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Autore: Maggie_Lullaby    14/04/2011    3 recensioni
«Il cantante Joseph Jonas è scomparso da quattro giorni. Le autorità sono alla ricerca del ragazzo, che pare essere scappato dopo l'incidente che l'ha coinvolto giorni fa. La famiglia si sta mobilitando in ogni modo per riportarlo a casa e gli chiedono, nel caso stia ascoltando questo messaggio, di tornare dal loro il prima possibile. L'incidente, causa della sua scomparsa, è avvenuto diciassette giorni fa, conseguito con il decesso di...».
[...] Si spettinò i capelli con una mano mentre entrava nel bar dalle luci soffuse, tenendo il capo chino. Gesto inutile, nessuno in un bar lungo un'anonima superstrada del Nevada l'avrebbe mai riconosciuto come Joe Jonas, il ragazzo scomparso.
Correzione: scappato.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4.


Avevo gli occhi aperti […]

sentivo una voce chiamarmi,

staccarmi via dal suolo, ma in volo tutto si è spento ed ora resto solo

{Ciò che poteva essere; Gemelli Diversi}


Matilde aumentò la velocità della macchina, osservando con allegria la lancetta del contachilometri che sfiorava i centoventi chilometri allora. Lanciò un'occhiata felice verso Joe, il quale fece un cenno con il capo in silenzio, osservandola ridacchiare.

Erano passati quattro giorni da quella notte nel Minnesota, e da allora non avevano più toccato l'argomento sulla sua crisi, quel crollo nervoso che aveva avuto all'improvviso.

Sospirò e guardò fuori dal finestrino, sentendo il sole battergli sul viso e riscaldarlo. Per un singolo istante si sentì sereno, libero da qualsiasi cupo pensiero.

Durò solo un secondo.

«Prossima tappa?», domandò, voltandosi di nuovo verso la ragazza, vestita con una maglietta che le scopriva una spalla gialla limone, un paio di shorts rossi e degli scarponcini verdi. Una botta all'occhio.

«Nebraska.», disse lei. «Io stimo questo Stato.».

Joe corrucciò il viso.

«Come mai?».

«Hai sentito che nome stupendo? Nebraska. Stima profonda.».

Joe scosse il capo per quella sua ennesima stranezza, passandosi una mano tra i capelli corti e poi sul viso, ispido per la barba che non radeva da qualche giorno per rendere più difficile riconoscerlo in giro.

Matilde regolò la piccola radio dell'Impala, girando la manovella alzando il volume al massimo mentre partiva Eye of the tiger, dei Survivor.

«Allora, Joseph, fino a quando avrò l'occasione di poter godere della tua allegra presenza?», domandò la moretta, con una lieve vena di sarcasmo quando pronunciò la penultima parola.

Il ventunenne alzò gli occhi al cielo.

«Non lo so.», disse, scrollando le spalle, alternando gli sguardi tra il paesaggio che li circondava e il viso della ragazza. «Dopo il Nebraska dove pensi di andare?».

«Georgia. E poi il North Carolina. Ohio e poi Texas.».

Al suono dell'ultimo Stato pronunciato Joe rabbrividì: lì vivevano i suoi genitori e lui voleva rimanere lontano da loro il più possibile.

«North Carolina.», disse poi.

Matilde annuì.

«Ancora un paio di settimane, all'incirca, dunque.», commentò.

Joe fece un cenno affermativo con il capo, prima di voltare definitivamente lo sguardo verso la strada, osservando le centinaia di macchine che sfilavano accanto a loro, il sole che batteva sul suo volto, il vento che gli scompigliava i capelli che, pian piano, stavano diventando sempre più lunghi.

Gli faceva piacere viaggiare con Matilde, dopotutto. Quella ragazza gli dava una sensazione strana di sicurezza e protezione.

I suoi accostamenti colorati con i vestiti gli sarebbero mancati.

La venticinquenne inforcò con una mano gli occhiali da sole, tamburellando le dita dell'altra sul volante tenendo il ritmo della canzone.

Poi, improvvisamente, iniziò a cantare con quanto fiato aveva in corpo il ritornello di Eye of the tiger.

Joe fece un'espressione per metà divertita e per l'altra sorpresa.

