Allora... Io non so bene
perché, ma la mia mente mi ha fatto immaginare un terzo
sequel per Franky. L'ispirazione è stata così
forte che non ho proprio potuto dirmi di no, che ormai questa storia
era bella che finita. Forse anche perchè sono molto, molto,
molto - e ripeto molto
- affezionata a questa storia e a questi personaggi - Franky per primo.
Quindi... l'ho scritto.
Non sapevo se pubblicarlo ed è stato davvero difficile
decidere, ma... penso che sia meglio che giudichiate voi.
Perchè siete voi che rendete grande e soprattutto possibile
una storia, no? Quindi, a voi l'arduo compito di giudicare e nel
migliore dei casi di approvare.
Spero davvero che questa storia non rovini tutto ciò che
c'è stato prima - Nothing
ed Everything
- e che sia capace di trasmettervi qualcosa.
Ah, come sempre ripeto: i Tokio hotel non mi appartengono e con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, nè offenderle in alcun modo.
Ora vi lascio leggere :)
Grazie dell'attenzione!
P.S. Dico subito che la canzone che ho usato in questo capitolo è Phantom rider, dei TH *-*
1.
Not over
at all
Stava per tornare al suo
appartamento, dove avrebbe passato l’ennesima noiosa serata
di fronte alla tv.
Magari avrebbe preparato la lezione per il giorno successivo, nella
quale
avrebbe parlato degli Intrappolati.
Sorrise ripensando a Jole e a
tutto quello che avevano passato insieme a quella banda di sciamannati.
Erano anni che non li
guardava
negli occhi sapendo di essere visto, come erano anni che aveva iniziato
a fare
il professore nella stessa scuola che aveva dovuto frequentare lui
prima di
diventare un angelo custode. E non aveva nemmeno dovuto studiare per
ottenere
quel ruolo! Nel suo corso serale, infatti, oltre a dare informazioni
tecniche,
raccontava delle proprie esperienze personali e le offriva ai giovani
angeli
custodi. Non si poteva dire con certezza che lui insegnasse:
si metteva seduto sulla cattedra, gambe penzoloni, e
rispondeva alle domande dei suoi allievi, dando consigli e pareri
personali.
Aveva accettato quell’incarico
sotto le pressioni di San Pietro, euforico per questa
novità: lui era certo che
con questo corso sarebbero aumentati gli angeli custodi e, vista la
fiducia che
riponeva in Franky, lo aveva spronato fino a farlo cedere. In
realtà, a
convincerlo era stato ben altro: preparare i nuovi angeli custodi alle
eventualità e alle difficoltà che lui si era
trovato ad affrontare da solo, l’aveva
spinto a compiere quella scelta, ma anche la semplice
curiosità di poter sapere
il motivo per il quale ognuno di loro aveva deciso di accettare quella
missione
e la voglia di vedere nei loro occhi lo stesso ardore e lo stesso amore
che
aveva spinto lui a farlo.
L’aula era deserta, i suoi studenti erano già usciti tutti e lui stava raccogliendo i fogli sui quali si era appuntato le domande, le frasi, o anche solo alcune delle parole più belle che aveva sentito. Lo faceva sempre e ogni tanto, a casa, si divertiva a rileggerle e a sorriderci sopra. Dopotutto, anche lontano dalle persone che amava, aveva trovato la sua felicità.
Un colpetto di tosse gli fece portare lo sguardo all’ingresso dell’aula, dove vide Kim, con il viso arrossato e i capelli neri che lo contornavano. Era una sua alunna, aveva all’incirca la sua età – l’età in cui era morto – ed era una delle migliori secondo lui. Inoltre, gli ricordava moltissimo Zoe.
«Kim, che ci fai ancora qui?», le chiese, sorpreso.
«Professore… ecco…», balbettò, diventando sempre più rossa ed abbassando lo sguardo.
«Possibile che solo tu ti ostini ancora a chiamarmi professore? Sai che lo odio!».
«Scusi».
«Non importa», ridacchiò. Era così dolce. «Dovevi dirmi qualcosa?».
