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Autore: IoMe    08/04/2011    3 recensioni
Jack ama Sylvie. La ama così tanto da non poter fare a meno di odiarla.
Sylvie ama Jack, ma scappa da lui preferendogli tutti quei ragazzi che da lei pretendono soltanto un po' di divertimento facile.
Una storia travagliata alle spalle, troppe offese gratuite per i corridoi della scuola e un migliore amico ficcanaso sono la perfetta cornice dell'esasperazione dei due ragazzi.
Finché Jack non decide di seguire Sylvie in bagno per sorprenderla una volta per tutte...
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Stai calmo

 

 

 

THERE SHE GOES

 

 

 

 

 

 

 

“If I hadn't cheated, if I hadn't lied
I'd be the one who's walkin' by her side
I love her still and I guess that it shows”

(There she goes, Bob Marley)

 

Stai calmo.. dannazione, Jack, stai calmo!”.

Per quanto se lo ripetesse, la tensione delle mani non accennava a diminuire, e se quella matita che stava stritolando avesse potuto parlare avrebbe implorato pietà o, per lo meno, una morte più dignitosa.

Nella classe nessuno sembrava partecipe della sofferenza di Jack, oltre che del crack della moneta argentina nel 2002: la maggior parte degli alunni sonnecchiava, coprendosi gli occhi con i capelli o con le mani, assumendo così una finta posa riflessiva, mentre il resto si dedicava ad attività molto (ri)creative, ma accettate da una rassegnata professoressa di diritto, purché le svolgessero in silenzio. Così l’ultima fila era nel pieno di un torneo di battaglia navale, mentre la penultima sembrava la sala d’aspetto di un salone di bellezza, con ragazze che si mettevano il lucidalabbra, si specchiavano, leggevano l’oroscopo.

C’era, ad esempio, Daniel, che circa un mese prima aveva dato il via ad un progetto di evasione dall’edificio scolastico, e che in quel momento, con molta pazienza, stava scavando un buco nel muro con il solo ausilio di una penna blu; c’era Anne, che scuoteva la testa con fervore come se stesse annuendo, mentre in realtà stava tenendo il tempo della musica che ascoltava con l’I-pod;  e, soprattutto, c’era quel povero pirata di Jack, irrequieto e distratto come al solito.

Erano dieci minuti buoni che gettava lo sguardo ansioso verso la parte opposta della classe, ma il banco di Sylvie rimaneva inesorabilmente vuoto, e i propri pensieri erano pericolosamente offuscati da un campanello d’allarme che lo stava facendo andare fuori di senno. All’improvviso avvertì una fitta alla scapola destra e si girò di scatto sputando tra i denti un’esclamazione che avrebbe reso orgoglioso uno scaricatore di porto: due file dietro di lui Alex “Fuffi” Salander, suo attuale migliore amico, si stava sbracciando per dirgli di recuperare la gomma che gli aveva appena tirato. Appoggiando il mento alle mani intrecciate sul banco, Alex piegò le labbra nel sorrisetto strafottente che sfoderava ogni volta che era in vena di rissa e gli sillabò “Ti brucia eh?”.

In un qualsiasi altro momento probabilmente Jack avrebbe alzato le spalle e, tiratogli una gomitata giusto per accontentarlo a morire giovane e in modo fantasioso, avrebbe volto lo sguardo e la discussione altrove.

Ma quello non era un momento normale; era una dannata quarta ora di diritto, e Sylvie era fuori dalla classe da undici minuti e ventitré secondi.

Se fosse esistito quel famoso vaso pieno d’acqua che qualcuno, per un dannato motivo, avesse riempito con un contagocce, beh, allora quel dannato vaso sarebbe in quell’istante traboccato davanti agli occhi di Jack.

Si alzò di scatto e, rischiando un volo ad angelo per colpa della spallina di uno zaino incastrato sotto una sedia, giunse alla cattedra quasi saltellando. Borbottò alla professoressa più una serie casuale di parole che una frase di senso compiuto e uscì, praticamente correndo, dalla classe.

Dopo dodici minuti di febbrile tortura mentale, qualche ingenuo potrebbe pensare che almeno Jack sapesse cose fare, ma tutta la rabbia era improvvisamente evaporata e il nostro eroe si era ritrovato schiavo dei propri piedi e del proprio istinto, caracollando come un ubriaco lungo i corridoi; si ritrovò a fissare la porta dei bagni dei maschi del secondo piano, con il cervello pieno di ovattato silenzio e il cuore che gli batteva di poco più forte del normale nel petto.

Lei era lì.

Ci avrebbe scommesso tutto l’oro del mondo, ma avrebbe preferito vivere una vita da senza tetto che avere ragione. La verità che meritava era dietro una sottile porta di legno, e per un attimo, come i bambini, chiuse gli occhi e strinse forte i pugni, sperando con tutto se stesso che le cose tornassero indietro a due mesi prima. Prima che iniziasse quella tortura che si stavano infliggendo a vicenda. Lui era un ipocrita, un egoista e pure uno stronzo. Ma lei era velenosa come una serpe, orgogliosa e con una gran faccia tosta. Nessuno avrebbe mai voluto girare un film su loro due, l’happy ending avrebbe stonato troppo, e lo stesso valeva per un finale strappalacrime: erano troppo violenti e scorretti per piacere.

Jack appoggiò la mano sulla maniglia fredda, si fece forza e aprì la porta.

 

Sylvie era seduta sul piano in marmo a fianco dell’ultimo lavandino, quello vicino al muro, le braccia gettate al collo e le caviglie incrociate dietro la schiena di un biondino, che Jack identificò come un ragazzo che prendeva il suo stesso autobus. Mentre questo (Mmh, di nome faceva Tony, giusto?) le ficcava un metro e mezzo buono di lingua nella bocca, Jack vide che la sua mano stava lentamente risalendo la schiena della ragazza, infilandosi sotto una delle magliette sempre troppo corte che Sylvie metteva per indispettirlo.

E non era la sola delle tante cose che lei faceva apertamente per provocarlo, ovviamente.

Infatti, quando i due si girarono a guardarlo, mentre l’espressione del biondino si tinse di sincera cortesia, come se stesse per domandargli se avesse bisogno di aiuto, lei con indifferenza si tirò giù la maglietta scoprendo  altri centimetri di pelle, questa volta sul petto, roteò gli occhi e tornò a baciare il biondino (o forse si chiamava Lenny?).

- Fuori - ringhiò a voce bassissima Jack.

