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Autore: Herit    10/04/2011    3 recensioni
Victor Stradivari è un giovane violinista di successo. Ha dalla sua un discreto fascino ed un carattere piuttosto altezzoso. Apparentemente frivolo, ha la fama del Don Giovanni bello e bastardo. Durante un concorso internazionale per una borsa di studio, la sua vita si incrocia con quella di Mark Violin: musicista pressoché sconosciuto nell'ambiente. E' proprio Mark a soffiargli la tanto ambita borsa di studio da sotto il naso. Una volta tornato nel conservatorio in cui studia, il Monteverdi di Londra, Victor è convinto che le strade sue e di quel "musicista da quattro soldi" non si incrocieranno più. Peccato che la Vita riservi parecchie sorprese...
E c'erano ricordi, in quella melodia. Un incontro fatto di sguardi penetranti ed astiosi. D'insofferenza reciproca e di sguardi lanciati di nascosto. Di risate fatte tra amici e di gelosie che avvolgevano il cuore come serpenti, iniettando il loro aspro veleno. Parlava di brividi, quella sinfonia. Quelli sollevati per lo scampato pericolo e quelli arrabbiati. Quelli provocati dallo schioccare di un bacio e quelli per la paura di perdere qualcuno di caro. C'erano nove mesi della loro vita, lì dentro. E li stavano offrendo al pubblico con il cuore aperto.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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10. Perché la Mattina sa di caffè-latte e baci al cioccolato.
 
I have to find a way to carry on
Oh, with the show!

