Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
Segui la storia  |       
Autore: JustALittleLie    12/04/2011    14 recensioni
Li avevamo lasciati lì.
Lui era tornato a Los Angeles, lei era su un aereo per Madrid.
Lontani per sempre, divisi da un destino che li ha fatti incontrare, li ha fatti innamorare e poi, li ha separati.
E se ora il destino volesse ripagarli di tutto questo?
Ronnie verrà ricatapultata improvvisamente nella sua vecchia vita a Los Angeles, dove la aspettano le sue amiche e lui, dove potrebbe riavere la sua vita.
Ma, si sa, nella vita nulla è così semplice.
Sequel "Let me under your skin"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'There's a fine line between love and hate'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
chap 3

Buoooonasera a tutte ! come va?

Prima di lasciarvi al nuovo capitolo, volevo informarvi del fatto che qualche giorno fa ho scritto una one-shot su Kate e Joe *O*

E' ambientata un anno dopo la partenza di Ronnie u.u

Potete trovarla QUI

Spero vi piaccia, oh, e che vi piaccia anche il capitolo *O*

buona lettura!

Do you remember?

Era partita da Madrid in pieno giorno ed ora, anche se erano solo le nove di sera, le sembrava notte fonda.

Il taxi accostò lungo il marciapiede e lei sospirò al solo pensiero di dover portare quei due enormi bagagli per tutto il viale.

-signorina, siamo arrivati- annunciò il signore sulla cinquantina con dei folti baffi ed un accento messicano, probabilmente credeva si fosse addormentata.

Veronica pagò il taxi e, trascinando a stento dietro di se due valigie ed un bagaglio a mano, si avviò per quel viale che le era così familiare.

Si fermò d'avanti agli scalini del portico alzando lo sguardo ed ammirando la grande casa.

Un senso di malinconia e tristezza l'avvolsero all'istante assieme all'inevitabile ondata di ricordi.

Lei da bambina che ridendo correva per il giardino inseguita da un bambino di qualche anno più grande con gli stessi capelli e gli stessi occhi profondi;

Sua madre che la guardava con quel suo tipico sguardo da rimprovero dopo che aveva sporcato un vestito nuovo, cadendo. Quello sguardo lo ricordava bene, era capace di farla sentire in colpa anche quando non aveva fatto nulla di sbagliato;

O ancora, suo padre che la ignorava quando lei prendeva un buon voto a scuola, che non aveva mai mantenuto le sue promesse, che non ricordava mai il suo compleanno, suo padre che non c'era mai.

Sospirò e si costrinse a porre fine a quell'assurdo fluire di ricordi salendo le scale del portico.

Si frugò nelle tasche e quasi subito riuscì a trovare la piccola chiave argentata con incise sopra le loro iniziali. 

K.R.J.L

Finse di non ricordare quel dettaglio ed aprì la porta trascinando i bagagli dietro di se.

Accese la luce nel salotto, per nulla meravigliata del fatto che nessuno fosse in casa.

Aveva avvertito i suoi del suo ritorno improvviso a Los Angeles, e loro le avevano augurato un buon viaggio, con un augurio di buona fortuna.

Patetico.

I genitori di Veronica si erano trasferiti in Giappone qualche anno prima, i due avevano sempre desiderato andare a vivere in quel luogo che lei detestava, ed ora che la figlia si era rifatta un'altra vita in un altro continente, non vedevano il motivo per cui restare in quella città calda e caotica che avevano sempre odiato.

Insomma, non che la loro presenza fosse stata utile per la crescita della ragazza, ma anche loro infondo avevano una coscienza, non potevano di certo lasciare la figlia minorenne da sola ed andarsene in Giappone.

Veronica cercò di guardare il meno possibile quelle stanze che la circondavano e, come un cavallo coi paraocchi, procedette diritto fino ad arrivare alle scale, ed anche qui non si fece distrarre dalle foto appese al muro, ma continuò a salire le scale ed a percorrere il corridoio fino ad arrivare alla porta di quella che per tanto tempo era stata la sua stanza.

Sospirò pesantemente cercando da qualche parte dei meandri del suo essere il coraggio di aprire quella porta.

Poggiò una mano sul pomello e si costrinse a spalancarla. 

