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Autore: Jack_Alone    10/04/2011    4 recensioni
È la mia prima FanFiction, quindi spero mi scuserete gli errori o le incomprensioni. Ho cercato di immaginare la vita di Dave dopo il liceo. È ovvio che io non sappia niente di vita militare, spero mi scuserete gli errori.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dave Karofsky
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Dave, è arrivata la posta da casa”
Dave si riscosse dal torpore pomeridiano. Cinque mesi nel deserto e ancora non riusciva ad abituarsi al caldo. La posta arrivava una volta a settimana, quando erano fortunati. Ma lui non aveva mai ricevuto niente. I rapporti con la sua famiglia erano complicati, a dir poco. L’ultimo ricordo che aveva di suo padre erano i suoi occhi pieni di delusione. E sua madre che, appoggiata alla spalla del padre, piangeva e sembrava non potersi fermare. In ogni caso, si alzò dall’amaca su cui stava riposando e si avviò verso la jeep appena arrivata, giusto per fare qualcosa. Ma, arrivato nei pressi della jeep, lo colpì una sensazione strana. Più si avvicinava e più sentiva nello stomaco il desiderio di voltarsi e scappare, scappare verso il deserto e non voltarsi indietro. Non capiva cosa gli stava accadendo, cominciò a sudare freddo. Pensò di stare per avere un colpo di caldo, così fece per girarsi e tornare nel fresco del dormitorio, quando uno dei suoi commilitoni lo chiamò: “Dave, c’è una lettera per te”
Dave si girò lentamente: non voleva quella lettera. Qualsiasi cosa ci fosse scritto, lui non voleva leggerla, non voleva neanche tenerla in mano. Ma il commilitone gliela cacciò in mano, guardandolo di sbieco per il suo comportamento strano. Con mani tremanti, aprì la busta e tirò fuori un unico foglio, scritto da un solo lato. Erano poche righe:
 
Caro Dave,
So che non mi conosci. Sono il fratello di Jake. Circa cinque mesi fa ho ricevuto una lettera di mio fratello in cui mi pregava, nel caso gli fosse successo qualcosa, di scriverti e dartene notizia. Due settimane fa abbiamo ricevuto la notizia della morte di Jake, colpito a morte da un cecchino. Mi dispiace.
Matt
 
Dave sentì il mondo crollargli sotto i piedi. Alzò gli occhi dalla lettera, ma non riconobbe niente attorno a sé. Tutto gli sembrava confuso, sfuocato, e capì che erano lacrime quelle che sentiva scorrere sulle guance. Tornò a guadare la lettera, ma non capiva quello che c’era scritto. Jake? Morto? No… Non aveva nessun senso. Era impossibile. Non poteva morire. Non Jake. Il suo cuore cominciò a battere sempre più velocemente, il suo respiro si faceva sempre più corto. Tutto cominciò a girare, sentiva perdere ogni appiglio con il mondo stabile, gli sembrava che non ci fosse più nord, sud, né sole o luna. Solo lui e quella lettera che stringeva nel pugno. Appoggiò le mani sulle ginocchia e cercò di riprendersi, cercò di calmarsi. Forse avevano sbagliato. Dovevano aver sbagliato. Non poteva essere Jake, il Suo Jake non poteva essere morto. Non riusciva ad immaginarselo freddo e inerte in una bara di legno avvolta dalla bandiera. Non era così che doveva finire. Non era così che doveva andare. Jake era buono. Era lui, Dave, che doveva morire, colpito da un cecchino senza nome, lasciato a marcire sotto la sabbia di un anonimo deserto. “Dovrei esserci io in quella bara” pensò. “Sono io quello che ha incasinato tutto, sono io quello che è dovuto scappare da casa per…” Come un treno in piena corsa, il ricordò degli ultimi giorni a casa entrò nel suo cervello ormai senza più difese. Dave non aveva la forza per lottare contro l’ennesima malignità della sua testa, così decise di assecondarla. Si abbandonò al suo dolore, si circondò di esso e, infine, ritornò a tre anni prima. La morte di Jake gli aveva ricordato un’altra morte, che aveva sepolto nel profondo. In quei pochi attimi, al limitare del campo, la rivisse tutta. Ogni singolo istante di quella morte, così diversa, eppure così uguale a quella di Jake, si affacciò prepotente nella sua testa.
 
