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Autore: _shesfearless_    09/04/2011    4 recensioni
Veronica Ann è costretta a lasciare New York: a Los Angeles esiste una via di fuga, un filo che, a detta dei medici, potrebbe tenere aggrappato il padre John alla vita. Ma cosa si nasconde tra le strade di quella nuova città, non è solo una speranza. E' la certezza che le cose possono cambiare, nonostante tutto, nonostante il mondo. Perché a proteggerla, da oggi in poi, c'è lui.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo, ahimè, è l'ultimo capitolo. Lo so, forse dieci sono pochi, ma credetemi, bastano per raccontare l'amore di un ragazzo verso la donna della sua vita, l'affetto di una figlia nei confronti di un padre, la storia che ho inventato e che voi avete con tanta gentilezza letto ed apprezzato. Spero possa piacervi anche la sua fine. :)

Passò l'intero weekend con la famiglia Jonas, rincasò solo la domenica sera. Era tardi, così si addormentò in soggiorno, sul divano; nel mezzo della notte sentì un forte frastuono: un temporale. Corse in camera e si rifugiò sotto le coperte, l'unico posto in cui si sentiva sempre al sicuro quando era sola; si riaddormentò fino alla mattina seguente. Scese in cucina, trovandovi le luci spente; il cuore iniziò a batterle forte. Sul tavolo, un biglietto scritto di fretta: 'Siamo in ospedale amore, stai tranquilla. Torniamo presto'. Mille colpi spararono come uno solo al cuore di Ann. Il padre era stato male e lei non lo aveva saputo. Chissà se già c'era ieri sera, o se è di stamattina. E poi perché non me l'hanno detto, perché non mi hanno cercata, perché? .. Papà è in ospedale! Ohmmiodio! Si rivestì svelta e corse fuori, verso l'edificio. Chiese all'infermiera dove fosse John e quando l'accompagnò da lui, vide la madre seduta su una seggiola scricchiolante davanti ad una porta, l'interno nascosto da una candida tenda.
« Mamma? » chiese ansimante.
Emily alzò il capo e iniziò a piangere. « MAMMA. Che.. che cosa è successo? » domandò correndole incontro.
« E' grave Ronnie. Più di quello che pensi, più di quello che pensano. Non sanno cos'ha. »
Le lacrime iniziarono a bagnarle il volto, svelte. Si sedette vicino alla madre e cercò di farsi forza. Scrisse un messaggio a Melody: 'Oggi non vengo, se Joe te lo chiede, non sai niente' e si mise in attesa con Emily; nessuno arrivò, nessun medico passò di lì per portare notizie, e nemmeno potevano vederlo da dietro quel vetro. Era come fossero in due mondi separati da un abisso, quella maledetta porta che più volte Ronnie fu tentata di aprire, fermata solo dalla madre e dal terrore di poter fare qualcosa di male al padre. Ma quell'attesa, quel dover aspettare invano qualcosa che nessuno sembrava intenzionato volerle dire, le spezzava il cuore. Voleva vederlo, stringergli la mano, parlargli. Ne aveva estremo bisogno. Ed era costretta a stare lì, inerme. Lo odiava. Passarono ore, nessuno si fece vedere, fino alla sera. Un medico dal camice bianco, un po' anziano, che già le due avevano conosciuto quando John era stato in cura lì, apparve dal corridoio. Balzarono in piedi, sia Ronn che Emily, lo guardarono e attesero ancora, finchè l'uomo non interruppe il silenzio.
« Il tumore è ripartito, in metastasi. Gli restano poche ore di vita ormai. Mi dispiace. »
Cadde a terra come una foglia gialla in quelle soleggiate giornate d'inizio autunno. Cadde e sbatté la testa, svenne. Dentro, dentro era morta. Trafitta da quelle parole che giravano in cerchio nella sua mente. Ripartito, metastasi, ore. Non aveva nemmeno la forza di piangere, di urlare, non aveva idea di cosa potesse fare. Si lasciò cadere tra le braccia della madre, rinvenne solo dopo diversi schiaffi, dopo aver sentito qualcuno chiamare il suo nome, qualcuno con la voce troppo simile a quella del suo papo. Lontano, un cellulare -il suo- squillava. Pallida si mise a sedere su quella sedia che non aveva lasciato dalla mattina. La madre in lacrime aveva risposto, bofonchiava qualcosa, non riusciva a capire cosa. Era ancora troppo scossa, la mente offuscata, le parole le aveva dimenticate. Tranne tre. Ripartito, metastasi, ore.
« Voglio vederlo. » chiese piano. Nessuno le diede retta, così urlò in mezzo all'ospedale: « VOGLIO VEDERE MIO PADRE! ORA! » Il medico la prese e la portò in una stanza, vicina a quella dove John consumava la sua fine. Le mise addosso una mantellina verde, da sala operatoria, le adagiò una mascherina sul viso, le infilò ai piedi due sacchetti di plastica. La riportò indietro e aprì piano la porta. Non era un bello spettacolo quello che si presentò alla vista di Veronica. Il padre giaceva inerme sul letto, attorniato da macchine. Garze sporche di sangue gettate per terra -un'operazione? quando era successo?- e altre pulite giacevano tutt'attorno; un tubo teneva John attaccato alla vita, assieme a delle flebo, a sacche di sangue. Il silenzio lì dentro era interrotto solo dai rumori meccanici. Richiuse la porta alle sue spalle, le lacrime come fontane lungo le guance. Ciao papo. e cercò una sedia, per potersi mettere al suo fianco. Gli prese la mano e pianse, come fece la prima volta che glielo strapparono via, quattro anni prima.
Perché? Perché papo? Perché adesso, perché così, perché? Io ho ancora bisogno di te, del mio papà. Ho bisogno di qualcuno che mi dica di non aver paura quando fuori c'è un temporale, ho bisogno di consigli, dei tuoi consigli. Ho bisogno di vederti ancora, di parlarti, di sentirti, di tenerti con me. Non puoi andartene via tra poche ore, no. Non puoi cazzo papà. No. Poche ore? Cosa vuol dire poche ore? Io ho bisogno di una vita intera, e nemmeno quella basterà prima d'imparare quello che ancora devi insegnarmi. Non lasciarmi adesso, non lasciarmi; non andartene via. Già ho dovuto fare a meno di te per quattro anni, e questi ultimi giorni sono stati i migliori della mia intera esistenza. Perché tu eri lì a viverli con me; c'eri quando sono scesa dall'auto e quando sono tornata a casa quel giorno, c'eri ad accompagnarmi sul tappeto rosso come ad un matrimonio, c'eri quando abbiamo deciso di fare la festa. C'eri fisicamente, ed è tutta un'altra cosa. Perciò ti prego Dio, se esisti, lasciamelo. Non te lo prendere tu. Lascialo qua, ho ancora un dannatissimo bisogno di lui. Del mio papo. E lui ha bisogno della sua bambina. Ti pr…
Encefalogramma. Piatto. E quella lacrima sul volto di John, che Ronnie raccolse. Pianse tutto il cuore, pianse l'anima. Da fuori la madre aprì la porta e corse ad abbracciarla, a stringere a sè l'unico ricordo che da lì in avanti avrebbe avuto sempre davanti agli occhi del marito. Restarono lì finchè il medico non entrò nella stanza, qualche minuto dopo, pregandole di uscire per permettergli di dichiararne ufficialmente la morte. Ronnie non volle separarsi da lui, fu difficile tirarla fuori dalla stanza. Si sedette, guardando il vuoto. Le lacrime scendevano autonome, nessuna parola, nessun sospiro, nulla. Solo dolore, rammarico, colpa. Si sentiva in colpa, perché quella sera non era stata lì con lui, era da Joe. In colpa perché non aveva potuto aiutarlo meglio, perché non si sentiva una brava figlia, in colpa.