«Su, avanti, canta con me!», lo incitò lei, ridacchiando. «Magari riuscirai a coprire lo strazio della mia voce, chissà!».

Joe scosse il capo.

«No, dai...», mormorò.

«No un corno. Suvvia.», e riprese a cantare, facendo addirittura voltare l'autista di una macchina che stava superando.

Joe iniziò a canticchiare a bassa voce, ma quando notò l'occhiata contrariata di Matilde alzò ancora più la voce.

Fu come una magia. Da quando c'era stato l'incidente non aveva più cantato, per lui cantare significava felicità e credeva che da quel momento in poi avrebbe dovuto dimenticare quella parola. Non aveva più canticchiato sulla doccia, non aveva più ripetuto le parole di una canzone nella propria mente. Ed ora, sentire quelle frasi fluide accompagnate dalla musica del CD uscire dalla sua bocca... Fu come ritornare quando tutto andava bene, quando lui non aveva ancora rovinato la vita a tutta la sua famiglia.

Matilde sorrise vedendolo con un sorriso spontaneo sul viso anche mentre cantava, gasato, tutta la canzone: la conosceva a memoria.

E per il minuto e mezzo che rimaneva della canzone, su quella autostrada c'erano solo loro due, l'Impala, e i Survivor. Matilde non era una promessa sposa e Joe non era un assassino.

Per un minuto e mezzo, andò tutto bene.

Quando la canzone finì e cominciò You give love a bad name Matilde diede una pacca con una mano al ragazzo.

«Joe, non mi avevi detto di saper cantare così bene!», disse sorpresa. «Sei veramente bravo, sul serio!».

«Grazie.», mormorò il ragazzo, appoggiandosi allo schienale del sedile, con un lieve sorriso sincero.

Il sole stava tramontando all'orizzonte, il cielo si stava tingendo di rosso e di giallo, regalando ai due compagni di viaggio uno spettacolo meraviglioso.

Matilde fu tentava di fermare la macchina e scattare una fotografia, ma non lo fece.

«Matilde, posso farti una domanda?», domandò Joe, senza smettere di guardare il tramonto.

«Certo, anche due.».

«Michele, il tuo fidanzato, ti manca?», chiese.

La ragazza rimase sorpresa per la domanda, ma rispose comunque.

«Come l'aria.», disse, con un velo di tristezza. «Perché me lo chiedi?».

«Viviamo a stretto contatto da due settimane e non ti ho mai vista al telefono con lui.», spiegò con semplicità il ventunenne.

«Sì, è una regola che ci siamo imposti. Non sentirci in alcun modo per tutto il mio viaggio qui negli Stati Uniti, una specie di prova finale per capire se veramente vogliamo stare insieme per il resto della nostra vita. Se riusciamo a stare tutto questo tempo senza sentire nemmeno la voce l'uno dell'altra senza sentirne la mancanza vuol dire che c'è qualcosa che non va. E Michele, a me, manca. Sono sicura che lui sia l'amore della mia vita e, sinceramente, a volte vorrei che questo viaggio finisse il più presto possibile.».

Joe ascoltò attentamente e, per quanto trovasse strana la cosa, era anche giusta.

Quando ormai era calato il buio da un bel po' Matilde notò un'insegna luminosa sull'orlo della strada e girò verso di essa, parcheggiando di fronte a una piccola locanda simile a quella in cui si erano incontrati lei e Joe da cui proveniva una musica alta, risa e chiacchiericci vari.

«Signor Joseph, questa sera affronteremo una nuova sfida.», commentò la ragazza, spegnando la macchina e uscendo nell'aria fresca estiva, afferrando dal sedile posteriore il proprio giacchino di jeans.

Joe la guardò storta, aprendo la portiera e uscendo anche lui, seguendola mentre entrava nel bar.

Il piccolo locale era pieno di gente e nell'aria aleggiava un pesante odore di fumo e sudore.

Una zona del luogo era riservata come pista da ballo, poiché qualche coppia ballava al ritmo della canzone che veniva cantata dal karaoke dall'altra parte del bar.

«Fermiamoci qui per un po'.», propose Matilde. «Conosci Its my life di Bon Jovi?».

