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Autore: Lady Aquaria    14/04/2011    4 recensioni
Estratto dal capitolo 1:
Certo che voleva Camus, dentro di sé non aveva mai smesso di provare per lui qualcosa di più del semplice affetto; anche se a sé stessa lo negava, per Camus provava ancora amore.
"Io e papà ci siamo amati, un tempo."iniziò, cercando le parole più adatte."Amare, Lixue, capisci? È qualcosa di molto più forte del volersi bene."
"Quanto forte?"
Forte abbastanza da indurre una ragazza nemmeno ventenne a rivolgere fredde parole cariche d'odio all'altro. Un sentimento così intenso da indurla a restare a letto per giorni dopo il suo abbandono, tanto potente da spingerla a prendere a pugni il fratello che le aveva proposto di abortire.
EDIT: Storia completamente revisionata! Vale
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Dragon Shiryu, Nuovo Personaggio, Shunrei / Fiore di Luna
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vie del Destino'
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Capitolo 11 rivisto
11.
If i could turn back time.
 
You walk out that door I swore that I didn't care
but I lost everything darling then and there
Too strong to tell you I was sorry
Too proud to tell you I was wrong
 
if I could turn back time
If I could find a way,
I'd take back those words that hurt you
and you'd stay
[Cher, If i could turn back time]
 
