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Autore: Darik    12/04/2011    2 recensioni
Una grande battaglia era stata vinta. Ma il prezzo era stato una grave perdita, sempre più difficile da sopportare.
Per questo le persone che lo amano intraprenderanno un assai pericoloso viaggio, dove nulla è come sembra, per ritrovare Negi.
Questa storia è il seguito di "Colui che Evangeline ammira".
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Apparenze'
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3° Capitolo

L’aereo giunse in prossimità delle coste inglesi.

“Il professor Takamichi e Kotaro ci attenderanno all’aeroporto” disse Mana guardando distrattamente fuori dal finestrino.

Anche alle altre ragazze non sembrava importare granché il panorama, neppure quando il veicolo cominciò ad abbassarsi sempre di più e divenne sempre più visibile all’orizzonte la città di Londra.

L’aereo giapponese atterrò in una piccola pista periferica, le sue passeggere trovarono ad accoglierle un inserviente che le guidò verso un hangar di modeste dimensioni, mentre i loro bagagli venivano passati dalla stiva a un furgone.

Sakura Mei iniziò a massaggiarsi le gambe. “Ah, finalmente ci muoviamo! Non ne potevo più di stare ferma”.

Erano alla soglia dell’ingresso dell’hangar.

“Adesso speriamo solo che il professor Takamichi e quel mezzo cane non tardino” sbottò Takane.

“Ehi, mezzo cane a chi?!” esclamò seccato qualcuno che stava già dentro.

Era Kotaro, con affianco Takamichi.

“Professor Takahata!” lo salutarono insieme le ragazze della III A.

“Benvenute a Londra. Vedo che ci sono delle ospiti in più” commentò il professore.

Asakura, Yue e Nodoka distolsero lo sguardo con un certo imbarazzo.

“Mi dispiace, professore” tentò di giustificarsi Asuna.

“Non fa niente. Anzi, è già tanto se avete impedito che vi seguisse tutta la classe” la tranquillizzò l’uomo.

“Ora che abbiamo finito con i convenevoli, andiamo in albergo” s’intromise Kotaro. “L’aereo per l’Islanda è per domani mattina”.

“Eh? Domani mattina?” esclamò stupita Sakura. “Pensavo che avremmo… umpf!”

Takane le mise una mano sulla bocca.

“E’ stancante, ma vista la situazione d’emergenza, non possiamo fare la figura delle persone pigre” le disse sottovoce.

Il gruppo si diresse a un’uscita secondaria dell’aeroporto, dove trovarono un pullmino ad attenderli.

Il mezzo s’inserì rapidamente nel traffico londinese, seguito dal furgone con i loro bagagli.


La sera fu occupata soprattutto dal dormire per quasi tutto il gruppo.

Per le ragazze erano state previste due stanze, Kotaro cedette la sua camera alle tre ospiti impreviste e dichiarò che sarebbe rimasto fuori a vegliare l’ingresso dell’appartamento.

Almeno era questa l’intenzione dichiarata.

Tuttavia quando Asuna uscì silenziosamente dalla sua stanza per recarsi in quella di Takamichi, trovò il ragazzo profondamente addormentato su un divano.

Un sonno profondo quanto quella di Sakura e Takano.

Asuna andò nella camera del professore, dove si stava svolgendo un piccolo meeting: oltre all’uomo, c’erano Mana, Kamo e una piccola immagine del preside del Mahora, una sorta di ologramma.

“Piacere di vederti, Kamo” lo salutò Asuna. “Mi chiedevo che fine avessi fatto”.

“Sono stato in giro a raccogliere informazioni, mia cara” rispose l’ermellino accendendo una sigaretta e ostentandosi. “Io sono un grande esperto della city. La conosco come le mie tasche. Tasche metaforiche, s’intende” aggiunse.

“Ah si? E cosa hai scoperto?”

“Niente” rispose semplicemente l’ermellino.

Che si beccò un pugno in testa.

“E allora smettila di atteggiarti a grande uomo. Grande uomo metaforico, s’intende” replicò la ragazza.

“Dunque” esordì Takamichi tirando fuori da un taschino una piccola sfera, che non appena fu sfregata si tramutò in una mappa dell’Islanda fluttuante nell’aria “l’unico indizio che abbiamo è che Negi potrebbe trovarsi in Islanda. Non sappiamo cosa aspettarci. Negli ultimi mesi non è accaduto niente di anomalo su quell’isola”.

“Per i normali media” precisò Mana “Tuttavia, sul versante magico è tutt’altra faccenda”.

“Perché? I maghi della zona hanno segnalato qualcosa?” domandò Asuna.