Veloce ed indolore, o almeno così sperava.

Fece un passo accendendo la luce ed abbandonando finalmente i bagagli sul pavimento.

Era orribile.

Per tutto il viaggio si era aspettata di trovare la casa intoccata, come l'aveva lasciata tre anni prima, sopratutto la sua stanza.

Quando vide i grandi scatoloni in giro per la stanza quasi non scoppiò in lacrime.

Le mille foto che addobbavano le pareti erano sparite, ammucchiate chissa dove, i suoi amati libri erano scomparsi, tutto era scomparso.

La stanza era completamente vuota e tutto stava ad indicare che nessuno passava di lì da un bel po'; tutto tranne le lenzuola che emanavano un leggero odore di vaniglia e, ora che ci faceva caso, sui mobili non c'era nemmeno un leggero strato di polvere, molto probabilmente i suoi avevano pensato far pulire a qualcuno la casa prima del suo arrivo.

Veronica si lasciò cadere sul letto sbuffando.

Era tornata, non ci poteva ancora credere, eppure era lì in quella stanza che l'aveva vista crescere, che l'aveva vista passare da momenti di felicità ad altri di assoluta depressione.

Cos'avrebbe dovuto fare ora?

Doveva avvertire tutti del suo arrivo? e come? "Hei! sono sparita per tre anni, ma ora eccomi qui, che ne dite di essere di nuovo amiche?"

Non aveva idea di come fare, ma non aveva nemmeno la minima intensione di pensarci in quel momento, era troppo stanca.

Si sfilò le scarpe e si raggomitolò sul letto, era troppo stanca anche per mettere il pigiama.

Si addormentò dopo qualche minuto con un solo pensiero in mente.

Doveva parlare con loro.

You're beautiful. You're beautiful.
You're beautiful, it's true.
I saw your face in a crowded place,
And I don't know what to do,
'Cause I'll never be with you.

( You're beautifull - James Blunt)

Le donne e la loro mania di fare shopping in ogni occasione.

-Nick, mancano solo quattro mesi al matrimonio di Tyler, devo assolutamente trovare un vestito decente!-

E così Allie l'aveva trascinato in uno dei negozi più costosi di Rodeo Drive costringendolo a sedere su uno scomodissimo sgabbello, mentre lei entrava ed usciva dal camerino, provando un abito e poi un altro. 

Una trottola impazzita.

Non capiva ancora perchè "devo trovare un vestito" implicasse la sua presenza lì, tra l'altro alquanto inutile.

-che ne dici di questo?- chiese mentre guardava il suo riflesso allo specchio

-è bellissimo, tesoro- disse il ragazzo per la centesima volta

Allie si voltò verso di lui con le mani sui fianchi, scostandosi una ciocca dal viso -l'hai detto anche dei vestiti precedenti- sbuffò 

-non è colpa mia se sei splendida con qualsiasi cosa- sorrise dolce

Allie alzò un sopracciglio -che ruffiano- poi tornò a studiare la sua figura allo specchio

-no- decretò in fine -troppo corto, provo l'altro- e si fiondò di nuovo nel camerino

Nick alzò gli occhi al cielo sbuffando in silenzio.

Era più di un'ora e mezza che erano lì dentro, era impossibile che non avesse trovato niente che le piacesse!

Nick avrebbe preferito di gran lunga restare chiuso nella sua sala di registrazione quella mattina, almeno avrebbe fatto qualcosa di utile e si sarebbe portato avanti col lavoro, ma quando Allie si era presentata a casa sua, supplicandolo con due occhioni enormi, proprio non era riuscito a dire di no.

-oddio, con questo sembro un uovo di pasqua!- sentì la ragazza urlare dal camerino -questo non te lo faccio neanche vedere, passo al prossimo-

Nick scosse la testa, almeno gli aveva risparmiato la visione dell'uovo di pasqua.

Forse però quella era la sua giornata fortunata, il cellulare nella sua tasca prese a suonare, e lui benedì chiunque fosse per avergli dato una scusa per uscire di lì.

-tesoro, esco un attimo fuori a rispondere- disse alzandosi dallo sgabello

- fa presto!- urlò lei

Nick prese il cellulare dalla tasca dei jeans mentre si dirigeva verso l'uscita con le gambe addormentate.

