Questa storia è frutto di un raptus bello e buono,
perciò
se a un certo punto vi renderete conto di avere di fronte agli occhi una marea
inimmaginabile di cazzate bestiali, non esitate e mandatemi al
creatore senza rimorso.
Vorrei solo ringraziare le due persone che hanno
letto in anteprima mondiale questa storia e malgrado l’evidente stato di
abbandono psichico, hanno continuato a rivolgermi la parola.. Eli,
che sempre e comunque non avrà mai il coraggio spietato di dirmi che
ciò che scrivo le provoca orticaria. Perché è la più squilibrata,la più Barbie
Rockstar versione Slytherin e
perché il suo guardaroba è sempre un pozzo sicuro dal quale attingere.
E la SERPE (DORATA per scelta e non a caso perché è
spietata come solo una vera SERPE può essere e perché beffarsi degli sparuti
Gryffindor le da una gioia immensa)
che ha spulciato con attenzione e mi ha dato una soddisfazione immensa,
perché lei è l’ORACOLO, lei SA:
Grazie tante per l’attenzione e buona lettura…anche
Ron tacitamente ringrazia.
MIKE
La Storia secondo me.
Essere Ronald Weasley.
Cioè
essere me…una bella fregatura.
Come
inizio vi parrà pure pretenzioso ma credetemi, non sono mai stato baciato dalla
vanità. Non che non ci abbia sperato e tentato, ma invano.
E
Merlino solo lo sa quanto avrebbe semplificato la mia esistenza di ventenne.
Perché proprio questo è il punto: essere quello senza infamia e senza lode fa
una stizza dannata.
Il
mio problema, il dilemma cruciale intorno al quale ruota il mio essere Ronald
Weasley è uno: si chiama divina provvidenza o se vi pare più adeguato, destino.
Scontato,
direte voi, già sentito trito e ritrito, eppure proprio questo è il bandolo
della matassa. Chiaro, tutto l’equilibrio orbita intorno a questo, è il
catalizzatore delle fatalità, il perno intorno al quale ruota la nostra
miserissima vita di mortali.
A
mio parere con un solo difetto.
La
bipolarità.
Sembro
un tantino schizzato ma abbiate fede e fatemi spiegare.
Perché
io sono giunto a una verità, sono stato benedetto da una rivelazione, una sorta
di epifania senza misticismo. Il fato é totalmente privo di coerenza, perché
non c’è un disegno, non c’è un momento dove le nostre scelte fanno la
differenza, assolutamente no, è tutto un garbuglio buttato lì a casaccio e si
salvi chi può. Sarei potuto nascere babbano di nome Mike Chip per intenderci,
invece che mago e chiamarmi, ahimè, Ronald Weasley.
I
miei problemi veri, quelli tosti, iniziarono a Hogwarts, seguendo poi una
parabola discendente con tendenza pericolosa verso le più appuntite rocce nelle
vicinanze.
Ora
vi spiegherò come questo non sia il delirio di un fan al quale nessuno riesce a
far intendere che John Lennon è morto.
Il
picco della mia carriera di migliore amico nonché spalla del nostro indomito
Sopravvissuto, è segnato da quel momento topico in cui, grazie alle mie facoltà
di giocatore d’azzardo, vinsi una certa MORTALE partita a scacchi salvando le
auree chiappe al suddetto migliore amico e a quella che è la ragazza della
nostra vita.
Tutti,
bambini inclusi, avete capito che parlo di Hermione Granger.
Ma
procediamo con ordine e disciplina.
Dicevo,
la coerenza del destino…un’utopia.
Costante
come l’umore di Sibilla Cooman. Un’utopia per l’appunto.
Insomma
da quel gloriosissimo momento di quel lontano primo anno, di cui ricordo solo
Silente che dice “Grifondoro vince la Coppa delle Case”, le mie performance
sono crollate come la Borsa di Wall Street nel lontano ’29.
Ebbene
si, vi vedo già a darvi di gomito con aria complice ma sappiatelo, Ronald
Weasley un minimo di cultura la possiede.
E pure babbana come se non bastasse.
Con
un padre come il mio, direte voi e si, lo dico anch’io. Ovvio, se vivi gomito a
gomito con Arthur Weasley per vent’anni qualcosa la impari.
Insomma,
ci ho ragionato per più di mezz’ora in questi ultimi tempi, viste le
circostanze, e quello qui scritto è il frutto delle mie considerazioni in
proposito.
Il
fatto è questo: da quando sono riuscito a farmi quasi troncare una gamba da
Sirius in versione Rintintin, ho collezionato una serie infinita di momenti da
bacchetta puntata alla tempia e vai di Avada Kedavra, da cui riesco a
sbrogliarmi per il rotto del mantello senza esimermi però dalla condizione di
scemo del villaggio globale.
Fino a che, in un’escalation da manuale di
storia della magia, non raggiungo la vetta dove cambio la mia identità per
diventare simbolo, stendardo, emblema.
Sul
mio petto brilla spavaldo e fiero il distintivo di OAFMIP: Organizzatore
Assoluto della Fiera Mondiale dell’Idiota Planetario.
Titolo
ambito da molti ma conquistato da pochi eletti.
Ma
non facciamoci trascinare dalla foga del momento, anzi con la dovuta calma e
una nutrita dose di sangue freddo abbiate la decenza di ascoltarmi in quello
che vuole essere un chiarimento della mia condizione odierna.
Sorvoliamo
su quel disgraziato avvenimento che segnò il declino del mio ruolo di maschio
dominante nel branco, ossia la rottura della mia bacchetta al secondo anno di
scuola, con conseguente quanto proverbiale vomitata di lumache durante lo
svolgimento di un duello verbale tra me e quell’individuo che nominerò a breve.