 
"Spero tu non voglia farmi cambiare idea." iniziò Mei, eseguendo l'inchino rituale. "Perché in questo caso puoi anche smetterla qui e lasciarmi riprendere gli allenamenti."
"No, no." Shiryu rispose all'inchino, quindi si mise in posizione d'attacco. "Non voglio farti cambiare idea, anche perché non ci riuscirei."
"Bene, perché la mia rabbia non è del tutto svanita. Allora cosa devi dirmi che io non sappia già?" Mei scansò un calcio circolare e atterrò il fratello dopo averlo colpito al ginocchio, una mano ben premuta sulla sua testa.
Shiryu si vide costretto a battere la mano a terra in segno di resa dopo qualche secondo.
"…aspetta un minuto, pensavo fosse un allenamento."
"Appunto."
"Mi hai colto alla sprovvista." disse Shiryu. "Non mi aspettavo una reazione del genere."
Mei ridacchiò.
"Avessi voluto farti del male, a quest'ora non respireresti più. Vedi che cosa significa snobbare l'Aikido?" rispose, attaccando di sorpresa e riuscendo a mettere a segno una gomitata, che però fermò prima che arrivasse a toccarlo. "Stavo per colpirti l'artiglio del drago, ancora qualche millimetro e puf! saresti morto."
Nell'arena in parecchi assistevano alla scena: sacerdotesse allieve di Shaina, ancelle che si erano soffermate incuriosite di ritorno dal mercato, giovani reclute che osservavano da lontano.
"Per essere una femmina è piuttosto veloce." commentò DeathMask, tirando una lunga boccata dalla sigaretta.
"Certo che è veloce, l'ho addestrata io." interloquì Dohko, incrociando le braccia sul petto con fare orgoglioso.
"Anche se basterebbe una manata delle mie per farla volare fino a casa." tenne a precisare DeathMask.
"Non puoi usare Cosmo e Armatura su un avversario che non li possiede." lo redarguì Shura.
"E comunque al posto tuo non farei affidamento sulla tua armatura, dati i precedenti ho come l'impressione che tu le stia antipatico." commentò Milo.
Camus sorrise appena, tutto concentrato a seguire in attento silenzio il combattimento; non appena Lixue l'aveva avvertito, era sceso all'arena e ora non perdeva un solo colpo: Mei era svelta, certo, altrimenti non avrebbe conseguito il quarto dan né avrebbe insegnato, ma anche lei aveva i suoi punti deboli, che nascondeva abilmente dietro l'atteggiamento calmo e ponderato.
La vide rialzarsi dopo essere stata atterrata da Shiryu e schivare un altro calcio piegandosi all'indietro come una canna al vento.
"Però, che flessibilità." commentò Milo, sedendosi accanto all'amico. "Qualità decisamente apprezzabile in certi frangenti."
"Oh sì." rispose Camus. "Non posso che darti ragione."
Anche Milo iniziò a seguire lo scontro, con Shiryu che spesso si lanciava contro la sorella attaccando a più non posso, e Mei che rispondeva con abili mosse di Aikido o con colpi presi in prestito da diverse arti marziali creando una sorta di stile personale.
"L'avevi mai vista combattere, prima d'ora?"
"A parte quell'unica volta anni fa, sinceramente no."
"Beh, non è male, fidati. Mi sembra ancora di sentire il suo calcio addosso."
"Uhm…" Mei teneva la guardia bassa, tipica del judo, ma aveva il vizio di tenere il braccio sinistro come in continua tensione, sempre all'erta. Dati i suoi atteggiamenti, doveva essere il fianco sinistro il suo punto debole.
"Allora? Di che cosa volevi parlarmi?" riprese Mei. "Ho molto da fare."
Shiryu schivò un colpo di taglio e la respinse dandole un'amichevole pacca sul sedere.
"Niente, volevo dirti che mi dispiace sapere che ti trasferisci." le disse, tirandola a sé e abbracciandola. "Mi farà uno strano effetto non averti più intorno."
"Lo so, ma ti ho già spiegato le mie ragioni." disse Mei. "Magari torneremo ad andare d'accordo come quando eravamo bambini, grazie a questo distacco. Io ho bisogno dei miei spazi così come tu hai bisogno dei tuoi. Hai bisogno di creare la tua famiglia."
"STO PER VOMITARE." berciò DeathMask dai gradoni, assistendo alla scena.
"OH, MA PERCHE' NON VAI A FARTI F-…"
Camus tappò fulmineo le orecchie di Lixue.
"Tu non hai sentito, vero?"
"No, ma mamma mi deve lo stesso due euro." replicò.
"TRA UN PO' CREPO DI DIABETE." riprese DeathMask.
"Tais-toi!" sbottò Camus in sua direzione.
DeathMask lo fulminò.
"Farò finta di non aver sentito." replicò.
"Spero di non dovertelo ripetere."
"Che ti prende? Tu odi Shiryu." fece Milo, poco dopo.
"Io non lo odio, semplicemente non lo sopporto. Non ci sopportiamo a vicenda e a me va bene così. In ogni caso rimane suo fratello, la sua famiglia, e se riesce a farci pace io sono contento per lei. Perché so che cosa vuol dire crescere senza fratelli, da solo. Mei ha un fratello ed è bene che se lo tenga stretto." spiegò Camus. "Beh, a dire il vero sono cresciuto con te, ma… ehm… il sugo del discorso l'hai capito, no?"
Milo lo guardò, sulle labbra un gran sorriso.
"Il mio migliore amico è tornato!" mormorò.
"Mi mancherà soprattutto la tua cucina." mormorò Shiryu.
"Sì, come no. Farò finta di crederti." disse Mei. "Allora, vogliamo continuare o rimaniamo abbracciati sotto questo sole cocente a farci prendere in giro da quel buffone?"
"Prima o poi gli taglierò la lingua."
Mei rise e gli diede un leggero spintone, attaccandolo di nuovo.
"Ah, comunque… dovrei dirti qualcos'altro." disse Shiryu. "Riguardo la faccenda del farmi la famiglia."
"Si?"
"Dunque… Shunrei e io aspettiamo un bambino."
Mei si accorse di essere rimasta scioccata da quella notizia solo quando si ritrovò lunga e distesa a terra.
 
Camus si precipitò giù dai gradoni, falciando Shiryu con uno sguardo di fuoco.
"Maledizione." borbottò Shiryu.
"Ti sei bevuto il cervello?" sbottò Camus nello stesso momento. "Quando ti sei accorto che non reagiva avresti dovuto fermarti!" continuò, voltando la compagna su un fianco. "Mei?"
"Credi l'abbia fatto apposta?"
Aphrodite si avvicinò a Mei e fece scostare i due uomini.
"Largo, largo. Non consumatele l'ossigeno."
"L'ho vista battere la testa." disse Shiryu, preoccupato.
"Mei, mi senti? Niente scherzi, su. Rispondimi." le tastò il capo a lungo, senza trovare nulla di particolare. "La testa è a posto, credo abbia una lieve commozione cerebrale, Cam, ma nulla di grave, i parametri vitali sembrano nella norma. Mei, mi senti?"
Camus borbottò qualcosa in francese, mentre Mei corrugava la fronte.
"Ahi." sussurrò Mei, aprendo gli occhi lentamente e tentando di mettersi seduta.
"No no no. Rimani distesa. Hai preso una bella botta, sai?"
"Sì?"
"Non ti ricordi? Ti stavi allenando con Shiryu e non hai schivato un colpo."
Mei pareva confusa: sbatté le palpebre un paio di volte e si girò verso il fratello.
"Appena mi capiti a tiro giuro su nostro padre che ti trasformo in donna!" lo minacciò.
"Mica l'ho fatto apposta!"
"Senti, Camus… io la porterei in ospedale per una tac, non si sa mai." propose Aphrodite. "Magari non è niente di che, ma è meglio controllare."
"Ma sto bene, mi sento bene." protestò Mei.
"Insisto." disse Aphrodite. "L'ultima volta che una paziente ha rifiutato la tac, è morta di emorragia cerebrale dopo un paio di giorni."