Una volta fuori vide il nome di Tyler lampeggiare sullo schermo e rispose.

-aiutami, ti prego-

Tyler dall'altro lato ridacchio -oh credo che sia tu che debba aiutarmi-

-io sono a fare shopping con una pazza, a te va peggio?- chiese sarcastico il ragazzo

-assolutamente, ho Kate che mi gira intorno prendendo misure ovunque e continuando a ripetere che siamo dei matti per avergli dato solo quattro mesi di preavviso- rispose

-ciao Nick!- si sentì Kate urlare dall'altro capo

- salutami la stilista impazzita- sorrise lui 

-hai usato l'aggettivo adatto, sono circondato da matti. Per non parlare di mia madre, che appena ha saputo la data del matrimonio si è attaccata al telefono chiamando mezza famiglia, credo verranno anche i miei parenti dall'Italia, che tra l'altro non conosco- sbuffo Tyler mentre Nick rideva di gusto

-credo questo mondo sia troppo piccolo per tutti e due- sospirò in fine -o uccido lei o mi uccido da solo-

Nick sorrise -penso sarebbe meglio far fuori te, sarebbe un peccato privare il mondo delle eccezionali lasagne di tua madre-

-non c'è che dire, sei un vero amico- rise l'altro

-comunque volevo chiederti un favore- continuò -potresti passare a prendere le fedi?-

Nick si voltò verso la folla che occupava il marciapiede opposto a quello dove si trovava, cercando di ricordare dove fosse il gioielliere dove Tyler aveva preso le fedi.

-certo, ci penso io- rispose voltandosi dall'altro lato e fu in quel momento che il suo mondo, fatto di illusioni ed anni passati a convincersi che lei era stata solo un bel sogno, gli cadde addosso.

Era quasi impossibile vederla fra tutta quella gente, ma lui la vide chiaramente, per un attimo.

Ferma davanti ad una vetrina, un'enorme borsa di pelle sotto al braccio, degli occhiali scuri poggiati sul viso ed un bicchiere di caffè in mano.

-grazie, allora ci vediamo dopo- sentì Tyler dall'altro lato del telefono, ma non gli diede retta, era totalmente paralizzato.

I capelli erano più lunghi e più chiari, gli abiti erano un pò più sobri, ma non aveva alcun dubbio, era lei.

-Nick? ci sei?-

Il cuore prese a martellargli forte nel petto mentre sentiva qualcosa stringergli la gola impedendogli di respirare.

Improvvisamente sentiva caldo.

Non poteva essere lei, non poteva, lei era a Madrid a lavorare come interprete per chissà chi, in una casa con il suo ragazzo forse, o con un amica, o con chi accidenti le pareva.

Lei era a Madrid, non poteva essere proprio lì, difronte a lui.

Poi, d'un tratto, la ragazza sparì nella folla lasciandolo impalato nel bel mezzo del marciapiede.

Non sapeva perchè lo stesse facendo, anzi, non sapeva nemmeno cosa stesse facendo, ma si gettò tra la folla quasi correndo cercando di raggiungere la ragazza.

Si guardava in giro ansimando, perchè faceva così dannatamente caldo il mese di ottobre?

Doveva trovarla, doveva assolutamente accertarsi che non fosse impazzito e che quella che aveva visto non era una visione.

Ma dopo dieci minuti in cui aveva camminato avanti e dietro per la strada, si rese conto che doveva star davvero male per aver visto quello che aveva visto.

Poggiò la schiena contro il muro di una stradina laterale prendendosi la testa tra le mani, doveva pensare un istante razionalmente al perchè era impossibile che avesse realmente visto la ragazza lì.

Beh, un primo motivo era che lei era a Madrid, e semmai fosse tornata avrebbe avvertito sicuramente qualcuno, e nessuno sapeva niente.

Se poi fosse davvero stata lì, non poteva essersi volatilizzata in quel modo, tra tutta quella gente.

Inoltre, anche ammettendo che fosse tornata a Los Angeles, era impossibile che fosse andata proprio lì, a Rodeo Drive, aveva sempre odiato quella strada piena di gente con la puzza sotto il naso, perché con tanti posti che amava sarebbe dovuta andare proprio lì? Era impossibile.