- Come, scusa? - disse lentamente il biondino, con la voce un po’ impastata (No, Lenny è il fratello, questo è Carl, sicuro!)

- Ho detto fuori - questa volta Jack praticamente urlò.

L’anonimo biondino guardò interrogativo Sylvie, la quale però, dopo un attento esame della condizione delle proprie unghie, si spostò con noia una ciocca di capelli biondi che le ricadevano sulla spalla, saltò con grazia giù dal lavandino, finse di non vedere la mano che il biondino le porgeva e, senza degnare di un occhiata nessuno dei due, si avviò verso la porta.  

Jack l’afferrò rapido per un braccio; lei, pur divincolandosi, rimase, mentre Max (era questo il vero nome dell’altro ragazzo) uscì sbattendo la porta del bagno, sentendosi un po’ uno stupido e con la vaga sensazione di essere appena stato usato. Era una sensazione spiacevole, che chiunque provava avendo a che fare con Sylvie Laxtelle: quello scricciolo lentigginoso di ragazza sembrava sempre nascondere qualcosa. Le sue parole nascondevano significati omessi, oscuri.

Forse sto diventando paranoico” pensò Max, e scosse con forza la testa, come faceva ogni volta che la lezione di matematica finiva e lui si rendeva conto di non aver capito assolutamente nulla. Per fortuna proprio in quel momento era arrivato di fronte alla macchinetta delle merende, e i brutti pensieri sparirono quando notò con estrema soddisfazione che non tutte le barrette di cioccolata erano state divorate dallo sciame di cavallette in cui si trasformavano certi studenti durante l’intervallo. 

 

Rimasero in silenzio, lei con la testa girata e lo sguardo fisso sulla finestra del bagno, e la si sarebbe detta perfettamente incurante delle occhiate di fuoco che Jack le lanciava se avesse avuto le spalle solo un poco più rilassate.

Le apparenze ingannano.

Infatti nonostante il viso pulito e privo di trucco, e la corporatura esile, Sylvie non poteva certo essere definita “un angioletto”, come le avevano sempre detto orgogliose le maestre all’asilo. Le labbra erano ancora gonfie dall’amena, ehm, discussione, da poco avuta con Max, e quegli occhi marroni erano vortici di pece scura, pericolosi ma non abbastanza da convincere le sue vittime a starsene prudentemente alla larga.

- Beh, grazie mille per la chiacchierata Weaston. Ora se non ti dispiace dovrei... - disse lei bruscamente, staccandosi dal muro e dandogli le spalle.

- ...andare a farti sbattere da qualche altra parte? - ecco, l’aveva detto. Le parole gli bruciarono nella gola, ma non aveva potuto fare a meno di gioire tra sé quando la vide fermarsi e irrigidire ancora di più le spalle.

- Ti avrò solo risparmiato i soldi per un giornaletto porno. - scandì lei, gelida, girandosi.

- Spiacente, ma scene così le vedo in continuazione … sotto ai lampioni dell’autostrada -.

- Quando vai a prendere tua mamma al lavoro giusto? -.

Cristo, com’erano caduti in basso.

Per fortuna Sylvie, volendo un’uscita di scena con l’ultima parola, fece nuovamente per andarsene, ma una mano le afferrò il polso, questa volta trascinandola proprio di fronte al ragazzo; erano così vicini che Jack poteva sentire il suo profumo, e sarebbe bastato pochissimo perché i loro corpi aderissero perfettamente, l’uno a quello dell’altra.

Le afferrò il mento tra le mani e la costrinse a guardarlo negli occhi, chiedendole - Ma siete insieme? -.

Lei lo fissò intensamente, si alzò in punta di piedi, gli avvicinò le labbra all’orecchio e sibilò – Idiota -. Quindi scoppiò a ridere e con le labbra storte in un ghigno beffardo se ne tornò in classe, lasciando Jack come pietrificato e con il desiderio di prendersi a pugni da solo.

 

- “Ma siete insieme?” Cielo, Jack, ma sei scemo? -.

Fuffi e il suo solito tatto.

Alex non era mai stato molto delicato, certo, ma conosceva bene Jack, e aveva notato subito che qualcosa era andato storto. Così, andando verso la stazione, si era fatto riassumere i “tragici” avvenimenti. A Fuffi era apparso insolito infatti che al cambio d’ora Sylvie avesse chiacchierato con un sorrisone stampato in faccia con le altre ragazze e, soprattutto, che Jack avesse ascoltato senza lamentarsi Barney Goldstone, il quale aveva raccontato per la centesima volta di quando il suo motorino si era rotto sotto la pioggia, e di come lui l’avesse aggiustato con a disposizione solo il mazzo di chiavi di casa.

Così, per tutto il tragitto verso la stazione degli autobus, Jack fu costretto a sorbirsi il cosiddetto “Fuffi esaltato”, cioè un metro e settantacinque di ragazzo che, ciondolando con le braccia e cercando inutilmente di scostare i capelli da davanti agli occhi, discusse, o meglio, urlò senza sosta di orgoglio maschile, ragazze dai costumi molto liberi che conoscevano e una marea di altre cose. L’argomento su cui tormentò Jack di più fu naturalmente la figuraccia che aveva fatto neanche due ore prima. E, purtroppo, Alex si curò di commentare le azioni dell’amico ad un tono di voce abbastanza alto da permettere anche alle renne in Lapponia di sentirlo. Jack smise di ascoltarlo, e si ritrovò a pensare a Sylvie.

Quello che aveva visto aveva cambiato le regole del loro gioco.

I libri di lui che cadevano “per sbaglio”, le pallonate che arrivavano “casualmente” addosso al sedere di lei, le battutine, i commenti alle spalle e quelli sputati direttamente in faccia, le spallate fingendo di non vedersi; tutto questo ora era superato. Il confine era stato varcato dopo che Jack era venuto a conoscenza che Sylvie aveva preso contatto con alcuni dei suoi compagni di basket, così il ragazzo era dato da fare alla festa di Jennifer, una fighetta un po’ snob e piena di soldi che frequentava la loro stessa scuola. Si era favoleggiato (e non storpiando del tutto le verità) che fosse andato con tre ragazze diverse, ma per sicurezza Jack aveva sguinzagliato quella pettegola nata di Fuffi, e così nel giro di un intervallo il numero di ragazze era passato a quattro, e una di loro era pure storicamente fidanzata. Sylvie ovviamente era venuta a saperlo ed era passata al contrattacco: così Jack era andato in bagno, aveva sorpreso lei e Max, facendo pure la figura della fidanzatina gelosa. 

