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Autore: Jules Lawrence    07/04/2011    1 recensioni
Una fresca genuinità a cui molte persone vorrebbero tornare.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Simone era un bambino molto intelligente. Aveva da poco compiuto dieci anni, frequentava la terza elementare. Oltre ad essere più maturo dei suoi coetanei, era anche di fatto più grande dei suoi compagni di classe: aveva perso un anno, la prima elementare, perché era stato malato per molti mesi. Simone tentava sempre di nascondere questo particolare a chi lo conosceva, perché se ne vergognava. Se proprio avesse dovuto dirlo, avrebbe preferito dire che era stato bocciato perché non andava bene a scuola. Non gli piaceva parlare della sua malattia, anche se ora stava bene.

Il suo sogno era quello di fare il pilota di aerei: spesso chiedeva alla mamma di portarlo all’aeroporto per osservarli partire e si divertiva sempre molto. La mamma invece si annoiava, anche perché non sapeva di questo sogno di Simone e non notava nemmeno che a lui interessasse granché: era sempre molto silenzioso, osservava gli aerei semplicemente muovendo gli occhi, affascinato, senza mostrare nessuna emozione, finché la mamma non chiedeva a Simone se gli fosse bastato. Appena arrivato a casa, si metteva a disegnare, quasi sempre degli aerei: quando era felice il cielo era sereno, con magari anche qualche arcobaleno, quando era triste o arrabbiato, il cielo era nuvoloso.

Quel giorno Simone non era andato a scuola, perché erano appena iniziate le vacanze di Pasqua. Non aveva ancora voglia di andare all’aeroporto perché sapeva che quel pomeriggio sarebbe tornato a casa suo padre, che era stato via per alcuni mesi, essendo un militare. Sarebbe rimasto a casa solo durante le festività pasquali, per poi ripartire e tornare a giugno. Simone era molto affezionato a suo padre e lo vedeva sempre come una figura di riferimento. Ogni volta che lui tornava a casa, gli piaceva farsi raccontare aneddoti accaduti a lavoro, per poi finire con la richiesta di portarlo in aeroporto: con papà si divertiva molto di più che con la mamma, perché lui era molto solare e lo aiutava a viaggiare con l’immaginazione, spiegando cosa avrebbero potuto fare nelle diverse mete proposte dagli aerei in partenza. Simone quando era all’aeroporto con suo padre, parlava e sorrideva molto più spesso, ma la mamma questo non lo sapeva perché non era mai capitato che andassero all’aeroporto tutti e tre insieme.

Erano già le quattro ma papà non era ancora arrivato, così chiese alla mamma quando sarebbe tornato a casa: lei gli rispose che il volo che avrebbe portato a casa suo padre era in ritardo di qualche ora e che quindi probabilmente lo avrebbe visto solo quella sera. Simone non la prese bene, anche se non era poi una notizia così negativa, ma a lui piaceva programmare le sue giornate, quindi questo sfasava completamente i suoi piani. Visto che ci era rimasto male, non aveva nemmeno voglia di chiedere alla mamma di andare all’aeroporto perché in quel momento era arrabbiato con gli aerei: pensava che fosse colpa loro se il suo papà non era ancora tornato a casa. Così senza dire niente a nessuno, prese la bici e andò al parco, dove trovò anche dei suoi compagni di scuola. Dopo averli salutati distrattamente, si andò a distendere sull’erba, che tra l’altro anche se adesso c’era il sole era un po’ umida, visto che quella mattina aveva piovuto. Tra tutti quei bambini che giocavano sulle altalene e si rincorrevano per il parco, lui sicuramente attirava l’attenzione, tranquillamente disteso sull’erba a fissare il cielo. A Simone però non interessava proprio: lui voleva solo guardare gli uccelli volare e vedere ogni tanto qualche aereo passare, imprecando mentalmente, nel modo in cui può saper imprecare un bambino di dieci anni.

Dopo qualche minuto di ragionamento, l’impulsività di Simone lo fece decidere che non avrebbe più provato emozioni: finora era stato bravo a non mostrarle, dopotutto era un bambino poco espressivo, ma adesso proprio non voleva nemmeno provarne più. Nessuno l’avrebbe mai immaginato, tranne suo padre che lo vedeva poco e per quel poco di tempo lo vedeva sempre felice, ma Simone era un bambino molto sensibile. A lui piaceva andare a fare passeggiate insieme alla sua mamma, perché si emozionava immaginando che insieme a loro ci fosse anche il suo papà. Si emozionava anche ogni volta che si accorgeva che qualcuno si stava preoccupando per lui, perché gli piaceva avere attenzioni, soprattutto dai suoi familiari. Ma dopotutto provava emozione anche a sentirsi solo: si sentiva più grande e responsabile, ma se poi era sera, allora gli prendeva la paura. Gli piaceva perfino svegliarsi, perché si emozionava pensando al fatto che il giorno in cui avrebbe rivisto suo padre era sempre più vicino. Invece quando si svegliava e suo padre doveva ripartire, all’inizio era felice, ma poi si accorgeva invece di quello a cui stava andando sempre più incontro col passare delle ore. E ogni volta piangeva, piangeva con la testa fra le mani, preoccupandosi di non farsi sentire dai suoi genitori. E rimandava la felicità ad un altro domani.

Simone uscì dai suoi pensieri, prese la bici e andò a casa: doveva godersi quelle ore di gioia che lo separavano da quello che finalmente sarebbe stato il ritorno del suo papà, organizzando quella che sarebbe stata la giornata successiva insieme a lui. Ormai si era già dimenticato che non voleva più provare emozioni, ma non gli interessava: non aveva intenzione di restare impassibile, visto che quel momento lo aveva aspettato da così tanto tempo.

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Una storia ormai vecchia ma che mi dispiaceva non postare. Ispirata alla canzone "Ogni volta" di Vasco Rossi.

  
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