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Autore: aoimotion    07/04/2011    3 recensioni
"Tu sei Irie, vero?" Gli chiese, tanto per essere sicuro.
Lui annuì, imbarazzato.
"E sei giapponese, giusto?"
Ma che razza di domanda era?
Shoichi si voltò verso il nuovo compagno con espressione interrogativa.
"Sì, sono giapponese..." Rispose, perplesso.
Il volto di Spanner si aprì in un largo sorriso, e i suoi occhi mandarono lampi turchesi che sembravano le faville di un camino.
"Che bello, ne ero sicuro! Sai, a me piace tanto il Giappone, e anche i giapponesi. Voi avete la tecnologia più avanzata del mondo, e siete dei genii!"

[ Sospesa fino a tempo indeterminato. ]
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shoichi Irie, Spanner
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Che gran coppia di amiconi'
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cap11 Spanner e Shoichi giacevano sul pavimento, l'uno sull'altro. Il primo dormiva, o verosimilmente giaceva privo di sensi addosso al secondo, e il secondo cercava di frenare la tachicardia che si era gentilmente impossessata di lui.
Pur tuttavia, quella situazione non gli recava nessun fastidio: anzi, era addirittura sicuro che ci fosse qualcosa di buono, in quella posizione equivoca, e con la scusa di riflettere su cosa potesse trattarsi rimase lì a scrutare il soffitto, mentre il suo braccio cingeva appena le spalle dell'altro.
Ascoltare il respiro regolare del biondo fanciullo gli trasmetteva uno strano senso di quiete. Ed era inquietante, a ben pensarci, perché in quel frangente avrebbe dovuto provare tutto - ma proprio tutto - tranne che quello.
Sarebbero rimasti così a lungo, molto a lungo, se un suono improvviso non avesse fatto sobbalzare il povero Shoichi e mandato conseguentemente a faccia all'aria Spanner, che nonostante il tonfo non riaprì gli occhi.
«Spanner, apri!» tuonò il padre da dietro la porta, bussando violentemente. E in quel momento, Irie si sentì come l'assassino che ha appena commesso un omicidio mentre la polizia lo bracca senza sosta.
Effettivamente, a un primo impatto, qualcosa nel suo cervello gridò «nascondi il corpo di Spanner-kun!»; ma per fortuna, lui non fu così avventato da farlo davvero, oltretutto che non ne avrebbe avuto materialmente la forza, gracile com'era.
"S-Spanner-kun? Spanner-kun, svegliati, tuo padre ti sta chiamando!" bisbigliò sottovoce scuotendolo un po', senza successo.
«Spanner, apri questa porta, è molto importante!» insistette l'uomo, battendo il pugno con forza.
Che faccio che faccio che faccio?!
"A-arrivo!" zampettando modestamente, Shoichi si diresse alla porta e l'apri timidamente "Ehm, buonasera..."
"Ah? Tu non sei mio figlio!" protestò il padre, avvicinando la faccia a quella del ragazzino "... Sei Shoichi, per caso?"
"S-s-s-sì, s-sono io!" balbettò lui colto da un improvviso malore, che lo fece barcollare quel tanto che bastava per permettere all'uomo di vedere il proprio figlio sdraiato per terra in stato di incoscienza.
"Ma quello non è Spanner?"
"P-posso spiegare tutto! V-vede, è successo che..."
"... Stupido figlio."
La bocca di Shochi rimase aperta, appena il tempo di prendere un breve respiro con il quale avrebbe dovuto dar fiato ai polmoni e spiegare a raffica che cosa era successo al ragazzo dai capelli biondi.
"Come?" riuscì ad articolare, incontrando due iridi azzurre identiche a quelle del figlio, solo molto più fredde e distanti.
"Finché si ammala, non mi importa. Basta che sia capace di lavorare, di rendersi utile, di far funzionare quelle braccia striminzite che si ritrova. Ma se adesso si mette a svenire per una febbricola da due soldi..." continuò, scuotendo la testa deluso. "Gli esseri umani sono davvero della merce scadente."
"Della... merce scadente?"
Istintivamente, Shoichi fece un passo all'indietro, inorridendo letteralmente per ciò che aveva appena sentito.
Spanner, una merce scadente? Perché trattava suo figlio come fosse un prodotto difettoso?
Senza rendersene conto, cominciò a stringere i piccoli pugni sudaticci attraversato da un fremito di qualcosa di molto simile alla rabbia. Rabbia per quelle parole, o rabbia per la persona a cui erano indirizzate?
"... ngh..."
Lentamente, Spanner aprì gli occhi celesti, e quel che vide per prima cosa fu il soffitto della sua camera.
Seguita, quella visione, da un debole richiamo, quasi il pigolio di un pulcino. "Shoichi...?"
"S-Spanner-kun!" il ragazzo si voltò di scatto verso di lui "Ti sei ripreso? Come stai?" e gli corse incontro, inginocchiandosi accanto a lui e tendendogli le mani, indeciso su come aiutarlo. Senza pensarci troppo - o più precisamente, senza pensarci affatto - gli pose una mano sulla fronte, accorgendosi con immediato sollievo che era poco più che tiepida.
Spanner guardò il palmo che lo stava toccando, facendo convergere gli occhi in un unico punto. Subito dopo li chiuse, beandosi di quella piacevole sensazione di frescura. "E' fredda..." mormorò, e seppur la sua non era niente di più che una constatazione, in essa vibrava una nota di evidente conforto.
"Per fortuna stai meglio" mormorò Shoichi di rimando "quando sei svenuto mi sono spaventato..."
"Uh? Perché?" domandò Spanner, mettendosi bene a sedere sul pavimento "Svenire non è una cosa così... ah, papà."