Ora non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine delle sue braccia strette al collo di quel Max, la mano di quell’altro che saliva e saliva e saliva e…

- Aaaah!!! – sentire la propria voce urlare di dolore, questo è sempre un buon modo per distrarsi.

Era infatti appena finito con il ginocchio contro una panchina, di quelle con la base in cemento, e mentre si massaggiava il punto offeso e fulminava Fuffi, che rischiava il collasso epilettico dalle risate, non poté non pensare “Dannazione a Sylvie! La ritroverò di sicuro nei miei incubi sta notte!”.

E nei cerchioni più bassi dell’inferno a torturarlo.

 

-No, mamma. Ma sì che mi sono lavato i denti. Sì, mamma. Ti giuro, non ho speso tutti i soldi. Sì, mamma, sì, sì. Ora devo andare, davvero, altrimenti domani non avrò abbastanza batteria per avvisarti quando saremo vicini a casa. Si, promesso. Buonanotte, un bacio. No, non mi sono messo nei guai: quando mai lo faccio? Notte, mamma, notte. Ma ti dico di no!- era trascorsa circa mezz’ora da quando Jack aveva iniziato a rassicurare la sua apprensiva (al limite dell’ossessione) madre, di non aver dimenticato il paio di calzini puliti per il giorno dopo, di non aver accettato caramelle dagli sconosciuti e simili; ciò voleva dire che la telefonata era sul punto di concludersi.

Era passato circa un mese dall’ultima volta che lui e Sylvie si erano parlati più o meno civilmente, e il morale di Jack era ai minimi storici. La vita aveva continuato a scorrere come al solito: il basket, qualche partita a calcetto con gli amici, lunghe nottate di studio matto e disperatissimo per apprendere il programma di due mesi di letteratura nel giro di sei ore di sonno perso; c’era stata anche una fuga quasi cinematografica, lontano da un arrabbiatissimo proprietario di Mercedes, la fiancata della quale era stata strisciata a causa dell’equilibrio precario di Jack e del suo amico Greg, quest’ultimo seduto molto romanticamente sul manubrio della bicicletta del primo.

Eppure.

Eppure una parte della mente di Jack era stata perennemente sintonizzata su Sylvie, bella da far male e distante come non lo era mai stata: aveva passato giornate a guardarla di sottecchi mentre lei stava mordendo, sovrappensiero, il tappo di una penna, quando aveva scostato una ciocca di capelli da davanti agli occhi, dopo che, accaldata, aveva vinto il torneo di pallavolo. Ogni volta che all’intervallo l’aveva sorpresa a chiacchierare con Max, lui in piedi e lei comodamente seduta su un banco abbandonato in corridoio, Jack era stato costretto a tirare fuori tutto l’aplomb inglese di cui disponeva e, con il naso puntato con decisione verso l’alto, l’aveva salutava con un molto indifferente cenno di capo, raggiungendo i propri amici, con le mani formicolanti. 

A questo si era ridotto il loro rapporto. Il che era significato per Fuffi doversi improvvisare psicologo, in media due volte a settimana, a danno dei soliloqui cervellotici di Jack.

Finché, a scuotere la monotonia di quei giorni e a rianimare lui e tutti gli altri studenti, non era giunta Lei: nel mezzo di una primavera lenta e deprimente, la Signora Preside aveva proposto per le terze un uscita di due giorni a Seattle. Così, tra preghiere, grandi promesse, un’astuta e lucidissima manovra tattica da parte dei capoclasse (si era sospettata anche la consegna di una bustarella all’insegnante di Religione), gli alunni erano riusciti nell’impossibile: avevano trovato gli insegnati disposti ad accompagnarli, e La Gita era stata loro accordata.

E stava procedendo a meraviglia: dopo un interminabile viaggio in pullman, sotto la guida di quella mente perversa di Fuffi, nel pomeriggio Jack e altri suoi amici erano riusciti a scampare la visita dello stimolantissimo museo di storia naturale Burke, sgusciando in un losco bar d’angolo a giocare a biliardo; e, dopo aver dato fondo ai loro risparmi in un supermercato, si erano potuti ritenere sufficientemente attrezzati per La Notte.

A controllare la camera di Jack, passarono la professoressa di storia, a detta di alcuni studenti parente stretta di un certo re babilonese che aveva fatto scrivere un raccolta di leggi alcuni anni prima, e l’antico insegnante di informatica: tra l’età avanzata, la miopia, e lo smagliante sorriso rassicurante di Alex, nessuno sembrò sospettare nulla di losco. E così, dopo la telefonata della buonanotte alla mamma, neppure a un quarto d’ora dall’ultima ronda notturna dei docenti, si diede il via alla parte più bella delLa Gita.

 

Tutto iniziò quando Barney Goldstone entrò in camera di Jack, e disse a lui e agli altri studenti che la professoressa di storia era fuori dalla porta e voleva entrare per un ulteriore controllo.

Panico. Alcuni ragazzi si nascosero nel bagno o nell’armadio, altri tirarono fuori le carte e finsero, con in mano dalle cinque alle due carte ciascuno, di stare giocando a poker, mentre i proprietari della camera cercavano febbrilmente tutti i bicchieri e le lattine sparse in giro: bisognava eliminare le prove del misfatto. Così  Jack, con spirito di sacrificio, raggomitolato sotto il lavandino, tracannò in un solo sorso un bicchiere colmo fino all’orlo di vodka alla pesca. Primo madornale errore.

Falso allarme, la professoressa probabilmente stava dormendo da un bel pezzo, dunque i ragazzi uscirono dai loro nascondigli e La Notte riprese.

Il secondo madornale errore che Jack commise fu quello di accettare d’impulso la sfida del “Fuffi barman”: chi fosse stato in grado di svuotare per primo uno dei bicchieri dallo strano contenuto che Alex gli porse avrebbe vinto. Jack non si sognò di chiedere cosa contenesse, limitandosi ad accettare. Grappa al limone allungata con acqua, corretta poi con della grappa alla camomilla perché, secondo l’illustre parere di Fuffi, era diventato troppo acquoso, ecco cosa conteneva il bicchiere. Neanche a dirlo, era una vera schifezza, e quella fu la scusa che Jack adottò per aver posato il bicchiere sul tavolo mezzo secondo più tardi dell’amico. Ma ormai la gara era persa, e il danno era stato fatto: quando si alzò dal letto per andare nella camera vicina, nella quale forti dosi di Jack Daniel’s erano la causa di incredibili grida, il ragazzo si rese conto di aver portato troppo a sinistra il piede destro, incrociando instabilmente le gambe. La stanza oscillava in modo insolito.