«Sì, io… volevo chiederle se… levadivenirealpubconnoi?», disse tutto d’un fiato, per poi fare un grande respiro profondo.
Franky sorrise, aggrottando le sopracciglia. «Rilassati e ripeti con calma».
«Io e i miei amici ci chiedevamo se voleva venire al pub con noi. Ma se ha altri impegni, o non ne ha voglia fa niente eh, io chiedevo soltanto…».
«Kim?».
La ragazza sollevò lo sguardo e diventò viola guardando gli occhi verdi e ridenti di Franky. «S-Sì?».
«Vengo volentieri».
***
«Papà, mi sento una deficiente con questo vestito».
«Oh, Evelyn, quanto la fai lunga!», borbottò Bill, al volante della sua Audi bianca.
«Ma, scusa, andiamo solo da zio Tom a cenare!».
«Lo so, ma volevo vedere come ti stava! E poi ha detto che Jole aveva un annuncio da fare…».
«Chissà, magari c’entra Leo», ipotizzò Zoe, seduta al fianco di suo marito.
«Credi che l’abbia messa incinta?», domandò divertito lui. Già immaginava il collasso che avrebbe avuto Tom ad una scoperta del genere.
«Magari le chiederà di sposarla!», gridò entusiasta Evelyn, saltellando sul sedile posteriore.
«Sempre la solita romanticona, proprio come me», le disse Bill. «Però sarebbe bello vedere Tom versione nonno… Franky lo avrebbe preso in giro fino alla nausea!». Voltò il viso verso Zoe e le sorrise, stringendole la mano sulla sua gamba.
***
La serata si prospettava
davvero
piacevole.
Normalmente vedeva quei ragazzi
solo fra le quattro mura della scuola ed era bellissimo, quasi una
scoperta che
lo emozionava, osservarli seduti intorno al tavolo di un pub a
chiacchierare,
ridere e scherzare.
Tra loro gli sembrava di essere
tornato di nuovo il Franky sedicenne, nonostante dovrebbe aver avuto
ormai la
bellezza di quarant’anni. Era quella
l’età che sentiva dentro la maggior parte
del tempo, ma con loro l’adolescente che era sempre nascosto
in lui, da qualche
parte, stava tornando a galla.
Era seduto accanto a Kim
e ogni
tanto la scopriva ad osservarlo. Allora lui le sorrideva e lei evitava
subito i
suoi occhi, arrossendo sulle guance.
Era ormai sicuro che avesse una
cotta per lui, ma era sempre il suo professore e anche se aveva
l’aspetto di un
ragazzino era molto più grande di lei. Senza contare che il
suo cuore
apparteneva da sempre ad un’altra ragazza.
Ad un certo punto della
serata,
mentre ascoltava i ragazzi raccontare delle loro prossime visite ai
familiari e
ai fidanzati e alle fidanzate che avevano lasciato di sotto,
avvertì un brivido
fortissimo attraversargli la schiena, come se avesse appena messo le
dita nella
presa di corrente. I suoi poteri per proteggere la sua protetta col
passare del
tempo erano migliorati e gli bastò chiudere gli occhi per
vedere a spezzettoni
ciò che stava per accadere.
Il sangue gli si gelò nelle vene
e il suo cuore iniziò a scalpitare nella cassa toracica,
preso da un attacco di
panico.
Doveva assolutamente
raggiungerla, prima che fosse troppo tardi.
Si alzò frettolosamente e corse fuori dal pub senza dire niente a nessuno, lasciando i suoi alunni sbigottiti.
«Professore, dove va!?», gridò Kim alle sue spalle, ma lui non vi badò, continuò a correre verso l’Ufficio di Collegamento.
***
Zoe alzò lo
sguardo verso il
cielo scuro e vide una stella cadente.
O forse un
angelo che vola alla velocità della luce,
pensò
sorridendo, un attimo prima che Evelyn gridasse terrorizzata.
Fece in tempo a vedere due fari
accecarla, ad udire le gomme stridere sull’asfalto, lo
schianto e poi nulla: il
nero e il silenzio.