 
Dopo tre anni, ricordava ancora il giorno esatto in cui Kurt era ritornato al McKinley. Subito dopo le vacanze di primavera, capì che c’era qualcosa di strano quando, salendo le scale che portavano all’ingresso della scuola, vide i tizi del Glee Club parlare concitamente vicino l’armadietto che era stato di Kurt. Si avvicinò con discrezione, ma quando era ancora troppo lontano per sentire cosa dicevano, Finn e Sam si staccarono dal gruppo e gli si fecero incontro. Appena i due si erano avvicinati, aveva potuto vedere che erano tutti intenti a salutare Kurt. Dave rimase pietrificato, in mezzo al corridoio. Dopo mesi, si ritrovò a fissare, ancora una volta, quel collo perfetto e bianco come marmo. Ma le cazzate che uscivano a ripetizione dalla bocca di quell’Hudson lo facevano distrarre. Dave lo guardò con uno sguardo che esprimeva tutto il suo disprezzo. Disprezzava il comportamento ipocrita di Finn, lo stesso che, prima che Kurt entrasse nella squadra di football, si univa a tutti gli altri nel prenderlo in giro. Fissò Sam e non poté fare a meno di compiangere quel povero sfigato. Si sfoggiava a grand’uomo che si mette in prima linea per proteggere i suoi amici, ma tutti, Dave compreso, sapevano che quello era solo una farsa, una pessima interpretazione di chissà quale stereotipo maschile del profondo sud. “Tutto quello che vuoi è infilarti nelle mutande della Fabray, coglione idiota” pensò con rabbia Dave. Ma si limitò a fissare in cagnesco quei due ipocriti, senza dire niente. Non aveva nessuna intenzione di prendere parte a quella patetica messa in scena di testosterone. Gli sembrava di essere in uno di quei documentari su National Geographic Channel, quello dove si vedevano i maschi di scimpanzé lottare tra di loro per guadagnarsi il favore della femmina del gruppo. Lui era solo un pretesto per quei due scimmioni ignoranti per dare sfoggio di muscoli e scarsa iniziativa personale, visto che Dave sospettava ci fossero le ragazze dietro quell’attacco. E infatti, guardando il gruppetto ancora fermo presso l’armadietto di Kurt, vide che anche la Berry lo guardava in cagnesco. Lei si che aveva le palle, non come quei due bamboccioni che gli stavano davanti. Aspettò che anche Sam finisse il suo discorso, senza minimamente prestargli ascolto. Quando si accorse che nessuno aveva più niente da dirgli, si limitò a scrollare le spalle e continuò a camminare fino al suo armadietto.
 
