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Autore: RiceGrain    15/04/2011    5 recensioni
Monroe ha paura di tante cose.
Dei clown, tanto per cominciare. Dei temporali estivi. E del suono del telefono nel bel mezzo della notte. Ha paura della solitudine e di quella voragine che sempre più spesso sente crescere dentro di sè.
Gerard è un po' come lei. Un giovane fumettista dalle vedute troppo larghe e dai sogni ingombranti.
Entrambi fragili, entrambi soli.
Ma il destino, si sa, a volte ci mette lo zampino.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gerard Way, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Four.



-Ciao, Monroe.- Dale e il suo ciuffo di capelli rossi spettinati mi salutarono non appena misi piedi nel suo garage, il luogo che in teoria usavamo per suonare, ma che in realtà era più che altro l'occasione per farci e sfarci di tutto e di più.

Negli ultimi giorni soprattutto suonare non era stato nemmeno contemplato.

-Guardate cos'ho trovato venendo qui- Brian, alzatosi da uno dei divanetti, scaraventando a terra il giornale che stava leggendo -perchè lui ci teneva all'informazione- si cavò fuori dalla tasca un sacchettino di polverina bianca.

-Stavamo aspettando voi per dare inizio al party.- si mise a ridere e Travis restò serio invece. La cosa mi fece preoccupare e mi voltai a guardarlo.

-Finiscila, testa di cazzo. Non fa ridere nessuno. La gente ci muore per colpa di quella merda, te ne rendi conto?-

Brian restò spiazzato, e prima che potesse avere il tempo di fare qualsiasi cosa, Travis gli andò vicino e sorridendo come se davvero gli importasse della salute del suo amico, gli prese la bustina dalle mani.

-Faresti bene a smettere, finchè sei in tempo.-

-Cazzo dici, ti sei bevuto il cervello Bowart?-

Travis rise e rise e rise fino a che tutti quanti non lo guardammo chiedendoci per l'ennesima volta cosa diavolo gli passasse per il cervello e lui era così bello in quel momento. Così bello.

Sembrava il dio della guerra.

Quella sfumatura bluastra nelle iridi turchesi, quel sorriso lupesco, quella fragilità d'animo.

Perchè non mi lasci in pace, Travis?

-Rory. Rory avanti, lo so che ce l'hai con me. Speravo che una sorpresina ti avrebbe calmato però.- si voltò verso di me, prendendomi una mano ed accarezzandomi.

-Prima le signore- esclamò poi, agitandomi la bustina davanti agli occhi.

-Vedi quanto ti amo.- mi passò una mano fra i capelli e quando io non feci niente per assecondarlo, vidi la tempesta arrivare di gran carriera e fermarsi un istante dinnanzi alle sue palpebre chiuse.

Presto, il blu dei suoi occhi sarebbe diventato grigio e la storia si sarebbe ripetuta. Perchè era così che andava ed io il suo corso non sapevo cambiarlo.

-Non mi va- dissi e quando mi sentii pronunciare quelle parole desiderai riprenderle immediatamente indietro. Non volevo farlo arrabbiare, non volevo cambiare la nostra storia, non volevo lasciarlo.

Ridacchiò, tornando per un attimo serio, alternando le risatine diaboliche a sguardi agghiaccianti.

-Che ti prende, fanciulla?-

Mi passò una mano lungo il braccio nudo ed arrivò fino alla mia gola, fermandosi a giocherellare con la catenina che portavo al collo.

-Dove sei stata ieri notte?-

Scossi la testa -Non importa, Travis.-

Smisi di respirare quando il calore della sua mano sulla mia pelle fresca divenne impossibile da sopportare.

-Forse è colpa mia.- continuò ad accarezzarmi -Dovevo portarti via con me, ma non avevo voglia. So che mi capirai.-

-Non importa- ripetei e lui sogghignò.

-Adesso non vuoi più farmi felice?-

Scossi la testa e Brian, dietro di noi, si accese una sigaretta -Voglio la polvere di stelle, cazzo. E poi voglio suonare il nuovo pezzo.-

Travis si voltò e lasciò che Brian capisse da solo che quando il capo aveva una questione in sospeso, tutto il resto era secondario.