Stendiamoci
sopra un bel mantello dell’invisibilità e passiamo oltre.
Il
primo punto fondamentale del dibattimento è: perché mai la suddetta divina
provvidenza, dotata come ha dimostrato di un deviato sense of humor, indicò
come mio diretto rivale l’infido Draco leccato da una mucca pazza Malfoy?
Miseriaccia
ladra.
Perché,
ai più acuti osservatori non sarà certo sfuggito il sottile parallelismo.
E
per chi ancora non l’avesse capito, dopo anni di sguardi truci e commenti al
vetriolo, è proprio lui il mio degno antagonista.
Non
di Harry, badate bene, il mio.
Harry
per l’appunto, calzando i panni di bambino baciato in bocca dalla fortuna e
votato a S.Patrizio (Seamus approverebbe senza ombra di dubbio) si ritrova per
la centesima volta nella sua giovane e brevissima vita, a fronteggiare il
rispettabile Voldemort, mago oscuro di chiara fama, designato come suo rivale.
L’eterno
( Merlino speriamo di no porcaccia miseria) duello tra il bene occhialuto e il
male sibilante. E fin qui nulla da obbiettare.
Segue
a ruota il sottoscritto che è costretto a giocarsela con Draco Malfoy.
Il
più imbecille sedicenne che abbia mai varcato la soglia del Portale di
Hogwarts. Quello che, per intenderci, non pago di essersi fatto marchiare come
Mangiamorte in un attacco di cazzonaggine acuta per il gusto di seguire le
esemplari orme del vecchio Lucius, ha avuto la modestia di pensare anche solo
per un istante di potere far fuori Albus Silente. Che, anche se stroncato
all’apice della popolarità e fottuto come un novantenne cardiopatico con
cataratta dal gentilissimo Piton, rimane comunque l’unico che Voi Sapete Chi
abbia mai temuto.
L’Unico,
non parliamo mica di cioccorane porco cacchio.
Per
quale assurda ragione o in balia di quale pozione scaduta da decenni, mi chiedo
io, questo genio del crimine organizzato noto al secolo come Draco Malfoy ha
potuto anche solo credere di poter riuscire nell’impresa? Forse perché in preda
a uno dei suoi sogni più ricorrenti dove la morte di Silente si festeggia in
compagnia del Signore Oscuro, a Copacabana sorseggiando rum e ballando al ritmo
scatenato di merengue?
Certo,
essere stato rinchiuso per nove mesi nella Stanza delle Necessità a fare
bricolage nell’armadio che accolse Montague, noto come LA BESTIA, con la sola
compagnia di ogni ciarpame nascosto e dimenticato da generazioni di studenti e
due chiacchiere ogni tanto con quella simpaticona di Mirtilla, ti debilitano
rischiando di farti perdere un tantino il lume della ragione.
Ma
facciamo un passo indietro.
Ricordate
tutti quell’episodio narrato con dovizia di particolari nel primo anno di
scuola, in cui Malfoy offrì la sua amicizia al allora undicenne Harry, il quale
da gran signore che è, gentilmente rifiutò evitando di sputargli in un occhio?
Ecco,
rammenterete anche che la pietra dello scandalo o il motivo del contendere
nacque dalla mia risata beffarda nel sentire il nome di Malfoy, che per inciso
ha un nome da checca, e dalla sua risposta poco cordiale in riferimento alla
mia fulva capigliatura e allo stato di povertà in cui versava ai tempi la mia
famiglia.
Quello
fu l’esatto momento in cui io e Malfuretto iniziammo a odiarci e a vivere nella
speranza di vedere l’altro appeso per le palle fuori dalla Torre di Astronomia.
Da
allora, a tamburo battente, si susseguirono vendette e sferzate traversali,
atte a minare la mia credibilità come uomo e come portiere quali: composizione
di suo pugno dell’inno Serpeverde “ Perché Weasley è il nostro re” poi
tramutato in cavallo di battaglia Grifondoro, diffusione di soprannomi coniati
sempre dalla stessa mente malefica come Lenticchia, Weasleyuccio, Donnola,
Straccione filobabbano e via discorrendo. Non ultimo il fallito tentativo di
avvelenare Silente che è invece ricaduto su di me con la forza di una folgore.
E
potete giurarci, Malfoy ha goduto come un dannato al solo pensiero di avermi
praticamente fatto la pelle… Perciò mi domando e dico: mi pare ovvio che, dopo
un tale dispendio di energie, il solo bersaglio delle sparate piuttosto infime
del vostro Malfoy fossi io e solamente io.
E
non voglio abbandonarmi oltre a nostalgici ricordi in proposito.
I
nostri ruoli nella faccenda sono così riassunti: lui il ricco, io il dignitoso
povero, lui il codardo, io il sedicente impavido, lui l’ipocrita, io senza
ombra di dubbio l’onesto e sincero come un buon vecchio Grifondoro.
E per volere del Cielo, lui bello comunque e
temuto, io… bè ho i capelli di un rosso vergognoso e lentiggini in ordine
sparso disseminate per il corpo.
Tirate
un po’ voi le somme.
Anche
se comunque, visto che questa è la vicenda secondo il mio punto di vista,
considero orrendo quel pallore malaticcio della sua viscida faccia di merda e
quei suoi capelli che ricordano Severus Piton dopo una seduta dal parrucchiere
di Marilyn Monroe.
E
con questo chiudo il capitolo Malfoy, ma concedetemi un ultimo quesito.
Alla
luce delle ultime considerazioni, perché proprio Draco Malfoy, tanto uomo da
essere schiaffeggiato pure da Hermione, e non un degno rivale alla pari con la
mia intelligenza?
