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Autore: Rocket Girl    13/04/2011    1 recensioni
Iniziai a scappare.
Fuggivo da quell’incubo.
Evadevo dalla mia realtà, che non distinguevo più.
Cercavo me stessa e la mia vita, lontano da ciò che ero.
Pregavo perché esistesse qualcuno sopra di me.
Impetravo perché mi sbagliassi tremendamente.

L'intero mondo distingue ogni singola persona fra i folli e i retti.
I folli fra gli psicopatici e gli anticonformisti.
Il problema è che, a volte, la linea fra malattia mentale e la semplice voglia di apparire e scandalizzare si fa talmente sottile da dubitare che esista.
Il problema è che, a volte, le differenze si riducono al nulla.
Genere: Dark, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Era soltanto un ragazzino. Un ragazzino oscuro, bizzarro; probabilmente uno di quelli fissati con la moda del gothic. Traspariva un senso d’inquietudine probabilmente piuttosto ricercata, dato che ovunque fosse, la sua strada era vuota e spianata. Era l’unica persona nel raggio di miglia, e l’unica compagnia era costituita dalle sue ombre, quelle fisiche e dentro la sua anima, dentro i suoi occhi. Quegli occhi così chiari, che facevano a botte con la chiarezza del sole, eppure tanto più freddi quanto questo fosse caldo.
Era un ragazzino.
Era soltanto un ragazzino solitario.
Era un ragazzino che camminava barcollando, quasi fosse ubriaco.
Era un ragazzino con un piede nella fossa e l’altro sull’orlo.
O forse, l’altro era la morte stessa, e il becchino new age aspettava soltanto che lo prendesse interamente, per poter assumere appieno quell’aria decadente da angelo della morte – e che attrattiva, che speranza per uno come lui!
Le sue mani, come artigli neri, erano tese quasi aspettassero di soffocare un collo.
O di spezzare qualche osso, così da poter giocare ancora un po’.
D’altronde la morte e la vita erano soltanto questo, un gioco. Ci si divertiva, si saltava dall’una all’altra senza problemi, sfiorandole ogni volta, rimanendo in uno stato di dormiveglia allucinato che veniva eccitato dall’ebbrezza della paura altrui. Erano così stupide, le emozioni umane.
Lui era diverso.
Era riuscito a salire fino a rendersi un dio, e si nascondeva fra le ombre di una strada solitaria in un giorno nuvoloso, le cui nuvole nere urlavano pioggia imminente. Anzi, urlavano tempesta.
Tutto questo avrebbero dovuto, in una persona normale, provocare angoscia. In un meteoropatico quasi depressione. In un meteoropatico sano, per meglio dire. Perché lui non era normale, non era mentalmente stabile, e ne andava fiero. D’altronde, cos’era follia e realtà?
Si definiva follia lo stato in cui una persona parlava e pensava in modo del tutto incoerente.
Si definiva folle qualcuno le cui reazioni erano anormali, erano eccessivamente violente o inadatte alla causa che le aveva scatenate.
Incoerenza? Normalità? Violenza? Adattabilità?
La coerenza non era adattabile alla vita umana. La coerenza era la capacità di far coincidere ogni atto ed ogni pensiero, e l’uomo non era tale. L’uomo viveva di contraddizioni dal momento in cui era concepito: nasceva per morire. Tentava di rallentare il proprio destino, di andare controcorrente e mostrarsi il più possibile lontano dalla morte. Pensava di volersi innalzare dal proprio suolo delle convinzioni comuni, e mostrarsi nella sua bellezza, e restava miseramente ancorato al terreno per paura del giudizio altrui. Si chiudeva nel proprio guscio d’ignoranza e luoghi comuni, terrorizzato da ogni cosa e protetto dalla sicurezza che strisciando nessuno avrebbe mai notato la sua esistenza. Denominava folle chi spiccava il volo, chi radeva al suolo con tutte le proprie forze quell’inutilità velenosa che tentava d’ostacolare le sue ali che s’aprivano temerarie a coprire l’universo misero di quelle formiche, di quegli insetti che non sapevano far altro che temere l’aquila.
La follia non era altro che desiderio di sentire l’aria che accarezzava la pelle, vedere le gocce che si cristallizzavano sulla pelle e sentire il sole che bruciava questa, umida d’acqua salata, mentre piccoli cristalli salini, che sembravano quasi diamanti, brillavano sulla pelle. Era far quel che si voleva senza paura del giudizio, sfidare dio ed avere l’ardire di proclamare la propria parità.
Era folle.
Era la cosa che più amasse di se stesso.
Vedeva nel suo sguardo l’ardire della differenza, vedeva i riflessi di quella sociopatia – e chissà cos’altro! – che spezzavano le catene che lo legavano al mondo.
Era un ragazzino, sì, ed era meravigliosamente libero dalla mediocrità umana.
  
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