Calma, non c’è problema, non sono ubriaco!” pensò, con lo stomaco pieno soltanto di ciò che aveva bevuto e già nella mano un altro bicchiere di vodka.

Nell’altra camera trovò da un lato Sylvie che, senza pantaloni e un po’ brilla, giocava a strip poker con altri ragazzi, tra cui l’eterno Max, che si stava pure godendo impudicamente la vista delle gambe nude della ragazza. All’altro capo della stanza, seduti su un letto, alcuni suoi compagni ridevano e chiacchieravano; quindi si unì a loro, mentre Danny Thompson, che era probabilmente prossimo al coma etilico, si stava lentamente spalmando addosso al muro.

Il viso sorridente e malizioso di Ella Garden entrò poi nel campo visivo di Jack. I ricordi che seguirono a quella particolare immagine furono costituiti più che altro da sensazioni e brevi flash, come quella di numerosi bicchieri colmi, che delle mani gli avevano offerto e che lui aveva ingurgitato impulsivamente, nonostante alcuni fossero colmi della famosa grappa al limone. Sentì poi qualche pugno male assestato sulla spalla destra, e degli sputi da parte di qualcuno con cui Jack aveva probabilmente dato il via ad una rissa.

Una mano poi lo aveva toccato all’altezza del cavallo dei pantaloni. Ah, sì, quella sensazione se la ricordava piuttosto bene.

Jack si sentiva come al cinema, spettatore di un film di cui lui stesso era il protagonista ma le cui azioni erano accuratamente controllate da un regista esterno, in questo caso da un’Ella Garden molto decisa a portarsi a letto il bel attore principale.

Da tre anni lei gli moriva letteralmente dietro e, a detta di molte altre ragazze, non a torto: con quell’aria da eroe romantico, inquieto e tenebroso, il fisico modellato da anni di basket, i riccioli castani che gli cadevano dolcemente sulla fronte, giusto sopra gli occhi color cioccolata, e il sorriso storto ed estremamente sexy che rivolgeva a pochi fortunati, Jack era proprio un bel ragazzo.

L’unica pecca che aveva Jack Weaston era, secondo Ella e la maggior parte degli studenti, Sylvie Laxtelle.

Il rapporto tra quei due era apparentemente inesistente, da quanto si sapeva in giro non si erano più rivolti civilmente la parola da quando si erano lasciati qualche mese prima, dopo una relazione tormentata. Sia Jack che Sylvie avevano avuto svariati flirt con altre persone, ma bisognava essere cechi per non notare come gli occhi di Jack brillassero quando si rivolgevano la parola, anche solo per punzecchiarsi. Cosa lui ci trovasse in quella pulce con le lentiggini, piena di pose e con la costante aria di superiorità stampata in faccia, Ella non l’avrebbe probabilmente mai capito ma, pochi giorni prima delLa Gita, era giunta alla conclusione di aver portato anche troppa pazienza.

E, indossati i jeans migliori, aveva deciso di smentire o confermare di persona se le voci sulle grandi qualità di Jack Weaston fossero veritiere.

Così gli era stata premurosamente a fianco e, mentre lui aveva buttato giù un bicchiere dopo l’altro, lei aveva sfoderata tutto il suo vasto repertorio di moine, scuotendosi i capelli, appoggiandosi complice sulla sua spalla, sussurrandogli alle orecchie parole stuzzicanti. Non appena Jack apparve cucinato a puntino, sia dall’adulazione della ragazza che dall’alcol, Ella lo trascinò decisa verso il bagno ma, notando con estremo disappunto che questo era già occupato, gli prese la mano e lo trascinò nel buio giardino sul retro dell’ostello, cercando di non farlo andare addosso ad ogni spigolo che avevano incontrato lungo la strada.

 

Un corpo caldo contro il suo, mani che giocavano tra ricci dei suoi capelli, labbra che si muovevano all’unisono con le sue: Jack non aveva ben chiaro di dove fosse e chi fosse la ragazza di cui stava stringendo i fianchi, ma forse non gli importava neppure. Sapeva che non era Sylvie, certo, ma questo non significava niente, non doveva significare niente. Era stanco di rincorrerla, trovarla e non poter fare altro che insultarla, o comunque fingere di ignorarla: lui la voleva stringere tra le braccia, voleva baciarla, passare interi pomeriggi insieme a lei a parlare, o anche solo abbracciati a guardarsi negli occhi, come quella volta, pochi mesi o forse una vita prima.

Lui aveva appena finito una partita a calcetto con i suoi amici, quando lei era giunta ai margini del campo insieme ad una sua amica, nonché fiamma in quel periodo di quella cortigiana d’alto borgo che era Fuffi. Erano in classe insieme da due anni, ma Sylvie e Jack non si erano quasi mai parlati, se non per necessità scolastiche, come spesso capita senza cattiveria in una classe numerosa, o tra persone che non hanno molte cose in comune. Quella volta però, quando si era avvicinato alle due ragazze, con l’iniziale intenzione di fare da spalla a Fuffi, lui e Sylvie avevano cominciato a chiacchierare, come se si conoscessero da una vita.

Avevano parlato dei loro interessi, delle loro famiglie, di cosa avrebbero voluto fare finita la scuola, anche dei loro dolci preferiti; e le parole erano uscite da sole, sincere, senza sforzo o imbarazzo.

Erano stati talmente assorti che non si erano accorti degli sguardi perplessi dei rispettivi amici, e neppure dei loro saluti quando questi li avevano lasciati da soli. Il freddo aveva poi cominciato ad essere insostenibile, e i loro genitori li avevano sommersi di messaggi, inizialmente preoccupati, poi sempre più minacciosi. Nessuno dei due però aveva avuto la forza di lasciare l’altro. Molte divagazioni dopo, Sylvie e Jack avevano provato a salutarsi; e, senza un ben precisato motivo, erano rimasti fermi, a guardarsi negli occhi, senza parlare. Attorno a loro non c’era stato nient’altro, tutto il mondo che avevano sognato e in cui avevano sempre vissuto era lì, racchiuso negli occhi dell’altro. Ma, e tutti e due lo avevano subito saputo,  da quel momento entrambi avrebbero potuto orientarsi, anche in piena notte, grazie alla luce che aveva brillato nei loro occhi.

