C a p i t o l o 2
«Sono confusa» cominciò Benedetta,
mentre camminavamo verso
l'aula.
Strinsi le spalline
dello zaino e sospirai, facendomi forza mentalmente ad affrontare
l'ennesimo
problema di cuore della mia amica, la solita routine.
«Ieri ho
beccato Marco in metropolitana mentre andavo in centro»
esordì nervosa «Abbiamo fatto il viaggio insieme.
Fin qui tutto ok. Ma poi ha cominciato ad abbracciarmi, a darmi i baci
sulla fronte, a
stringermi la mano, a dirmi cose carine»
«Dove sta il
problema?» domandai dubbiosa, lasciando cadere la
cartella sul pavimento.
«Il problema
è che mi piace un altro e vorrei combinare qualcosa con
lui» mi guardò maliziosa «Ma se Marco fa
così mette in crisi
i miei ormoni!»
Corrugai la fronte e
mi sedetti sul tavolo per aspettare l'arrivo del
professore.
«Non mi hai
mai parlato dell'altro» ero davvero
dubbiosa. Solitamente ero la prima a sapere delle sue conquiste.
«L'ho
conosciuto in palestra» mi prese le mani elettrizzata
guardandomi con occhi dolci «È tenerissimo ed
è bello da paura!»
Sorrisi, annuendo,
anche se non mi interessava affatto sapere vita
morte e miracoli di quel palestrato da strapazzo, il tipico ragazzo
che piaceva a Benedetta. Tutto muscoli ed apparire, ma privo di
qualsiasi vita cerebrale. Non ascoltai più quello che mi
diceva anche
se davo l'impressione di farlo inframezzando il discorso di Germa con
qualche Mh di finto interesse.
Dopo poco tempo, quasi
tutte le ragazze della classe di riunirono
intorno a me, cominciando a parlottare tra di loro. Mi misi ad
ascoltare le loro storie, soprattutto avventure amorose, che mi
ingelosivano e non poco. Ero sempre quella che ascoltava aneddoti
sessuale e su biancheria intima, che rideva anche se non sapeva di cosa
si stesse parlando, senza però mettere mai becco in nulla.
Mi stupii nel sentire che anche ragazze che non credevo avessero una
vita sociale, come Francesca Lamira, 90 kg di brufoli, pelle grassa e
vanità e la faccia
rubata ad un pesce lesso, insomma, non il massimo della bellezza, in
realtà erano regine della movida e corteggiate da numerosi
ragazzi -ciechi, ovviamente. Ecco, Francesca
Lamira
aveva un fidanzato.
Lo scoprii
solo in quel momento e il mio
morale era andato a finire sotto le scarpe di Galeazzi, con lui
dentro ovviamente. Immaginatevi la sofferenza. Ero convinta che anche
lei avesse la mia stessa vita e mi consolava pensare di non essere
sola. E invece lo ero eccome. Era anche un bel ragazzo! Stava
propinando a tutte la foto del suo fidanzato, un tamarro di prima
categoria, con i capelli rasati e un fisico da urlo. Che cosa
c'entrava con Lamira?
«E tu Alice?
Cosa ci racconti?» mi domandò ad un tratto
Cristina,
la bella della classe, con i capelli
biondi e ricci e il viso
da gatta. Il suo tono era sarcastico, mi riteneva una sfigata e
sapevo da fonti certe -il mio sesto senso ipersviluppato - che rideva di me alle mie spalle.
«Una
favola?!» azzardai.
Cristina
ghignò e mi guardò nuovamente con aria di sfida.
«Sempre sola
soletta?» chiese con voce stridula.
In quel momento avrei
voluto strappargli i capelli ad uno ad uno o
anche prenderla a schiaffi a due a due finchè non
diventavano
dispari. Ma mi limitai a sorriderle alzando le spalle.
«No, non
è sola soletta!» intervenne in mia difesa
l'avvocato Sago
«Ha un ragazzo. Oh, oh, oh!» imitò la
risata di Babbo Natale.
Mi tenni la fronte con
la mano. Sarebbe stato più facile trovare
l'elisir della vita eterna piuttosto che tenere a freno la bocca di
Germa.
«Si chiama
Edoardo» continuò la mia amica «Diglielo
te!»
continuò rivolgendosi a me.
Avrei voluto sparire
sottoterra piuttosto che parlare di quel ragazzo
immaginario. Già mi trovavo in difficoltà a
parlarne con le mie due
amiche, parlarne con la iena Cristina era un supplizio. Non sapevo
che cosa inventarmi e lo sguardo felino di lei mi metteva in
soggezione.