La
risposta è celata nella domanda stessa, anzi intrinseca per essere precisi:
evidentemente qualcuno lassù o laggiù, come preferite secondo le vostre
opinioni in proposito, ha ben pensato dal principio di affibbiarmi la parte del
ritardato di turno.
Non
soddisfatto con un colpo di genio degno di nota ha quindi deciso, per evitare
che dopo due secondi ogni singolo essere vivente incappato sul mio cammino si
rendesse conto delle mie tare mentali, di collocarmi in sequenza con: una
famiglia che vanta una figliata eccezionale, un migliore amico paladino del
mondo magico, un’amica strega praticamente figlia adottiva di Albert Einstein.
So
bene chi sia Albert Coso perciò vediamo di piantarla.
Insomma
sono nella merda, ci sguazzo proprio dentro.
Vorrei
però, perché sono logorroico cronico, elencare e sviscerare nel dettaglio la
questione FAMIGLIA, piuttosto spinosa in verità.
Molly
e Arthur Weasley sono a prima vista due persone del tutto normali e
abitudinarie come qualunque strega e mago di mezza età, se non si considera la
generosità e profonda bontà dei loro animi che ci viene sbattuta in faccia ogni
qualvolta capiti qualcosa che li riguardi. E non dimenticate il coraggio.
Membri
dell’Ordine della Fenice i miei, nonché fidatissimi del defunto Silente.
Mica
poco.
Passiamo
a Charlie: capitano della squadra di Quidditch ai tempi della scuola tanto
eccezionale da meritarsi un posto in Nazionale, rifiutò la gloria e le luci
della ribalta per volare in Romania. Ma non certo per sedersi a ingrassare il
deretano dietro a una squallida scrivania in un ufficio formato topaia, bensì a
allevare draghi.
Draghi,
non unicorni badate.
E
questo è il risultato: un ragazzone alto, di bell’aspetto da uomo navigato, con
fisico scolpito dal duro lavoro e cicatrici profonde ognuna del valore di una
medaglia.
Segue
Bill: Caposcuola, Capoclasse, talmente scaltro e intelligente da procacciarsi
un posto alla Gringott, naturalmente non come portiere di notte, ma nelle vesti
di Spezza Incantesimi. In Egitto, uno dei posti più fantastici del mondo.
Risultato:
chioma fluente al vento, abbronzatura da Tropici che quasi quasi viene voglia
di cospargerlo con olio di cocco e seppur sfregiato dal mannaro Fenrir, ancora
super fidanzato e prossimo alle nozze con neo moglie francese, con sangue di
Veela, di nome Fleur Delacour. Uno scherzo.
Parlare
di Percy è irrilevante e noioso: ormai lo odiamo tutti cordialmente ma nessuno
può negare che il suo quoziente intellettivo, oltre che la sua ossessione per
tutto ciò che è regola, lo colloca praticamente alla pari con Hermione.
Per
entrambe le cose aggiungerei.
Risultato:
stupido come pochi possono vantarsi di essere, ma con un cranio da fare paura.
Siamo
dunque giunti nella sezione HOT della classifica Weasley. E’ chiaro dalla
trepidazione che elettrizza l’aria, che tutti avete capito chi sono i prossimi.
Fred
e George. Che dire di loro?
Il solo nome dei miei fratelli gemelli è
leggenda.
Loro che hanno costruito, giorno dopo giorno,
la storia moderna di Hogwarts, che dallo studente medio per i secoli a seguire
verranno ricordati e idolatrati alla pari dei fondatori. Quelli fuggiti in
sella a una scopa, con mezza scuola in visibilio ai loro piedi (me compreso
accidenti), battitori di fama planetaria, gli unici che con mille galeoni hanno
tirato su un impero.
Risultato:
ricchi e famosi da fare schifo.
Concludo
questa carrellata in bellezza con l’unica erede femmina della famiglia: Ginny.
Promessa
del futuro, ardita sulla scopa e brillante nel Quidditch spesso e volentieri
più del fratello (cioè io), le fatture sono la sua impareggiabile specialità.
Una delle ragazze più popolari della scuola per inciso, unica ritenuta di
bellezza notabile dallo schizzinosissimo Blaise dei miei coglioni Zabini, nato
e cresciuto in seno a Serpeverde.
Risultato:
lei è, mio malgrado, unico e solo vero amore del mio migliore amico che, per
chi l’avesse scordato, di nome fa Harry Potter.
Morale
della favola non mi stupirei se a un certo punto, mi eliminassero dalla storia
per mancanza di requisiti necessari, liquidandomi con un “sei talmente insulso
ragazzo che non un Mangiamorte si è proposto per ucciderti”.
Ma
comunque, Harry Potter dicevamo.
Cresciuto
e vissuto in una delle peggio famiglie babbane esistenti tra Londra e il
Devonshire e bla bla bla…voglio dire, questa parte di vessazioni, privazioni
e maltrattamenti su minore la conoscete
a memoria, sgabuzzino del sottoscala compreso. Certo, non che poi il piccolo
Harry non ne abbia risentito, ma diamine questa è la MIA storia non la sua.
Passiamo
ai Potter, quelli veri, quelli magici, quelli di Hogwarts negli anni Settanta.
James
e Lily per capirci.
Di
loro non si sa molto, anzi per la verità non si sa un accidenti di niente.
Perché
ovviamente, come in ogni storia che si rispetti, di coloro che hanno dato i
natali al nostro eroe le autorità hanno giustamente creduto, e ci hanno creduto
fino in fondo malgrado le avversità, di non rivelare se non i nomi di battesimo
e qualche stupidaggine sparsa qua e là.