Suonare era secondario.

La musica era secondaria quando c'era la Dea Cocaina a comandarci tutti quanti a bacchetta.

-Sì che voglio farti felice, Travis. L'ho sempre voluto e lo vorrò sempre. Anche quando non ti conoscevo, probabilmente lo volevo.-

-Sei mia.- lo disse contro le mie labbra con violenza, così tanta violenza da eccitarmi all'inverosimile. E d'altronde quella era l'unica verità che avesse senso per me, perchè io ero sua.

Totalmente, incondizionatamente, disperatamente sua.

Sua e di nessun'altro. E lui lo sapeva così bene da permettersi di tutto con me.

Perfino andare con altre ragazze davanti ai miei occhi. Avrebbe sempre saputo che io l'avrei perdonato. Anzi perdonare è sbagliato, perchè non avrei mai dovuto perdonargli niente quando dovevo solo essergli riconoscente per avermi scelta fra tante per tenermi con sé.

-Così ti voglio.- sorrise contro la mia pelle, lasciandomi un bacio lento e incendiario sulla linea della clavicola.

-Adesso festeggia con me, bambina.- di nuovo agitò la bustina di cocaina e stavolta non riuscii a tirarmi indietro perchè la verità era che mi sarei odiata se avessi permesso di andare a farsi fottere tutto quello che ero riuscita a costruirmi in quell'anno e mezzo trascorso con Travis.

Perchè quando ero con lui, di fianco a lui, sotto di lui, quando lo sentivo respirare accanto a me o ridere per qualcosa di totalmente fuori dal mondo, io sapevo di essere qualcuno.

Non qualcuno di buono, per carità. Ma qualcuno, sì. E io volevo disperatamente esserlo, perchè per tutta la vita non ero stata l'amica di nessuno, la ragazza di nessuno. E adesso lo ero e non avrei mai voluto buttare tutto quello nel cesso, piuttosto mi sarei lasciata uccidere dalla droga.

E quindi presi quella bustina, svuotai il contenuto sul piccolo tavolino di plastica distrutto dalle botte che nel corso degli anni Dale gli aveva dato e iniziai a preparare tante piccole strisce, una di fianco all'altra, una più bianca dell'altra.

-Brava, brava- Travis si sedette accanto a me, posandomi una scia disastrosa di baci lungo il braccio, risalendo verso il collo.

-Sei bravissima. E stasera voleremo fra le stelle.-

E poi, proprio quando era il momento di iniziare a sniffare la polvere delle fate, come Travis amava chiamarla, io mi sentii male e scoppiai a piangere e pensai a Gerard probabilmente a disegnare nel suo appartamento o magari a Central Park seduto su una panchina. Forse stava bevendo caffè e ridendo con qualcuno.

E mi mancava.

E così mi alzai e lasciai perdere quella merda e Travis si alzò a sua volta e mi prese per il braccio e mi fece male costringendomi a rimettermi a sedere.

Gli urlai addosso di tutto, di tutto e di più e poi piansi di nuovo e Brian, che nel frattempo aveva iniziato a farsi una striscia, fu costretto a spostarsi mentre la radio esplodeva


While you were fucking off

I went and found something new

Packed up all my shit

Stole back all my tapes

Left your spare key under the mat


-Hey sono i Pencey Prep!- disse, alzandosi e mettendo il volume al massimo.

E più quelle urla esplodevano dalle casse dello stereo più io piangevo e più Travis insisteva e mi tirava giù e non mi permetteva di alzarmi.

-Lasciami andare-

-Col cazzo!-

-Me ne voglio andare!-

-Sei solo una puttana, Rory. Dove cazzo pensi di andare?-

Non sapendo nemmeno bene come, riuscii a tirargli una botta sul braccio e lui allentò la presa sul mio, permettendomi così di scivolare sul pavimento e prima che potesse riavventarsi su me, mi misi in piedi e corsi verso la porta del garage, uscendo sul vialetto.

Me ne volevo andare lontano, Dio solo sapeva dove. Non importava nemmeno, l'unica cosa era liberarsi dal peso opprimente della droga, delle mani ruvide di Travis, del profumo del suo respiro accelerato su di me e degli occhi impazziti che sembravano seguirmi dappertutto.