«E
com'è?» chiese con la sua solita aria di
superiorità. Che cosa
mi trattenne dal prenderla a schiaffi non saprei dirlo.
«Bello»
sospirai.
«Bello
come?» continuò. Sapevo che lo faceva per mettermi
in
difficoltà. Cristina era sempre stata dubbiosa sui miei
immaginari
flirt, lo capivo dal tono ironico con cui mi parlava di ragazzi.
Dovevo sembrare sicura di me, sennò addio reputazione.
«È
moro, con gli occhi scuri, abbronzato e un fisico da sballo»
descrissi più o meno come doveva essere il mio ragazzo
ideale. Lo
immaginai, descrivendolo, bello davanti a me, peccato che fosse solo
un'illusione.
Cristina
sogghignò. Forse ero stata un po' troppo eccessiva e quindi
poco credibile. Anche Benedetta mi guardava dubbiosa.
«Anche quel
cesso di Lamira ha un fidanzato figo, ma nessuna ha fatto
storie»
dissi, beccandomi poi uno sguardo di fuoco da Francesca.
«Il suo
ragazzo lo conosco» ribattè Cristina a braccia
conserte
sotto il seno evidentemente gonfiato da calzini o chessò io
«Gliel'ho presentato io. Dei
tuoi fantomatici fidanzati» fece le odiose virgolette
«non ne
abbiamo visto nemmeno uno»
«Di certo
non li vengo a presentare a te, sennò diventeri
cornuta» ribattei scocciata.
Cristina mi guardò con aria di sfida, prima di tornare al
suo posto,
in fondo alla classe, a farsi la manicure, pedicure e la seduta dal
parrucchiere.
Mi ritrovai lo sguardo
inquisitorio di Benedetta addosso e già avevo
capito che, istigata da quella gallina bionda, pensava che Cristina
avesse ragione. Bene, ero stata smerdata ufficialmente.
Era la prima volta, in
quasi diciotto anni di vita, che mettevo piede
nella biblioteca del mio paese, non sopportavo il silenzio che
regnava in quel luogo ed era anche fin troppo serioso per un tipo come
me. Ma
quel giorno avevo ritenuto necessario rintanarmi in quel posto in
cerca di una tranquillità che a casa mi potevo solo sognare.
Mio
fratello aveva avuto la grande idea di invitare i suoi fantastici
e simpaticissimi
compagni di
corso, una serie di rumorosi e
fastidiosi Smell.
Anche in una
biblioteca, però, riuscivo a non studiare. Il libro di
filosofia era aperto davanti a me e Leibniz mi implorava di leggere
le sue stupide teorie. Ma non mi riusciva proprio concentrarmi su di
lui, preferivo dondolarmi sulla sedia con la matita sulle labbra
arricciate e le mani dietro la testa.
Quella stupida
Cristina mi aveva distrutto la mattinata e ora anche
Benedetta aveva cominciato a sommergermi di domande dettagliate,
tormentandomi per cercare di capire se i dubbi dell'arpia sulla mia
vita sentimentale fossero veri. Non contenta delle mie risposte, voleva
anche conoscerlo. Le avevo detto che per
il momento era solo una frequentazione e che glielo avrei presentato
più avanti. In che guaio mi ero cacciata?!
«Ciao»
sentii mormorare da dietro.
Sobbalzai e per lo
spavento persi l'equilibrio, cappottandomi con
tutta la sedia, con tanto di urlo. Uno Shhh! generale si levò
dalla biblioteca, nemmeno lo avessi fatto a posta ad urlare. Ero
caduta e mi ero anche fatta male. Sentii una risata soffocata, poi
vidi apparire sopra di me il volto sorridente di Federico.
«Stai
bene?» mi chiese, allungandomi una mano, trattenendosi a
stento dal ridere.
La afferrai e mi tirai
su pesantemente quasi fossi un pachiderma.
«Stavo
meglio prima» risposi ricomponendomi. Era più il
tempo che
passavo per terra in seguito ad una caduta che in piedi.
Tornai a
sedermi, facendo finta di nulla.
«Non pensavo
di trovarti qui» mormorò sedendosi accanto a me.
«Nemmeno
io» era più rivolto a me stessa questo commento
che a lui.
«Io vengo
sempre in biblioteca a studiare» sorrise sornione.
«Da quando
sei diventato un secchione?» domandai.