Bene, era riuscito a calmarsi almeno un po'.

Il cuore riuscì a tornare ad un battito regolare, così come il suo respiro.

Entrò nel negozio scuotendo la testa sconsolato.

Ci mancavano solo le allucinazioni.


Look at this photograph

Everytime I do it makes me laugh
Everytime I do it makes me


(Photograph - Nickelback)  


Quella mattina Veronica si era svegliata con uno strano senso di nervosismo.

Quella casa, quella stanza, erano troppo vuote e silenziose per lei.

Si chiuse in bagno, restando forse più del dovuto sotto il getto della doccia, rilassandosi.

Quel pomeriggio sarebbe dovuta andare fuori Los Angeles per il suo nuovo lavoro, non vedeva l'ora, ma come avrebbe occupato la mattina?

Una volta vestita, decise che forse poteva mettere un pò d'ordine nella sua stanza, per cercare di renderla più accogliente.

Per prima cosa disfò le valigie riponendo con cura ogni abito al suo posto, poi, arrivò la parte più difficile.

Stette per un tempo indeterminato a fissare quei dannati scatoloni impolverati difronte a lei.

Quando era partita, non aveva avuto nemmeno il coraggio di raccogliere le sue cose, aveva rimasto tutto com'era, almeno lì dentro voleva che niente cambiasse.

Sospirò.

Aprire quegli scatoloni significava riaprire il suo passato, tuffarcisi dentro a capofitto, ma d'altronde ormai era lì, e non aveva altra scelta.

Si avvicino ad uno scatolone, quello vicino alla finestra e si inginocchiò continuando a fissarlo come se da un momento all'altro potesse uscire un chissà quale terribile mostro, cosa che effettivamente poteva essere vera.

Con un respiro profondo si convinse ad aprire quel sarcofago pieno di ricordi e dolore, doveva farcela.

Allungò una mano e quello che tirò fuori non le piacque affatto.

Un piccolo album quadrato, color panna, e con delle scritte marroni giaceva tra le sue mani.

Sorrise mentre i suoi occhi cominciavano a diventare lucidi.

Ricordava bene quell'album, glielo aveva regalato Jamie un Natale di moltissimi anni prima, quando tutto era ancora intoccato, quando la loro amicizia era più forte che mai.

"qui ci puoi mettere tutte le nostre foto" aveva commentato Jamie con un sorriso e Veronica l'aveva stretta forte, le erano sempre piaciuti quel tipo di regali.

E così aveva fatto lei, giorno dopo giorno, aveva riempito quell'album di foto a tal punto da sformarlo; ricordava a memoria le foto che erano al suo interno, ricordava persino l'ordine preciso in cui erano state incollate.

La prima era una foto di loro quattro, bambine, in spiaggia intente ad inseguirsi sul bagnasciuga, erano così felici...

Aprì l'album dal fondo, dove c'era la loro ultima foto assieme, l'aveva attaccata il giorno prima di partire.

La foto ritraeva lei e Kate, la bionda le avvolgeva un braccio attorno al collo attirandola a se sorridente guardando diritto nell'obiettivo, lei si limitava a fare un sorriso falso e guardare da un'altra parte.

Le si strinse il cuore guardando quella foto, ora ricordava esattamente come si era sentita in quegli anni, non che l'avesse mai dimenticato ma, si sa, il tempo è bravo a far sembrare le cose più grandi piccole come formiche.

Ricordava perfettamente come si era sentita persa e sola, nonostante l'aiuto costante delle sue amiche.

Ricordava ogni minimo dettaglio, ricordava il rumore dei suoi singhiozzi, il dolore lancinante al petto, il costante senso di vuoto, ma ricordava anche il calore degli abbracci di Kate, i sorrisi dolci di Jamie e gli sguardi rassicuranti di Lexus.

Ricordava tutto, ed ogni cosa era un pizzico allo stomaco.

Non era pronta per quello.

Gettò l'album sul pavimento e raccogliendo la sua borsa al volo si affrettò ad uscire da quella casa degli orrori.

Dove poteva andare? Ogni posto lì gli ricordava qualcosa, ogni singolo centimetro di quella città era pieno delle loro risate, le loro pazzie.