Quasi non si accorse del suo arrivo, se non le avesse preso il volto tra le mani e non le avesse parlato con gli occhi. I singhiozzi spezzarono di nuovo il silenzio. L'abbracciò forte, più forte che mai. Restò lì con lei tutto il tempo possibile, senza lasciarle la mano. Rebecca era lì. Nonostante tutto, Rebecca era accanto a lei e con lei piangeva, con lei aspettava, con lei si disperava in quel muto angolo d'ospedale. Stava pensando a tutto: rispondeva ai cellulari, portava cibo e bevande calde, le raccoglieva le lacrime quando scoppiava a piangere. Passarono la sera sedute davanti alla stanza, in silenzio. Non chiusero occhio, nessuna delle tre, e fu Rebecca l'indomani a tenere informati amici e parenti a riguardo. Attorno alle sei, finita scuola, Melody piombò in ospedale.
« Mi dispiace Ronnie. » disse abbracciandola. Rimasero strette l'una tra le braccia dell'altra a lungo. Fu Joseph ad interromperle. Fino a quel momento, nemmeno ci aveva pensato Ronnie, che lui c'era. Non gli aveva scritto, non lo aveva messo al corrente di niente. Si era tenuta tutto per sè. Appena le si avvicinò, Ronnie gli si gettò al collo.
« Stai tranquilla piccì, ci sono qui io. Ma dobbiamo parlare. » Ronnie lo guardò spenta, e decise di seguirlo, qualche passo più in là.
« E non mi hai detto niente? Per tutto questo tempo? » le chiese severo.
Ann lo guardò sconvolta. Non aveva nessuna voglia di litigare con lui, per nessun motivo. Rimase in silenzio, guardando in basso.
« Ronnie. Perché cavolo? Perché?! »
« E cos'avrei dovuto dirti? Eh? Che mio padre che stava morendo? Che da oggi in poi l'unico posto in cui potrò vederlo sarà UN CIMITERO? Che non mi parlerà più, che non mi sorriderà più, che non potrò più passare giornate intere con lui? Scusa. Ho voluto proteggerti da tutto quello che era la mia vita prima di venire qui. Perché avevo bisogno di vivere con te come una ragazza NORMALE, avevo bisogno di qualcuno che stesse con me non per compassione, avevo bisogno di stare con un ragazzo con cui pensare 'Cavolo si, sono CON te', non 'Sono con te ok, ma mio padre sta morendo'. Lui stava bene. Lui stava BENE fino all'altro ieri. E oggi è morto. MORTO. E io sono SOLA. Scusa se non te l'ho voluto dire quando ero felice. Scusa se ho voluto pensare a me stessa. Scusa. Cosa devo dirti Joseph? » Le urla di Ronnie avevano interrotto ogni cosa lì dentro. Joseph aveva lo sguardo basso, cercando le parole giuste per rimediare a quella domanda che il suo stupido orgoglio da uomo non gli aveva impedito di fare. Si stava maledicendo, in tutte le lingue che conosceva. Poi alzò lo sguardo e vide l'unica ragazza che aveva mai amato in vita sua, aggrappata al muro di un ospedale, in lacrime.
Uscirono dall'ospedale tenendosi per mano; il funerale, l'indomani.