«Da quando,
l'anno scorso, ho rischiato di essere bocciato» rispose
con un sorriso «E tu, invece, cosa ci fai qui? Per giunta al
mio
tavolo personale»
«Raffaele
sta facendo baldoria e non riesco a studiare» sospirai
«E
non mi pare che qui ci sia scritto proprietà di Federico
Abbate! Se
sapevo che era il tuo posticino avrei scelto un altro tavolo»
ridacchiai divertita.
Lui mi
pungolò il fianco parecchie volte con il suo enorme dito
indice,
facendomi sobbalzare sulla sedia, mentre lui si divertiva come uno
stupido.
«Mi fai
male» piagnucolai, dandogli un leggero schiaffo sulla mano.
Federico mi strinse
per una spalla tirandomi verso di lui e facendo
combaciare la mia guancia con i suoi pettorali. I pensieri impuri su di
lui si sprecarono a sentire quei muscoli così sviluppati
sotto la mia pella. Sentivo le guance
infuocate e sicuramente il mio volto aveva assunto uno strano colore
rossastro. Il mio cuore batteva all'impazzata, voleva schizzare fuori
dal petto. O soffrivo di tachicardia, ma lo escludo anche
perchè
avevo solo diciotto anni, oppure Abbate aveva uno strano effetto su
di me. Una sua mano accarezzò delicatamente i miei capelli
scivolando lungo la mia guancia. Il suo indice andò sotto il
mento
sollevandomi il viso dal suo petto e costringendomi a guardarlo negli
occhi. Se non
morivo in quel momento, mi sarei potuta dire immortale.
Mi diede un bacio.
Sulla guancia.
Un maledettissimo
bacio sulla guancia, quando, per un momento, avevo
sperato che le sue labbra potessero sfiorare le mie.
«La mia
piccola Alice» mi disse, stringendomi più forte e
dondolandomi a destra e a sinistra.
«Come mai
queste coccole?» domandai non appena mi liberò,
mentre
mi ricomponevo. Fortunatamente il cuore aveva ricominciato a battere
regolarmente.
«Dobbiamo
recuperare gli anni di lontananza» rispose sorridendomi
«Che ne dici di chiudere Leibniz e andare nel nostro ritrovo
invernale? Almeno possiamo parlare tranquillamente» mi chiuse
il
libro davanti agli occhi.
«In
realtà dovrei studiare» obiettai, riaprendo al
capitolo, ma
lui lo chiuse nuovamente «Deduco che non fosse una proposta
ma un
ordine»
Federico sorrise con
aria furbetta. Leibniz non avrebbe apprezzato il
fatto che preferii Abbate a lui e nemmeno il mio libretto che di
lì
a poco sarebbe stato marchiato con un altro voto insufficiente. Ma
come potevo resistere agli occhi dolci di Federico? E come ai suoi
pettorali, alle sue addominali, alle sue braccia...
Smettila Alice!
I miei buoni propositi
di studiare filosofia affogarono in una
cioccolata calda. Il nostro ritrovo invernale altro non era che un
piccolo bar in piazza della Vittoria specializzata in deliziose
cioccolate. Ce n'erano di ogni gusto, alla frutta, con liquori,
bianche, rosse, verdi. Ok, sto
esagerando.
Un
ottimo modo per passare un gelido pomeriggio di Gennaio. Io e
Federico avevamo il nostro appuntamento quasi quotidiano in quel
posto, lì erano racchiusi tutti i nostri ricordi e le nostre
chiacchierate da bambini delle medie.
«Pensavo che
avesse chiuso» commentai entrando. Non era cambiato
nulla dopo cinque anni, nemmeno la proprietaria e sua figlia,
così
come i clienti scarseggianti. Sembrava che quel locale fosse stato
ibernato nell'anno 2006.
«Federico,
Alice!» esclamò Gianna, la proprietaria del
locale, una
minuta e simpatica signora dai capelli rossi.
Mi stupii che,
nonostante fossero passati anni, si ricordasse di noi, soprattutto
che avesse riconosciuto Federico, dato il suo cambiamento radicale
da ragazzo-sfigato-tredicenne-basso-rachitico-e-cesso a
ragazzo-alto-figo-con-un-fisico-pazzesco.
«Debora»
chiamò sua figlia eccitata di rivederci «Te li
ricordi?»
domandò.
La donna, che ormai
aveva superato i 35 anni, dai capelli crespi e castani, stretta in un
grembiule
evidentemente troppo piccolo per i suoi fianchi generosi, ci
guardò
roteando uno straccio nel bicchiere. Socchiuse gli occhi, mettendoci
a fuoco, scoppiando poi in un sonoro Oh! annuendo.
