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Autore: purepura    10/04/2011    1 recensioni
«Vattene di qui, finché sei in tempo»
«Vieni con me, finché sei in tempo. Finirai per dimenticarmi, così come io dimenticherò te»

(19/11/11)
E' stata ritrasformata in una storia completa. Non verrà continuata come invece era in principio nei miei piani. Chiedo scusa.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fredda e Consumata

    In un eterno arrangiare di tuoni e lampi, la porta si richiude dietro di lei.
    Il cappuccio è fradicio, ma non credeva che sarebbe stata in grado di correre così veloce.
    «E’ solo l’adrenalina, ragazza. Prima o poi svanirà anche quella e tu morirai. Aspetta solo che ti trovino»
    Poche ore prima si era domandata come quell’uomo avesse potuto capire all’instante da chi stesse scappando. L’aveva guardata, passandole un piatto colmo di zuppa fumante, e poi aveva ghignato. Forte, tanto da spaventarla.
    «Di puttane come te ne ho viste» aveva detto. «Ma diavolo, tu le batti tutte!»
    Quell’uomo non sapeva nulla di lei, nemmeno il suo nome, ma c’era qualcosa negli occhi del vecchio che aveva reso a lei impossibile sfuggirgli. Sino a che, perlomeno, non l’aveva agguantata per un polso; i suoi occhi glaciali l’avevano deconcentrata più volte, mentre i gemiti e il sesso la trasportavano lontano.
    Era un’arte, quella, che lei non avrebbe mai dimenticato. E ogni volta le sembrava sempre più normale, più giusto che gli altri le facessero tutto quello. Restava sempre più immobile, anche quando sentiva troppo male. Le avevano insegnato a sopportare.
    «Che cosa fai in giro, allora? Potresti guadagnare barche di soldi solamente togliendo le mutande qualche volta a settimana»
    L’uomo aveva riso ancora. Era insopportabile.
    Era stato allora che aveva pensato di andarsene. Mentre l’uomo era lontano, era scivolata via da quel groviglio di stracci e mantelli di lana per poi iniziare a correre.
    Aveva dimenticato lì le sue misere cose.
    Ringrazia il cielo di avere ancora indosso il suo mantello. Era stata l’unica cosa che lui non le aveva tolto mentre era intento a percorrerla febbrilmente, incastrata e inerme, e a costringerla a una danza nuova, imminente assalto di sviate virtù.
    Raggiunge il fondo di quell’edificio per poi lasciarsi cadere a terra, il mantello a coprirla del tutto. È stanca e vorrebbe solo addormentarsi, ma sa che non è ciò che deve fare. Presto i cani saranno dall’uomo, e poi lì, in quel luogo che ha scoperto essere una chiesa grazie all’enorme crocifisso teso dinnanzi al suo sguardo.
    Odia le chiese. Odia tutto ciò che si possa dire comune. Anche le puttane sono comuni, ma per lo meno non così apprezzate.
    In ogni caso, non si è mai definita una puttana. Non si è mai fatta pagare! Ciò basterebbe ad escluderla dal circolo vizioso della prostituzione. Aveva sempre creduto che il suo corpo fosse destinato ad essere posseduto. Aveva sempre fatto in modo che accadesse, lentamente e delicatamente quanto velocemente e rudemente, e non le era mai importato il dopo, il chiedere il denaro o il rammentare il nome o il volto di uno dei qualsiasi banchieri o avvocati di turno che con lei volevano rinunciare alla loro rispettabile facciata. E solo il cielo sapeva se alla fine non lo facessero. Se il loro desiderio non venisse esaudito. Ma senza denaro. Di quello lei non aveva bisogno.
    Solo una volta – rammenta poggiando una guancia sulla lieve pietra liscia e fresca – ha conosciuto il nome di uno di quegli uomini. Poi lui se la scopò, la usò e la denunciò, e ora le è alle calcagna, ma lei stessa non può non ammettere con se stessa di averlo amato. Non avrebbe mai dovuto farlo. Questa era una delle poche regole che si era imposta: mai innamorarsi di uno di loro. Ma lui era così bello, e così buono. Le aveva parlato – il primo e l’unico – e l’aveva fatta ridere. Nessuno la guardava mai. Tutti scappavano troppo in fretta per poter essere anche solo studiati.
    Si desta all'improvviso, con i suoi occhi dolci ancora impressi nella mente, e si guarda intorno. Quanto tempo è stata lì? Ormai devono essere vicini, lo sa. Ma ha sonno, e freddo.
    Ancora qualche minuto si dice. Qualche minuto e me ne andrò.
    E mentre ancora le nubi del sonno la sovrastano, confondendo sogno e realtà, sente le sue mani possenti, sicure, prepotenti. Sente il suo corpo e la sua voce chiamarla. Rammenta i suoi baci, le carezze, il suo volto.
    E poi, il freddo volto etereo della luna…