Avevo bisogno di ripulirmi, di farmi una doccia, meglio ancora di buttarmi in un torrente come facevo da piccola e ridere e basta. Fare il bagno e schizzare Charlotte, l'amichetta del cuore. E Sally, Sally Sally Sally...non di nuovo lei.

Il suo ricordo dalla sera prima era ancora troppo vivido e reale e faceva male al cuore e agli occhi anche perchè adesso dalla cortina di lacrime che mi copriva la vista ero sicura che non sarei mai più riuscita ad emergere.

E poi, di nuovo Travis e Gerard, uno dietro l'altro ad affollarmi la mente come una sfilza di palloncini colorati che scoppiano a ripetizione davanti ai tuoi occhi. Come quei palloncini rossi e gialli alla festa di compleanno di Sally, il giorno prima della sua morte.

Da allora i clown mi avevano sempre terrorizzato. Ce n'era uno a quella festa. Un clown dal naso rosso e le scarpe verdi che gonfiava i palloncini e quando io mi ero avvicinata per chiederne uno lui mi aveva sorriso e mi aveva detto di scegliere il colore che più mi piaceva.

Ma il palloncino mi era scoppiato in faccia ed io ero scoppiata a piangere in faccia al clown che si era abbassato ad abbracciarmi. Ero corsa via, proprio come stavo facendo in quel momento.

Correre via, da tutto e da tutti. La storia della mia vita, in 4 parole.

Forse ne avrei anche impiegate un po' di più, se mi fossi concessa qualche volta il lusso di ascoltarmi. Il tempo di ascoltami. Anche 5 minuti in più in fondo alla giornata, roba da poco.

Ma non io. Non era per me, perchè ero terrorizzata, letteralmente terrorizzata dal ticchettio dell'orologio e temevo che se mi fossi presa la briga di perdere tempo prezioso con me stessa, beh poi quelle gocce di eternità non mi sarebbero più tornate indietro e allora di tutte quelle informazioni inutili sugli strani mutamenti del mio essere, che cosa me ne sarei fatta?

Camminai veloce sul marciapiede battuto dalla pioggia che nel frattempo aveva iniziato a scorrere come un fiume in piena, come nel peggior film che si possa immaginare, uno di quelli che ti guardi il sabato notte tornato a casa dopo una sera di bagordi.

Avevo in testa solo Gerard. Gerard e la sua voce. Gerard e la sua risata e le sue mani e i suoi occhi verdi da bambino.

Tornare a casa sua sarebbe stato facile. Così facile e così rassicurante ed anche così dannatamente stridente con tutto quello che avevo visto fino a quel momento, che desiderai piangere con tutte le mie forze, svuotare il mio cuore e versarci anche i residui della mia anima dentro a quel pianto, perchè a quel punto un'anima non ero sicura più di possederla.

E di nuovo il suo disegno dentro la tasca della gonna mi fece sorridere e quando lo tirai fuori l'ennesima volta e lo guardai e lasciai che qualche goccia di pioggia vi si posasse sopra, bagnando e sfumando i contorni dei supereroi, alzai gli occhi al Cielo e dissi -Grazie!- a qualcuno, qualcuno di non definito e continuai a camminare, perchè volevo Gerard.

Lo volevo e non riuscivo a togliermelo dalla testa.

E dentro a quel desiderio riuscivo a scorgerci qualcosa d'altro. Una nota musicale forse. Sì una nota.

E non come quelle che venivano fuori dalla Fender di Travis, no.

Era una nota pura e fresca. Sapeva di mattine passate a fare i pancakes alla banana e lottare con la farina, sapeva di risate stupide e infantili e allora chiusi gli occhi e per la prima volta ci vidi -io e Gerard- rincorrerci per le scale e aspettarci sui pianerettoli scuri del suo palazzo e baciarci in ascensore, contro la parete con i tasti e ridere di nuovo.

Sì, avevo voglia di ridere. Come la sera prima, e lo volevo fare per sempre.

E adesso non potevo più tornare da Travis.

Certamente dopo le cose che avevo urlato contro il muro impassibile della sua faccia schietta, non avrebbe più voluto vedermi. Anche se forse gli avrei sempre fatto comodo in fondo.