***
Merda, merda, merda!
Arrivò sul
posto troppo tardi: l’incidente
era già avvenuto e il bilancio era addirittura peggiore
rispetto a ciò che
aveva previsto. Oltre alle due auto prettamente interessate erano state
coinvolte
altre tre vetture: una non aveva fatto in tempo ad evitare
l’impatto con l’auto
rovesciata di Bill, su cui viaggiavano anche Zoe ed Evelyn; le altre
due
avevano zigzagato per un po’, fuori controllo, e si erano
schiantate sui
guardrail che dividevano le corsie dell’autostrada.
C’erano altri cinque feriti,
oltre alla famiglia Kaulitz, tra cui due bambini, e proprio il padre
dei due
piccoli aveva già chiamato la polizia e
l’ambulanza, che stavano arrivando, ma
che non avrebbero fatto comunque in tempo. Per questo c’era
lui.
Atterrò con
le punte dei piedi
sull’asfalto e corse a perdifiato verso la vettura messa
peggio e che a lui
interessava di più.
Un forte odore di benzina gli
pizzicò il naso e capì che l’auto stava
per incendiarsi. Aveva i minuti
contati, ma era tutto un accartocciarsi di lamiere e rischiava di
compromettere
ancora di più la situazione se agiva di fretta.
Sentì Bill mugugnare, chiamando il nome di sua moglie e di sua figlia. Evelyn rispose con dei lamenti e Franky calcolò che se avesse aiutato prima loro due avrebbe avuto tutto il tempo necessario per salvare Zoe.
Andò da Bill e pian piano lo aiutò a disincastrarsi da quel putiferio. Fu inevitabile trascinarlo sui vetri rotti dei finestrini, con i quali si tagliò i palmi delle mani e le braccia.
«Bill. Bill, mi senti?», gli chiese, cercando di fargli tornare un po’ di lucidità.
«Franky?», biascicò.
«Esatto, in
ectoplasma ed ali.
Dobbiamo aiutarci a vicenda, ok? Dobbiamo collaborare. Ascoltami bene,
ascoltami».
Bill annuì piano, con gli occhi socchiusi e una smorfia di dolore sul viso.
«La macchina sta per esplodere», lo informò. «Devi tirare fuori Evelyn e portarla lontano da qui, io penso a Zoe».
Il cantante, capendo che c’erano in gioco le vite delle persone che amava, della sua famiglia, racimolò tutte le forze ancora presenti in lui e gattonò fino al finestrino dal quale riusciva a vedere Evelyn, accasciata sul tettuccio dell’auto con la cintura di sicurezza che le comprimeva l’addome. Aveva una lunga scia di sangue che le scivolava dalla tempia fino al collo e si teneva il braccio, lamentandosi.
«Tesoro, sono qui», le sussurrò.
«Papà… papà, mi fa male tutto», tossicchiò.
«Lo so, lo so amore. Però devi fare uno sforzo, devi uscire da qui. Vengo a prenderti».
Si infilò nel
finestrino,
accumulando ferite su ferite che in quel momento nemmeno
sentì, e le sganciò la
cintura, poi la prese delicatamente fra le braccia. La tirò
fuori con cautela,
facendo attenzione a non farle del male, ma si accorse che Evelyn si
mordeva le
labbra pur di non gridare di dolore.
In una frazione di secondo, mentre mancava ormai poco per trascinare del tutto Evelyn fuori dall’auto, vide Franky armeggiare con delle lamiere e con un tuffo al cuore capì che Zoe era la più grave fra loro. Lo sentì persino sussurrare: «Resisti piccola, non farmi brutti scherzi».
Calde lacrime gli rigarono il viso e nemmeno se ne accorse. Perché era successo a loro? Quanto era grave Zoe? Ce l’avrebbe fatta? Non era giusto, no…
«Muoviti, Bill!», gridò Franky e lui riuscì finalmente ad estrarre dalla vettura il corpo di sua figlia.