   

    «Svegliati!»
    Fa più freddo di quanto ricorda. Si desta di nuovo, nel giro di pochi secondi, certa di ritrovare il crocifisso e di sentire il sonno gravarle sugli occhi. E invece si scopre vigile, tramortita, e assolutamente in confusione.
    Non riconosce quella stanza come qualcosa di già visto. Dov’è? Con chi è? Perché quella voce non l’ha sognata.
    Ma che sia lui, che le parla così, come tutti gli altri?
    No. Ora ne è certa; ora che perlomeno ha alzato la testa e scrutato verso l’ombra che la sovrasta.
    Non lo vede in viso, ma non crede nemmeno che se ne avesse la possibilità lo vorrebbe vedere.
    Sente un dolore acutissimo alla testa e stringe gli occhi per un istante; ignari alle sue proteste, iniziano a lacrimare. Ora prova a trarsi più su. Vorrebbe mettersi seduta, coprirsi, capire dove si trovi, domandare a quell’uomo chi sia.
    Regola numero due: non domandare nulla.
    Le sue stesse regole finiranno per mandarla in confusione.
    «Resta giù»
    Il tono non è gentile. È invece burbero, minaccioso, e subito dopo mani poco delicate la sospingono di nuovo su quel duro pavimento.
    «Sei ferita. Lascia almeno che ti fermi l’emorragia»
    Non nota quella gentilezza. Non subito. Si concentra invece sul tono burbero e sulla spinta appena ricevuta.
    Ma chiunque sia, si rende conto poi, vuole aiutarla.
    Così docilmente resta sdraiata. Chiude gli occhi per non vedere, ma sente le mani dell’uomo – lisce e quasi delicate – che armeggiano vicine al suo ombelico e poi salgano direttamente alla testa, da dove proviene il dolore, senza soffermarsi su nient’altro.
    È come se non vedesse le sue forme.
    Non ci vede pensa. «Lei è cieco?»
    «Hai prospettive troppo alte, temo. Non lo sono, ma non desidero nulla»
    Lei non risponde, ma rimane immobile, più rigida di prima.
    «Dove sono?» domanda. Ha già rotto una regola in passato. Tanto vale che ne infranga un’altra.
    «Al sicuro»
    «Con lei?»
    «Non sai nemmeno chi sono»
    «E lei sa chi sono io?»
    «Certamente. O non avrei sorpassato il tuo seno»
    «Quindi non palpi solamente la gente che conosci? Che uomo squisito»
    «Non che debba a te delle spiegazioni, visto e considerato che ti ho salvato la vita, ma per futura informazione il concetto che volevo esprimere era che, conoscendo la tua storia e ciò che hai passato, anche se avessi voluto… » si ferma. Ma che gentiluomo!
    «Scoparmi, sì. Vai avanti»
    «Ecco, non l’avrei fatto». C’è un attimo di silenzio. Poi riprende a parlare. «Io conosco l’uomo che ti sta cercando»
    «Questo dovrebbe farmi sentire più al sicuro?»
    Con uno scatto della testa, che le costa parecchie fitte, allontana la mano dell’uomo. Lui la lascia fare, senza scomporsi.
    «Non voglio farti del male. Voglio solo aiutarti»
    «Sai un modo più rapido e indolore? Lasciarmi andare via»