Decisi di andare a casa di Marie.

Forse era arrabbiata con me, dopotutto ero sparita per tutto il giorno precedente e non le avevo nemmeno chiesto come fosse andata al colloquio per il nuovo lavoro, sì in quel negozio di dischi che le piaceva tanto.

Era un salto di qualità, secondo lei, lasciare la bottega di tatuaggi di Spencer per andare a vendere i vinili sulla Ottava Avenue.

E forse tutti i torti non avrei saputo darglieli, del resto non era certo il massimo bucare la pelle di gente ignara di cosa comportava davvero farsi marchiare a vita solo per cosa? Per l'importanza di un momento, per lasciare che il tempo non cancellasse mai il suo lento scorrere - di nuovo, di nuovo il tempo, aiuto...non avrei retto ancora per molto e in più la testa mi scoppiava, ma mi scoppiava per davvero e così mi lasciai cadere per terra, contro una palizzata che neanche lo sapevo che diamine ci facesse una palizzata a New York, e chiusi gli occhi e lasciai che qualsiasi immagine mi riempisse il cervello.

Qualsiasi immagine tranne Sally, ma non era certo facile evitare che quelle bolle di ricordi mi riempissero il cervello, e così lasciai perdere e scossi la testa e dissi -No!- ma non valse a niente.

Perchè la sua voce, la voce di Sally era sempre lì. C'era sempre e tornava a gridare con più forza proprio quando io mi sentivo nel fondo del barile.

Volevo solo mangiare i pancakes alla banana con Gerard. Volevo lui, volevo le sue mani fredde e così mi alzai la manica della maglia ed eccole lì, le sue dita rosse come un bracciale sul mio polso.



Però, la cosa strana, era che anche a distanza di tempo, io sentissi ancora quel freddo marmoreo delle sue dita lì strette attorno alla mia pelle.

Marie avrebbe saputo cosa dirmi, sicuramente.

Quando suonai sotto casa sua, lei mi fece salire, guardandomi con il suo solito cipiglio confuso, e spostandosi una ciocca di capelli rossi -Mamy!- la chiamò sua figlia, attaccandosi alle sue gambe nude davanti alla soglia della porta.

-Voglio la merenda-

-Adesso te la porto Daisy.- disse Marie, continuando a fissare me.

Daisy, come Daisy Fay de Il Grande Gatsby, Marie era innamorata di quel libro e sua figlia, avrebbe voluto che fosse proprio come la Daisy del libro. Desiderava per lei che qualcuno smuovesse mari e monti per averla.

-Entra Monroe, entra.- quando le passai accanto, lei sollevò una mano ad accarezzarmi e io lasciai cadere lo sguardo su Daisy.

-Ciao piccola. Come siamo belle.-

Daisy si mise il pollice in bocca e succhiò forte -Voglio la merenda.-

Già, anche io avrei voluto qualcuno che mi portasse la merenda, pensai per un istante, prima di scivolare nella piccola e luminosa cucina di Marie, sedermi a tavola e riflettere ancora sulle miserie della mia vita.

-Porto la merenda a Daisy e poi mi dici cosa ti è successo.- fece Marie, prendendo dal frigo un budino alla vaniglia.

Quando tornò io ero sempre lì, capo chino sulle braccia, a contemplare il nulla dietro le mie palpebre.

-Monroe.- disse lei, dolce.

Mi accarezzò addirittura il braccio e spostò la sedia per sedermisi di fianco.

-Devi lasciare quel pezzo di merda. Monroe, te ne prego- mi sollevò il volto dalle braccia e mi tenne ferma.

-Ti sta uccidendo. Lo vedi, tu hai smesso di sorridere.-

-Non è vero.- scossi la testa, ma dentro di me lo sapevo che aveva ragione.

-E allora perchè saresti qui, altrimenti?- mi guardò e per un istante mi ricordai dello sguardo preoccupato di mia madre, quando ci teneva a rispettare la tradizione dei sabati pomeriggio a farci confidenze.

Era finito troppo presto.