Joe annuì, lievemente spaventato per quello che poteva vagare nella mente della giovane donna.

«Perfetto!», trillò lei, saltellando sul posto. «Karaoke!».

«Neanche se mi paghi!», esclamò Joe, strabuzzando gli occhi. «Come? No, no, io non canterò mai qui!».

«Forza, Joseph! Si tratta di una canzone soltanto!», insistette la ragazza. «Ti farò compagnia. Ti prego!».

Il ventunenne la guardò mentre spalancava gli occhi in un'espressione molto simile a quella di un cucciolo che necessitava di coccolo e, non riuscendo a resistere, annuì.

«Io ti adoro, uomo!», fece lei, abbracciandolo di slancio, lasciandolo basito. «Forza, andiamo.», lo afferrò per la camicia e lo tirò dietro con sé lungo i corpi degli altri presenti.

L'uomo che stava cantando in quel momento una canzone piuttosto vecchia di Elton John finì poco dopo, tra gli applausi di un gruppo di amici seduti a un tavolo e di pochi altri.

Non appena avuto il permesso di uno dei camerieri del locale, Matilde salì sul piccolo palco accompagnata da un Joe piuttosto riluttante.

«Ma buona sera a tutti voi!», trillò, attirando su di sé gli sguardi di molti. «Bene, io sono Matilde e il qui presente è il mio amico Joe. E per 'sta sera, solo per 'sta sera, faremo un'esibizione straordinaria. Godetevi lo spettacolo e mantenetelo nei vostri ricordi!».

In parecchi risero, percependo il pesante sarcasmo della ragazza, nel frattempo Joe aveva selezionato la traccia musicale nell'apparecchio apposito.

Le note di Its my life partirono subito dopo e Matilde e Joe iniziarono a cantare, ognuno con un proprio microfono.

All'inizio il ragazzo era intimidito, come poco prima in macchina, ma pian piano, guardando Matilde e il suo entusiasmo, e come la gente ridesse guardandola così allegra e felice, lanciata in un balletto sfrenato, si sciolse.

Ed era di nuovo su un enorme palco davanti a diecimila persone che chiamavano il suo nome, quello di Nick e di Kevin. Nicholas suonava la chitarra, cantando, stregando le fan con la sua voce meravigliosa e Kevin gli sorrideva, suonando la chitarra come se fosse la sua stessa vita.

Era di nuovo Joe Jonas, il pazzo, stupido, un po' idiota Joe. Il ragazzo solare e sorridente. Il ragazzo stampato sui poster di migliaia di ragazzine. Era di nuovo un fratello, un amico, un figlio amato.

Si accorse solo alla fine della canzone, che aveva cantato a pieni polmoni, che Matilde aveva smesso da molto tempo di cantare con lui e l'aveva semplicemente osservato, con un gran sorriso compiaciuto, ballando tenendo il ritmo per fare un minimo di presenza scenica.

Tutte le persone presente nel locale si erano voltate verso di lui e applaudivano, lo applaudivano di nuovo.

Joe sorrise.

«Bis!», gridò Matilde, incitando anche gli altri a ripetere lo stesso.

Un coro che gli credeva di cantare di nuovo si alzò dal palco e il ventunenne annuì, mentre Matilde, lo abbracciava brevemente prima di selezionare un'altra canzone: Have a nice day, sempre di Bon Jovi.

Joe aspettò lo stacco per iniziare a cantare e riprese. Ringraziò Matilde mentalmente, per averlo bombardato per due settimane con quella canzone che ormai conosceva a memoria.

Matilde batteva le mani a ritmo mentre Joseph cantava, mettendoci animo e corpo. Furono solo due canzoni, ma sapeva che probabilmente era la migliore esibizione che avesse mai fatto sino a quel momento.

Quando anche quella canzone finì scese dal palco, lasciando lo spazio a un paio di ragazze un po' brille.

Matilde si avvicinò al bancone del bar e prese un paio di birre in bottiglia, portandone poi una a Joe, che la aspettava poco lontano.

«Sei stato fantastico, seriamente.».

«Grazie. Anche per avermi convinto a fare questa... cosa. Ti ringrazio, di cuore.».