Camus alzò lo sguardo di scatto.
"Così non ci sei d'aiuto." lo riprese.
"Wow, questa storia sarà il nuovo pettegolezzo preferito delle ancelle, dopo il matrimonio di Aiolia e Marin." ridacchiò Milo.
"Gliel'ha chiesto?! Davvero?" Mei sgranò gli occhi.
"Ancora no ma è questione di tempo. Sai com'è Aiolia. Non ci pensa due volte quando si tratta di affrontare il nemico, ma quando si tratta di fare alla sua bella una semplice domanda, allora…" rispose Aphrodite, mentre aiutava Camus a farla rialzare.
"Beh, ma non è una domanda. E' la domanda." fece Mei. "Sa bene anche lui che se la pone nella maniera sbagliata manda tutto a farsi benedire."
"E quale sarebbe la maniera giusta?" Aphrodite scambiò un'occhiata con Camus.
"Qualunque modo preveda sincerità, buona volontà e un pizzico di romanticismo."
Camus tirò un sospiro di sollievo.
"Oh Athena, per un attimo ho temuto sciorinassi il solito cliché di lui inginocchiato con i lucciconi agli occhi."
"Ho detto pizzico di romanticismo." lo corresse Mei. "Ma anche volendo, non riesco proprio a immaginare te in lacrime inginocchiato a chiedere la mia mano. Primo perché sarei la prima a non volerlo, secondo perché te e il romanticismo siete due cose letteralmente agli antipodi."
"Non è vero, in fondo anche io sono romantico."
"Molto in fondo." lo corresse Mei. Intravide Cora avvicinarsi e sbuffò.
"State bene?" le domandò. "Ho assistito alla scena e sono preoccupata."
"Oh, sto benissimo." rispose Mei, sorridendo melliflua. "Ci vuole ben altro per mettermi fuori gioco e per levarmi di mezzo."
"Tutto bene Cora, grazie." interloquì Camus.
Aphrodite sorrise appena, seguendola.
"Dalle tregua, su."  
"Sono gelosa e non posso farci niente, è nel mio sangue. Sono metà italiana e sai, gli italiani sono sanguigni." replicò Mei a mo' di spiegazione. "E poco m'importa sapere che è sposata e ha un figlio, ronza troppo intorno al mio uomo. E a me non va." salì in auto mentre Camus salutava Cora.
"Mei, fammi subito sapere come va." si raccomandò Shiryu, chinandosi all'altezza del finestrino. "Non sai quanto mi dispiace."
"Tranquillo. Piuttosto, dovremmo parlare di questa faccenda del bambino non appena torno dall'ospedale, intesi?"
"Ospedale?" interloquì Shunrei. "Che è successo?"
Shiryu si schiarì la voce, imbarazzato.
"Le ho detto del bambino mentre ci stavamo allenando." spiegò. "E' rimasta di stucco e non ha schivato il mio calcio."
"Oh cavolo. E adesso?" domandò Shunrei, preoccupata.
"Adesso sta andando a fare una tac." le rispose, mentre l'auto di Aphrodite si allontanava. "Dèi che imbecille, come ho fatto a non fermarmi?"
 