“Non ci sono maghi in Islanda” spiegò l’immagine del preside “C’era una piccola comunità che tuttavia fu completamente sterminata durante la grande guerra tra maghi di venti anni fa. Da allora l’Islanda è come se non esistesse per il mondo della magia. Una volta ogni tre mesi, un gruppo di nostri informatori perlustra l’isola alla ricerca di cose strane. E non ha mai trovato nulla”.

“Ed è a questo che mi riferivo” riprese Mana “Un controllo a intermittenza è molto diverso da quello che può esercitare una presenza costante. C’è tutto il tempo, se si è ben organizzati, per nascondersi al momento del controllo e riprendere alla grande una volta cessato il pericolo”.

“Insomma, stai dicendo che potremmo aspettarci di tutto di più, anche se ufficialmente non c’è nulla da temere” concluse Asuna.

“Precisamente” annuì la giovane mercenaria. “Ed è per questo che con Takamichi abbiamo elaborato un piano”.

Takamichi indicò sulla mappa una città situata nella zona sudovest dell’Islanda. “Raggiungeremo l’isola in due gruppi. Andremo avanti io, Kotaro e Kamo. Atterreremo all’aeroporto di Keflavik, l’unico aeroporto internazione dell’isola. Il resto di voi invece salirà a bordo di un aereo privato e giungerà dopo di noi a Reykjavík. L’aeroporto lì è più piccolo e sono abituati ai voli privati. Forse il nemico sorveglia gli arrivi o forse no. Comunque sarà più difficile per loro controllare contemporaneamente due luoghi diversi. Senza contare che noi non giungeremo di soppiatto, ma insieme a tutti gli altri viaggiatori”.

“Spesso le cose più evidenti sono anche le più nascoste” continuò Mana. “Dopo ci rincontreremo qui” e indicò un altro punto della mappa “La cascata Skógafoss. Abbiamo fatto ulteriori ricerche. Konoka ha detto di aver visto un vichingo con un forziere. Orbene, una leggenda narra che un vichingo, Þrasi Þórólfsson, nascose dietro quella cascata un forziere con un tesoro. Direi che il discorso quadra”.

“Io, con Kotaro e Kamo, andrò a esplorare la zona. Ci rincontreremo alla locanda di Vigdis, un luogo per turisti” terminò Takamichi.

“Bene, un piano fatto come si deve. Resta solo il problema di come non mettere nei guai le tre ospiti” disse il preside.

Asuna si portò una mano al mento. “A questo proposito, penso di avere io un’idea”.


Alla fine del meeting, Asuna uscì dalla stanza e passò affianco a quello delle tre sue amiche invadenti.

“Scusateci, ma è per il vostro bene” pensò.

Udì dall’interno della camera alcune parole.

A quanto pare le ragazze si erano svegliate e si lamentavano di non aver potuto fare un po’ di shopping a Londra.

In effetti appena giunte in albergo, dopo un rapido pranzo e le docce, si erano messe tutte a dormire.

“I viaggi a Londra non sono certo un’ovvietà per noi” si sentì dire da Yue.

“E quando torneremo, non avremo nessun souvenir da mostrare agli altri. E nessuna foto. Quindi sarà come se non fossimo mai state qui”, si lamentò Nodoka.

“Non preoccupatevi!” le rassicurò Asakura. “Con quest’acqua di colonia che ho comprato in un negozio dell’aeroporto, ci porteremo dietro qualcosa dell’Inghilterra!”

“Ah, no ferma, non spruzzarci!” gridarono Yue e Nodoka.

Asuna sorridendo tornò in camera sua. “Be, riescono a essere spensierate, buon per loro”.


Il mattino dopo, una fila di persone, alcune piuttosto assonnate, uscì da due camere.

“Bene. Sono le cinque e quaranta. I nostri aerei partono alle sei” informò Takamichi guardando l’orologio e parlando sottovoce.

Asuna si rivolse a Kotaro. “Kotaro, controlla se le tre ospiti stanno ancora dormendo”.

Silenziossimo, il ragazzo aprì lievemente la porta di Asakura, Yue e Nodoka.

“Stanno dormendo dalla grossa. Uff, e sembra che abbiano intasato la stanza con dell’acqua di colonia. C’è quasi più profumo che ossigeno. Che fastidio!” esclamò Kotaro grattandosi il naso.

Sakura gli porse un fazzoletto, ma quando Kotaro lo fece conoscere troppo al suo naso e volle restituirlo, Takane intervenne. “E’ un regalo!”

Il ragazzo la guardò storto, mentre Asuna chiudeva a chiave la camera delle ospiti.