Matilde scrollò le spalle.

«È stato un piacere.».

Le due ragazze al karaoke stavano intonando una melodia lenta, un po' malinconica, e in molti si erano avvicinati alla pista da ballo per ballare uno dei pochi lenti proposti della serata.

«Vuoi ballare?», propose Joe, con un mezzo sorriso storto.

Matilde annuì, sorridente, un po' sorpresa.

Si immersero in mezzo alle altre coppie e, con ancora le birre in mano, Joe le cinse la vita, mentre Matilde il collo.

Si dondolavano piano, in una danza più simile a quella del mattone che altro.

Joe sospirò guardandola, un groppo in gola.

«Ero innamorato della moglie di mio fratello maggiore.», cominciò, sentendo subito gli occhi farsi umidi.

Matilde lo guardò, presentandogli subito attenzione.

«A dire il vero, lo sono ancora. Lei era... una persona meravigliosa, capisci? Danielle era vera, sincera, una delle poche persone che mai si sarebbero approfittate di me, ed era di una bellezza incredibile. La conobbi quando ero solo un ragazzino, in vacanza con i miei fratelli. Credo di averla amata da quel momento. Ma lei iniziò a uscire con Kevin, mio fratello maggiore. E nonostante mi piangesse il cuore ogni volta che li vedevo, dovevo ammettere che erano perfetti. Due tasselli di un puzzle.».

«Due anni dopo essersi messi insieme, Kevin le propose di sposarla. E lei accettò. Si sposarono, ed io feci da testimone di nozze a mio fratello, insieme a Nicholas, mio fratello minore. Prima della cerimonia avevo intenzione di dire a Danielle ciò che provavo per lei, pensavo che magari sarebbe andata a finire come in quelle stupide commedie romantiche, in cui alla fine la ragazza è sempre stata innamorata del testimone di nozze e vissero per sempre felici e contenti. Ma non potevo fare una cosa del genere a Kevin. Lui... lui è una delle persone più importanti della mia vita, non avrei mai potuto fargli una cosa simile, strappargli l'amore della sua vita...».

Matilde lo guardò a lungo, sentendo una stretta al cuore, conscia che la tragedia vera e propria era dietro l'angolo.

«Ho frequentato altre ragazze, sono stato felice con alcune di loro, ma sapevo che non sarebbe stato lo stesso che con Danielle...», deglutì. «Due mesi fa, ero a Seattle con la mia famiglia. Una sera, poco dopo il nostro arrivo, pioveva, ovviamente, e in macchina c'eravamo solo Dani, Kevin ed io. Stavo guidando, lei era seduta sul sedile posteriore, mi sono distratto un secondo a guardarla con lo specchietto a retrovisore... e... e non ho visto un cane in mezzo alla strada. Quando Kevin me l'ha detto, ho sterzato, la macchina è scivolata sull'acqua e si è ribaltata».

Delle lacrime gli rigavano il volto mentre raccontava e Matilde lo strinse a sé, cullandolo dolcemente come se fosse stato un bambino.

«Non mi ricordo molto di ciò che accadde.», ricominciò. Aveva il bisogno di sfogarsi, di dire ciò che lo opprimeva come un macigno. «So solo che il volante mi aveva fracassato lo sterno e che non sono morto per un soffio. Fu Kevin a tirarmi fuori dall'auto, era l'unico che riuscisse a stare in piedi, mi ha tirato fuori e poi è andato a prendere Danielle.».

Le immagini di quei momenti gli comparvero di fronte come un'orribile film, come se la sua memoria avesse deciso di sbloccarsi in quell'istante. Avrebbe preferito non accadesse mai.

Joe era steso a terra, l'asfalto bagnato sotto di sé e la pioggia scrosciante che lo bagnava completamente. Non riusciva a muovere un muscolo e anche solo gemere gli procurava un dolore indefinibile al petto. La vista era sfuocata, ma riusciva comunque a vedere il rosso che gli bagnava la maglietta.

La figura tremante di Kevin sopra di lui riuscì a riscuoterlo per qualche istante.

«Joe? Joe, ti prego, rispondimi. Joe! Joe resisti. Ti supplico, ti prego Joe, resisti!», urlava il ventitreenne, ma al moro arrivava solo un suono ovattato.