« Se qualcuno vuole aggiungere qualcosa. » Il sacerdote fece quell'invito alla folla numerosa che quel pomeriggio aveva raggiunto la chiesa per portare l'ultimo saluto a John. Ronnie si alzò dal suo posto e prese posto al leggio.
« Che dire, mio padre era un uomo splendido e tutti, tutti coloro che hanno avuto la fortuna e l'onore di conoscerlo, sanno di cosa parlo. Ti riempiva il cuore, ecco. Con un gesto, un sorriso, una parola, sapeva come farti cambiare umore, come farti stare bene, lo sapeva come i bambini sanno le tabelline. Era facile per lui affrontare la vita: padre, marito, un amico per me. Era un amico. Perché potevo parlarci per ore e sapere che capiva, capiva tutto. Quattro anni fa è iniziato il calvario, troppi interventi, troppi viaggi, troppo. Ma ha lottato. Fino a qui. Era riuscito a vincere, solo un round. Il migliore. Perché mi ha regalato gli ultimi istanti della sua esistenza. A me, che mi sembra di non averlo mai ripagato abbastanza. Ecco, mio padre mi ha regalato la sua vita e io spero di riuscire a farne tesoro. Solo che adesso lui non c'è più. Lui non è qui a dirmi di smetterla, che sono troppo smielata. Lui non c'è. Non c'è nessuno a proteggermi, non c'è nessun papo a proteggere la sua bambina. » la sua voce, strozzata dalle lacrime. Joe si alzò svelto e corse verso di lei, allontanò il microfono, ma tutti sentirono le parole che quel ragazzo innamorato sussurrò all'orecchio della sua unica vita.
« Piccì, faccio mie le parole di tuo padre. 'Te lo prometto sul cielo amore, da oggi in poi, ti proteggo io' ».


@xtoomuch ahahah e invece, l'ultimo capitolo u_u
@Joey24 grazie mille ** spero ti piaccia la fine :)
@heyesse mooonaca, tu sei troppo buona çwwwwç spero che ti piaccia anche questo chap :)

Ringrazio tutti quelli che hanno letto questa ff, e che l'hanno apprezzata anche se non è poi chissà che. E' stato un onore per me ricevere i vostri commenti e sono grata ad ognuna di voi, che avete voluto dedicare un po' di tempo a questa povera scema, che scrive storielle per il puro piacere di scrivere. Grazie ancora, e spero di rivedervi alla prossima <3
*perchè si, per vostra sfortuna, pubblicherò ancora :D
   
 
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