    Si svegliò contro voglia, Victor. Aprì gli occhi pigramente, strusciando il capo contro il cuscino, allungando nel mentre un braccio a ricercare qualcosa che però non trovò accanto a sé. Percepiva, invece, un profumo acre ed invitante provenire dalla sua sinistra. Un profumo che sapeva di risveglio e coccole. Di mattine tutte uguali l'una all'altra, nell'ultimo periodo. Eppure tutte diverse. Aveva trovato una fuga dalla quotidianità che lo metteva di buon umore. Quelle giornate che prima sembravano susseguirsi tutte banalmente identiche le une alle altre, ora riuscivano ad assumere le tonalità della doratura delle fette biscottate e della cioccolata spalmata sopra alla superficie irregolare. E non solo lì. Anche su naso. Collo. Bocca. Aspirò ad occhi chiusi il profumo del caffè, decretando che sì, decisamente era ora di svegliarsi, prima di ritrovarsi nel mezzo di una scenetta tra moglie e marito. Si fissò per qualche breve attimo allo specchio attaccato all'armadio, constatando che il numero di macchioline rosse sul suo collo e sul suo torace era drasticamente aumentato. Così come ogni volta che Violin tornava da una visita. Non lo voleva mai con sé, quando andava ai controlli di routine. Probabilmente non voleva che sentisse quanto gli dicevano i medici. Ma si rendeva banalmente conto che non erano belle notizie quando il sorriso si stendeva tristemente sulle labbra dell'uomo. E quando facevano l'amore. Mark lo faceva con disperazione, senza lasciargli possibilità di scelta. Facendolo suo con foga. Forse paura. E lui aveva imparato che era bene non chiedergli nulla, nonostante quella paura avvolgesse anche lui.
    “Non siamo eterni...” Glielo aveva detto, una volta, nascondendosi contro il suo collo. E probabilmente si era trattenuto dall'aggiungere “ed io meno di tutti.” Se Stradivari ne avesse avuto la forza, quella volta avrebbe pianto. Ma era troppo codardo per ammettere di aver capito l'antifona. Violin si stava godendo quel poco che gli restava: ecco cosa voleva dirgli, così. Rabbrividì, Victor, al contatto con l'aria fresca che entrava direttamente dalla finestra della stanza. Quella stanza che non era sua, ma che aveva imparato a sentire come tale. C'era la sua divisa appesa ad una gruccia dell'armadio, accanto a quella dell'altro musicista. C'era la custodia del suo violino sopra la scrivania, assieme ai suoi spartiti. In un istante si rese conto che c'era più di lui in quel luogo, con la sua presenza caotica e marginale, che del padrone di casa stesso. Sembrava voler far dimenticare presto  la sua presenza in quei luoghi. Come se già una parte di lui non  ci fosse più. Rabbrividì di nuovo, Stradivari, come se la consistenza di quel pensiero gli avesse fatto cadere addosso un macigno troppo pesante. Afferrò frettoloso una camicia a caso dal pavimento. Che fosse sua o di Violin non importava. Se l'infilò velocemente, scoprendo solo una volta che l'ebbe addosso, che apparteneva al padrone di casa. Gli era grande in modo spropositato. Quella quindicina di centimetri di differenza, si faceva evidente così. Uscì dalla stanza con un broncio naturale, insofferente. Come chi ce l'ha con il mondo intero solo per il fatto che era stato tirato giù dal letto ad un orario improponibile. In realtà, quella era la sua naturale espressione appena sveglio in generale. Mark, già seduto al tavolo per la colazione, con il sole che entrava dalle grandi finestre del locale che lo baciava teneramente, aveva tutta la parvenza di una statua greca. Con quei capelli biondi che morbidi e setosi gli carezzavano gli zigomi avviluppandogli poi il collo, lunghi, brillanti di riflessi dorati formando un'aureola naturale attorno al suo capo. Con quella perfezione deturpata solo dalla cicatrice che gli fendeva completamente il torace. Una perfezione che solo la malattia avrebbe potuto intaccare. I muscoli scolpiti messi in risalto da un gioco di chiaroscuri. Era bello, il suo ragazzo. Di una bellezza apollinea e dionisiaca assieme. Nietzsche sarebbe stato contento di conoscerlo. Decisamente. Le labbra rosse e piene come quelle di una baccante ubriaca. La pelle abbronzata, mangiata dai raggi dell'astro diurno. Se fosse vissuto qualche migliaia di anni prima, avrebbe potuto pensare che i popoli ellenici avessero preso lui a modello per le loro sculture. Lo accolse con un sorrisetto ironico in volto, Violin. Divertito da quel broncio che stravolgeva i tratti morbidi del viso del compagno.  
    “Sei sceso dalla mia parte del letto?” Gli domandò allungandogli una fetta di pane biscottato già ricoperta da uno strato marroncino e denso. Ma Victor la rifiutò con un blando cenno della mano. Si sentiva strano. Non aveva voglia di cioccolato. Non aveva voglia di niente. Si sentiva stranamente più stanco del solito ed avvertiva una morsa poco piacevole allo stomaco. Come fosse un brutto -pessimo- presentimento.
    “Ho una butta sensazione.” Ammise sedendosi sullo sgabello innanzi a quello dell'uomo, afferrando la tazza di caffè che stava sorseggiando l'altro, restituendogliela poi vuota. Se c'era una cosa che gli faceva dare di matto, era che Mark non sembrava badare affatto a se stesso, nonostante la malattia. Non avrebbe dovuto praticare sport per evitare sforzi, e invece nell'ultimo periodo aveva giocato tutte le partite come capitano della squadra di basket nel torneo tra le scuole. Non avrebbe dovuto bere bevande contenenti caffeina per non sovrastimolare il cuore, e invece ogni mattina si alternava tra caffè e tea. Per quello che aveva capito, non avrebbe nemmeno dovuto fare del sesso, e qui lui si sentiva in colpa, perché lui non gli impediva mai di portarselo a letto.
    Lo sbirciò da sopra la propria tazza di caffè-latte con la miglior faccia arrabbiata del suo repertorio, suscitando nell'altro un divertimento silenzioso e spontaneo, mentre guardava i muri dell'orfanotrofio al di là delle finestre. Stradivari registrò per l'ennesima volta quell'espressione di assoluta malinconia che si impossessava di quegli occhi del colore chiaro del ghiaccio. E per l'ennesima volta si trovò a domandarsi che razza di persone dovessero essere i suoi genitori, per dare vita ad una creatura dalla pelle tinta del colore della sabbia, ed i capelli e gli occhi che avevano rubato l'anima del sole e del cielo più puri. Sospirò nel constatare l'ironia dei propri pensieri che prendevano sfumature terribilmente romantiche, quando si parlava di Violin. E fu come folgorato. Si alzò velocemente in piedi afferrando con pollice ed indice il mento del compagno, per baciarlo.
    “Grazie!” Fu un contatto veloce, perché subito dopo si distaccò, correndo rapidamente di nuovo verso la stanza da letto, chiudendosi la porta alle spalle e lasciando Mark esterrefatto. Basito. Tanto che dovette aprire e chiudere un paio di volte le palpebre perplesso. Però dovette ammettere a sé stesso che non aveva mai visto Victor Stradivari con un'espressione così... bella. Sorrise tra sé e sé l'uomo, appoggiando il mento sulla mano destra e fissando per qualche istante la porta della sua camera. La stessa camera dalla quale riusciva ad avvertire una leggera sinfonia suonata a violino. Che melodia soave. Fu un'espressione triste, quella che cercò di sedare quella felicità momentanea ben leggibile sul viso del musicista. Victor aveva capito. Victor l'avrebbe superato. Victor avrebbe potuto anche andare avanti da solo, da ora in poi. Scosse il capo riacquistando quel sorriso leggero e morbido che l'aveva accompagnato fino a quel momento, lavando velocemente i pochi piatti utilizzati per la colazione, infilandosi poi in bagno.
    
