' So "turn and turn again"
We are calling in all the ships
Every traveller please come home
And tell us all that you have seen
Break every lock to every door
Return every gun to every draw
So we can turn, and turn again '
« Fermati, Karev, vieni qui »
Stavo già andando
nella
direzione opposta con passo pesante, quella camminata per la quale mi
si
riconosce a chilometri di distanza. Perché ho appena fatto
una cazzata. Perché
non so stare zitto, non riesco a tenermi tutto dentro. L’ho
detto, una volta, a
George: io non funziono bene sotto pressione. Mi fermo, porto le mani
ai
fianchi stringendo i pugni, mi volto. Con rabbia. Il camice aperto mi
svolazza
alle spalle come un mantello. Sloan mi si avvicina di qualche passo,
sembra
volermi sovrastare. Ci riesce.
« Quante
volte dobbiamo
ricordare a voi specializzandi che con i pazienti bisogna usare un
po’ di
tatto, dottor Karev? Quella donna è spaventata, anche se
sarà un intervento di
routine e tu non hai il diritto di giudicarla. Si può sapere
che ti è preso? »
Mi prende che sto
scoppiando. Abbasso lo sguardo, poi lo rialzo, non so nemmeno se
guardarlo
negli occhi. Questa si chiama vigliaccheria.
Sono un esperto in
vigliaccheria, da sempre. Strofino gli occhi con una mano, mentre i
segni delle
unghie che mi sono lasciato sul palmo stringendo i pugni pian piano
spariscono.
E sputo il rospo, dico tutto. Non vale la pena tenermelo dentro e
rischiare di
fare altre cazzate.
« La
dottoressa… la
dottoressa Stevens è in ospedale. E’ in ospedale e
non so perché. E’ in
ospedale e ogni due secondi mi guardo dietro le spalle per timore di
ritrovarmela davanti all’improvviso »
Mi aspetto una ramanzina.
Sono pronto. Anzi, la vorrei, perché è quello che
mi merito, qualcuno che mi
dia dell’idiota per la paura immotivata che provo.
Invece
Sloan sembra quasi
in imbarazzo. Imbarazzo per se stesso, non per me.« E’
troppo, pensare di
averla intorno, vero? » annuisce, senza guardarmi
e in quel momento capisco
che sta pensando a Lexie.
La sua è
un’altra
situazione sgradevole che mi è già toccato
sopportare. Amare una donna e
doverla vedere ogni tanto giorno mano nella mano con un altro. Non
rispondo
alla sua domanda, non ce n’è bisogno. Ma rialzo le
spalle, mio malgrado
risollevato. C’è qualcuno che soffre, esattamente
come soffro io. Nessuno si
salva dall’inferno dell’amore, signori.
« Senta mi
dispiace per
la paziente. Andrò a scusarmi prima
dell’intervento » E’ il mio
lavoro. E’
il mio dovere, cazzo. Non posso impazzire soltanto per averla vista una
volta.
Giro i tacchi prima che Sloan possa aggiungere qualcosa, infilando le
mani
nelle tasche del camice, raggiungendo le scale che portano al primo
piano.
Scendo,
saltando i gradini
a due a due, passando quasi di corsa di fronte al tabellone degli
interventi,
che non guardo nemmeno.« Karev!
Karev fermati »
perché tutti vogliono fermarmi? Perché tutti oggi
vogliono parlare con me?
Fermo il mio passo
accelerato, ma il cuore non vuole saperne di rallentare. Scarica di
adrenalina.
E’ la Bailey che mi richiama all’ordine, con
sguardo torvo. La giornata non
sembra andare bene nemmeno a lei.
« Dottor
Karev.. so che
oggi sarei impegnato con il dottor Sloan per l’intervento
sulla signore Robins,
ma ho bisogno che tu mi faccia un favore » la sua
espressione cambia,
sembra quasi di scuse. Congiunge i palmi delle mani, quasi stesse per
mettersi
a pregare. Io non capisco, così sto zitto, aspettando che
dica qualcosa. Che si
decida.
« Devi
fare una visita
preliminare ad una ragazza, quindici anni. Ha in programma per domani
pomeriggio un trapianto di midollo osseo, il secondo negli ultimi
quattro anni,
per la leucemia. Occupati di lei »
Fa una pausa, come se non
sapesse andare avanti. A me non sembra una tragedia, ormai sono
abituato alle
adolescenti malate che si affezionano ai dottori bellocci. Non riesco a
capire
perché me lo stia chiedendo quasi con un favore.
«Karev,
ascoltami. Se
ci fosse qualcun altro libero, di cui mi fido, non ti avrei dato questo
compito. Immagino che possa essere difficile per te, ma sono anche
sicura che
ti comporterai al meglio. Adesso va, su, sparisci »
Inarco le sopracciglia,
non posso farne a meno. Lei mi congeda con un gesto della mano,
voltandosi
verso il tabellone degli interventi. Lo sta aggiornando, scrivendo il
nome
della ragazzina di cui dovrei occuparmi io. Hanna Klein, 15 anni,
trapianto di
midollo osseo.
