ho saputa usare. O forse è solo uno scherzo
della vita stessa che si prende gioco di me, ancora una volta.»
Il cuore di Meg si
strinse per un incredibile senso di tenerezza e pietà per quell’uomo che non
aveva fatto altro se non seminare il terrore per anni nel suo teatro. Aveva
amato la sua migliore amica con una devozione tale da portarlo alla follia; aveva ucciso, aveva distrutto la sua stessa
casa. Ora sembrava più disperato di prima, ma non
aveva più quella scintilla che l’aveva trasformato in un folle assassino,
viceversa sembrava così abbattuto da non avere più forze per combattere. Era
semplicemente un uomo che aveva perso.
«Voi l’amate?», chiese Meg, avvicinandosi di qualche passo e
inchinandosi davanti a lui. Si sentì spogliata quando lo sguardo umido
dell’uomo si alzava su di lei.
Erik sorrise
amaramente, quasi a farsi beffe di sé stesso. «Mi ha
affidato la sua vita, sapendo chi fossi... Morirei per
lei. Ma ora non serve più. Sono morto nel momento in
cui se n’è andata via da me.»
Continua...
Ahi ahi, le cose si mettono male!
Un saluto da
Siviglia, amici e amiche mie! ;)
Marta.