"Io propongo anche una bella visita ai riflessi." commentò Camus. "Mi sa che sono un tantinello allentati."
"Non stai parlando con una pivellina, sai? Comunque no, non è questo. Quel dannato calcio l'ho visto arrivare, te lo garantisco."
"Allora come hai fatto a non schivarlo?"
Mei fece mente locale, ancora frastornata.
"E' per una cosa che mi ha detto Shiryu." rispose. "Hai presente quando ricevi una notizia sconcertante che ti lascia a bocca aperta e non ti fa pensare a nient'altro?"
Aphrodite la guardò fugacemente attraverso lo specchietto retrovisore.
"Quanto sconcertante?" le chiese.
"A quanto pare diventerò zia."
Camus sgranò gli occhi.
"Cosa?!" esclamò. "Di già? Ma sono due ragazzini!"
Mei incrociò le braccia sul petto.
"Ah sì? Tu sei diventato padre a diciotto anni e io li avevo appena compiuti… e dici a loro ragazzini? "
Stava per dirle che non riusciva a vedere Shiryu nel suo stesso modo, che per lui era ancora mentalmente un ragazzino e che la sua maturità da diciottenne era stata ben diversa da quella di suo fratello, ma preferì tacere per evitare inutili discussioni mentre entravano in ospedale.
Alla fine della fiera, tutto si risolse con una tac e nessun danno, spavento a parte.
 