Dopo che si erano voltati le spalle, in quello strano tardo pomeriggio di febbraio, Jack era tornato a casa come al solito, spingendo sui pedali della bici con tutta la forza che aveva avuto in corpo e con la strana voglia di cantare a squarciagola. Non aveva certo idea di aver dato inizio ad un musical coi fiocchi, di come tutta la sua anima avesse assimilato quelle ore passate insieme a Sylvie; era ignaro di quante altre volte avrebbe percorso quella stessa strada, alcune con il cuore che avrebbe fatto persino male dalla gioia che avrebbe provato pensando a lei, altre maledicendo la ragazza e giurando che mai e poi mai le avrebbe ancora rivolto la parola.

“Avrei dovuto prendere un aereo e fuggire a Honolulu, quella volta, sissignore.” Pensò risolutamente Jack, mentre Ella Garden gli era saldamente avvinghiata alle spalle e gli si strusciava addosso, premendo il bacino contro il suo. La panchina sulla quale erano straiati in equilibrio precario stava diventando troppo stretta.

 

- Ma che schifo. - un voce gelida e piena di disprezzo interruppe quello scambio poco casto di effusioni in luogo pubblico.

- Sì, sì, come no! Ora torna a giocare con le bambole, Laxtelle, da brava. Noi siamo occupati. - senza spostarsi di un millimetro dal ragazzo, Ella rispose quasi sputando quelle parole dai denti.

No, non ora pulce, non ora. Non andrà tutto a puttane per dei capricci da ragazzina viziata, a costo di strappare i tuoi preziosi capelli biondi.

- Se sei occupata a mantenere Jack abbastanza sbronzo, così che non veda la cellulite che hai sulle gambe, beh, mi spiace ma è del tutto inutile, ne hai talmente tanta che la vedrebbe anche un ceco! -.

“Ad uno ad uno te li strapperò quei capelli, stronza. E poi per me sei pure tinta.” pensò Ella, guardando infastidita Jack, che sorrideva come un idiota forse per la battuta, forse per l’alcool, o per la possibilità che scoppiasse una rissa tra due ragazze. Quindi Ella disse, con l’intenzione di chiudere quella faccenda una volta per tutte, - Sempre simpatica, Laxtelle. Ora smamma! Qui non sei gradita, come ovunque, in effetti. -.

- Perché? Mi sto divertendo. – Ed effettivamente, con un sorriso maligno sulle labbra e una mano appoggiata al fianco, mentre con l’altra reggeva un bicchiere che aveva portato dal piano superiore, sembrava che Sylvie si stesse divertendo un mondo. - Dimmi Jack, è piacevole stringere tra le mani una tale massa di carne molliccia? -.

Ovviamente Ella Garden non era per niente grassa ma Sylvie, infida come una serpe, sapeva con sicurezza  dove colpire; perché, si sa, il punto debole di ogni ragazza è il proprio peso. Infatti Ella, punta sul vivo, si staccò da Jack con l’intenzione di farle rimangiare quelle parole a suon di sberle, quando un idea ancora migliore le balenò nella mente, facendola fermare di colpo.

Così, con il tono mellifluo ma gli occhi gelidi, le disse - Invece sono sempre più convinta che tu abbia di meglio da fare che stare qui a guardarci. Esattamente, cos’è che vorresti? Oh, non ci avevo pensato! Poverina, sarai rimasta da sola. Ma come, sei talmente frigida che neanche quel pervertito di Max ti vuole più?-.

Uno a uno, palla al centro. La tensione era palpabile, ma di questa Jack non si accorse, se non in minima parte. Era confuso, le parole gli arrivavano come attutite da un muro d’acqua (e molto alcool), e gli rimbalzavano nella mente unendosi a pensieri totalmente diversi, sicché al nome di Max, picchiettandosi il mento con l’indice e fissando il cielo notturno sopra di sé, come riflettendo su un argomento di vitale importanza, urlò - Max. Max. Maaaax. Che nome! Sembra quello di uno sgrassante per la cucina. Max! Sgrassa e liscia, nessuna macchia sul tuo acciaio! – .

A tali parole entrambe le ragazze smisero un attimo di guardarsi in cagnesco e lo osservarono perplesse. Poi Sylvie riprese - Cosa non arriveresti a fare per avere un ragazzo! Ella, sei patetica. Ubriacarlo. Non ha la forza di controllare le parole che dice, figurati quello in cui tu tanto speravi. Comunque gli avevo fatto una domanda, e lui non mi ha risposto. E questo è stato molto maleducato da parte sua. - Così, con un movimento fluido del polso e del braccio, Sylvie buttò l’intero contenuto del suo bicchiere in faccia a Jack, il quale, persa la posa da pensatore, rimase un momento di silenzio, dette le spalle alle ragazze in un ultimo gesto di connaturata cortesia, e cominciò dunque a lanciare una sequela di bestemmie molto fantasiose, inserendo tra queste qualche formula di chimica che il giorno dopo e durante l’interrogazione non avrebbe sicuramente ricordato.

Ella gli si avvicinò e gli avvolse le braccia attorno ai fianchi, abbracciandolo sia per calmarlo, sia per mostrare a Sylvie chi aveva vinto, specialmente dopo quel gesto, dettato più dalla rabbia che dal Jack Daniel’s. Ma il sorriso le si spense sulle labbra subito dopo: quella pressione, seppur leggera, sullo stomaco, unita alla notevole quantità di alcool che Jack aveva ingerito, non poterono che dare la nausea al ragazzo, che, prima inveì contro certi cani rugosi che erano nascosti fra i cespugli del giardino, poi si piegò su sé stesso e cominciò a vomitare.

 

Fuffi sogghignò quando, lanciata un occhiata all’orologio, vide che Jack non era ancora tornato: l’ultima volta che l’aveva scorto stava correndo giù per le scale insieme ad Ella Garden, e sembrava particolarmente contento della sua compagnia. Quindi, per il sacro dovere di farsi gli affari altrui, il ragazzo lasciò le braccia di una moretta conosciuta poche ore prima, loro vicina di camera e terrazza, e scese in cortile per vedere come procedevano le cose tra i due amanti.