«Quanto
siete cresciuti!» commentò Debora.
«È
bello vedervi insieme» prese nuovamente la parola Gianna
«Avevo
sempre saputo che voi due vi sareste fidanzati» disse
maliziosa.
Mi irrigidii
all'istante al solo pensiero che io e Federico davamo
l'impressione di essere una coppia, una di quelle adolescenti che
fanno...ehm...sesso. Il sangue non mi arrivava
più al cervello,
avevo disconnesso con quello che c'era intorno a me, sentivo solo il
mio cuore che pulsava nelle orecchie e quel caldo punzecchiante e
fastidioso a
causa dell'imbarazzo.
«Siamo una
bella coppia, eh!» esclamò divertito Federico
acchiappandomi per un braccio e stringendomi a lui. Omicidio, questo
era un omicidio! Lui mi voleva morta. Mi diede un bacio dulla fronte
per poi rivolgere un altro sorriso alle due donne.
«Ma mi
dispiace dirvelo, non siamo fidanzati»
Gianna
battè le mani portandosele al petto con una faccia disperata
come se le fosse morto il gatto.
«Però
stareste bene insieme!» continuò Gianna.
«Ci
penserò» ribattè lui. Il suo tono era
inquietante. Serio,
troppo serio per essere una risposta ad una sciocchezza di una povera
donna di sessant'anni. Quel pomeriggio avrei fatto meglio a rimanere a
studiare filosofia.
Federico le sorrise,
lasciandomi
imbambolata in mezzo al locale, andando a sedersi ad un tavolo
rotondo.
«Io non me
lo farei scappare» mi sussurrò Gianna
«Hai visto come si è fatto
bello?»
Grazie signora, un
ottimo modo per farmi passare un momento di totale timidezza.
«Alice»
mi chiamò Federico «ti sei pietrificata?»
Avrei voluto
rispondere di sì,
per colpa tua,
ma mi limitai a
raggiungerlo camminando come un robot, tesa e rigida, con la faccia
rimpiazzata da un peperone rosso acceso.
«Stai
bene?» tentennò lui dubbioso, guardandomi con un
sorriso seducente che
peggiorò la situazione in cui mi trovavo.
«Sì»
risposi con voce tremante, togliendomi il giubbotto e
abbandonandolo sullo schienale della sedia.
Debora
arrivò subito a prendere le ordinazioni. Per fortuna, almeno
avrei avuto il tempo di riprendermi.
«Cosa
prendete?» domandò.
Prima che potessi
aprire bocca, una manona di Federico mi apparve
davanti al volto facendomi tacere.
«Cioccolata
bianca alle nocciole con stelline di zucchero» disse
«Ho ragione?»
Boccheggiai,
portandomi nervosamente una ciocca di capelli dietro
l'orecchio, guardando il tavolo di marmo ad un tratto interessante.
Se si ricordava una cosa del genere, dovevo essere molto importante
per lui. Dio, che imbarazzo!
Debora
segnò l'ordinazione e tornò a guardare Federico
interrogativa. Ma questa volta fui io a prendere la parola.
«Cioccolata
fondente con panna» dissi intimidita «con una
spruzzata di cannella»
La donna ci rivolse un
sorriso lasciandoci da soli. Lui mi guardò stupito, con la
bocca spalancata e le braccia aperte sul tavolo.
«Te lo
ricordi?» domandò.
Mi strinsi nelle
spalle, facendomi piccola, più di quanto già non
fossi.
«Bè,
anche tu ti ricordavi»
«Sì,
ma ti ricordavi anche il piccolo particolare della cannella»
continuò
abbassando il tono e passandosi una mano tra i fluidi capelli biondi.
«I piccoli
particolari delle persone importanti si ricordano
facilmente»
«Importante?»
balbettò.
Rise
nervosamente e io mi
unii a lui. Sembravamo due deficienti. Vederlo
cosí imbarazzato e paonazzo era come avere me stessa dopo un
incontro con Davide. E a me Saronno piaceva. Facendo un rapido
calcolo...Oddio! Qualcuno mi salvi da
questa situazione!
Debora
sembrò aver ascoltato le mie preghiere arrivando con un
vassoio con le nostre ordinazioni. Appoggiò le due
cioccolate sul
tavolo insieme ad un piattino di biscotti e si dileguò con
un
sorriso. Ne afferrai subito uno, inzuppandolo, e mangiandolo
avidamente. Ero più che convinta che questa era una vendetta
da
parte di Leibniz nei mie confronti per averlo abbandonato.