Fatto
sta che, non si capisce come, non si capisce perché i Potter, messi fuori gioco
da quel furbino di Voi Sapete Chi, siano comunque riusciti a tramandare al loro
unico primogenito una quantità invereconda di galeoni. Ovviamente, come Hagrid
e per lui Silente, fossero in possesso della magica chiave di tale camera di
sicurezza saltata fuori come un cavolo cappuccio, è un dettaglio trascurabile
che non ci è dato conoscere.
Io
ho chiaramente, a proposito della somma lì custodita, una mia personale teoria
di come l’abbiano racimolata. Mi ha sempre intrippato pensare a James e Lily
come due anticonformisti, due no global direbbe Hermione.
E
da questo quanto segue.
Immaginatevi
James senza quell’aria da ragioniere in pensione e con tutti i capelli ben
attaccati al cranio, in completo bianco di lino fresco di sartoria, cappello in
tinta a tesa larga calcato sulla fronte, sigaro cubano stretto tra i denti e
folti baffi neri come il carbone.
Un
narcotrafficante colombiano in piena regola.
E
Lily al suo fianco. Bellissima, avvolta nella sua tunica di seta stampa
floreale in tono foresta amazzonica.
Un
sogno in technicolor.
E
da qui deriva l’eredità del nostro adorato. Da un commercio ben avviato,
fondato su una rete capillare di produzione e distribuzione al dettaglio.
Dal
produttore al consumatore, per farla breve.
Già
me li vedo.
Sotto
mentite spoglie di giovane coppia inglese affiatata e noiosamente per bene da
parere stucchevole, di quelli da sepolcri gemelli e amore eterno.
Ora,
il fatto che le contingenze abbiano effettivamente voluto che crepassero
entrambi lo stesso giorno e perciò li seppellissero uno accanto all’altra non
vi deve sviare dal punto cruciale, e cioè che James e Lily non fossero tipi da
queste smancerie romantiche, da tale subdola forma mentis.
Sotto
un aspetto innocuo si celavano due spiriti liberi, che ebbero l’ardore di
cimentarsi e infine conquistarsi una fetta di quel mercato in via di espansione
che era lo spaccio di stupefacenti.
A
dir poco geniali. Anzi geniali sminuisce il loro successo travolgente.
Insomma,
guardiamoci negli occhi e per una buona volta chiamiamo le cose con il loro
nome, senza finti buonismi e moti di spirito dell’ultima ora: il nostro Harry
Potter alla fine è stato discretamente fortunato.
E
io che mi ero illuso, su quel treno che ci portava a Hogwarts, di essere in fin
dei conti, simile a lui: entrambi undicenni, entrambi spaesati, entrambi con
indosso abiti di seconda mano. Questo paradiso del piccolo fiammiferaio si è
infranto nel momento in cui quella dannatissima vecchietta si è materializzata
con al seguito una carrettata di dolciumi appena sfornati dalla fabbrica Wonka (che
per inciso, era un mago piuttosto famoso dalle nostre parti anche prima di
diventare una star hollywoodiana). Come da copione, io tirai fuori i miei
tristissimi sandwiches e lui, con un colpo di mano, ribaltò la situazione
tirando fuori una manciata di galeoni freschi di Zecca e comprando tutto il
carrello nella sua coloratissima e profumatissima interezza.
Ma
porca di quella miseria, per quale motivo incomprensibile ho diretto la mia
carcassa a pois verso quello scompartimento vuoto? Perché, contravvenendo alla
più elementare regola che ci viene ripetuta già prima di nascere, ho dato
confidenza a uno sconosciuto accettando pure le sue caramelle? Perché mi sono
condannato al ruolo di eterno portaborse, quando avrei potuto imbastire e
gestire la mia sorte, facendo valere il mio privilegio di ultimo maschio
Weasley libero per Hogwarts?
Dopo
anni di rinunce, anni di seghe mentali, duelli combattuti fianco a fianco con
Harry Potter rischiando la mia pellaccia in suo onore, sono giunto a una
risposta.
E’
l’amore Harry, l’amore.
Certo
come no. Questo lo direbbe Silente se fosse ancora vivo e vegeto, ma siccome
riposa in pace due metri sotto terra, mi sento di affermare che l’amore non
c’entra proprio un bel niente.
E’
la sfiga dannata Harry, la sfiga dannata.
Il
titolo di coda di quel film serie z l’importante è partecipare che è la
mia esistenza.
Voi
crederete che mi piango un tantino addosso e che questo non è affatto dignitoso
per un Weasley. Bè ho imparato anni fa a strafottermene della dignità,
dell’orgoglio e di tutto questo mucchio di stronzate. Non sono tagliato per la
parte dell’eroe, perché quando all’età di quindici anni ti ritrovi chiuso in un
posto straripante di Mangiamorte che ti braccano e non vedono l’ora di farti
impazzire con una qualsivoglia maledizione senza perdono, io dico che te la fai
addosso più o meno in 3 secondi scarsi.
Con
o senza Harry Potter nella stanza accanto.
Che
alla fine, quella cicatrice neppure la voleva. Ve lo dice Ron, fidatevi.
Il
fatto è che, come qualunque Weasley strafatto di bontà fino al midollo, anche
io ho il mio punto debole. E quel punto debole è proprio lui, il mitico Potter.
Anche
perché altrimenti credo che sarei in Sala Comune a sorseggiare elegantemente
succo di zucca e riflettere sulla stabilità della mia scopa in picchiata.
Mi
ha sempre dato l’impressione che alla fine fosse lui quello bisognoso di
protezione, di qualcuno che gli guardasse le spalle malgrado la sua indiscussa
fama di Sopravvissuto.
Che
a parere mio, non ha mai fatto rima né con immortale, né tanto meno con
infallibile.