Si interruppe, quando scorse vicino alla porta la figura del padre che li osservava con cipiglio severo. "Stai bene, Spanner?" gli chiese, con voce rauca "In tal caso, vieni a darmi una mano con la manutenzione del motore."
"Mh... arrivo" tentò di alzarsi in piedi, ma Shoichi lo bloccò saldamente a terra prendendolo per le spalle. "Cosa fai, Shoichi?"
"Non andare, non ti sei ancora ripreso! E, e se ti senti di nuovo male? Se ti fai male con gli attrezzi? Se ti-" si bloccò, all'improvviso, stupito delle sue parole. E immediatamente prese colore, diventò paonazzo, e si allontanò da lui strisciando come un verme, balbettando qualcosa di indistinto in cui l'altro riuscì a distinguere uno «scusa» alla bell'e meglio. "S-scusa, non volevo, ehm, io... s-scusa, ecco, no, ehm, io..."
"Spanner, ti muovi o no?" la voce insistente del padre tuonò per tutta la stanza, giungendo con scarsa grazia alle orecchie del figlio, che guardò prima l'uno e poi l'altro, indeciso. "Lui può rimanere qui, se vuole." Aggiunse con un lieve cenno del capo, ma sembrava tanto un'esclusione cattiva e presuntuosa più che una garanzia di salute per l'ospite.
Forse, se Spanner era un ragazzino che cercava di somigliare quanto più possibile a un robot ma veniva pur sempre colto dai malanni che affliggono tutti gli esseri umani, lui era uno scricciolo e punto, inutile e gracile all'ennesima potenza, con la stessa utilità di una verruca sotto i piedi.
"Shoichi, tu che cosa vuoi fare? Vuoi venire o preferisci restare qui?" gli chiese dunque, guardandolo dritto negli occhi nonostante lui cercasse in tutti i modi di evitare il suo sguardo.
Certo, le prospettive non erano affatto allettanti: la prima prevedeva sicuramente la comparsa di oggetti contundenti volti, secondo la sua modesta interpretazione, a minare all'incolumità di chi li adoperava; la seconda prevedeva un'immersione globale nell'oceano della solitudine e dei mostri di alluminio caratteristici di quella cameretta che assomigliava tanto a un museo degli orrori. Tuttavia... in quel momento le circostanze non lasciavano adito a nessun tipo di dubbio.
"V-voglio venire anche io" rispose, con un po' di magone "così posso... guardare Spanner-kun al lavoro."
Silenzio.
"Shoichi, davvero ti interessa guardarmi lavorare?" Spanner sembrava molto perplesso a riguardo, e non mancò di dar voce ai suoi dubbi. Il padre rimase in silenzio, fissandolo imperscrutabile.
"Certo!" esplose lui con accoramento - finto o vero, non lo sapeva neanche lui - "Così posso farmi un'idea di come si costruiscono le cose, ecco."
"Io non devo costruire, devo collaudare, che è diverso." Rispose lui con serietà ammirevole per un fanciullo così giovane.
"Ah. B-be', ti voglio guardare lo stesso!" ribatté Irie, cominciando a sudare copiosamente "E'-è-è un problema?"
"Non lo è, ma perché balbetti?"
"M-ma cosa dici? I-io non sto balbettando!"
"Dici? A me pare proprio di sì." Si grattò la testa, arricciando leggermente le labbra.
Shoichi sembrava preda di una trombosi: ansimava pesantemente e gli occhiali minacciavano di cadergli dal naso da un momento all'altro. Era sempre così, quando lo mettevano alle strette; ma stavolta era diverso, in un certo senso, perché la sua bugia gli stava costando una fatica notevole. Senza contare che era una fonte di problemi non indifferente, tra i quali per primi figuravano l'imbarazzo e la tachicardia.
Non era facile spiegare cosa sentiva, del resto. Erano per lo più azioni sconnesse che seguivano alla buona un unico filo conduttore che rispondeva quasi per certo al nome di Spanner, ma per il resto lui stesso stentava a stare dietro a ciò che usciva dalla sua bocca, parole che per lui acquistavano senso solo dopo averle pronunciate, esattamente come se qualcun altro stesse parlando al posto suo usando la sua bocca. In una parola, si poteva affermare che Shoichi era posseduto da qualche forza mistica di cui avrebbe tanto voluto conoscere l'origine.
O forse... lui la conosceva già. Ma poiché il ricordo era nel frattempo diventato molto scomodo, la parte del suo cervello che voleva rimuoverlo faceva a pugni con quella che invece voleva tirarlo in causa per dare una parvenza di senso a quelle balbuzie vergognose, con il risultato che la mente di Shoichi aveva finito con l'ospitare per intero il circo Orfei, con tanto di spettatori e carretto dei gelati.
Comprendendo (perché era palese) le difficoltà del giovin virgulto, il padre di Spanner interruppe il loro dialogo con un sonoro colpo di tosse. "Se vuole venire, fallo venire. Al massimo scapperà via", disse, e Shoichi trattenne il fiato pregando che fosse tutto uno scherzo, di pessimo gusto ma soltanto uno scherzo.
"D'accordo" disse Spanner con una modesta alzata di spalle "vieni Shoichi, andiamo in officina."
"Eh? Cosa? No, aspetta un momento, che significa che scapperò via?" Gli afferrò la manica del pigiama con espressione pregna di orrore "C-cosa c'è in officina?"
Si guardarono per alcuni secondi, specchiandosi l'uno negli occhi dell'altro.
Ma alla fine, Spanner non rispose e si voltò verso la porta senza dire nulla, con Shoichi al suo seguito, trascinato via per inerzia verso la camera delle torture, mentre piagnucolava e si dibatteva come un pesce nella rete.