Più tardi quella sera, Camus e Milo attesero pazientemente che Mei ritornasse dalla settima casa per iniziare a trasferire i bagagli su a Parigi.
"A quanto pare è incinta di due mesi." gli disse, mentre controllava le ultime cose. "Due mesi, ci crederesti? Non ha perso tempo, caspiterina."
"Direi proprio di no. Staremo a vedere." commentò Camus. "Direi di muoverci prima che si faccia notte."
La portò per prima, per darle il tempo di abituarsi allo spostamento repentino –dopo anni ancora non si era abituata agli spostamenti alla velocità della luce, a quanto pareva- e iniziò a fare la spola tra l'appartamento e l'undicesima casa.
Mei iniziò a guardarsi intorno mentre Milo aiutava Camus a portare i bagagli.
"Attento a quella, ci sono i vinili di mia madre." disse, adocchiando la vecchia valigia di pelle blu che Milo aveva appena posato nell'ingresso, sopra un enorme baule laccato rosso.
"Vinili rock?"
"No, di opere liriche."
"Oh cielo. Che lagna." commentò Milo.
"Hey, mia madre era una cantante lirica." ribatté Mei. "E posso assicurarti che ascoltarla cantare è tutto fuorchè una lagna."
Milo si schiarì la voce.
"Ehm… scusa."
"I vinili rock sono nel baule." rispose distratta. "Guarda pure se vuoi."
Da ciò che poteva vedere, non era un appartamento da scapolo, né, ringraziando gli Dèi, sembrava uscito da una rivista d'arredamento: tutto, lì dentro, aveva un aspetto vissuto che Mei trovò confortante.
Camus tornò con Lixue e le ultime due valigie, riprendendo fiato.
"Ecco dov'eri." disse, in direzione di Milo. "Qui a curiosare tra i dischi mentre io mi spaccavo la schiena."
"E smettila di lagnarti, sei ancora intero, no?" rispose Milo, prendendo un vinile e sgranando gli occhi quando vide Gene Simmons in copertina. "Questo mi manca! Cosa succederebbe se per puro caso questo dovesse scomparire dal tuo baule?"
"So dove abiti." replicò, prima di contare le valigie. "Dovrebbero essere le ultime, per ora. Dobbiamo ancora svuotare la mia stanza, al Goro Ho, e prendere Sabaka e le ultime cose di Lixue."
"Avvertitemi, verrò a darvi una mano." disse Milo, prima di tornare a casa.
"Quando andiamo a prendere Sabaka, papà?"
"Ehm… domani, tesoro. Domani mattina sicuramente." le rispose Camus, sorridendo. "Intanto ti va di andare a vedere la tua stanza?"
Lixue gli rispose con un sorrisone da trentadue denti.
"Sì!!"
"Bene, è l'ultima in fondo al corridoio, dove c'è quella lucina verde. Vedi?" le indicò. Lixue scattò subito in direzione della propria stanza, tutta allegra.
"Non si corre in casa!" la riprese Mei. "Non devi disturbare i vicini! Che diamine, siamo appena arrivati…"
"Oh, non preoccuparti per i vicini. Abbiamo tutto il piano e gli inquilini del piano di sotto sono due facoltosi pensionati che vivono gran parte del tempo a Martinica e trascorrono qui solo un paio di mesi all'anno, di solito quelli a cavallo tra inverno e primavera."
Mei sospirò.
"Aspetta, fammi capire… in questa scala abbiamo tutto il piano, sopra di noi c'è il tetto e l'appartamento sotto è praticamente inabitato? Cos'è, sono morta e finita in paradiso?"
Camus ridacchiò.
"I miei avevano comprato due appartamenti su quattro, grazie ai soldi lasciati da mio zio ho comprato il terzo quando Lixue aveva poco più di un anno e Freya ha preso il quarto appartamento l'anno scorso, non appena s'è liberato." spiegò.
"Freya e Hyoga… abitano con noi?"
"Non esattamente. Il loro appartamento comunica con il nostro grazie a una porta che dopo ti farò vedere, ma sono indipendenti."
Mei annuì.  
"A quanto pare mi toccherà sopportare il biondino anche a Parigi. Come mai Lixue ha una stanza per sé, qui?"
Lui si schiarì la voce, spostando la valigia con i vinili di Letizia nel soggiorno.
"Quando ho saputo della sua nascita avevo sistemato la stanza in più all'undicesima casa per lei… ma poi, con tutto quello che è successo… l'ho spostata qui." spiegò Camus.
Preferì non rivangare ricordi dolorosi.
"Quando le hai detto di andare a vedere la stanza, ho pensato per un attimo stessi parlando con me." ridacchiò Mei.
"No, no. Non c'è pericolo, guarda."
"Lieta di saperlo. Allora mi fai vedere dove dormo, e magari anche la casa?"
"Certo, vieni."
La precedette in cucina, che prima della terza e ultima aggiunta era stata la stanza più grande dell'appartamento: gran parte dei pensili e dei mobiletti erano ancora quelli dei suoi genitori, in lucidissimo legno di ciliegio. Davanti all'isola di cottura con almeno il triplo dei fornelli che aveva avuto a disposizione al Goro Ho, faceva bella mostra di sé una serie di mensole e di ganci che reggevano così tanti utensili che le occorsero dieci minuti buoni a passarli tutti in rassegna.
"Cos'è quella strana pentola?"
"Quella verde smaltata? Una tajine, si usa nella cucina araba e funziona a grandi linee come una pentola a pressione, naturalmente senza il pericolo che esploda." spiegò Camus. "Mio padre era cuoco, aveva un ristorante e mi ha trasmesso l'amore per le varie cucine. Sparsi per i pensili troverai sicuramente molte altre pentole straniere frutto dei miei viaggi."
"Oh. Beh, avrò bisogno di una wok, di una teppanyaki e di una vaporiera di bambù." commentò Mei. "Soprattutto la vaporiera."
"Ne parleremo al momento adatto." la interruppe Camus.
La scortò poi in salotto, nel locale biblioteca interamente rivestito di scaffali e nella sala da pranzo; saltò un paio di stanze e la stanza di Lixue.
"Cosa c'è dietro quelle porte?"
"Un microscopico bagno di servizio e lo sgabuzzino-lavanderia."
"E qui cosa c'è?" chiese Mei. "Si può sapere o è proibita come l'ala ovest del castello della Bestia?"
"C'è il mio studio." rispose Camus. "La stanza dove lavoro e dove trascorro parte della mia giornata."
"Mh… mi devo aspettare cose strane?" chiese Mei.
"No, figurati."
"Non me la mostri perché mi nascondi qualcosa? Magari qualche bella francesina che non ha fatto in tempo a uscire dalla porta principale?"
"Sciocca. Devo mostrarti un paio di cose prima."
La stanza di Lixue, ad esempio: niente rosa confetto –che Lixue odiava- ma un bel verde giada, colore che, tra le cose, era stato usato su gran parte dell'arredamento.
"Una volta era la mia stanza, questa." spiegò Camus. "Solo che all'epoca era rivestita da una carta da parati blu notte con i personaggi di Babàr."
"Davvero?" domandò Lixue, incuriosita, mentre Mei guardava il resto della stanza.
"Una barca cinese!" esclamò Mei.
"Dokho mi ha aiutato a cercarne una in buone condizioni e dopo averla disinfettata e messa a posto, mi ha aiutato ad arredare il resto." confessò Camus. "Mi ha dato una mano nei mercati e nei negozi di Shanghai a cercare tutti gli elementi orientali. E' così che ho trovato la lanterna che fa da lampadario… io ho tinteggiato e fatto il resto. Anche se adesso abiterà qui, voglio comunque che mantenga le radici del suo paese natale."
"Un angolo di Cina nella bella Parigi." disse Mei.
Nello spazio di barca non occupato dal materasso, Camus aveva sistemato dei libri in diverse lingue e delle foto.
"Ma siete voi!" esclamò Lixue, prendendo un portafoto rivestito di gommapiuma colorata che conteneva una foto di Camus e Mei.
"Aspetta, fa' un po’ vedere…" disse Mei, domandandosi quale foto stesse guardando.
Una foto che come minimo aveva sette anni, quando lo spettro del male era ancora lontano e loro due sembravano una normale coppia di giovani innamorati. Due diciottenni nel pieno della vita, senza preoccupazioni o problemi, solo innamorati. Era stata scattata, ora se lo ricordava, quella sera al bowling: lei rideva per qualcosa che aveva detto Milo, lui, che la teneva tra le braccia, la stava guardando. Nemmeno a farlo apposta chi aveva scattato la foto aveva colto tutto l'amore espresso in quell'abbraccio, aveva colto l'intensità con la quale i suoi occhi brillavano.
E Camus…
Camus aveva quello sguardo… quello sguardo innamorato, che purtroppo gli aveva visto negli occhi solo poche volte.
"…è…" un nodo alla gola "… è una foto bellissima."
"Ma piangi, mamma?" domandò Lixue, prendendo la foto che Mei le stava restituendo.
"Sì… ehm…" sorrise Mei. "…ma non è niente, tesoro. Sono solo felice."
"E ti pare poco?" Camus le strinse tutt'e due in un abbraccio. "Ah, le mie donne… la mia famiglia!"
Un grugnito di fame molto poco poetico.
"Mi spiace rovinare l'atmosfera ma credo sia il mio stomaco." mormorò Mei.
 