Quando arrivò, però, vide che la situazione era molto diversa da come se l’era immaginata. A dir la verità la scena era talmente assurda che temette di aver bevuto troppa birra: dietro un cespuglio Jack stava terminando di vomitare, mentre Ella Garden stava tirando i capelli con rabbia a Sylvie Laxtelle, la quale provava inutilmente ad assestarle dei calci negli stinchi e a graffiarla.

In nome dell’amicizia con Jack (e per non avere un morto sulla coscienza), Fuffi decise di intervenire: con un certo sforzo riuscì ad afferrare Ella per la vita, che continuava a  sbraitare di morte, tinta e mestiere più antico del mondo. Tenendole fermo un braccio, Alex riuscì ad allontanarla dall’altra ragazza. Arrivati a distanza di sicurezza, decise di allentare un po’ la presa e lasciala andare;  Ella allora, ripreso un minimo di dignità, si sistemò i vestiti e gli urlò, divincolandosi - E tu mollami, specie di palo con i capelli! - e corse via.

Troppo emozionato dalla scena per badare all’offesa appena ricevuta, Fuffi si avvicinò, non senza una certa cautela, a Sylvie, piegata su sé stessa, che si massaggiava la testa. Le chiese se stesse bene e quella annuì senza guardalo in viso; poi, ignorando la mano che lui le tendeva si alzò, e Fuffi vide un lampo d’ansia attraversarle gli occhi quando si ricordò della presenza di Jack, vomitante.

Sei umana anche tu, Laxtelle. E questo credo sia il gossip più succulento dell’ultimo quarto d’ora.” pensò lui, sorridendo tra sé e lasciandoli soli, Jack disteso supino a terra, l’incavo del braccio che gli copriva gli occhi, e lei inginocchiata premurosamente al suo fianco.

 

Quando avvertì la sua presenza, il ragazzo scostò il bicipite dal viso, ma continuò a tenere gli occhi chiusi, e non disse nulla. Neanche Sylvie sembrava in vena di parlare così, cingendosi le gambe con le braccia, rimase anch’ella in silenzio, sentendosi decisamente in imbarazzo.

- Perché? - chiese ad un certo punto, in un sospiro, Jack, come profondamente esasperato.

- Perché cosa? - ripose a sua volta lei, titubante, stringendosi ancora di più le ginocchia al petto.

- Perché fai così? Sono mesi che te ne vai in giro appiccicata a quel biondo gonfiato di Max - dicendo questo, il ragazzo si alzò sui gomiti, e la guardò dritto negli occhi – E ‘sta sera sei arrivata qua a rovinare tutto. Senza spiegazioni hai sparato un sacco cattiverie… guarda che lo so, che quando dici cattiverie in realtà è perché ti senti minacciata. L’ho letto da qualche parte, l’avrà detto quel tedesco Freud, che si dice “Froid” ma si scrive “Freud”, ricordati… e ti arrabbi anche perché sto con un'altra. Ma cos’avrei dovuto fare io, allora, in tutti questi giorni, con quel Max che ti seguiva come un cagnolino? E che ti parlava, ti sfiorava, osava anche guardati in un modo… Avrei dovuto spaccargli la faccia, eccome se avrei dovuto! L’avrei voluto fare, ma non l’ho mai fatto, e a questo punto non capisco neanche perché, come non capisco perché quel lampione prima stava deridendo… e non ricordo cosa ti stavo dicendo! Ah, sì. Eh che io, io non capisco più niente quando ci sei in mezzo tu, Sylvie, e questo è perché ti amo, e lo so che lo sai, e non capisco neanche perché te lo stia dicendo anziché stare zitto e rassegnarmi, e magari pure insieme a qualsiasi altra ragazza che non mi debba per forza trattare da perfetto cretino come fai tu, o che mi guardi male ogni volta che per sbaglio la sfioro! Forse ho sperato, fino a qualche tempo fa, che tu stessi con quel biondo solo per darmi fastidio, e che avresti fatto qualcosa, qualsiasi cosa, per farmi capire che tu a me tenevi ancora. Ma sia lui era sempre dannatamente al tuo fianco, sia io mi sentivo un povero illuso! Ho provato a farmene una ragione allora, ma come potevo! Quando ti passavo davanti ed eri lì con lui, io leggevo qualcosa nei tuoi occhi, e continuavo a sperare in noi. Ma forse sono solo un pazzo e ubriaco o magari tutti e due e… -.

- E avevi ragione! Cioè, insomma, io… - disse con trasporto Sylvie, frenando il soliloquio disperato e delirante di Jack. Poi riprese, con più calma – Max è solo un amico. In realtà lui confida in qualcosa di più, e anch’io ho sperato di provare qualcosa per lui, ma era solo una bugia. -.

- Siete stati insieme? - chiese lentamente Jack, distogliendo lo sguardo. La vergogna gli bruciava le viscere quasi quanto la gelosia, ma quella era una domanda che lo aveva tormentato per troppi mesi. L’idea di Sylvie insieme ad un altro non era tollerabile, non più.

Lei, sorridendo, gli sfiorò una guancia con una carezza, e rispose con semplicità – No -.

L’improvviso contatto fisico e quella risposta parvero rasserenare un po’ il ragazzo. Però tutte le maschere erano state gettate a terra, e Jack era consapevole che il momento per la domanda che da mesi rimaneva in sospeso tra loro, andava posta quella notte, con il mal di testa che lo stava torturando, in quel fazzoletto di giardino a chissà quanti chilometri da casa. Poi ognuno avrebbe provato a convivere con i propri demoni.

Prendendo il discorso alla larga, le chiese - Perché sei venuta a cercarmi, prima? -.

- Non sei l’unico ad essere stato male, in questi mesi. E se dovevo vederti con un'altra ragazza, almeno volevo che mi dicessi in faccia che mi avevi dimenticata, e che con lei eri felice. Possibilmente sobrio. -.

- E ora che lo sai, che sai cosa provo per te, cosa…? - non sapeva neppure lui cosa chiederle. Aveva passato mesi e mesi nell’incertezza, con il solo desiderio di scoprire se lei era ancora interessata a un loro, e ora che tutto era stato confessato, il futuro gli appariva ancora più intricato.

Di tutta risposta, Sylvie gli si stese a fianco e si strinse a lui. Allora Jack le cinse le spalle con un braccio, e rimasero così, in silenzio, ascoltando l’uno il respiro dell’altra, le mani intrecciate. Sopra di loro, un manto opaco di cielo, in cui qualche stella anticonformista riusciva ancora a splendere.

Dopo un po’ la ragazza gli strofinò il naso nell’incavo del collo, e in un sussurro gli disse - Jack, io ho paura. -.