Uscirono dall’appartamento e presero il pulmino.

Ku Fei faceva fatica a tenere gli occhi aperti.

Asuna se ne accorse. “Scusa se abbiamo anticipato di tre ore la partenza. Ma dovevamo impedire che Asakura e le libraie ci seguissero. Anche se adesso si svegliassero, prima dovrebbero uscire dalla stanza. E anche se corressero all’aeroporto, non sanno dove siamo diretti esattamente. L’Islanda non è proprio un isolotto. Inoltre alle nove saranno prese in consegne da alcuni maghi inglesi che le riaccompagneranno in Giappone. Probabilmente mi odieranno per aver fatto questo, ma la loro incolumità ha la precedenza”.


Alle nove, due uomini e una donna si presentarono alla hall dell’albergo.

Mostrati i documenti, si fecero indicare l’appartamento delle ragazze del Mahora e si fecero dare la chiave.

Arrivati davanti alla porta, si fermarono un momento.

“Cerchiamo di non spaventarle. Lasciate parlare me” disse la donna ai due uomini, che annuirono.

Il trio entrò e si diresse verso la camera delle ragazze.

La porta era chiusa a chiave, ma bastò loro una piccola formula magica per aprirla.

Le tre ragazze stavano ancora dormendo.

La donna con calma si avvicinò al letto di Asakura e toccò la sua spalla.

“Signorina Kazumi Asakura” le disse dolcemente.

Asakura aprì improvvisamente gli occhi e di colpo si mise a sedere sul letto.

La stessa identica cosa fecero Yue e Nodoka.

Le tre ragazze si guardarono intorno con movimenti quasi meccanici, poi fecero delle strane facce sorridenti.

“Ciao, io sono Asakura”.

“Io sono Yue”.

“Ed io sono Nodoka”.

I tre maghi si guardarono perplessi.

“Ci hanno ordinato di dormire qui. Buonanotte!” ripeterono allegramente in coro rimettendosi a dormire.

La donna sobbalzò. “Ho capito! Non sono loro! Questa è una magia orientale. Sono famigli!”

La maga premette con la mano sullo stomaco di Asakura, finché lo penetrò come se fosse un’immagine.

Ritirò con uno scatto la mano, Asakura si dissolse in una nuvola di fumo: di lei rimase solo un pezzo di carta dalla forma umana, che la maga teneva nel palmo.

Gli altri maghi ottennero lo stesso risultato con le altre due ragazze.


Asakura guardò soddisfatta fuori dal finestrino dell’aereo.

Poi guardò l’orologio. “Ahah, a quest’ora dovrebbero già essere entrati. E aver avuto quella bella sorpresa”.

“Devo ammettere che sei stata davvero intelligente, Asakura” si complimentò Yue mentre beveva un succo di frutta grigio.

Asakura aveva buoni motivi per ritenersi soddisfatta. Avendo intuito che avrebbero cercato di lasciarle a Londra, si era portata dal Giappone famigli e un microfono direzionale per ascoltare i loro discorsi. Il tutto unito a tanta acqua di colonia comprata in realtà a Tokyo, per confondere l’olfatto di Kotaro. Infatti, l’unico modo che quelli del gruppo di ricerca avevano per andarsene senza essere seguiti, era quello di filarsela alla chetichella, quindi per non svegliarle non avrebbero mai controllato i loro letti. Solo Kotaro avrebbe potuto accorgersi dello scambio per via degli odori. Ma gli avevano messo fuori uso il suo bel nasino.

E dunque eccole in volo, partite appena mezz’ora dopo gli altri.

Mentre Asakura era l’orgoglio fatto persona, Nodoka si chiese se non stavano commettendo un’immensa sciocchezza.

In fondo c’erano dei buoni motivi se avevano tentato di lasciarle a Londra.

Chissà cosa li attendeva in Islanda.

E diversi elementi della prima visione, quella nell’ufficio del preside, non erano chiari.

Immagini cosi strane, e inquietanti.

Ma poi la ragazza pensò a Negi.

E si dimenticò dei suoi timori.


Una bambina correva gioiosa su un campo di fiori.

Il sole splendeva alto nel cielo, dove c’erano alcune nuvole dalle buffe forme.

Farfalle volavano in coppie lungo i prati.

La piccola era una bimba di appena dieci anni, con capelli castani abbastanza lunghi e due grandi occhi azzurri.

Indossava un abito nero e bianco, con una gonna lunga e molto larga.

Sulla testa c’era una piccola coroncina.