    L'urlo di puro entusiasmo emesso da Stradivari proruppe prepotente, spezzando la monotonia di quella placida e sonnolenta domenica mattina, facendo sussultare Violin, che se ne stava in ammollo nella vasca da bagno. Non sapeva nemmeno lui da quanto tempo se ne stesse lì, in quell'acqua resa torbida dal bagno schiuma del quale non era restato assolutamente nulla, se non il ricordo di sé in uno strato pallido che permeava a pelo dell'acqua. Doveva essere passato un bel po', però, da quando si era immerso, visto che era già passata la terza canzone del secondo cd dei Led Zeppelin che girava all'interno del suo I-pod. Si fece i complimenti da solo. Prendere il sonno con i Led non era certo impresa da tutti. Spostò perplesso ed indolenzito lo sguardo verso la parete che che divideva la stanza da bagno dalla sua camera, sbuffando per poi immergersi quasi completamente nel liquido, portando gli occhi verso quel soffitto così bianco da essere monotono. Se avesse potuto, quel bilocale l'avrebbe acquistato, dalle suore. Se avesse potuto, l'avrebbe completamente ridipinto di un azzurro pallido e limpido come il cielo d'estate. E con le piastrine bianche che costituivano il rivestimento del cucinino e la mobilia del medesimo colore, avrebbe avuto l'impressione di camminare sulle nuvole. Inoltre, avrebbe avuto anche uno dei putti di Raffaello tutto per sé. Lupus in fabula. I capelli castani e ricci di Victor fecero il loro ingresso nel bagno, portandosi dietro anche il proprietario, con in volto l'espressione più raggiante che gli avesse mai visto addosso. Gli occhi non troppo grandi leggermente socchiusi e le labbra incurvate completamente verso l'alto a formare un sorriso sincero. Ancora con la sua camicia addosso. Larga, enorme. Tanto che pensò gli sarebbe bastato un istante solo a sfilargliela di dosso. E lo fece. Non stette nemmeno a badare troppo alle sue proteste. Proteste che in breve, tra l'altro, sedò. Lo trascinò all'interno della vasca senza chiedere il permesso e senza stare a sentire quanto aveva da dirgli. Lo bagnò. Rise alle sue lamentele e lo fece suo. Ancora ed ancora. Tanto che l'acqua che avvertiva ancora tiepida contro la pelle qualche minuto prima, presto divenne fredda, rispetto ai loro corpi.
    “E pensare che la prima volta che ti ho infilato qui dentro era per farti calmare.” Ridacchiò Mark, riferendosi probabilmente a quanto accaduto diversi mesi prima, quando l'aveva spinto nella vasca così che si tranquillizzasse un po'. Si era reso conto troppo tardi di essere stato forse troppo brusco con lui e quella volta aveva cercato di riparare con un sorriso che aveva sperato essergli di conforto. Lo sbuffo dell'altro e quel bel color vermiglio che gli mandava a fuoco le guance, lo fecero però desistere dal fare altri commenti.
     “Non me lo ricordare. E' quel giorno che mi hai incastrato, maledetto! E se fai tutte le volte così, cominciamo a sembrare due conigli in calore.” Victor non aveva peli sulla lingua. Era una delle cose che gli piaceva di più in lui. Stretti in quella vasca, mentre gli lavava con calma i capelli, ritrovandoli lunghi e pieni, al tatto, Violin non poté fare a meno di notare un particolare sulla sua spalla destra. L'aveva già visto -sentito- ogni volta che lo possedeva o che gli passava le mani sulla schiena. Anche quando si limitava a baciarlo in quel punto. C'era una cicatrice piuttosto estesa che gli partiva dall'inizio del braccio, e terminava sulla scapola.
    “Ti crea qualche problema?- Gli domandò strusciando con il naso su quel segno che, agli occhi di un romantico qual'era, sembrava essere il gemello di quello che lui portava sul torace, all'altezza del cuore. -Chi te l'ha fatta?” Chiese ancora, passando sopra il suo capo con il getto della doccia. Il violinista in un primo momento non rispose, indietreggiando con la schiena e posandosi contro il petto del compagno, chiudendosi in se stesso. E Mark arrivò a rimpiangere quell'allegria di poco prima. Assieme alla bellezza dell'orgasmo che li aveva colti alla fine del loro amplesso. O a quel momento di ironia sana e divertita che aveva risvegliato l'altro.