«Torno subito, Joe. Joe, arrivo. Ti prego, resta con me, resta con me.». Lo vide allontanarsi, fino a sparire dalla sua vista. Cercò di dirgli di chiamare aiuto, e provò a voltare lo sguardo per cercare lei. Danielle.

«Da...», ansimò, ma dovette zittirsi prima di poter finire perché il dolore si era fatto talmente forte da mozzargli il fiato.

Ebbe la terribile consapevolezza di sapere che stava per morire.

Poco dopo la figura sfuocata di Kevin tornò, e tra le braccia teneva il corpo esanime di Danielle.

Kevin appoggiò la moglie a terra, vicino a Joe.

«Amore? Dani? Mi senti, amore? Ci sei...?». Kevin piangeva. Da quanto tempo Joe non lo vedeva piangere di tristezza?

Joe per un istante trattenne il fiato e pensò di perdere i sensi. Lei non poteva essere... no, lei non poteva, lei non era sicuramente morta...

«Kev.», disse la voce flebile di Danielle.

«Amore. Amore stai bene? Dove ti fa male?», chiese Kevin con voce spezzata, ma un nuovo sollievo nel proprio tono.

«Sto bene.», mormorò la ragazza.

«Sei sicura?».

Danielle annuì con una smorfia. Anche Joe riuscì a percepire che mentiva, cercò di dirglielo ma non ci riuscì.

La ventiquattrenne allungò una mano verso Joe e la ritrasse coperta di sangue.

«Joe...?», fece con tono spezzato. «Oh mio dio, Joe!».

Kevin si spostò e si allungò verso il fratello, completamente zuppo, il volto bagnato sia da lacrime che gocce di pioggia.

«Joe, guardami. Non devi chiudere gli occhi, va bene? Siamo qui, tra poco arriverà qualcuno e ci tirerà fuori dai guai, hai capito? Avanti Joe, sei il mio fratellino, non puoi lasciarci così.».

«Fa... male...», sussurrò il ragazzo, con tono spezzato, scoprendo si star piangendo anche lui.

«Lo so, lo so. Joe, dobbiamo bloccare l'emorragia, ora. Resta con me, okay? Stai qui con noi.».

Il ventunenne lo vide sfilarsi la giaccia e far pressione sul suo petto, mozzandogli il fiato per il dolore.

Voltò lo sguardo verso Danielle, che pian piano si stava issando sui gomiti per avvicinarsi a lui e non appena ci riuscì gli prese la mano, stringendola forte.

«Stai qui con me, Joey, okay? Guardami.».

E Joe la guardò: anche in quel momento, con un taglio sulla tempia che delineava una lieve striscia rossa di sangue, i capelli bagnati, il trucco sbavato, i vestiti strappati e lo sguardo pallido e disperato la trovò bellissima.

Un paio di luci li illuminarono, sentì Kevin alzarsi e iniziare a gridare qualcosa, sentì Danielle stringergli la mano con più forza.

«E' arrivato qualcuno, ora chiameremo un ambulanza, Joey, e tu starai bene. Forza, Joey, forza.», gli baciò la mano che gli teneva. «Stai con me. Resta qui con me.».

Joe ricambiò la stretta che la ragazza gli porgeva e chiuse gli occhi.

«Oh, mio Dio.», mormorò Matilde, iniziando anche lei a lacrimare lievemente solo immaginando ciò che quel ragazzo doveva aver passato.

«Mi hanno strappato alla morte per un soffio. All'inizio si pensava avessi bisogno di un trapianto di cuore, ma non è stato necessario. Sono rimasto in coma per tre giorni. Quando mi sono svegliato... Avrei preferito rimanere incosciente.».

Matilde percepì ciò che Joe le stava per dire.

«Dani... Dani era morta. Lei... lei aveva un'emorragia interna che è stata scoperta troppo tardi e non è... l'operazione... non l'ha superata.». Stava piangendo, come quella notte.

«Kevin aveva semplicemente sbattuto la testa e stava bene. In senso fisico, almeno, o forse nemmeno dopo che Danielle è...», si zittì, senza riuscire a ripeterlo.