    «Ma andare dove? Sei braccata, Letizia»
    Adesso è veramente spaventata. Da anni non usava più il suo nome, da prima che iniziasse tutta quella faccenda nella Penisola Iberica.
    Si tira su troppo velocemente. La vista annebbiata, la testa che gira furiosamente, è in piedi in meno di un secondo; si appoggia alla parete dietro di sé, completamente nuda e dolorante, e fa una ventina di passi indietro. L’uomo è rimasto immobile. Anche lui in piedi, non tenta di avvicinarsi.
    «Chi diavolo sei, tu?»
    Spera che la sua domanda risulti minacciosa, ma si rende conto subito che è solo fiacca e stanca. Non è riuscita ad alzare nemmeno di una misera ottava il tono della voce.
    «Questo non importa»
    «Oh sì, cazzo! Conosci il mio nome. Nessuno conosce il mio nome»
    «Non sono nessuno che tu conosca»
    «Ma tu conosci me, accidenti! O non mi avresti chiamata per nome»
    «Questo non importa» ripete. «L’essenziale è che tu smetta di sanguinare. Per favore, fatti aiutare»
    «No! Dimmi chi cazzo sei e forse mi avvicinerò»
    «Se conosco il tuo nome, non posso essere nessuno di minaccioso, no? Rifletti! Se avessi voluto farti del male, l’avrei già fatto. Sei stata inerme per ore. Voglio solamente aiutarti, curarti e darti qualcosa da mangiare»
    «Perché?! Perché diavolo vorresti?»
    Sente l’uomo sbuffare. Intravede la sua figura voltarsi. Una mano corre fra i capelli. L’altra è all’altezza del viso, forse sulle tempie, o sugli occhi.
    «Tuo fratello* me l’ha chiesto, d’accordo? Adesso ti farai aiutare?»
    «Mio… Mio fratello è morto»
    La sua voce si spezza.
    «No. Così ti hanno fatto credere, ma non lo è. Ti sta cercando, e ha mandato me»
    «E’ stato lui a dirti il mio nome?»
    «Sì. Adesso ti prego. Sanguini»
    Lei chiude gli occhi, socchiudendo le labbra.
    «E’ stato lui» mormora poi. Non l’ha mai rivelato a nessuno, ma se quest’uomo è stato il primo a non soffermarsi sulle sue nudità, in qualche modo dovrà pur essere diverso.
    «Come dici?»
    Lei ride e solleva la testa verso l’alto.
    Ondeggia pericolosamente, ma l’uomo è già al suo fianco. Si lascia toccare, si lascia stringere e poi trasportare a terra, mentre ancora la risata riecheggia in quel luogo.
    «Mi disse: ‘Sei cresciuta per questo scopo. Devi soddisfarmi’. E da allora ci credetti, da brava stupida»
    «E lui ti sfruttò…»
    «Sì. Sino a che non mi obbligò ad abortire il mio bambino. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Scappai, cambiai nome e mi trasferii lontano, finché anche questa vita non è andata a puttane. Ora sono ricercata con l’accusa di…»
    Un rumore forte distoglie entrambi da quel racconto.
    «I cani» sente mormorare. «Merda!»
    E in men che non si dica si ritrova coperta, stretta e abbracciata. Corrono, e lei non sente la fatica.