    “No... nessun problema. Sei tu quello che rischia di restarci secco tra le mie braccia...- La voce del ragazzo tremò per un istante. Gli occhi bassi e le iridi coperte dalle lunghe ciglia scure. Gli afferrò le mani con le proprie, costringendo l'uomo a stringerlo in un abbraccio, quasi a rendere più veritiero quel pensiero. Quel timore. E deglutì a vuoto. A fatica. -E' stata mia madre. Quando ero in prima media. Ero andato da lei per fuggire dai miei nonni. Il giorno dopo avremmo avuto delle gare a scuola, e loro non volevano che partecipassi. Ero forte nella corsa, sai? Se mi fossi allenato, sarei stato un ottimo centista. Ma per i nonni... lo sport altro non è che un'immane cavolata. Per loro era importante che io diventassi un genio del violino. Ma mi sembrava di avertene già accennato, no?- Retorica quell'ultima domanda. Una misera scusa per chiudere per un attimo lì il discorso. Per riprendere fiato carezzando le mani del compagno con quelle dita sottili ed agili. -Mi ero rifugiato nell'appartamento di mia madre. Sapevo dove teneva le chiavi di riserva e tanto ero sicuro che fino alla mattina dopo non sarebbe tornata. Te l'ho detto, no? Era... è una prostituta... ed io mi ero sbagliato. Era tornata a casa con un uomo. Un cliente. Ed era ubriaca. Solitamente non si lagnava, quando mi trovava a casa sua. Ero suo figlio ed il solo fatto che sopportasse tacitamente la mia presenza senza scacciarmi, per me era fonte di gioia. Ma quella notte... quella notte, quando mi ritrovò raggomitolato tra le coperte, diede di matto e mi ruppe addosso una bottiglia di non so quale liquore. Ricordo che bruciò come se mi avessero gettato alcool puro addosso. Probabilmente, per ironia, forse fu proprio questo a salvarmi dall'infezione che avrebbe potuto seguire. Ringrazio il cielo che una vicina fu allarmata dal mio pianto e chiamò subito il pronto soccorso, altrimenti io ora non sarei qui.” Si sentì stringere le mani, Victor. Con forza, in un abbraccio caldo e piacevole. E si raggomitolò contro il petto del compagno, finendo inevitabilmente per far traboccare dell'acqua dalla vasca. Celò il volto nell'incavo formato dal collo e dalla spalla dell'altro, cercando un nascondiglio sicuro dal suo sguardo. Non voleva leggervi compassione. Non voleva fargli pena. Rimasero così per un tempo ridicolmente lungo. O forse troppo breve? Alla fine era piacevole starsene così, avvolto tra quegli arti forti senza far nulla più di quello.
    “Quanto è stato? Un mese fa?” Il silenzio venne rotto di nuovo da Mark che gli porse quella  domanda con tono vagamente divertito, lasciando libero Victor di voltarsi completamente verso di lui. Lo osservò inginocchiarsi tra le sue gambe con un'espressione perplessa in volto. Un'ingenuità bambinesca che probabilmente non era conscio nemmeno lui di dimostrare ancora.
    “Cosa?” Gli domandò allungandosi per afferrare lo shampoo che si trovava a ridosso della parete dietro all'altro per riservargli lo stesso trattamento subito poco prima. Gli piacevano i capelli di Violin. Erano morbidi e di una consistenza leggera, sottile, a differenza dei propri. Più spessi e mossi. Indomabili come un mare in tempesta. Aprì il coperchietto del contenitore facendosi sfuggire qualche imprecazione colorita dalle labbra. Davanti agli altri, impeccabile. Con lui, se stesso.
    “Quando mi hai chiesto da quanto ti sto dietro.” Spiegò Mark, andando a sbuffare dal naso. Si prospettavano guai per la sua povera testa. Ed osservava il barattolo dello sciampo con il timore che una vittima dedica al suo carnefice. Abbassò le palpebre con forza sulle iridi. Se Stradivari si fosse dimostrato sbadato come in tutto quello che non concerneva la musica, si sarebbe trovato senza un occhio, questo era poco, ma sicuro.