«Quanti
pomeriggi passati qui, ricordi?» finalmente Federico,
riacquistata la calma, aveva ripreso a parlare.
«Già»
risposi solamente evitando il suo sguardo.
«Ore intere
a sparlare dei nostri compagni!» si portò un
cucchiaio
di panna alla bocca, leccandosi via quella rimasta sulle labbra. In
quel momento avrei voluto essere la panna.
«Tu eri una
portinaia!» esclamai «Sapevi tutto di tutti e
spettegolavi! Sembravi una vecchiette di paese! Ti mancavano solo i
ferri e un gomitolo ed eri perfetto» risi e Federico si
unì a me.
«Tu non eri
da meno!» esclamò sorseggiando la sua cioccolata.
«Sì
ma eri sempre tu che iniziavi il discorso!» gli ricordai.
«Bè
la mia vita era talmente piatta che dovevo per forza parlare di
qualcun altro»
Bevve l'ultimo sorso e
si pulì le labbra con un tovagliolo.
«Sei ancora
una portinaia?» gli domandai.
«No»
ridacchiò «Ora ho una vita sociale, per cui mi
faccio gli
affari miei»
Quindi l'unica che
ancora doveva parlare degli altri per poter
chiacchierare con qualcuno ero io, che bello! Affogai quel mio
dispiacere in un altro biscotto e nella mia cioccolata bianca ormai
tiepida. Avrei voluto ordinarne altre due per la disperazione ma
avrei fatto la figura dell'ingorda e della depressa incallita.
«Ce l'hai il
ragazzo?» mi domandò alla sprovvista.
L'ultimo goccio di
cioccolata mi andò di traverso. Tossii cercando
di non morire soffocata, colpendomi forte al petto. Federico si
precipitò da me e stava per prendermi a schiaffoni sulla
schiena, ma
riuscii a fermarlo in tempo prima che mi sfasciasse.
«Sto
bene!» annaspai con le lacrime agli occhi
«Comunque, no, non
sono fidanzata» gli dissi, dopo essermi ripresa. Di certo non
potevo dirgli di Edoardo,
sarei stata una sciocca a farmelo scappare, come aveva detto la saggia
Gianna.
«Avrai un
sacco di spasimanti, allora» commentò.
«Sì,
un sacco» dissi in un misto tra l'ironico e lo scocciato
«E tu, sei fidanzato?» chiesi, anche se
sapevo che era single.
«Io mi sono
appena lasciato» sospirò «Ci siamo
lasciati dopo due
anni»
«E come
mai?» fu la mia curiosità a parlare.
«Cornuto!»
«Avrai un sacco di spasimanti» dissi sogghignando.
«Sì, abbastanza» rispose soddisfatto, scoppiando poi a ridere. ma ero sicoro che una decina di ragazze che gli morivano dietro c'erano.
Federico mi offrì quella cioccolata e ci avviammo verso casa. Cercai per tutto il tragitto di non capitare più sul discorso fidanzati. Pensavo che il voler mettere il naso nella vita sentimentale altrui fosse una cosa da ragazze, ma mi sbagliavo. Perchè mai era così importante sapere se l'altro aveva o meno il fidanzato?
«Sai Alice, c'era una cosa che volevo dirti» mi disse Federico davanti al portone del mio palazzo. Aveva le mani nelle tasche dei jeans e si guardava i piedoni.
«Dimmi» incalzai.
Si morse il labbro inferiore e si avvicinò a me. Addio mondo, mi dissi quando lui mi strinse a sé. Gli arrivavo a malapena al petto, ma riuscivo a sentire il battito ipnotizzante del suo cuore. Esitò qualche istante, prima di dirmi...
«Ti voglio bene» tentennò insicuro.
Uno stupidissimo T.V.B?! Rimasi di sasso a sentirmi dire quelle cose. Mi aspettavo che mi dicesse una cosa del tipo Sai, tu mi sei sempre piaciuta, oppure Sono cinque anni che ti aspetto e finalmente posso dirti che ti amo. Mi sarei accontentata anche di un semplice bacio a stampo!
Mi baciò delicatamente sulla guancia prima di andarsene. Confusa, ero stramaledettamente confusa. Cosa dovevo pensare? Di piacergli, visto l'imbarazzo con cui mi aveva parlato al bar,per gli abbracci e i baci che dispensava oppure mi considerava solo come un'amica ed ero io a vedere e sentire cose che non esistevano?