   

    «Lo sai che non so come pagarti, sì?»
    Ed eccoli entrambi settimane dopo, appartati in un bar della periferia di un’anonima cittadina. Dall’altra parte del marciapiede, il porto, con gli attracchi e il rumore di folla e gabbiani.
    «Perché pensi che io voglia del denaro?»
    «Mi hai salvato la vita»
    «Questa non è una risposta»
    «Mi hai pagato i biglietti»
    «Questa è una risposta. Ma non voglio niente, non dopo che tuo fratello mi ha raggirato per bene per farmi fare i suoi comodi»
    Distoglie lo sguardo da lei.
    «Sì che vorresti qualcosa» ride. «Ma non lo ammetteresti mai, prima di tutto con te stesso»
    «Ammettere con me stesso di volerti portare a letto non è così difficile. E anche ammetterlo con te non lo è, perché so che lo faresti pur di esprimere la tua gratitudine e ripagare il tuo debito»
    «Quindi vuoi che lo faccia?»
    «Io non l’ho detto»
    «Ma lo pensi»
    «No. E poi perderesti la nave»
    «E’ solo per l’ora? Possiamo fare in fretta. O potresti venire anche tu»
    Lui scuote la testa.
    «Vattene di qui, finché sei in tempo»
    «Vieni con me, finché sei in tempo. Finirai per dimenticarmi, così come io dimenticherò te»
    «E pensi che quello che mi stai proponendo rafforzerà il tuo ricordo? Vattene» ripete.
    «A me non costa nulla»
    «Perché per te non ha un valore, ecco perché non ti costa»
    Ora l’uomo si alza, lasciando due banconote da cinque sul tavolino. Si dirige alla porta, senza aspettarla.
    Con fatica anche lei si alza e lo insegue. Camminano per un po’ in silenzio, l’uno di fianco all’altra.
    «Non è vero che per me non ha un valore. Non sono quella che credi tu»
    «Io non ti conosco»
    «Ma vuoi portarmi a letto ugualmente»
    «Non l’ho mai detto»
    «Ma io lo so che è così. Ho mio fratello e l’uomo più influente della costa ovest del Portogallo che mi stanno dando la caccia, perciò per favore: non comportati come un moralista del cazzo»
    «Tu non capisci proprio niente! Come credi di potermi giudicare, se io non conosco te e tu non conosci me? Io non intendo…»
    Che intendesse o meno, ora la sta baciando con incredibile trasporto. E lei si rende conto di adorare questo suo modo di fare, che sembra disinteressato ma non lo è per niente. Lei gli è sbattuta contro, ma ora lui la tiene stretta. I loro corpi a contatto emanano calore.
    «E allora? Adesso mi scoperai o vuoi farti pregare?»
    Lei non conosce un modo diverso di esprimere affetto. Conosce solo questo genere di passione.
    La parola scopare non è volgare per lei. È semplicemente naturale. Fa parte del suo linguaggio.
    «Non posso approfittarmene» dice l’uomo, allontanandosi.
    «Ti assicuro che non lo stai facendo. Questo è l’unico modo che ho per ringraziarti»
    «Un semplice grazie di solito ringrazia»
    È ancora più lontano da lei, ora, girato dall’altra parte e con lo sguardo rivolto al porto.
    «Non dalle mie parti. Per favore»
    «Vattene» si trova a ripetere. «Santo cielo, cosa stai aspettando? Io sto rischiando, e tu con me! Pensi che tuo fratello sarà contento? Hai idea del motivo per cui mi ha mandato a cercarti?»
    Solo una carezza. È tutto ciò che lui le darà.
    «Sei uno stupido»
    «Sei una puttana»

   

    Il vento le scopre una gamba. Le lenzuola sono troppo fresche; sanno di pulito, di disinfettato, di giornate passate al sole. A fianco a lei, lui dorme. Si alza in fretta, abbandonando quel giaciglio caldo. Non sopporta di rimanere lì un secondo di più. Non merita quelle lenzuola. Non merita quell’uomo.
    «E adesso dove te ne vai?»
    Non credeva di aver fatto tanto rumore. I suoi passi leggeri si fermano.
    «Dormi» mormora. «Me ne vado»
    «Adesso che sei a posto con te stessa?»
    «Siamo a posto entrambi. Ti ho dato quello che volevi»
    «Io non ho mai detto di volerlo»
    «Avresti allora dovuto fermarmi»
    Sente il fruscio delle lenzuola, poi lui è accanto a lei.
    «Letizia…»
    «Lasciami andare! Non fare così»
    «Così come?»
    Non dimostrare di tenerci…
    «Lasciami»
    «Un’ora fa avresti voluto che ti seguissi. Cosa è cambiato?»
    «Scopi male»
    Lui ride.
    «Che patetica patetica persona. Ammetti tu, questa volta, una cosa: che sei così fredda e consumata da non riconoscere nemmeno questo»
    «Questo cosa?»
    Un altro bacio, a cui lei non può sottrarsi.
    «Io e te e basta. Non costringermi a lasciarti, adesso. Tu mi hai costretto a capire di amarti. Ora non puoi tirarti indietro»
    «Non posso?»
    «Non te lo permetterei»
    «Ma che cosa avrai visto mai, sentiamo. Questo era solo lavoro. Niente di diverso da quello che ho fatto per anni»
    «Oh sì che lo era, diverso. Tu lo sai quanto me»
    «Potranno ritrovarmi in qualsiasi momento. E se non ti vedrà tornare, anche mio fratello…»
    «Io sono morto, ricordi? Tutti lo credono. E tu prenderai questa nave sotto un altro nome, un nome che nessuno ha mai sentito. Mi basterà fare la stessa cosa»
    «Non è quello che vuoi. Io non sono…»
    «Non mi importa. Come non avrei mai voluto seguirti, ore fa. Ma adesso…»
    «Sai che non ti amo»
    «Bugiarda. Ammetti di essere bugiarda»
    Lei scuote la testa. Si sottrae alla sua stretta e si avvia alla porta.
    Regola numero uno: mai innamorarsi di uno di loro.
    «Sei solo uno dei tanti. Vattene»
    Chiude la porta, senza guardarsi indietro.