Un paio di giorni dopo, Dave era nello spogliatoio. La stagione del football era finita, ma lui sentiva ancora il bisogno di allenarsi un paio di volte la settimana. Si stava rivestendo quando, girandosi verso la porta, vide Kurt che lo fissava.
“Che vuoi, Hummel?” Dave si girò dall’altra parte, non voleva che vedesse quanto era sconvolto dalla sua presenza nello spogliatoio
“Dobbiamo parlare”
“Non abbiamo niente di cui parlare”
“Non è vero. Tu mi hai baciato, Dave”
“ZITTO!” Dave si guardò attorno per assicurarsi che lo spogliatoio fosse vuoto. “Ne abbiamo già parlato, quando sei venuto a cercarmi con il tuo fidanzatino, sei stato tu a baciarmi. Ora smettila di fissarmi”
Kurt si avvicinò a Dave e lo fece girare
“No, Dave, sei stato tu a baciarmi, e devi smetterla di nasconderti. Non vuoi dirlo agli altri? Va bene, so cosa significa fare coming out in questa scuola e se non sei pronto credo che tu debba aspettare. Ma devi ammetterlo a te stesso e, soprattutto, devi dirmelo in faccia. Me lo devi!”
“Cosa dovrei dirti? Smettila di farmi perdere tempo” Dave spinse da parte Kurt per passare, ma il ragazzo lo trattenne.
“Non vai da nessuna parte” Dave provò a divincolarsi dalla stretta di Kurt, ma il ragazzo lo teneva troppo stretto.
“Hummel, MOLLAMI!” Kurt lo lasciò andare
“Cosa vuoi che ti dica, uh? Vuoi che ti dica che sono gay? Eh si, lo dico a te, e poi magari lo dico a tutta la scuola, giusto? E tutto andrà bene, nessuno mi dirà niente, vero? Sei un illuso, Kurt. Pensi che il mondo sia giusto, ma non è così. Il liceo è una giungla, e sono tutti lì appostati che aspettano un tuo passo falso, pronti a sbranarti senza pietà”
“Io un illuso? Ma sei scemo? Lo sai benissimo cosa ho passato a scuola, e lo sai perché sei stato tu a farmi scappare! Io, almeno, ho il coraggio di essere me stesso. Tu invece? Sei un represso. Rimarrai sempre un represso e ti ritroverai a quarant’anni, pelato e grasso, con una moglie che non ami, sposato solo per apparenza, perché così vuole la società. E due volte a settimana dirai a tua moglie che devi fare tardi in ufficio, quando in realtà ti caricherai in macchina un ragazzino che ha bisogno di soldi, lo porterai in un motel e per un paio d’ore smetterai di essere un represso”
Dave si avvicinò a Kurt con i pugni in aria, il ragazzo arretrò fino a sbattere con la schiena alla fila di armadietti. Dave adesso era vicino, così vicino che poteva sentire il profumo di Kurt. Era fresco e pulito. Questo gli schiarì la mente. Abbassò i pugni e mise una mano sul petto di Kurt, che trattenne il respiro, paralizzato dalla paura. Dave sentì il suo cuore battere forte come quello di un pettirosso. Non voleva questo, non voleva spaventarlo. Perché non riusciva a farsi capire? Perché era così difficile? Respirò ancora una volta il profumo di Kurt. Adesso percepiva anche l’odore della sua paura mischiato al profumo. Si avvicinò sempre di più e quando ormai stava per baciarlo, si accorse che Kurt non era più spaventato. Aveva chiuso gli occhi, e sembrava desiderarlo tanto quando lui lo desiderava. Quando si baciarono, Dave sentì Kurt reagire con tutto il corpo, lo tirò a sé e continuò a baciarlo, come se da quel bacio dipendesse tutta la sua vita. Ma subito dopo Kurt lo allontanò. Dave fissò il volto accaldato del ragazzo e rise del suo rossore, che partiva dalla base del collo per coprirgli tutta la faccia. Provò ad attirarlo ancora una volta verso di sé, ma Kurt lo respinse un’altra volta.
“Non è così che funziona, Dave. Non puoi baciarmi ogni volta che siamo soli e poi aspettarti che io faccia finta di niente. Se vuoi stare con me, allora devi stare SEMPRE con me. Smettila di nasconderti”
“Non ci sperare, Hummel” Dave raccolse la sua roba ed uscì dallo spogliatoio. Kurt lo seguì poco dopo. Nessuno dei due si accorse che Azimio li aveva osservati per tutto il tempo, nascosto dietro una fila di armadietti.
 