E
poi, a chi non farebbe gola l’idea di essere il braccio destro dell’undicenne
più famoso di tutto il mondo magico? Credetemi, mezza Hogwarts avrebbe venduto
i genitori e nonni compresi nel pacchetto a Voi Sapete Chi per essere al mio
posto.
E
stando così le cose, ora sarei davvero pronto a cederlo.
Ma
mi riservo in seguito di dare completa spiegazione per ciò che ho scritto, per
evitare di tirarmi dietro malocchi e fatture di vario genere e tipo,
dall’infinito numero di simpatizzanti Potter.
E
dunque, siamo arrivati a Lei.
Hermione
Granger il Prefetto,la ragazza più brillante che abbia mai conosciuto.
La
strega più eccezionale dei nostri tempi a Hogwarts, la parte fondamentale di
quello che è diventato un trio da leggenda, sulla scia dei più veloci pistoleri
del West. Pistoleri a parte, tanto per dirla tutta sarei voluto essere un
pistolero dai modi rudi e spietati, di quelli da mi faccio un bagno in
estate quando ne ho voglia vestito di tutto punto.
Lasciamo
perdere selvaggio West e affini.
Vorrei chiarire la mia opinione in proposito prima di tutto, ossia sfatare quel mito per il quale, viste le circostanze e la spudorata propaganda, ha eletto lei e solo lei come mente operante del gruppo.
Perché,
oh si, lei è nata per essere la prima della classe, della scuola, del intero
universo suppongo.
E
lo sa, ne è certa, è la sua verità rivelata, la sua costante carta vincente.
Lei
è come i nostri cugini americani, ci è nata con le mire espansionistiche di
dominazione assoluta, le scorrono nelle vene al posto del sangue.
E’
una leader.
Immagino
però che nel suo microcosmo pergamenaceo fatto di sapienza, conoscenza e spille
con su scritto CREPA,ci siano sempre state due falle piuttosto evidenti.
Prima:
la presunzione.
Miss
Granger riesce a essere immensamente più presuntuosa di dieci generazioni
purosangue con altrettante generazioni di elfi domestici al loro servizio.
Anzi
sinceramente posso assicurarvi che potrebbe mettersi in cattedra e insegnare
l’A B C della presunzione pure a Voi Sapete Chi, che ultimamente dimostra una
certa carenza in materia.
Semplicemente
INFALLIBILE è il suo motto.
Ho
sempre nutrito il lieve sospetto che, potendo, si sarebbe auto proclamata
Preside di Hogwarts a vita per intraprendere la sua ascesa all’olimpo degli
infallibili.
Dove,
mi pare superfluo dirlo, quelli come me vantano foto segnaletiche ai cancelli
del tipo io non posso entrare.
Del
resto, non ci si può aspettare altrimenti da una che sogna di diventare la
copia di Minerva McGranitt in versione terzo millennio.
Seconda:
gli scacchi.
Non
esiste individuo al mondo, e ve lo giuro con tanto di destra sul cuore, più
assurdamente incapace di lei nel giocare a scacchi.
E
io l’ ho sempre detto, mai fidarsi di chi non sa giocare a scacchi. Mai.
La
cosa grave è che non vuole imparare nemmeno se fosse un maestro come me a
insegnarle. E
questo chiude definitivamente la questione, perché davvero rende l’idea di che
razza di persona pericolosa sia Hermione Granger.
Ovviamente
quello che sto per aggiungere spazzerà via tutto quello che finora ho scritto,
ma sappiate che in un certo senso lei è la persona che ho odiato di più al
mondo.
Perché quando meno me lo aspettavo, quando il
nervo era scoperto e vulnerabile, era capace di trattarmi come l’ultimo zerbino
da bagno sulla faccia della terra, alzando bene la voce in modo che tutta la
Sala Grande al completo non si perdesse una sillaba del suo monologo, con tanto
di teste che annuivano convinte come a dire hai ragione donna riducilo in
brandelli . Ma che carina.
Dicevo,
Hermione…
Tutti
e dico tutti, hanno
comunque capito molto prima del sottoscritto quanto in realtà tenessi a lei e
cosa fosse quell’agitazione che mi mandava in paranoia ogni volta che, per un motivo o per un altro,
restavamo soli io e
lei.
E
qui Silente, con le sue frasi a effetto, ci sguazzerebbe proprio.
Io
la amavo.
Non
credo davvero di averla amata dal primo istante in cui il mio sguardo si è
posato su di lei. Anche perché una che neanche sa chi sei e già ti bacchetta
dicendo con aria scandalizzata, cito testuali parole, hai dello sporco sul
naso rendendoti ridicolo davanti a quello che poteva essere un amico ma
che, dopo una scena simile, negherà perfino di conoscerti, non ti viene voglia
di sposartela seduta stante.
Un
giorno ho semplicemente iniziato e non mi sono più fermato.
Ad
amarla intendo…
Non
so se il mio cuore battesse letteralmente per lei o all’unisono con il suo, non
ho mai verificato al dettaglio. Comunque la amavo e la amo ancora.
Soprassedendo
all’argomento Lavanda Brown, il suo interessamento morboso nei miei confronti
diede una bella accelerata alla mia, languente e patetica, vita sentimentale.
E Hermione conobbe la gelosia.
Quella
che mi aveva illividito e reso ridicolo al fatidico Ballo del Ceppo, dove mi
dilettai a osservare quel suo abito sconcio da ogni angolatura e
contemporaneamente, tenere sotto tiro di bacchetta le mani di Viky, con tanto
di Avada Kedavra sulla punta della lingua.
Seppi
in seguito, che quel giorno fui sul serio sul punto di conoscere la follia che
mi avrebbe di certo portato a compiere un massacro, che si sarebbe concluso con
me che, trionfante, bevevo il sangue di Krum dal suo stesso cranio.