*

"Mamma..." Misa era in piedi davanti alla madre, con un'espressione avvilita "quello è un cronometro?"
"Esattamente, Misa. Sto contanto quanto tempo è passato da quando tuo padre è tornato a casa, e non appena questo prezioso strumento segnerà un'ora, io chiamerò la polizia."
"Mamma..." la ragazza sospirò, grattandosi pigramente la testa "davvero, sono sicura che Shoichi sta bene, e che in questo momento si sta divertendo con qualche amico."
"No. Shoichi mi avrebbe avvertito, lo conosco troppo bene. Deve essere accaduto qualcosa..."
«Tesoro!», si sentì chiamare dal soggiorno «La cena è pronta?»
A quelle parole, la donna si lasciò stappare un sospiro colmo di risentimento. "NO! Mangeremo solo quando Sho-chan tornerà a casa!"
«M-ma potrebbe venire chissà quando!»
"E allora tu spera che torni presto, oppure vieni qui e preparati da mangiare da solo!"
Si udì un lamento sommesso, e Satorou si ripiegò mogiamente su se stesso, affondando sul divano.
"Così papà morirà di fame, non possiamo preparargli almeno un panino?"
"Quello se lo sa preparare anche da solo" ribatté la donna con fermezza "se ha tanta voglia di mangiare, che venga qui e si dia da fare."
Misa rimase in silenzio, osservando la decisione con cui sua madre si ostinava a non cenare e a non lasciar cenare. Tuttavia, lei stava morendo di fame; non avrebbe permesso che il suo fratellino pure da assente le mettesse i bastoni fra le ruote.
"Va bene, però io mi preparo qualcosa" dichiarò con voce atona "perché ho fame."
"Come vuoi." Replicò la madre con tono indignato "Io aspetterò Sho-chan, com'è giusto che sia!"
Non la penserai in questo modo fra tre ore, mamma.
"Certo, certo..." e detto ciò, la ragazza si diresse verso il frigo con l'intenzione di riempire il suo stomaco gorgogliante.











Note dell'autrice: ok, allora, parto col dire che questo capitolo doveva essere lungo COME MINIMO 60/80 righe in più, ma che francamente non ne avevo la forza, perché non sto per niente bene >_< spero che sia stato comunque di vostro gradimento, e spero di ricevere parecchie recensioni (sì lo ammetto cazzo, ne voglio un sacco), al fine di sentirmi rincuorata e non concedermi alla depressione che è lì che mi saluta fintamene cordiale.
Dovevo assolutamente riprendere la narrazione, perché non è nel mio stile cominciare una cosa e poi finirla. Non ci sto, no, non ci sto! e__e (?) spero che vi sia piaciuto, ma sono ripetitiva da fare schifo, quindi vi lascio. Al prossimo capitolo, amichevole o meno che sia. <3


   
 
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