 
“Ehi, Karofsky!”
Dave stava tornando a casa a piedi. Stava ancora pensando al bacio con Kurt ed era distratto, così non sentì Azimio la prima volta.
“Karofsky, parlo con te!”
“Da quand’è che mi chiami per cognome?”
“E tu da quand’è che sei finocchio?”
Dave impallidì
“Rispondi. Da quand’è che ti piace succhiare cazzi, eh?”
“Non… Non so di cosa stai parlando”
“Non dire cazzate. Vi ho visti, tu e quell’altro frocetto di Hummel nello spogliatoio. Quindi quando ci cambiavamo, quando eravamo nelle docce, tu eri lì che ci fissavi il pacco, giusto?”
“Azimio, non è come pensi tu”
“Ah no?! E com’è allora, spiegami. Perché io ti ho visto infilargli la lingua in gola. Spiegami dov’è che sbaglio”
“Smettila di urlare”
“Perché, se no che fai? Ti metti a piangere?” Azimio spinse Dave contro il muro.
“Non spingermi. Non ti ho fatto niente. Senti, è stato un errore. Tu non dirlo a nessuno, ok?”
“Non mi hai fatto niente? Si che mi hai fatto qualcosa. Sei un frocio, ecco cos ami hai fatto”
“Smettila di spingermi” Dave sentì crescere dentro di sé la rabbia che aveva represso in tutti questi anni, tutta la pressione che aveva dovuto subire dal mondo finto e plastico di Lima. Tutti i sentimenti che aveva nascosto, le occhiate che si era costretto ad evitare. Condensò tutto questo nel pugno destro, e scaricò tutto sulla mascella di Azimio. Questo, all’inizio sorpreso per la reazione inaspettata, lo fissò inebetito, per poi rispondere con altrettante forza. Dave sentì arrivare il colpo. All’inizio non gli fece male, ma era sicuro che il giorno dopo si sarebbe ritrovato con un occhio nero. Si buttò su Azimio e cominciò a tempestarlo di pugni. Colpiva ogni centimetro libero che riusciva a trovare, non gli dava tregua. Nella sua testa, non stava colpendo una persona, stava colpendo tutto un mondo: il suo. Tutta la sua vita era una finzione, fin da quando era piccolo tutti gli avevano detto che doveva comportarsi in un certo modo. E lui era stanco, era stanco di fare contenti gli altri. Era stanco di vivere per gli altri. Continuò a colpire Azimio fino a quando questi non si accasciò a terra, privo di sensi. La sua testa gli diceva di fermarsi, che era sufficiente, ma lui era completamente preso dalla rabbia, una furia cieca che lo costringeva ad andare avanti e colpirlo, colpirlo… Fino a quando non si sentì afferrare per le spalle. Si girò e vide che un poliziotto lo stava trattenendo. Qualcuno aveva chiamato la polizia. Dave gli fu grato, non sarebbe riuscito a fermarsi, altrimenti. Chinò la testa e vide cosa aveva fatto. Azimio giaceva in una pozza di sangue. C’era sangue dappertutto, gli schizzi coprivano anche il muro accanto a loro. Dave si guardò le mani e vide che erano completamente ricoperte di sangue, di cui solo una piccolissima parte era suo. Ritornò a fissare Azimio, sconvolto per quello che aveva fatto. Vide che un altro poliziotto era chino accanto a lui e cercava il polso, ma dalla sua espressione sembrava non stesse andando molto bene. Il poliziotto chino su Azimio disse “Portalo in centrale, quello lì”. Dave si senti spingere in macchina, ancora troppo sconvolto per opporre resistenza o provare a spiegare.
 
Azimio restò in coma per due settimane, durante le quali Dave visse segregato nel suo personale inferno. I rapporti con suo padre non erano mai stati idilliaci, erano troppo diversi tra di loro, e Dave sospettava che il padre pensasse che lui fosse stupido. Ma quello che Dave aveva fatto cancellò completamente qualsiasi possibilità che i due legassero. Il padre si comportava come se Dave neanche esistesse. A tavola, Dave si sentiva un fantasma. Alla fine, cominciò a disertare i pasti con i genitori e a mangiare in camera quello che gli portava la madre, che non faceva nulla per aiutarlo. Dopo due settimane di quella non-vita, Dave sentì suo padre entrare in camera sua. Alzò lo sguardo dal libro e vide che la sua faccia era sconvolta dalla rabbia.
“Il tuo amico è morto stanotte. La polizia è venuta a prenderti per portarti via. Perfavore, non fare storie”
Dave all’inizio non capì. La polizia? Prendere lui? Per portarlo dove?
“Non capisco…”
“La cosa non mi stupisce. Scendi e segui i due poliziotti. Non fare storie, non dire niente fino a quando non arriva il nostro avvocato. Ora sbrigati, non voglio che i vicini vedano mio figlio scortato fuori casa da due poliziotti” Detto questo si voltò e uscì dalla camera. Dave non riusciva a pensare. Meccanicamente, seguì suo padre giù dalle scale e all’entrata trovò i due poliziotti che lo stavano aspettando. Si lasciò prendere in custodia senza fare resistenza, si sentiva svuotato. Provò a guardare suo padre, ma questi gli volgeva la schiena. Sua madre non si vedeva da nessuna parte. Così segui i poliziotti fuori casa, salì in macchina e, inconsciamente, disse addio alla sua vecchia vita. Niente avrebbe potuto restituirgliela.
 