Ero sdraiata sul letto ad accarezzare amorevolmente Milky guardando
la prima ed emozionante sfida di Amici. Avevo anche tirato fuori il
pigiama blu dall'armadio per sentirmi più vicina alla mia
squadra
preferita, cellulare sul cuscino pronta a votare. Cantavo a
squarciagola insieme ad Annalisa quando vidi il display del cellulare
lampeggiare.
«Pronto» risposi delusa di non potermi seguire la
sfida in santa
pace.
«Hai molta voglia di sentirmi noto» la voce di
Federico era
sarcastica.
Scattai seduta a gambe incrociate e tutto d'un tratto quella
trasmissione non catturava più il mio interesse.
«Per fortuna non hai cambiato numero»
ridacchiò.
«C'è qualche
problema?» domandai. Perchè mai
avrebbe dovuto chiamarmi alle 22? «Ci siamo visti oggi
pomeriggio»
«No» trillò «Volevo solo
sentirti»
«Co-me?»
«Anche se dovrei essere arrabbiato con te» disse
con tono
scherzoso.
«Perchè?»
«Mi hai fatto scendere sotto il mio record
personale» rispose.
«Tu non mi hai fatto studiare filosofia, siamo
pari!»
Ma neanche tanto. Se andavi sotto il record personale non rischiavi
di avere il debito in filosofia.
«Sì ma io non ti ho costretta a venire con
me!»
«Mi hai guardato con la faccia da cucciolo bastonato! Sai
benissimo
che funziona anche troppo con me!» ridemmo entrambi
«E spiegami
come io ti ho fatto scendere sotto il tuo record personale!»
Ci fu un istante di silenzio che mi fece credere in una morte
improvvisa di Federico.
«Ti stavo pensando» sospirò
«Pensavo a quanto fossi stato scemo a
farti scappare così. Abitavi vicino a me, avevo il tuo
numero ma non
ti ho mai calcolata. E me ne pento»
Ancora mi chiedevo come era possibile che fossi ancora viva quel
giorno e come mai il mio cuore aveva deciso di continuare a battere
nonostante i numerosi e piccoli infarti subiti.
«Cosa vorresti dire?» cercai di capire.
« Nulla» rispose Federico «Era solo un
pensiero che mi assillava.
Siamo o no migliori amici? E i migliori amici non stanno lontano
cinque anni»
Arieccolo
con quella storia del siamo
amici e blablabla. Prima mi
illudeva con frasi carine, abbracci e carezze, poi mi bastonava con i
ti voglio bene amicona
mia! Lo avrei volentieri strozzato.
«Se vuoi ti aiuto con Leibniz» mi disse poi
sogghignando.
«Non ce n'è bisogno» risposi con tono
leggermente duro.
«Domani ci vediamo in biblioteca?» mi chiese.
«Va bene» risposi in un sospiro. Ma solo per stare
con lui.
«Buonanotte Alice» mi disse dolcemente.
«Notte» risposi seccata.
Se c'era in commercio un manuale per capire gli uomini ne avrei
subito acquistata una copia. I suoi sbalzi improvvisi mi mettevano
ansia e confusione. Soprattutto questa chiamata senza senso mi
lasciava dubbiosa. Stava cercando di farmi capire qualcosa o come al
solito ero la regista di uno stupido film romantico? Solo di una cosa
ero certa: Federico Abbate
provocava tachicardia.
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Ciao a tutti!
Eccomi con il nuovo
capitolo e scusate per l'attesa. Più corto dell'altro.
Magari troppo lunghi possono essere pesanti.
Wow! Sono davvero troppo
felice per il riscontro che sta avendo questa storia! E poi mi rende
contenta il fatto che Alice vi piaccia ^^
Guai in vista per la
povera Alice e riavvicinamento con Federico. So che voi tutte state
apsettando Edoardo, anche io, devo essere sincera. Tra poco
arriverà, forse già nel prossimo capitolo la
notizia sconvolgente per Alice.
Passiamo ai
ringraziamenti.
Un GRAZIE enorme a chi ha recensito la
storia, a chi l'ha inserita nelle ricordate/seguite/preferite e anche a
chi legge e basta.
Sono davvero felice che
vi stia piacendo.
Se volete vedere le foto
dei personaggi potrete trovarle sul mio profilo Facebook.
Ci vediamo al prossimo
capitolo! Manu ♥