    “Non mi interessa più.” Borbottò Victor con voce poco attenta, concentrato piuttosto nel non far colare un quantitativo esagerato di schiuma sugli occhi dell'altro che per tutta risposta storse le labbra in un capriccio. Sapeva che non avrebbe resistito troppo. Se c'era qualcosa che aveva imparato del suo ragazzo, era che la sua curiosità era innata e vivace. Per questo era bravo nello studio e nella composizione di melodie che sapevano piacere alla gente. Perché scaturivano da quello che coglieva quell'interesse spasmodico per ciò che lo circondava e sui cui rimuginava a lungo prima di rielaborarlo e trasporlo in note. E lui nemmeno lo sapeva.
    “Non è vero.” E lui. Oh, lui adorava contraddirlo. Adorava le sue reazioni impensate ed impensabili. Apparentemente senza senso ed astruse, trovavano invece la loro vendetta perché sapeva come e dove colpirlo senza fargli eccessivamente male. E la vendetta calò inesorabile. Calò con quel frizionargli i capelli con forza senza l'accortezza dimostrata poco prima nel badare a che la schiuma non gli entrasse negli occhi. E gli venne da ridere, perché era divertente punzecchiarsi così.
    “Dimmi, dai. Tanto so che muori dalla voglia di farlo.” Sbuffò Stradivari , passandogli le mani sciacquate sugli occhi per pulirglieli dalla schiuma che era colata fino a li. Passò le dita sulla pelle delle guance di Violin senza pensarci quasi, sentendo le puntine della sua barba solleticargli i polpastrelli. Se lo immaginava bene con un po' di pizzetto addosso. E gli corse un brivido lungo la schiena, quando colse il sorriso malizioso di Mark. Ghigno che non preannunciava nulla di buono.
    “Non che non ho voglia di farlo. Altrimenti il mio ragazzo mi dirà di nuovo che sono un coniglio in calore.- Commentò con tutta l'ingenuità che era in grado di tirare fuori, finendo per ritrovarsi addosso il getto -gelato- della doccia, che lo costrinse a trattenere per qualche istante il respiro. Rise, l'uomo. Rise sinceramente divertito nel vedere la faccia rossa ed imbufalita di Victor. Quella calma serafica ed ironica, solo lui era in grado di mandarla in pezzi e se ne compiaceva. -Tu mi vuoi vedere morto..!” Lo sgridò, senza rendersi conto di quale effetto devastante potesse avere quella dichiarazione sul violinista che gli tirò addosso il getto della doccia, alzandosi di scatto ed uscendo dalla vasca furente.
    “Idiota!” Se lo sentì urlare dietro dalla stanza adiacente. Probabilmente Stradivari ci si era chiuso dentro per cambiarsi e Violin sbuffò, uscendo dalla vasca, rassegnato. Non avrebbe mai potuto pensare di suscitare nell'altro una reazione simile per una battuta per lui innocua. Afferrò un asciugamano strofinandosi i capelli e lanciando di quando in quando lente occhiate alle gocce d'acqua che il compagno aveva lasciato dietro di sé, nella sua clamorosa uscita di scena. Che ironia. Lui aveva smesso di preoccuparsi della morte tanti anni prima, quando aveva fumato la sua prima sigaretta, appena dodicenne. Aveva solo ringraziato il cielo che non gli fosse mai piaciuta la puzza di tabacco che gli lasciava sui vestiti. Sarebbe stata una cosa in meno cui avrebbe dovuto rinunciare una volta morto. Fissò lo specchio sopra il lavandino. C'era un ragazzo biondo dalla pelle di un bel color caffè-latte a ricambiare le sue attenzioni. Due occhi chiari che in quel momento non lasciavano trasparire alcuna emozione. Come se il ghiaccio di cui sembravano essere composti, li avesse congelati del tutto. La cicatrice che aveva sul torace si mostrava più chiara rispetto al resto dell'incarnato, visibile come il segno di una maledizione sul suo corpo. Con forza gettò l'asciugamano contro il vetro, come per eliminarla dalla sua vista e dal suo cuore. Come chi spera basti un colpo di straccio per cancellare tutto. Passato. Dolore. Un futuro che non si è più in grado di accettare. Lo fece con rabbia. E dopo tanto tempo arrivò a desiderare di non dover più morire.