Meredith e Christina si sono sedute al mio tavolo, durante la pausa pranzo, circondandomi come uccellino attorno ad un nido. Come se avessi bisogno di essere protetto.. forse è così
Quando Meredith fa quella
faccia, non la sopporto. Mi guarda come se avessi cinque anni e fossi
appena
caduto dalla mia biciclettina. Ho scosso la testa, alzato gli occhi al
cielo,
finendo di masticare un terribile panino al prosciutto, con una foglia
di
insalata che mi esce di traverso dalle labbra.
Parlo a bocca piena, giusto per far capire a tutte e due che sono nella mia fase di menefreghismo assoluto.
" Ma
piantala. Io sto
da Dio, non vedi? E non ho alcun bisogno di parlare con Izzie. Questo
è
quanto.. devo andare " Parlo a bocca piena, giusto per far capire a tutte e due che sono nella mia fase di menefreghismo assoluto.
Non ho nemmeno portato via il mio vassoio. Se vogliono aiutarmi davvero, lo faranno loro per me.
Comunque, sono le sei del pomeriggio. L’intervento sulla signora Robins è terminato, sono persino riuscito a scusarmi con lei, prima di addormentarla. Sloan mi è sembrato soddisfatto. Ho preso la cartella di Hanna, dieci minuti fa, è da lei che sto andando. Salgo le scale – non riuscirò mai più a riprendere un ascensore – raggiungendo la stanza 29b, dove hanno sistemato la ragazzina. C i sono i suoi genitori con lei, una coppia giovane e in apprensione. Non ci si abitua mai alle malattie dei figli, anche se devi conviverci tutta la vita
« Signori
Klein? Sono
il dottor Karev, mi occuperò io di Hanna prima del
trapianto. Dovremmo fare
solo qualche analisi del sangue e poco altro, d’accordo? »
Mi rivolgo più alla
ragazza, che a loro. E’ distesa sul letto, la testa
appoggiata al cuscino.
Porta i capelli tagliati cortissimi, alla maschiaccio, scuri quasi
quanto i
suoi occhi. Che sono grandi ed espressivi, come quelli di un daino
nella
foresta. Lei mi sorride, annuisce, si sistema meglio i cuscini dietro
la schiena,
aiutata dal padre. Apro la cartella, scorrendo lungo il foglio di
ricovero,
inarcando un sopracciglio. Manca qualcosa
« Signori
Klein, avete
già un donatore compatibile? Nella cartella di Hanna non
risulta, ma possiamo
fare degli esami anche a voi per controllare, se ancora non sapete il
vostro
grado di compatibilità.. »
Vorrei andare avanti,
continuare a spiegare loro la procedura, anche se questo iter
l’hanno già
subito quattro anni fa. Anche questo mi sembra strano, che non abbiano
un
donatore dichiarato. La Bailey non dimentica mai di scriver qualcosa
sulle
cartelle dei pazienti, possibile che abbia cominciato proprio dal mio
caso?
Apro la bocca nuovamente, ma devo richiuderla quando si apre la porta
del bagno
all’interno della stanza. Questo vuol dire farlo apposta,
volermi del male.
Izzie è
dappertutto, è
sempre dove sono io. Vorrà dire qualcosa?
« Alex! »
sembra
sorpresa. Forse è stata lei a chiedere alla Bailey di
trovare qualcuno,
chiunque tranne me. Non si aspettava che arrivassi proprio io. Ma poi
mi
sorride, avvicinandosi al letto, sistemandosi in piedi al fianco dei
genitori
della ragazzina. Quest’ultima le sfiora addirittura il
braccio con una mano,
placidamente, come se fosse un gesto naturale.
« Il dottor Karev è un ottimo medico Hanna, vedrai che ti divertirai con lui. Non sembra, ma sa essere anche simpatico, di tanto in tanto » abbandona il letto, lasciando spazio ai signori Klein, avvicinandosi a me di qualche passo. Devo trattenermi, di nuovo, per non indietreggiare – fuggire –, o per non avanzare – baciarla – . In entrambi i casi farei la figura dell’idiota
« Il dottor Karev è un ottimo medico Hanna, vedrai che ti divertirai con lui. Non sembra, ma sa essere anche simpatico, di tanto in tanto » abbandona il letto, lasciando spazio ai signori Klein, avvicinandosi a me di qualche passo. Devo trattenermi, di nuovo, per non indietreggiare – fuggire –, o per non avanzare – baciarla – . In entrambi i casi farei la figura dell’idiota
«
E’ un tuo vecchio
caso? » le chiedo, abbassando la voce,
rivolgendole per la prima volta in
questa giornata assurda un tono di voce che non sia di accusa o di
condanna.
Il fatto è che sono
confuso, estremamente confuso. Lei scuote la testa – capelli
biondi che si
muovono davanti ai miei occhi e mi ricordano un sogno fatto troppo
recentemente
– poi piega la testa in direzione di Hanna, rimanendo con il
corpo vicino al
mio. Sfiorandomi, quasi.
«
E’ Hanna, mia figlia.
Sono io la donatrice. »