-Io non so che devo fare, Marie. Io non riesco a...a lasciarlo,, ma forse non si tratta nemmeno di questo, no. Perchè lasciarlo significherebbe metter fine a qualcosa e io credo che in fondo fra di noi non sia mai cominciato niente, perchè lui non mi ha mai davvero voluto. O almeno non nel senso convenzionale del termine. Lui ha bisogno di me, perchè così sa di esistere. Io lo lego su questa Terra. Io funziono da cardine dei suoi pensieri, perchè quando suona lì sul palco, mi guarda. Lo fa sempre. Sai cosa vuol dire?-

-Sì che è uno stronzo.- rispose lei, statuaria.

-No, significa che è attraverso di me che lui riesce ad esprimersi. Come posso portarglielo via?-

-Monroe, lui vuole uccidersi. Ti è chiaro questo?- mi prese per le spalle, fissandomi così intensamente che fui in grado di contare tutte le striature nei suoi occhi verdi.

-Vuole uccidersi. E vuole portarti con lui.-

Come se mi avesse tirato una stilettata dritta in fondo al cuore e la sentissi ancora vibrare nel mezzo dello sterno, mi sentii piegare sotto il peso di quelle parole.

-Quante volte ancora dovrà umiliarti, farti male, costringerti a comportarti a suo piacimento, perchè tu lo capisca?-

-Marie, lui è tutto per me. Lui è il significato della mia vita.-

-No che non lo è. Tu eri un'altra persona prima che lui entrasse nella tua vita e la riducesse a brandelli. Tu eri libera.-

-Non credo di esserlo mai stata.-

Lei si alzò, e andò a rovistare dentro un cassetto nella scrivania del salotto.

Tornò qualche istante dopo con una vecchia fotografia. Me la mise davanti e indicò una me stessa di qualche anno fa.

Eravamo a un concerto, neanche mi ricordavo più quale e abbracciate, ridevamo all'obiettivo.

-Guarda com'eri.-

Poi tirò fuori dalla borsetta posata sul tavolo, un piccolo specchietto e posò anche quello di fronte a me -Guarda come sei.-

Piansi. Piansi, piansi e ancora piansi e lei mi strinse fra le braccia, accarezzandomi la testa come fossi la sua bambina -Shh. Ci sono qui io.-

-Marie ho paura.-

-Shhh.-

-Voglio andare via. Via, via. Non so neanche dove, ma voglio andarmene. Voglio prendere un pullman e lasciare perdere tutto quanto.-

Mi asciugò le lacrime e mi tenne ancora stretta -Devi sistemare la tua vita qui prima di andartene. Altrimenti non sarai mai libera.-

Scossi la testa veementemente -No, no. Io non come si fa. Non so se voglio farlo. Voglio chiudere gli occhi e dimenticare. Ti prego, aiutami a dimenticare.-

-Mamma, ho ancora fame.- la vocetta stridula di Daisy interruppe le mie lacrime e così smisi di singhiozzare, solo per vederla fissarmi con i grandi occhioni sgranati.

-Perchè piangi?-

-La zia Monroe si è fatta la bua, presto starà bene.- Marie le accarezzò i capelli -Adesso ti porto il succo di mirtilli, torna a guardare i cartoni.- le mandò un bacio e la piccola ubbidì all'istante.

-Vorrei essere forte come te, Marie. Tu hai avuto una figlia e l'hai cresciuta per quasi due anni completamente da sola. E io non so neanche gestire una storia di sesso con un deficiente.-

-Non è così. Io ho imparato a farmi forza da sola perchè sono sempre stata sola, Monroe. Sempre. Tu no. Tu ancora non l'hai capito che nella vita quando ti serve una mano devi guardare in fondo al tuo braccio e dartela da sola, perchè nessuno lo farà.-

-Promettimi che non lo vedrai più.- mi scostò da sé e gli occhi mi fulminarono quasi. -Promettimelo. Ma non come le altre volte. Promettimelo davvero.-

Ma io non sapevo farlo.

Perchè per una frazione di secondo immaginai la mia vita senza Travis a scombussolarmi le giornate e mi sentii vuota. Sentii il nulla.

Montare la guardia al niente.

Era esattamente così che mi sentivo nei confronti di Travis. A guardia di qualcosa che non esisteva nemmeno.