Il ragazzo non rispose, la strinse forte e, prendendola per i fianchi, la portò sopra di sé. Sapeva di fumo, di alcool e di notte sbagliata, ma l’unica cosa che riusciva a pensare era quanto tutto quello fosse meraviglioso, quanto lei fosse meravigliosa.

Avrebbe voluto che il tempo si fermasse, lasciandoli per sempre così. Stretta a lui c’era Sylvie, che, aggrappata con disperazione al suo collo, gli stava gridando in silenzio quanto gli volesse bene e quanto gli fosse mancato.

Una mano di Jack scese a stringerle i fianchi, l’altra si infilò tra i capelli liscissimi della ragazza, spostandoli da un lato per scoprire il collo, che baciò tutt’altro che castamente; le labbra corsero allora sulla mandibola, sulla guancia, sulla boc….

– Non ci pensare nemmeno, Weaston! Non ho dimenticato che neanche un ora fa stavi vomitando dietro ad un cespuglio! E prima ancora baciando Ella Garden! Non so cosa sia peggio. - così Sylvie, reprimendo un sospiro e assumendo apposta un’espressione di totale disgusto, storse il naso e si alzò in piedi, gli mandò un bacio in aria e tornò su in camera, ancheggiando con dignità.

Jack la guardò andarsene dapprima sbigottito, poi sorrise come un pesce lesso.

Non aveva la forza per riflettere su cosa fosse appena successo. Dunque concentrò tutte le proprie energie nel rimettersi in piedi e, dopo qualche insuccesso, riuscì pure, seguendo il profilo del muro dell’ostello, a imbroccare il corridoio giusto per  arrivare nella propria camera.

Era quasi arrivato alla fine delle scale, fischiettando sommessamente una canzone energica dei Pogues , e incolume nonostante essere andato ripetutamente addosso al muro, che si sporgeva apposta verso di lui, quando si bloccò di colpo. Fuffi, nudo ad accezione di un cappellino con cui si copriva le vergogne, batteva energicamente alla porta della loro camera. Quando questo si accorse della presenza dell’amico, gli corse incontro con gli occhi sgranati in modo tutt’altro che naturale, e aggrappandosi alla sua maglietta gli disse – Jack! Problema, disastro, catastrofe! Ci hanno chiuso fuori, le chiavi sono dentro! Hai tu le sigarette. vero? Vero?! -.

 

Alla fine Jack e Fuffi furono ospitati in camera dal magnanimo amico Greg, ma furono costretti a dividersi in tre un esiguo lettino da una piazza e mezza: le ore di sonno furono davvero poche, mentre la quantità di eresie che gridarono fu a queste inversamente proporzionale. Ogni volta che uno dei ragazzi spostava di poco le gambe o le braccia, finivano tutti e tre sul freddo pavimento della stanza. L’amico Greg, sudando stranamente alcool, ogni tanto si sollevava e, gridando, mandava a quel paese qualcuna delle sue ex ragazze.

Nei giorni a venire i ragazzi avrebbero riso ripensando a quella avventura ma la mattina, a colazione, l’unico desiderio che li animava, ad eccezione di quello di dormire per un mese intero, fu quello di farla pagare a Greg e alle sue numerose storie finite male. E ai due piccioncini che avevano chiuso fuori dalla loro camera Jack e Fuffi.

Il ritorno a Redmond fu traumatico, e il nostro pirata fu costretto a imbottirsi di aspirine per combattere il mal di testa lancinante e per ignorare la guida spericolata dell’autista. Tuttavia Sylvie ebbe il buon cuore di sedersi al suo fianco e rimasero vicini per tutto il viaggio in autobus, chiacchierando, dormendo l’uno appoggiato sulla spalla dell’altro, facendosi le foto.

Provarono pure a risolvere un cubo di Rubik comprato in autogrill. Quell’anima irrequieta di Jack era troppo agitato e poco paziente per riuscirci, specialmente con Sylvie così vicina e tutti gli allegri sintomi del mondo del dopo sbornia che lo torturavano; la ragazza invece, cercando pure di coinvolgerlo, riuscì a completare quasi tutte le facce, finché non si stancò e insieme ne staccarono i quadratini, lanciandoli un po’ contro tutti gli altri studenti, e in particolare (ma fu certamente solo un caso) addosso ad Ella e a Max .

 

Franklin L. Wright High School, sabato mattina, intervallo.

Il vociare confuso degli studenti, la calca davanti alle macchinette, pianti e risate che scoppiavano all’improvviso; insomma, era il solito caos e la solita giornata di scuola.

Per Jack, fin dall’infanzia, il ritorno da una gita e da una vacanza era sempre stato strano: quando ritornava, i banchi, i corridoi, gli armadietti, la sua stessa casa, tutto sembrava sorridergli come un vecchio amico, di cui riscopriva lentamente le consuetudini. Queste erano solo sensazioni, certo, e duravano solo qualche istante, ma erano piacevoli; a detta di Fuffi, ovviamente, erano la conseguenza di certe sigarette molto “naturali” che probabilmente Jack si era fumato qualche ora prima, o della vodka che era scivolata, solo il cielo sa come, nella tazza di latte che il ragazzo aveva bevuto a colazione.

Non era una novità che al sabato e al lunedì Fuffi fosse più loquace del solito, e che come tutti i giorni non avesse voglia di fare niente di costruttivo. Ma quel giorno la strada per raggiungere la classe di un corso che avevano in comune si prospettava per entrambi notevolmente più lunga: chiacchierando senza sosta, Alex continuava a fermarsi, una volta per tirare un pugno sul braccio di qualcuno, un’altra per fare un complimento a una ragazza carina, un’altra ancora per raccogliere i fogli che continuavano a cadergli dallo sgangherato quaderno ad anelli che agitava nella mano.

Questo atteggiamento solitamente dava a Jack un po’ sui nervi, scattante e sempre in movimento per natura, ma anche lui non aveva alcuna fretta di entrare in classe: non aveva fatto i compiti e stava aspettando di ritirare i soldi che aveva ricavato scommettendo su sé stesso nella rissa che durante La Notte aveva scatenato e che, a quanto gli dicevano, aveva pure vinto. E ovviamente voleva incrociare Sylvie.

Quando si parla del diavolo..