Forse...forse c'era un posto dove poteva andare.

Non prese nemmeno in considerazione l'opportunità di prendere la macchina, da quando si era trasferita a Madrid aveva preso a camminare molto appiedi, sopratutto quando era nervosa, aveva scoperto che camminare la rilassava.

Ci impiegò quasi mezz'ora per arrivare a Rodeo Drive, ed una volta che fu lì non sapeva più perchè ci era andata.

Rodeo Drive, aveva sempre odiato quella strada, raramente aveva messo piede lì ed ogni volta che lo faceva si sentiva catapultata in uno di quegli assurdi reality con mille imitazioni di Paris Hilton, con tanto di ciuaua portatili infilati in borsa.

Ah. Non ricordare, era per quello che era andata lì.

Sorrise tra se e se, effettivamente era difficile trovare in quel posto qualcosa che le ricordasse anche vagamente la sua vecchia vita.

Difficile, ma non impossibile.

Prese a passeggiare per la via affollata, con la testa completamente vuota, niente pensieri, osservava le vetrine più stravaganti degli stilisti più famosi, Valentino, Cavalli, Chanel, poi improvvisamente qualcosa in una vetrina attirò la sua attenzione.

Era uno di quei negozi che vendeva vestiti di varie firme, un manichino in vetrina indossava un vestito molto particolare, sopra era stretto stile bustino, legato dietro da nastri rossi, e giù, la gonna formata da veli, si apriva come un fiore.

Non sapeva perchè, e le sembrava anche alquanto strano, ma quel vestito l'aveva colpita.

Avvicinò il viso alla vetrina per cercare di leggere il nome dello stilista e per poco non le venne un colpo.

Sunders.

No, era impossibile.

Strizzò gli occhi e guardò meglio, con attenzione, ma il nome non cambiò.

Sunders.

La ragazza schizzo via dalla vetrina, come se questa scottasse, e prese a camminare veloce per la strada per andare lontano da quel dannatissimo posto.

Era incredibile, più cercava di scappare dal suo passato, più questo saltava fuori indesiderato.

Prese a correre veloce senza neanche rendersene conto, non sapeva nemmeno lei dove stesse correndo, forse verso l'oceano, forse verso l'autostrada, non lo sapeva. Sapeva solo che voleva lasciare quella stupida città al più presto.

Ma, ovviamente, quella non sembrava affatto essere la sua giornata fortunata.

Ormai aveva gli occhi talmente lucidi da non riuscire nemmeno a vedere le persone che la circondavano, per cui, quando girò l'angolo, non si sorprese affatto di andare a sbattere contro qualcuno, che lanciò un gridolino di spavento.

La cosa che la sorprese invece, fu quello che disse la ragazza, dopo un attimo di silenzio.

Era una semplice parola, un semplice nome, ma un quel momento stava sconvolgendo la sua mente.

Aveva passato gli ultimi tre anni a scappare da quella parola, da quello che implicava, da quello che era.

Tre anni per dimenticare il suo significato, tre anni a scappare da quello stupido nome.

Tre anni, che ora le sembravano inesistenti, non era mai partita, non aveva mai lasciato le sue amiche, la sua famiglia, era sempre rimasta lì, attaccata a quel nome.

Così quando lo sentì pronunciare da quella voce così familiare, così sorpresa e felice, non poté far altro che chiudere gli occhi di scatto, assaporando quelle parole.

Quella parola.

-Ronnie!- sbottò stupita la ragazza difronte a lei

E Ronnie sentì il suo cuore tornare a battere.

*    *    *

Eccomi qua con un altro capitolo *O* sono stata velocissima stavolta **

No, non abituatevici, molto probabilmente il prossimo aggiornamento sarà tra un mesetto u.u

Beeeeh, prima di tutto volevo ringraziare Eleonora, la cui collaborazione è stata essenziale per la nascita di questo capitolo, senza le sue idee, sarei stata ancora al primo rigo u.u Grazie <3

Poooi vabè niente, perchè quella cacca di Soriana continua a contattarmi imperterrita su msn e mi distrae, oltre ad intasarmi il pc u.u

Adios!

Vi amo.

   
 
Leggi le 14 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers / Vai alla pagina dell'autore: JustALittleLie