Ma
comunque, sapete tutti che si risolse con una tradizionale litigata e nessuno
ci rimise le penne.
E
fu allora che capii.
Non
avrei sopportato di vederla accanto a uomo, ragazzo o studente, Durmstrang
compreso, che non fossi io in persona.
Altri
problemi. Altre vendette. Altri litigi.
Finchè
non raccolsi il coraggio con braccia e gambe, e con bocca tremante e orecchie
in fiamme un giorno la baciai.
Così,
dal nulla.
In
piena Diagon Alley, una notte senza chiaro di luna, con un freddo dannato e
un’atmosfera piuttosto triste.
E
lei pianse.
Vi
assicuro che, dopo una così snervante prova di coraggio, vederla in lacrime non
mi portò esattamente a toccare il cielo con la bacchetta.
Piuttosto
a raschiare il fondo dell’inferno con le unghie.
Anche
perché, il pensiero paralizzante che stesse piangendo a causa della mia
performance tragicamente scadente, mi portò con un certo accademico
interesse, a osservare le mie palle
rotolare in direzione sud, sud-ovest.
Rimasi,
come si dice dalle mie parti e sicuramente pure dalle vostre, senza
parole…anche perché, che avrei dovuto dirle per consolarla?
Dopo
questa lieta parentesi amorosa tornammo, rigorosamente votati all’omertà, alla
nostra dimora di quei giorni, casa di Harry, ex residenza invernale dei Black,
a Griammauld Place.
Una
cena silenziosa, due profonde occhiaie grigiastre e affatto sexy sotto gli
occhi di Harry e una sigaretta cancerogena prima di quella che prometteva
essere una riposante notte insonne, dove mi sarei prodigato a testare, una per
una, tutte le molle del mio letto sgangherato.
Una
persecuzione per me i letti sgangherati.
Finché
così, giusto perché non dormivo abbrancato alla mia bacchetta sotto il cuscino,
qualcuno non decise che per me era giunta l’ora di salutare, ringraziare e levare definitivamente il disturbo.
Sentendo
chiaramente qualcuno intrufolarsi di soppiatto e con belliche intenzioni dentro
la camera dove dormivo, tanto per tenermi in allenamento scagliai una bella
Cruciatus, che chissà poi perché, era la maledizione che padroneggiavo in
maniera magistrale senza falsa modestia, dopo averla più volte provata, tanto
per capire se fossi capace, su qualche solitario Mangiamorte di passaggio.
Al
che, l’urlo stridulo che mi forò il timpano destro, mi avvertì che quel
qualcuno altri non era che la nostra strega preferita in attacco di
sonnambulismo.
Alla
fine, dopo frasi mozze e bestemmie ben piazzate, morale della favola qualcuno
ebbe l’intuizione di accendere la luce e fare finalmente chiarezza su quel
groviglio di lenzuola, bacchette e carne umana. Che risultava piuttosto
bizzarro e addirittura comico, se si esclude il piccolo dettaglio che stavo per
mandare in polvere il preziosissimo cervello di Hermione.
La
scena che si presentò ai nostri occhi fu la seguente: io balzato in piedi,
torreggiavo sugli altri dall’alto del mio letto che rischiava di troncarsi in
due sotto il mio peso considerevole; Hermione in camicia da notte, buttata a
terra con la bacchetta levata (avevo sempre sospettato, e ne ebbi la conferma,
che probabilmente girasse per la casa con la bacchetta infilata nel reggiseno)
e chiudeva questa corte dei miracoli Harry, che mi fissava con sguardo
stralunato fermo sulla porta, con indosso le sole mutande, quelle grigiastre
modello Azkaban.
Dopo
i chiarimenti di rito e le occhiatacce di entrambi rivolte alla mia persona,
responsabile di avere aperto un cratere nel muro, che in realtà si rivelò piuttosto
utile come scorciatoia per il bagno, tutti si ritirarono nelle rispettive
stanze.
Lasciandomi,
è inutile dirlo, in uno stato confusionale a riflettere sulla mia proverbiale
prontezza di riflessi e sulla discutibile decisione di lanciare una Cruciatus
dentro casa e completamente alla cieca.
Una
bella passata di Russia mi diceva sempre mia madre.
Dopo
circa un’ora comunque Russia a parte, mentre ero proprio lì lì per
addormentarmi, ripartì il gioco.
Altro
giro, altra corsa.
Stavolta
però Hermione si rivelò ben prima che potessi prendere tempestivi provvedimenti
contro un eventuale estraneo non esplicitamente invitato nella mia stanza da
letto.
Dopo
di che silenzio.
Mi
chiese solo di farle spazio nel letto, ormai in condizioni tanto irrecuperabili
da non assicurare un sonno esattamente sicuro ai suoi occupanti, e si stese
accanto a me che, seguendo il mio ancestrale istinto animalesco, rimasi rigido
come un cadavere per le restanti cinque ore, ottenendo così un nervo
accavallato sulla spalla e la schiena in pezzi.
Non
dormii per un solo istante quella notte, semplicemente ascoltai il suo respiro
diventare lento e regolare che, alle prime luci dell’alba, divenne un russare
sommesso.
La
ragazza che giorno dopo giorno, in tutti quegli anni, aveva dato prova di
un’intelligenza oltremodo brillante che esulava da qualunque previsione, che in
più di un’occasione aveva sfoderato le sue doti eccezionali e la sua
proverbiale freddezza
(
si freddezza certo, come no) nel risolvere i dilemmi più astutamente congeniati,
insomma per dirne una, quella stessa ragazza che per prima aveva scoperto quale
immonda bestiaccia si celasse nella Camera dei Segreti, ebbene lei russava.