«E gliel'ho detto. Gli ho detto che ero innamorato di lei. Che avrei voluto averla sposata io, non so perché lo feci, forse era l'effetto degli antidolorifici. Abbiamo litigato, e lui mi ha detto che era tutta colpa mia se lei era morta, che era tutta dannatamente colpa mia. Mi ha detto che ero un assassino, che si sentiva tradito da me.». Trattenne il fiato. «Mi ha detto che non dovevo più considerarlo mio fratello, perché per lui io non ero altro che l'assassino di sua moglie.».

«Joe... Era fuori di sé per il dolore. Sua moglie era appena morta... sono sicura che non lo pensava veramente. Sei suo fratello, Joe, non si può decidere di non esserlo più. Lui ti vuole bene, e sono certa che sia pentito di ciò che ti ha detto.».

«Tu non c'eri.», mormorò il ragazzo. «Tu non eri lì, era così convinto, così distrutto... Lui lo diceva veramente.».

«Sono sicura non sia così.», disse Matilde, con tono convinto.

La canzone lenta era finita da molto, ma loro due erano ancora nella stessa identica posizione.

«È per questo che sei scappato?», domandò poi, a bassa voce, facendo alzare lo sguardo a Joe.

«C... come?».

«Pensi che non abbia capito che sei scappato di casa e che tutti ti stanno cercando?», domandò. «Non sono una stupida, Joe.».

«Non volevo dirtelo.».

«Non importa. Non mi interessa se non me l'hai voluto dire. Ma, Joe, tu devi tornare a casa, lo sai questo, sì? Non mi guardare così.», aggiunse, notando lo sguardo disperato del ragazzo. «Joseph, hai una vita meravigliosa che ti aspetta, una famiglia che ti aspetta, migliaia di fan che chiamano il tuo nome a gran voce...».

Quello non se lo aspettava. Il cantante aprì la bocca, sbalordito, e in cambio ricevette semplicemente il sorriso aperto di Matilde.

«Non ti ho riconosciuto subito, lo ammetto. Ci ho messo qualche giorno a ricordare in te il ragazzo che vedevo nei cartelloni pubblicitari in giro per Torino nel 2009. Ma sei tu, non è vero, Joseph Jonas? E hai una vita invidiabile. Con Kevin si risolverà tutto, lo so. Devi solo tornare a casa, devi dare a te stesso una seconda possibilità. Ma per ritornare alla tua vecchia vita devi ficcarti bene in quella testa vuota una cosa: non è stata colpa tua. Okay? Nonostante ciò che potrai mai leggere o sentirti dire non è colpa tua se Danielle non è più qui. Non è colpa tua se a Seattle piove, o se quel cane stava attraversando la strada. Niente di ciò che è avvenuto è stata colpa tua. Devi capirlo, seriamente, prima di poter pensare di tornare alla tua vecchia vita, okay?».

Joe annuì, le lacrime che ancora gli rigavano il volto.

«Mati...».

«Non dire niente.», gli sorrise lei, e gli diede un bacio vicino all'angolo della bocca, asciugandogli una lacrima. «Non dire niente.».


Siamo gocce di un passato che non può più tornare, questo tempo ci ha tradito.

{Gocce di memoria; Giorgia}


Joe si svegliò improvvisamente in un letto che, di sicuro, non era il suo. Si mise seduto sul materasso una volta essersi districato da tutte le coperte che lo avvolgevano e si passò una mano tra i capelli.

Lanciò un'occhiata in giro per la stanza, riconoscendo le pareti e l'arredamento sobrio della piccola stanza di motel che aveva preso in Nevada.

Scese di corsa dal letto, rischiando quasi di cadere per terra nella fretta. Com'era tornato in Nevada, dal confine con il Nebraska? Dov'era Matilde?

Si guardò intorno, ma nulla lasciava presumere che la ragazza fosse o fosse stata lì.

Non era possibile, doveva essere un sogno, lui era in un bar vicino al Nebraska dove si cantava il karaoke; perché era tornato nel luogo in cui aveva cominciato il suo strano viaggio con quella stramba ragazza chiamata Matilde?