E poi uscii.

Non sopportavo più lo sguardo di pena di Marie e il rumore dei cartoni animati del pomeriggio proveniente dal salotto.

Mi diressi al mio solito Starbucks, quello ad Astor Place e mi sedetti accanto alla vetrina.

-Cappuccino, Stan.- Stan sorrise, e tornò dietro al bancone -Arriva subito, pupa.-

Presi a giocare con il contenitore dello zucchero e un po' ne rovesciai sul tavolo e ci disegnai strane forme di quelli che, almeno nella mia mente, dovevano essere animali.

-Cos'è un coniglio?-

Alzai lo sguardo lasciando perdere lo zucchero e Gerard era lì, occhiali da sole e giacchetto di pelle.

-E' carino. Io ci vedo un coniglio, anche se a ripensarci...- si mise a sedere di fronte a me, e corrugò le sopracciglia -Ecco a ripensarci, mi sembra più un vombato...- poi alzò gli occhi e mi sorrise felice.

-Un vombato?- fu l'unica cosa che la mia bocca riuscii a dire.

-Sì hai presente? Quell'animaletto australiano tanto carino e morbido all'apparenza, ma in realtà è un pezzo di merda.-

-Ah un po' come me, quindi.-

-Io questo non l'ho detto.-

-Come hai fatto a trovarmi?- ero assolutamente persa dentro i suoi occhi. Quegli occhi che avevano scavato una galleria dentro la mia coscienza.

-Ricordi la scossa di ieri notte? C'è un campo magnetico che ci accomuna, Monroe-

-Ah ah.-

-Scherzi a parte.- prese un menù e iniziò a leggere -Io lavoro qui vicino.-

-Ah si? E cosa fai?-

-Hai presente Cartoon Network?-

-Certo.-

-Ecco. Gli porto qualche disegno. A volte. Quando me lo chiedono.-

-Wow. Giovane fumettista in erba.-

-Già ecco perchè mi serve il disegno che mi hai rubato stamattina.-

-Io non ti ho rubato proprio niente.-

Mi guardò storto -Sei una pessima bugiarda.-

-D'accordo va bene, scusa.- risi e mi stupii di quel gesto. Stavo ridendo. Il pensiero di Travis sempre più lontano.

-E' che mi piace, non voglio ridartelo.-

-Posso fartene un altro, se proprio ci tieni.-

-No, io voglio questo.- lo tirai fuori dalla tasca e lo stesi sulla superficie del tavolo.

-Riesco ad intravederti qua in mezzo al tratto del carboncino.-

Lui mi fissò. Mi fissò stupito e stranito e un sacco di altre cose ancora e poi mi prese una mano, sfiorandomi il polso che ancora portava i segni invisibili delle sue dita.

-D'accordo lo puoi tenere. Ad una condizione però.-

-Sentiamo...- non riuscivo a togliere la mano dalla sua stretta perchè improvvisamente ogni singola cosa era tornata a posto.

-Esci con me.-

Passò un secondo, poi due, poi tre e chissà quanti altri ancora ne passarono prima che la mia bocca si aprisse e come se fosse l'unica parola possibile dissi -Sì.- e la luce esplose tutto intorno.





Ragazze eccomi finalmente col nuovo capitolo da aggiungere dritto dritto nella fiera della follia. Io boh, lo capirò se vi avrà fatto schifo perchè giuro che non ho idea di cosa mi sia venuto fuori e lo so che lo ripeto sempre e che magari sto anche sulle palle per questo, però davvero qui siamo partiti sconclusionati e finiremo nel medesimo modo ho il sospetto XD

Beh detto questo vi prometto che dal prossimo ci sarà un po' più di chiarezza e un po' di cose sul passato di questa benedetta Monroe verranno spiegate :)

Siete veramente fantastiche e non avete idea della meraviglia che provo ogni volta che leggo i vostri commenti!

Grazie mille a tutte: midnightsummerdreams, Black Mariah, emily colburn, The kid from yesterday ! Siete fantastiche!!

Grazie ovviamente anche a tutti quelli che hanno messo fra i preferiti, seguite, da ricordare o che leggono semplicemente! Vi adoro <3



Alla prossima!



   
 
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