Fu
una scoperta devastante perché mi fu chiaro che, in fin dei conti, io e
Hermione appartenevamo alla stessa razza.
Lei
non era poi così diversa da me.
E
così procedemmo per due settimane circa.
Nessuno
dei due si azzardò a parlare di quel bacio, forse perché davvero la nostra vita
di allora non era poi un’oasi di pace e serenità, ma la notte, divenuta il mio
regno di diritto, lei entrava in camera mia a stendersi accanto a me nel posto
che io naturalmente lasciavo libero.
Non
ho mai capito, come è nell’ordine naturale delle cose, perché venisse a dormire
nel mio letto, sapevo solo che lei c’era e questo mi bastava.
Una
notte di quelle, dopo una cena succulenta a base di panini stantii, Merlino
come rimpiangevo i banchetti in Sala Grande, e troppe sigarette fumate, venne
in camera e si sdraiò accanto a me ma invece che limitarsi a cadere in coma
dopo due secondi netti, si voltò a guardarmi e mi baciò.
L’unica
cosa che posso sinceramente dire è che non ho mai sentito nessuno, in vita mia,
dire che la prima volta fosse stata un totale e glorioso successo.
Bè
noi non fummo affatto un’eccezione, anzi faticammo a rientrare nella media.
Io
ero vergine come un bambino, lei pure e potete tranquillamente immaginare una
coppia come noi che prova di sesso travolgente abbia potuto sostenere.
A
questo punto, per ragioni che solo noi uomini comprendiamo e rispettiamo, dovrei
comunque aggiungere, con sguardo d’intesa, che alla sesta volta trovammo il
giusto ritmo.
Sono
un pessimo bugiardo, sempre stato, perciò non ci fu una sesta volta ma neanche
la vaga ombra.
Però
stavolta Hermione non pianse, anzi non ce la faceva a smettere di ridere in
quel modo che non sentivo da tanto tempo.
Mi
piace pensare che ridesse CON me e non Di me, ma comunque sono sempre stato uno
che si accontenta.
C’è
poco da fare gli orgogliosi del resto, visto che fino a allora l’avevo
considerata, come dire…un tantino irraggiungibile.
Sapevo
bene che avrebbe potuto aspirare a ben altro, soprattutto perché io non ero
proprio un partito da irretire, tipo scapolo d’oro con al seguito corte di
donne urlanti.
Da
che ho memoria l’unica donna che mi urla dietro è mia madre, ma capite bene,
non è proprio la stessa cosa.
Si
erano spalancati di fronte a me i cancelli di un edenico paradiso fino ad
allora proibito, dove le gioie dell’amore spirituale e carnale mi venivano
offerte come frutti maturi appena colti dall’albero.
Faceva
molto Adamo e Eva, e io sono uno che viaggia di fantasia.
Con
una certa foga e ben provvisto di egoistico furore, mi tuffai dentro questa
nuova vita dove ero unico maschio protagonista indiscusso e calzavo i panni di
un aitante e migliore Ronald Weasley.
Naturalmente
la mia infallibile lungimiranza da quel momento in poi decise di andare in
vacanze separate dal mio acuto cervello di maschio medio, lasciandomi
affrontare la realtà dei fatti e le sue devastanti conseguenze in seguito.
Quando
iniziai a sospettare che probabilmente i capelli non mi si drizzavano in testa,
ogni volta che uscivamo di casa, per via dell’umidità, bensì per una ragione
ben più profonda.
Insomma
tremavo all’idea di uno scontro.
Tremavo
all’idea che un giorno qualunque, uno di quelli senza nome e uguale a tutti gli
altri, sarebbe potuto essere l’ultimo in cui lei avrebbe impugnato la bacchetta
per difendersi.
Dire
che vivevo praticamente in un costante stato d’ansia sarebbe riduttivo.
Dire
che avrei dovuto vivere con un cesso incollato saldamente alle chiappe rende,
invece, perfettamente l’idea.
Nel
giro di quindici minuti le mie certezze erano belle che andate e cominciò a
cogliermi la sindrome del soldato militante, chiamata dai più seria
consapevolezza di versare in pericolo di morte.
Ebbene,
io non avevo nessuna fottutissima voglia di crepare, non così giovane, non in
quel modo.
Ma
si sa, il freddo fa correre la vecchia e io, come la disgraziata vecchietta,
altro potevo fare se non correre.
In
tutto questo percorso a premi, l’amico Harry si rese conto che tra me e
Hermione probabilmente, e aiutatemi a dire probabilmente, le cose erano
leggermente cambiate.
Ne
ebbe la certezza quando, una sera, ci beccò in salotto a scambiarci carezze
alquanto equivoche per due che ufficialmente erano solo buoni amici.
Non
fu un’esperienza esaltante affrontarlo.
Anche
perché, e io lo sapevo bene, nel momento in cui aveva deciso di mollare la
scuola e seguire, come molliche di pane, gli Horcrux che zio Tom aveva
disseminato per l’orbe terracqueo si era definitivamente allontanato da mia
sorella.
E bè, non sarò un genio ma riconosco le pene
d’amore quando le vedo, visto che sono un luminare in materia.
Lui
aveva rinunciato a Ginny perché sapeva che qualche Mangiamorte annoiato se la
sarebbe presa con lei per farlo venire allo scoperto o per puro e speculativo
divertimento.
E
lui lo sapeva come lo sapevo io, in questa guerra non si facevano prigionieri.
Ma
come ho già detto e come dissi a lui, in quella che fu la notte più lunga della
mia vita, io non sono mai stato un eroe e non avrei rinunciato a lei.
Non
lo avrei fatto per tutto l’oro della Gringott, nemmeno sotto Imperius se
proprio devo dirlo. Me ne fottevo alla grande dei pericoli in agguato dietro
ogni angolo della porca Londra, non avrei rinunciato a lei punto e basta.