Si disse di restare calmo, mentre riordinava le idee. Poco prima stava raccontando ciò che era accaduto durante l'incidente a Seattle, e subito dopo si svegliava in un letto, a centinaia e centinaia di chilometri di distanza.

Possibile che fosse stato tutto un sogno?

Scosse il capo. Era sembrato tutto così reale, così vero, non poteva essere stato tutto falso, tutto solo uno stupido sogno.

Si passò la mano laddove Matilde gli aveva lasciato un leggero bacio a stampo, vicino all'angolo della bocca, e sembrò di sentire il profumo di rosa della ragazza.

No, non era stato un sogno, la sensazione di quel contatto era reale. Non era stata una finzione.

Oppure sì?

Possibile che avesse dimenticato di essere tornato indietro sino in Nevada?

Scosse il capo, cercando di ricordare, sinché non vide il suo iPhone appoggiato su un armadio.

Come un automa, lo afferrò e lo accese, inserendo il codice PIN. Lo sfondo lo accolse come un colpo al cuore: un'immagine di lui, Nick e Kevin stretti in un abbraccio durante un pomeriggio libero dal lavoro, scattata da Danielle a sorpresa.

Sorrise, guardando la propria immagine sorridente stretta tra i suoi due fratelli. Pochi istanti dopo sullo schermo comparve l'avviso di un centinaio di chiamate perse e un numero indefinito tra sms e messaggi vocali lasciati in segreteria.

Ancora prima che potesse aprirne uno la suoneria iniziò a suonare e la scritta “Kevin” lampeggiò. Il cuore parve fermarsi qualche istante per la sorpresa.

Con dita tremanti accettò la chiamata e si portò il telefono all'orecchio.

«...Pronto?», mormorò, il tono gracchiante.

«JOE!», urlò dall'altra parte la voce sollevata di Kevin. «Oddio, Joseph, finalmente. Senti, mi dispiace, non avrei mai dovuto dirti quelle cose, non è stata colpa tua. E lo sapevo, sapevo che eri innamorato di Danielle, lo sapevo, e ne avremmo dovuto parlare prima. Dannazione, era da quando l'abbiamo vista la prima volta che sapevo che provavi qualcosa per lei, ma sono stato egoista e non ho voluto parlartene. E l'incidente... non è stata in alcun modo colpa tua. Non è stata colpa tua. Tu non c'entri, dico sul serio, Joe. Ti prego, scusami. Io ti voglio bene, Joe, sei mio fratello, sei il mio migliore amico, scusami, scusami davvero, non volevo dirti quelle cose. Stai bene? Dove sei?».

Joe guardò fuori dalla finestra e gli parve di vedere uscire dal parcheggio del motel un'Impala Chevreolet del '67 nera. Sorrise.

«Sto tornando a casa.»


Comunque vada io mai mi scorderò di te.

{Ciò che poteva essere; Gemelli Diversi}


E' già finita. Ebbene sì.

Prima di tutto, onde evitare critiche o accuse riguardo questo (di questi tempi...) io non auguro in qualunque modo che possa succedere una cosa simile a Danielle, Joe o Kevin Jonas, tutto ciò che è accaduto in questa fanfiction è stato scritto non per poter condividere un qualche specie di odio nei confronti di Danielle ma per puro hobby. Danielle personalmente io l'adoro e credo sia meravigliosa.

Detto questo, stop. Questa fic non ha avuto molto successo in fattore recensioni, ma... Va beh, chissenefrega, io scrivo perché mi piace, se voi leggete è perché vi fa piacere (oppure volete farvi quattro sane risate dietro le mie idee strampalate. ;D), se mi lasciate una riga di commento mi fate un favore, se non è così vivrò comunque. :)

Ringrazio infinitamente le persone che hanno recensito, comunque, grazie. *w*

Alla prossima (ovvero al capitolo di I'm Only Me When I'm With You che sto per postare). Olive & An Arrow pensò potrei pubblicarlo durante queste vacanze di Pasqua, ma non lo so, dipende dal tempo.

Vi manderò un saluto caloroso da Londra. **

Grazie a tutti, chi a letto, chi ha recensito, chi ha messo questa storia tra i preferiti, le seguite e le ricordate! <3

  
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