Spazio autrice:
Premetto che credo sia un miracolo se oggi sono riuscita ad aggiornare °-°" Ma non starò a spiegarvi il perché.
Ecco a voi una scena di vita più o meno quotidiana in cui si viene a sapere anche l'ultimo altarino di Vic *-* (Sì, come se non fosse abbastanza sfigato di suo, direte XD)

Ed ora la risposta alle recensioni (8)
_Primavere rouge_ Sono felice che l'incipit ti sia piaciuto *-* E sono soprattutto contentissima di sapere che, anche se la storia è ormai alle battute finali -un altro capitolo lungo lunghissimo e poi l'epilogo-, riesce comunque ad attirare nuovi lettori *A* che dire? Che mi hai fatta davvero felicissima *Q* Quella è una delle frasi che preferisco, sia per il contesto in cui l'ho inserita, sia perché la sento molto mia ^w^ Le sono particolarmente affezionata e mi ha colpito che tu l'abbia notata ^^ Grazie anche per aver inserito la storia nelle seguite :) Spero lascerai un commentino anche più avanti :3

_Nonna Papera_ Awwwwh! *_* Capitolo intenso <3 Capitolo meraviglioso <3 *Gongola* Mi fa piacere sapere che nonostante il piccolo arresto che stava prendendo la storia, ti piaccia comunque come si sta evolvendo :) Per quanto riguarda il tuo dubbio atroce... dovrai aspettare il prossimo capitolo, mi spiace, ma non voglio sbilanciarmi ^w^

_Red Leaves_ Te l'ho già detto che io ti adoro? No? Sì? Bah, ripetere non fa mai male. Io. Ti. Adoro. v_v Sallo v_v

_Yuko Chan_ Anche a te rispondo come alle nonnina qui su: aspetta il prossimo capitolo, ed avrai la risposta (positiva o negativa, s'intende) al tuo slancio di follia. Intanto spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto *_*

_My Pride_ Per l'eccesso di zucchero, incolpa pretty woman! *Addita cattiverievolmente il film* La scena del pianoforte è cortesemente ripresa da lì, ma trovo che con la citazione e lo scorrere della storia, fosse azzeccata XD Anche qui lo zucchero si spreca, però ._. Accie per la recensione :*


Un bacio a tutti :****
   
 
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