La bambina era davvero molto graziosa, una di quelle che già facevano presagire quale bellezza avrebbero avuto da grandi.

Raggiunse una collinetta, con affianco un ruscello che finiva in un laghetto formando una cascatella.

La piccola si buttò nel laghetto, cominciando a sguazzare felice nell’acqua.

“Che bello! Che bello! Sakutaro, vieni anche tu!”

Dalla collinetta si affacciò un bambino avvolto in una buffa tuta gialla, una sorta di costume da leoncino.

“U-Uryu… Maria, sai che a me non piace l’acqua”.

“E dai, vieni. Di cosa hai paura, ci sono io” lo tranquillizzò Maria.

“E’ una cosa naturale, non mi piace sentirmi bagnato”.

“Be si, hai ragione. Scusami” disse la bambina dispiaciuta.

“Uryu!” esclamò allora Sakutaro, che si fece coraggio e si tuffò.

Non appena cadde in acqua, cominciò ad annaspare, gridando che affogava.

In un laghetto profondo solo una ventina di centimetri.

“Ah! Sakutaro! Che bello, hai voluto accontentarmi!” esultò Maria saltandogli addosso e abbracciandolo.

“Maria!” gridò qualcuno da lontano.

Maria si alzò in piedi aiutando Sakutaro, che cominciò a scuotersi per asciugarsi.

“Oh, è la zia. Vieni, Sakutaro”.

I due bambini corsero fino a raggiungere un gazebo.

Dentro quest’ultimo era seduta una donna.

C’era anche un tavolo con the, biscotti e dolci di tutti i tipi.

La bambina corse nel gazebo e s’inchinò davanti alla donna.

“Felice di rivederti, zia” esordì Maria.

“Niente formalismi. Se vuoi abbr…”

La zia non poté finire la frase che già la nipote le era saltata addosso per abbracciarla.

“Allora, continua a piacerti la tua nuova casa?” domandò la donna.

“Oh si! E’ fatta apposta per me. Qui c’è tutto quello che voglio” fu la raggiante risposta.

Sakutaro invece se ne stava in disparte, restando quasi nascosto dietro una delle colonnine del gazebo.

“Sakutaro, non restartene lì. Vieni a salutare la zia” lo incoraggiò Maria.

Però il suo giovanissimo amico si limitò a mormorare un impaurito ‘uryu’ e si nascose ancora di più.

“Non fa niente, piccola mia. Essere timidi non è certo una colpa” lo giustificò la zia.

“Va bene” rispose la piccola sorridendo.

La donna si fece seria. “Adesso ascoltami, Maria. Stanno arrivando delle persone. E vorrei che tu mi aiutassi a preparare un degno benvenuto per loro”.

“Oh, zia” fece Maria un po’ indispettita e lasciando l’abbraccio della parente. “Speravo che qui avrei potuto divertirmi e basta. Invece continui a chiedermi favori”.

“Mi dispiace, piccola mia, mi dispiace. Ma tu sai che la zia deve fare quello che fa per renderti felice. E per rendere felici tutte le persone della Terra. Se potessi, questo sogno lo realizzerei subito. Ma non posso. La strada è lunga e difficile. Per questo ho bisogno del tuo aiuto. Ti prometto comunque che la ricompensa finale ripagherà i tuoi sforzi ampiamente”.

“Davvero?”

“Certo, piccolina. Certo. Potrei mentirti?” finì la zia facendole l’occhiolino.

“D’accordo, lo farò” rispose un po’ scontenta la bambina.

La zia la riprese in braccio e con la sua fronte toccò quella di Maria.

Sakutaro rabbrividì davanti a quella vista.

Dopo qualche attimo, le due fronti si staccarono e la bambina fu riposata a terra.

“Allora, è stato cosi terribile?” domandò la donna.

“No, però, anche se più leggero, mi è venuto il mal di testa come le altre volte. E un sonno cosi… improvviso…”

Maria iniziò a sbadigliare, sentì gli occhi farsi pesanti.

“Su, fatti accompagnare da Sakutaro all’ombra di qualche albero e riposatevi. Potete avere tutto il tempo che volete per dormire”.

Maria ubbidì, scese dal gazebo e Sakutaro quasi la trascinò via, tirandola per una mano e correndo.

Rimasta sola, la donna prese una tazza di the.

“Ah, mia cara Maria, grazie a te la mia lista di debiti non si allunga ulteriormente. Speriamo che continui cosi”.

Poi tirò fuori un ventaglio e lo aprì.

E più che per il caldo, sembrava che le servisse per coprire da invisibili occhi indiscreti un sorriso parecchio soddisfatto.

  
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