Una chioma di capelli biondi era appena entrata nel campo visivo di Jack, ma stava svoltando per un altro corridoio; rapido nei riflessi, Jack strattonò molto malamente l’amico Fuffi e, ripassando mentalmente la planimetria dell’edifico, corse per circa metà scuola per riuscire ad arrivare davanti all’aula di Scienze prima di lei. Quindi, sfoderando la migliore faccia da sberle e tutta l’indifferenza che riuscì a trovare, le camminò lentamente incontro, spostando gli occhi pigramente da un lato all’altro del corridoio; arrivati l’uno davanti all’altra lui le andò addosso di petto e, con l’espressione estremamente dispiaciuta le disse – Oh, scusa Laxtelle, non ti avevo vista! Colpa mia, non mi aspettavo un nano da giardino in giro per il corridoio. -.

- Strano, neanche io ti immaginavo qui. Pensavo fossi a vomitare da qualche parte. Stomaco deboluccio vero? -.

- Pagliaccia - disse Jack, non riuscendo a trattenere un sorriso.

- Frocio - fece lei, sorridendo di rimando. Poi entrambi fecero qualche passo avanti, dandosi le spalle, quando il ragazzo si fermò di colpo, girandosi.

- Ah, Sylvie, dimenticavo… - e, quando questa si voltò verso di lui, Jack con lunghe falcate accorciò la distanza che li separava, le passò una mano dietro la nuca e l’altra dietro il fianco e la baciò con trasporto.

I due ragazzi continuarono a baciarsi, mentre il corridoio si riempiva di fischi e applausi; quando Jack si staccò le disse, con il sorriso storto e gli occhi che gli brillavano in maniera quasi indecente:

- Mi dovevi un bacio, Laxtelle. - quindi, con il cuore che gli batteva forte e la mente giusto un po’ più in alto di Urano, afferrò un Fuffi sull’orlo delle lacrime per la scenetta, e si diresse finalmente in classe. Intanto Sylvie, dopo essersi immediatamente privata di una ridicola espressione sognante, aveva cominciato a sibilare epiteti che sarebbe stato meglio vietare ai minori, e si stava molto impegnando per incenerire la schiena di Jack con il solo sguardo.

 

Non aveva potuto resistere, Sylvie era semplicemente stupenda.

Ovviamente agli occhi di tutti gli studenti che avevano assistito alla scena, Jack avrebbe potuto risparmiarsi la frase con cui era uscito di scena, ma ciò aveva solo contribuito a rendere il gossip ancora più succoso. Nel giro di un quarto d’ora, molti ragazzi pensarono emulare l’eroico gesto di spacconeria, mentre le fanciulle si divisero tra chi ebbe il desiderio di tagliarsi le vene con un cucchiaino per la disperazione, chi invece reagì con l’insorgere di istinti omicidi nei confronti di Sylvie Laxtelle.

In realtà neppure Fuffi, che conosceva bene Jack e gli era stato vicino durante la Tragedia (questo era il nome con cui aveva chiamato il periodo di fidanzamento tra i due ragazzi, ennesima dimostrazione del suo estremo tatto), riusciva a comprendere il motivo profondo di quel cercarsi, fuggire, gustare il desiderio di essere insieme e poi scappare di nuovo.

Stavano male se erano distanti, più di quanto avessero sofferto durante la Tragedia, e al ritorno daLa Gita erano pure stati vicini senza litigare per un tempo piuttosto notevole (neppure una volta si erano punzecchiati!), ma non si erano rimessi insieme.

Allora Fuffi aveva sperato che Jack avesse ascoltato l’altro suo consiglio, cioè di scegliersi un'altra ragazza da corteggiare, visto pure il cospicuo numero di pretendenti che l’attendevano in fila fuori dalla sua porta. Ma nonostante le suppliche e i tentativi di farlo ragionare, Jack continuava a sbavare per Sylvie Laxtelle, era uno zuccone, e non sapeva farci fare le ragazze.

O almeno non quanto me!” pensò Fuffi, senza poter fare a meno di sorridere con tenerezza vedendo l’amico che fissava una delle lampade sul soffitto come se questa si fosse appena trasformata in un panino al burro d’arachidi.

In verità, Jack non vedeva neppure il soffitto.

Era completamente perso nel pensiero di un certo paio di occhi scuri, belli e fieri, ma che era riuscito a piegare e che aveva visto arrendersi alle sue labbra. Quello che vi era riuscito a leggere, prima che questi tornassero controllati e alteri come sempre, gli bastava.

Lei lo amava, e lui la ricambiava con la stessa passione. Il bacio di quella mattina non era nient’altro che un modo per ricordare a quella peste con le lentiggini chi, fra loro, aveva vinto, e a chi lei doveva ricordarsi di pensare alla notte, prima di dormire, o quando ascoltava “Problems” dei Sex Pistols, o quando era felice, o anche quando aveva voglia di piangere.

Conoscendola, Jack non si sarebbe stupito nel vedere Max all’intervallo attenderla fuori dal corridoio, e lei sedersi sul banco davanti a lui, con un l’espressione strafottente e distaccata, ma questa volta il ragazzo non si sarebbe scaldato troppo. O forse sì. Beh, la rissa con il biondastro era solo da rimandare ad un momento più tranquillo: Max l’aveva guardata anche troppe volte a suo parere, specialmente quando lei era  rimasta senza pantaloni durante La Notte; ma non se ne sarebbe dispiaciuto troppo, in fondo.

Le cose tra lui e Sylvie andavano e sarebbero sempre andate così. Un lieto fine, probabilmente, li avrebbe annoiati davvero troppo.

 

“Well and I can see
there's something wrong with you
but what do you expect me to do?”

(Problems, Sex Pistols)

 

 

 

 

 

 

 

 Note dell’autrice

Il flashback tra Jack e Sylvie è un personale omaggio all’incasinatissimo “signor Alex D.”, personaggio che adoro, nonché mio ideale principe azzurro in anfibi e bicicletta, frutto della mente geniale di Enrico Brizzi, in “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” .

Non ho mai assaggiato un panino al burro d’arachidi, ma in tutti i film i ragazzi americani sembrano andarne matti, e il classico baskettaro quale Jack Weaston non è da meno.

Spero che la storia vi sia piaciuta (e che mi compatiate visto che molto di quello che ho scritto è esperienza personale!), e se è così il merito va certamente ad una persona speciale che ha avuto la pazienza di correggere le bozze e sopportare i miei sproloqui, a cui mi inchino e dico soltanto “Dinkleberg!”.

Baciii! =)

 

 

 

 

  
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