Durante il processo, l’avvocato di Dave cercò di convincere la giuria che Dave era stato provocato, che Azimio l’aveva discriminato per la sua omosessualità (cosa che non facilitò neanche un pò i rapporti tra lui e il padre). Dave una volta sola vide Kurt in aula, sedeva nell’ultima fila e quando Dave lo salutò, sembrò spaventarsi. Non andò mai a trovarlo. La giuria sembrò colpita dalla sua testimonianza, e decise di condannarlo a soli sei mesi di prigione minorile. La madre di Azimio scoppiò a piangere quando il giudice lesse la sentenza e Dave non poté fare a meno di desiderare di poter dare la sua vita in cambio di quella di Azimio. Era convinto che il mondo ne avrebbe guadagnato. Almeno, lui non avrebbe dovuto sopportare le occhiate che gli lanciava suo padre. Finiti i sei mesi in prigione, i peggiori sei mesi della sua vita, durante i quali era andato due volte vicino al suicidio, tornò a casa. Ma per come andavano le cose lì, sarebbe potuto tornare in prigione e niente sarebbe cambiato. Suo padre continuava ad ignorarlo e quando era costretto a parlare con lui, lo faceva con uno sguardo di disgusto misto a delusione che uccideva Dave e sua madre, succube, sembrava non vedere cosa stava accadendo sotto i suoi occhi e dal suo alito Dave sospettava che avesse ripreso a bere. Così un giorno, circa due settimane dopo essere tornato a casa, decise di arruolarsi e scappare il più lontano possibile da quell’inferno. Il giorno prima di partire andò all’officina degli Hummel. Sapeva che non vi avrebbe trovato Kurt, aveva sentito che dopo il liceo era andato a New York insieme alla Berry. Ma non era con Kurt che voleva parlare.
“Finn”
“Dave…” Finn lo squadrò da capo a piedi, con uno sguardo glaciale, simile a quello del padre. “Non sapevo fossi uscito da…”
“Già. È successo solo due settimane fa”
“Kurt non c’è. E sinceramente non credo sia il caso tu lo veda. Mi ha raccontato tutto”
“Non voglio parlare con Kurt. È con te che voglio parlare”
“Con me? E di cosa?”
“Ho bisogno di un favore. La prossima volta che vedi Kurt, potresti dirgli che sono pentito per quello che ho fatto. E che mi dispiace veramente tanto per quello che è successo l’anno scorso?”
Finn continuò a fissarlo gelido, senza rispondere.
“Per favore, Finn. Domani parto, mi sono arruolato, e non so se e quando tornerò qui.”
“Va bene”
“Mi dai la tua parola?”
Finn sembrò non volergli rispondere, poi, vedendo quanto era sconvolto Dave, acconsentì a dare la sua parola.
“Grazie” disse Dave prima di uscire.
Finn lo guardò allontanarsi lungo la via a piedi. Aveva la strana impressione che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto Dave Karofsky.
 