*
 
Camus aprì il frigorifero estraendo diversi involti e posandoli sul tavolo che Mei stava apparecchiando.
"Non c'è neanche bisogno di cucinare stasera." sorrise, annusando allegro il contenuto di una vaschetta d'alluminio. "Ma di scaldare sì, temo. Bella idea quella di passare prima al take away cinese."
"Li ha cucinati zia Shunrei, a dire il vero." lo corresse Lixue, porgendo un post-it che aveva trovato tra una vaschetta e l'altra.
Mei lesse il messaggio che la cognata aveva scritto e se lo rigirò tra le dita.
"Quella benedetta ragazza non sta mai ferma… quando accidenti ha trovato il tempo di cucinare tutta questa roba?"
"C'era questa borsa termica insieme al resto." spiegò Camus. "E pensavo fosse cibo preso in qualche ristorante."
"No, no." replicò Mei. "Al Goro Ho, pizza a parte, era ben raro vedere cibo già pronto, soprattutto cibo cinese. Beh, ci penso io qui, và pure a sederti."
Aprì  le vaschette d'alluminio scoprendo che Shunrei aveva cucinato le sue pietanze preferite e che, insieme a una bottiglia di mei kwei lu, le aveva dato una bottiglia della sua salsa.
"… hey Cam, Shunrei mi ha dato una bottiglia della mia salsa… che dici, la metto in tavola?" scherzò, versando il manzo fritto con le verdure in una padella sufficientemente larga. "…hey …! Com'è che non vi sento più?"
Andò in salotto trovando Lixue in braccio a Camus, intenti a guardare degli album fotografici.
"…oh." mormorò. "Ehm… la cena sta scaldando, qualche minuto e si mangia."
"Hai visto le mie foto, mamma?"
Foto? Camus aveva delle foto di Lixue?
"Quali foto?" domandò. E quando le aveva scattato delle foto?
La invitò a sedersi accanto a loro e vide diversi album fotografici, dove un'etichetta scritta nella calligrafia ordinata ed elegante di Camus, indicava il contenuto delle foto: alcuni album contenevano foto scattate qua e là al Goro Ho, o durante i viaggi che Camus aveva effettuato per conto del Santuario –molte foto erano particolarmente belle, come quella che ritraeva padre e figlia su un cavallo ocra a Kobotec, a giudicare dal bianco che li circondava e dai cappotti pesanti che indossavano-.
"Sai che Kirill ce l'ha scattata lo stesso giorno in cui ho trovato Sabaka?" domandò Lixue, tutta contenta. "Lo ricordi, papà?"
"Sì." rispose Camus, con uno strano tono di voce mentre guadava Mei intenta a sfogliare gli album. Lixue da piccola, insieme a Sabaka in mezzo alla neve, addormentata davanti al camino dell'isba abbracciata al suo cucciolo, davanti alle sue torte di compleanno -Camus non ne aveva mai perso uno, neanche dopo la guerra contro Hades- e in tante altre bellissime foto che lui aveva scattato quando le aveva fatto visita.
"Alcune sono davvero molto belle." commentò Mei dopo quella che a Camus parve un'eternità. "Ce ne sono un paio che mi piacerebbe ristampare e incorniciare."
Camus si schiarì la voce.
"A proposito. Mi dispiace aver scattato le foto a tua insaputa… non sapevo come l'avresti presa, se ti avessi chiesto il permesso di…"
Mei lo zittì, accarezzandogli una guancia.
"Se c'è una persona che deve dispiacersi, quella sono io, non tu. Non hai fatto nulla di male, Cam." disse, non riuscendo a trattenere le lacrime. Sentì odore di bruciato e si riscosse di colpo. "Oddèi, il manzo!!"
In verità non aveva sentito nessun odore di bruciato, voleva solo evitare di far sentire Camus in colpa e di farsi vedere piangere, visto che i propri sensi di colpa erano esplosi di colpo e all'improvviso.
 