Anche
perché, non chiarii questo punto al nostro beniamino, ma se Hermione fosse
morta avrei fatto baracca e burattini, baci alla famiglia e via di biglietto
sola andata per l’aldilà. E amen. Anzi, senza colpo ferire.
Stando
così le cose capirete che la storia si colorò a tinte torbide, in questa lotta
intestina al trio che vedeva me e lui schierati in posizioni vagamente avverse,
e Hermione come sempre presa esattamente nel mezzo, che tentava con tutto il
suo buonsenso di farci ragionare.
Tempo
sprecato.
Io
e Harry capimmo perciò che forse la nostra fantastica amicizia non avrebbe
retto quel colpo, anche perché a differenza del passato, non avevo la minima
intenzione di farmi da parte e rispettare le regole che lui aveva imposto a se
stesso convinto del fatto che se valeva
per lui, tutti si sarebbero adeguati.
Io
sono per il libero arbitrio e non ho ancora sentito nessuno dire che Harry
Potter è la reincarnazione di Cristo, Buddha o Allah. O Odino per dire.
Per
intenderci, ancora non lo avevano promosso a Divinità Onnipotente e Onnisciente
perciò non ero affatto d’accordo a rispettare la Bibbia secondo Potter.
E
lo resi partecipe di questi miei ragionamenti.
In
maniera un po’ brutale lo ammetto.
Ma
doveva capire che se fino a allora lo avevo rispettato e osannato, lo avevo
fatto per mia libera scelta, attratto dai suoi occhiali rattoppati, e non
perché fossi un bambolotto nelle sue mani di cercatore.
Mi
disse che ero una testa di cazzo egoista e nella sua vita non aveva mai sentito
tante stronzate uscire tutte insieme dalla mia bocca, aggiungendo che questa
era davvero una piacevole novità.
Hermione
si intromise iniziando a redarguire entrambi alla maniera Hogwarts sono
Prefetto in onore dei vecchi tempi, per concludere la serata danzante a
piangere chiusa a chiave in camera sua, ottenendo perfettamente l’effetto
voluto di farci sentire due imbecilli e l’effetto indesiderato di darci la
colpa delle sue lacrime a vicenda.
…E
noi tre abbiamo il compito di trovare gli altri Horcrux, distruggerli evitando
di crepare nel tentativo e poi affrontare Voldemort e le sue schiere di seguaci
simpatici come il vaiolo, con un’orda di mannari al seguito per gentile
concessione.
Ah,
senza dimenticare Dimenaporci, cioè Dissenatori e Giganti…( lo avete capito,
uso ancora le piume autocorreggenti e vabbè).
Uno
scherzo per tre come noi. Affiatati Amici Affezionati.
Ora,
il fatto è questo.
Mi
trovo nella mia camera, a Grimmauld Place con il mio bel buco nel muro.
Sento
Hermione singhiozzare nella stanza accanto.
Sento
Harry fare su e giù al piano di sopra, nella camera dove stava Fierobecco
durante il suo soggiorno londinese.
So
che ora sta patendo in solitudine come fa da un pò, e so che ora più che mai
odia quella cicatrice. E la odio pure io perché alla fine, gli ha tolto tutto
quello che aveva.
E
ci ha strappato dalle nostre insulse, abitudinarie, allegre e spensierate vite
di diciassettenni.
E perché vederla lì, sulla sua fronte liscia
e perfetta come solo quella di un super eroe può essere, mi ricorda ogni
singolo giorno del cazzo la sottile differenza che esiste tra me e lui. Quella
differenza per la quale se lui morisse morirebbe la speranza di tutti noi, se
morissi io ne resterebbero altri otto di Weasley.
Insomma
la nostra casata non rischierebbe l’estinzione.
Ma
alla fine è inutile stare qui a non concludere un bel niente o a mangiarsi le
unghie dei piedi, come direbbe Fred.
E
comunque mi piace credere che, al momento giusto, il mio combattere in questa
guerra fottuta si rivelerà di vitale importanza. Farà la differenza. Perché mi
ci sto rischiando il culo e magari gradirei che a qualcosa questo misero
sacrificio servisse.
A
proposito di tragedie e cataclismi, suppongo che il momento topico della verità
sia quindi giunto.
Sappiate
che se queste memorie scarabocchiate e patetiche sono state divulgate è sicura
una cosa: che io sono dipartito in tutta la mia fulgida bellezza.
Domani
consegnerò a Hermione questi fogli, chiedendole di custodirli e se dovesse
essere necessario, riesumarli solo dopo la mia avvenuta e stabilita morte.
Oggi,
21 gennaio, scrivo di mio pugno questo testamento.
Non
ho nessun bene di valore da lasciare in eredità, però vorrei che la mia
fantastica scopa che indubbiamente ha vissuto la mia gloria di portiere fino
all’ultima pluffa parata, andasse a Ginny.
A
Harry, l’idiota, imbecille e sopravvissuto pure a me, lascio la mia raccolta di
figurine, il mio poster dei Cannoni e l’autografo di Krum.
A
Hermione lascio il mio maglione verde pisello con lettera scarlatta che detesta
più di ogni altra cosa.
E
Harry, ti perdono per avermi dato della testa di cazzo. Ti perdono per avere
pensato che non meritassi di essere Prefetto. Ti perdono per avere baciato mia
sorella.
Perché
alla fine lo so già, morirò salvandoti
le chiappe… il mio punto debole.
Hermione,
te lo scrivo perché se te lo dicessi a voce rischierei di ridermi in faccia da
solo, risultando per giunta tristemente poco credibile.
Ti amo.