 
“Karofsky, concentrati!”
Dave cercò di mettere a fuoco dove si trovava: era sul Tank della retroguardia, durante l’operazione di scorta a Medici Senza Frontiere. Erano passate cinque settimane da quando aveva ricevuto la lettere del fratello di Jake, ma non riusciva a superarlo. Si costrinse a pensare al presente: doveva concentrarsi se voleva uscirne vivo. Fissò lo sguardo fuori dal finestrino blindato: deserto. Sabbia ovunque, a volte pensava di essere su Tatooine, non sulla Terra. Odiava il deserto. Mentre era concentrato a fissare l’orizzonte discontinuo, con la coda dell’occhio vide qualcosa avanzare verso il Tank. Si girò per avvertire gli altri, ma non fece in tempo. Prima di aprire la bocca sentì il mondo ribaltarsi. Cercò di tenersi a qualcosa, ma non trovò niente a cui aggrapparsi. Sentì la forza centrifuga scaraventarlo contro il parabrezza. Fu scaraventato fuori, atterrò sulla schiena e perse conoscenza per qualche secondo. Quando riuscì a pensare coerentemente, capì che li stavano attaccando. Provò ad alzarsi, ma non ci riuscì. Guardò verso il basso e vide un enorme pezzo di vetro uscirgli dalla coscia. In un attimo il dolore lo raggiunse e provò l’impulso di strapparlo via, ma sapeva che rischiava di peggiorare le cose. Guardò verso la strada e vide che il suo tank era saltato in aria, probabilmente erano tutti morti. Gli uomini del secondo Tank erano riusciti a disperdere gli assalitori e si stavano avvicinando a lui. Dave cercò di resistere, ma non riusciva a sopportare il dolore. Cadde di nuovo in uno stato di semi-incoscienza, da cui si risvegliò appena lo raggiunse l’ufficiale medico. Cercò di cogliere le parole che si scambiavano i soldati tra di loro, ma tutto quello che riuscì a capire è che erano preoccupati. La ferita era troppo profonda, lo sapeva, e aveva probabilmente intaccato l’arteria. Erano esattamente a metà strada, troppo lontani da qualsiasi centro medico per trasportarlo abbastanza in fretta. Dovevano cavarsela con quello che avevano e Dave sapeva che non era abbastanza. Chiuse gli occhi e sorrise dentro di sé. Alla fine, stava ottenendo quello che aveva sempre voluto: stava morendo, lontano da tutti e da tutto ciò che gli era stato più caro al mondo. Mentre gli altri cercavano di svegliarlo, lui si allontanava sempre di più, troppo stanco per lottare ancora, sicuro che non ne valesse più la pena. In un barlume di coscienza, pensò “Jake aveva ragione”, perché non stava vedendo tutta la sua vita, quello schifo… No, era lui che vedeva.
La ragione di tutto. Il suo collo bianco, la sua mascella dolce, le sue labbra piene e calde. Per un attimo, si convinse di sentire anche il suo profumo, lo stesso di quel giorno nello spogliatoio. Infine, subito prima di chiudere gli occhi un’ultima volta, vide i suoi occhi, così azzurri da far impallidire il cielo. Il medico gli sentì sussurrare una sola parola
“Kurt…”



Così si conclude il mio primo tentativo di Fan Fiction. È stata una faticaccia scriverla, perché ho dovuto attingere a molti fatti personali. Se nel 90% delle frasi sostituite "Io" a "Dave" ottenete la storia della mia vita. Ripeto: non sono affatto un esperto di vita militare, per cui mi dispiace se ho fatto degli errori. Se siete come me e vi piace ascoltare la musica mentre leggete, questa è la playlist che stavo ascoltando mentre scrivevo:
Better - Regina Spektor
Born This Way - Lady Gaga
Break My Heart  - Sara Ramirez
Breathe - Anna Nalick
Chasing Cars - Snow Patrol
Darlin' - Avril Lavigne
Don't You Remember - Adele
From Yesterday - 30 Second To Mars
Happy Ending - Mika
Off I Go - Greg Lasswell
Raise Your Glass - P!nk
Rolling In The Deep - Adele
Send Me On My Wat - Rusted Root
Someone Like You - Adele
Stand By Me - John Lennon
Sweet Disposition - The Temper Trap
Sweet Dreams - Emily Browning
The Story - Sara Ramirez
What The Hell - Avril Lavigne

Grazie per aver letto la mia storia,
Ugo


   
 
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