*
 
Dopo cena Lixue andò subito a lavarsi i denti e a dormire, spossata, lasciando i due genitori in cucina, liberi di parlare.
"Ecco, adesso posso farti vedere quelle stanze."
"…arrivo." rispose Mei, cercando di capire come azionare la lavastoviglie.
"Cos'hai?"
"Niente, arrivo." tentò di sviare il discorso. "Lixue s'è addormentata?"
"Sì, praticamente subito. Non c'è stato nemmeno bisogno di leggerle qualcosa."
"Bene."
Le posò le mani sulle spalle costringendola a lasciar perdere l'elettrodomestico.
"Sei strana da quando hai visto quelle foto e a cena non hai detto nemmeno una parola. Mei, il passato è passato. Ti preoccupi troppo per ciò che era e ciò che sarà. C'è un detto: ieri è storia, domani è un mistero…"
"…ma oggi  è un dono, per questo si chiama presente?" concluse Mei al suo posto.
"…sì …"
"Altro che detto, quello è un aforisma di Kung Fu Panda."
"Beccato."
"Cammina, mostrami la casa."
Passando davanti alla porta dello studio, Mei bussò discretamente un paio di volte.
"Hai ancora qualche minuto di tempo per uscire, tesoro."
"Ma con chi parli?"
"Con la francesina nascosta nello studio, no?"
Le rifilò una pacca sul sedere.
"Smettila."
Corse avanti e aprì la porta della camera.
"Questa la vediamo dopo." le disse Camus, inducendola a proseguire. "Prima devo parlarti di altro. So che al Goro-Ho hai una stanza dove pregare."
"Sì."
"Ho lasciato una stanza vuota per permetterti di arredarla come meglio credi per pregare."
Si guardò intorno.
"Secondo le regole del feng shui è anche orientata bene… intendevi farci qualcos'altro, qui?"
"Beh, la stanza degli ospiti e altre due stanze per i nostri figli già ci sono, non pensavo di usarla."
Mei annuì.
"Potrei usarla, sì. Ma prima dovrei chiamare un monaco taoista per farla benedire e per prepararla. E una volta che avrà accolto le tavolette e le anime dei defunti non ci sarà modo di usarla per altri scopi." l'avvisò. "Perché secondo quanto diceva la trisnonna Jian Shu, se fai sloggiare le anime dalla loro casa, diventano spettri maligni e ti perseguitano."
Camus inarcò il sopracciglio sinistro: fu un movimento impercettibile, ma Mei lo colse ugualmente.
"Ti ho visto." l'ammonì. "Non mi piace quell'espressione che metti su quando parlo di Avi e Spiriti. Tu credi in Athena e negli Dèi olimpici, ma non ti derido per questo."
"Mi dispiace… è che sono un uomo pratico, che crede in ciò che riesce a vedere…"
"… disse quello che lotta per Athena e che crea ghiaccio dalle mani."
"Beh, Athena esiste davvero, è Lady Kido. E anche il ghiaccio che creo esiste davvero." rispose, Camus, creando un cristallo di neve. "Esiste, visto?"
"Wow. Anche gli spiriti che vedo esistono." ribatté Mei. "Anche la sensazione di freddo intenso e la pelle d'oca che ho quando per errore li attraverso sono reali, esistono. Anche le sensazioni che senza volerlo loro mi lasciano addosso sono reali, le sento. Ma è inutile che ne parliamo, avremo sempre opinioni e credenze differenti a riguardo. Tornando alla Stanza, preferirei tenere questo spazio per eventuali ospiti o bambini e avere uno spazietto più intimo su in mansarda, se non ci sono problemi."
Lui sorrise.
"D'accordo. E dimmi, esattamente quanti bambini intendi avere? Così, giusto per rimettermi sotto allenamento."
"Smettila, sei in formissima, altrochè."
 