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Ogni fatto narrato non corrisponde alla realtà, ma solo alla mia immaginazione, e ogni persona qui presentata era maggiorenne e consenziente.

Salve!
Questa cosa deve essere spiegata. Vedete, è iniziato tutto ieri pomeriggio. Non volevo studiare, non volevo dormire, e così ho aperto una nuova pagina Word e non ho più smesso di scrivere sino alle undici e mezzo. Poi ho continuato questo pomeriggio, invece di studiare, e sono riuscita a ultimarla e a postarla.
Non credevo che sarei arrivata a narrare di fatti simili. Non sapevo nulla. Credevo che sarei arrivata a postare la solita Drabble senza capo né coda, davvero! ^^
Forse la trama non è così chiara. Se c’è qualcosa che non capite, chiedete pure. È veramente ricca di eventi e antefatti per essere compresa a pieno. E temo di non aver sviluppato come meritava di essere sviluppato il rapporto uomo/Letizia. È stato forse volutamente lasciato vago e inconcluso.
Anche la caratterizzazione è molto misera. Questo perché non credo di essere brava. Come tipo di narrazione e come contesto non trovo appigli per descriverli caratterialmente. Dovete scusarmi.
Solo alcune precisazioni:

*Fratello non è inteso in senso letterale. Niente incesto. Si tratta di due orfani cresciuti nel medesimo orfanotrofio.
- Il Portogallo fa parte della Penisola Iberica. Diciamo che questa parte presentata, che narra solo l’antefatto, si svolge in Portogallo. Non ho precisato dove, ma solo la zona geografica, ossia quella più a ovest, che confina con l’Oceano Atlantico.
- Inizialmente, quando lei si sveglia e incontra lui, sente che lui le parla in modo brusco. È più una sua percezione, che la realtà delle cose.
- C’è un passaggio che forse può sembrarvi confusionario. Alla insistenza di lei, si contrappone inizialmente la reticenza di lui sul fattore: portami a letto così siamo pari. Dopo l’incontro (l'incontro sessuale, ecco, per capirci), le cose si ribaltano. Entrambi hanno capito molte cose, ma se prima lui non voleva ammetterlo e lei non se ne era quasi resa conto (aveva però proposto a lui di seguirla lontano), ora lui lo ammette apertamente e lei è nella fase della negazione. Se ne va perché teme di dover rivivere di nuovo ciò che ha sopportato con il secondo uomo che ora le sta dando la caccia, uomo che lei dice è influente, importante e a cui lei ha fatto qualche torto.
- E per ultimo, il Rating. Non ho scritto scene di quel genere apposta, per ciò non mi sento di mettere il Rating massimo. La storia dava moltissime possibilità per integrare scene di quel genere, ma non ho voluto. Però, sta di fatto che le tematiche sono pesanti, o quanto meno molto esplicite.

Spero sinceramente che sia piaciuta, anche se ammetto io stessa che sia lunga e complicata. ^_^

  
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