La camera era tutta sui toni del blu, colore che Camus amava particolarmente e che a Mei non dispiaceva: dopo una vita trascorsa in una casa in cui il rosso era il colore predominante, era più che felice di quella scelta.
"Uhm… il letto sembra comodo…" osservò, tastando il materasso con una mano.
"Lo è."
"Dopo averla vista quasi tutta, devo ammettere che sono molto colpita dalla casa, Cam. Mi piace."
"Ne sono felice."
"Solo… mi spiace, ma quelle tende a losanghe devono sparire, gli anni settanta rivogliono indietro le loro orribili fantasie." scherzò Mei, muovendosi verso la finestra e le tende incriminate. Intravide qualcosa seminascosto tra l'armadio e il muro e s'avvicinò: qualsiasi cosa fosse, era coperta da un lenzuolo che tolse prima che Camus potesse fermarla.
"No, quella…" tentò di dirle "…no."
Una culla come quelle che aveva visto nei cataloghi di articoli per neonati o nelle vetrine dei negozi alla moda di Wangfujing, a Pechino: legno di ciliegio intagliato, zanzariera di chiffon e lenzuolino immacolato.
"È una… culla."
"Già." commentò Camus, a bassa voce.
"Tu avevi… tu avevi comprato una culla?!" fece Mei, la voce strozzata.
Sì, dopo la sua prima visita alla bambina. Non le disse che si era sentito un'imbecille subito dopo e che la sola vista di quell'oggetto, all'epoca, bastava per farlo sentire male. Non le disse che era per quel motivo che l'aveva relegato nell'angolo più remoto della stanza e l'aveva coperto.
Allargò le braccia come per dire: lo vedi, no?
"Oddèi." si bloccò, portandosi le mani al volto. "Oddèi."
"No, no, no… non piangere." disse Camus. "Non mi piace vederti piangere. Andiamo a dormire, Mei. È stata una lunga giornata… avremo tempo per parlare."
"Un minuto Camus, aspetta. Voglio controllare Lixue. Lo faccio sempre, prima di andare a dormire." disse Mei, aprendo la porta della cameretta. Entrò per spegnere la luce dell'abat-jour, che Lixue aveva lasciato accesa, scoprendo così che la bambina si era addormentata abbracciata alla loro foto.
"Wănān, māmā."mugolò Lixue, quando Mei le tolse la foto di mano per evitare che si facesse male.
Con i sensi di colpa che provava, dubitava seriamente di riuscire a chiudere occhio.
"Buonanotte, tesoro."
"…mi piace la stanza." disse Lixue, mezza addormentata.
"Piace molto anche a me. Dormi, Li, è stata una lunga giornata. Buonanotte."
 
***
 
Lady Aquaria's corner
(Capitolo revisionato in data 16 luglio 2014)
-Sabaka è il cane di Lixue, che introdussi tempo fa nella drabble "Bianco" della mia raccolta di drabble.
-Babàr è l'elefante protagonista del libro e del cartone animato omonimo nato in Francia negli anni 30.
-Wangfujing è l'equivalente di Via Roma a Torino o Via Montenapoleone a Milano, è infatti la via dello shopping di Pechino.
 
Come sempre ringrazio chi segue/legge-e-basta/chi la preferisce e naturalmente, chi recensisce.
Alla prossima!!
Lady Aquaria
   
 
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