La strinse a sé e con uno sforzo sovraumano la sollevò e si incamminò verso il guardrail opposto, allontanandosi zoppicando e trattenendo fra le labbra il dolore che avrebbe tanto voluto gridare.
Franky finì di liberare il passaggio per tirar fuori Zoe dalla carcassa dell’Audi. La prese fra le braccia e lentamente la trascinò verso di sé. Era priva di sensi, le ferite che riportava erano gravissime, in particolare perdeva sangue a fiotti da una gamba e i battiti del suo cuore erano debolissimi.
«Ce la puoi fare, ce la puoi fare piccola», singhiozzò, colto anche lui da un pianto di disperazione, e la prese fra le braccia.
Non fece in tempo ad alzarsi, era troppo tardi, così si accovacciò su di lei e le fece scudo col proprio corpo.
Bill udì il boato di una forte esplosione alle sue spalle, che gli fece ronzare le orecchie, e un violentissimo vento ardente lo fece cadere riverso sulla strada, sopra il corpo di Evelyn.
«Nemmeno noi angeli siamo infallibili».
***
Tom, con solo Linda al
seguito
(Jole e Leo erano rimasti a casa per badare al piccolo Arthur), corse
più
veloce che poté lungo i corridoi del pronto soccorso, fino a
quando non vide la
stanza di Evelyn, nella quale gli avevano detto che avrebbe trovato
anche il
signor Kaulitz. Entrò spalancando la porta e si
immobilizzò sulla soglia, con
il fiato corto.
Evelyn, con un braccio ingessato
e una bendatura intorno alla testa, era aggrappata al collo di Bill con
il
braccio sano e singhiozzava violentemente contro la sua spalla,
biascicando
frasi a lui incomprensibili. Suo fratello gemello era messo meglio, ma
fu
comunque una sensazione orribile quella che provò vedendolo
pieno di cerotti e
con i vestiti strappati ed incrostati di sangue.
E pensare che se non fosse stato per un miracolo, a cui forse aveva già dato un nome, sarebbe dovuto andare direttamente all’obitorio.
Evelyn, accortasi dei loro visitatori, si scostò da suo padre, ma non smise di piangere. Chiuse gli occhi, voltando il capo verso la parte opposta, e si morse le labbra per trattenere i singhiozzi. Linda andò subito da lei a consolarla, mentre Tom rimase ancora lì impalato come un imbecille.
Le lacrime gli punsero gli occhi quando incontrò lo sguardo disperato di Bill. Quel dolore non quantificabile lo fece morire dentro a sua volta e allo stesso tempo gli diede la forza per fare i passi che li dividevano e prendergli il viso fra le mani per accertarsi che fosse ancora lì con lui.
«Fratellino», mormorò, accarezzandogli le guance sporche di nero, il fumo dell’esplosione che gli si era appiccicato alla pelle. «Non farmi mai più una cosa del genere, chiaro? Oh, Dio». Lo strinse fra le braccia ed iniziò a piangere pure lui, nascondendo il viso nel maglioncino nero del gemello.
«Dov’è Zoe?», chiese ad un certo punto Linda, mordendosi l’interno della guancia.
«In sala operatoria», soffiò Evelyn, fra i singhiozzi. «Non si sa nulla… Non voglio che muoia».
«Non morirà, tesoro, non morirà», la rassicurò a stento la donna, cingendole il capo con le braccia.
Tom strinse ancora di più Bill. Cercava di aggrapparsi a lui per trattenere la rabbia e per non andare ad uccidere con le sue stesse mani l’uomo ubriaco fradicio che si era messo a guidare contromano in autostrada a velocità folle per poi schiantarsi contro l’auto di Bill, rischiando di farli scomparire per sempre. Era colpa sua se il suo fratellino e la sua nipotina erano ridotti in quello stato, era colpa sua se Zoe stava ancora rischiando la vita sotto i ferri e non era giusto che lui non si fosse fatto un graffio, uno!
Un grido straziante e che gli parve di riconoscere lo fece sollevare dal corpo di Bill. I gemelli si guardarono con gli occhi spalancati e poi velocemente, nei limiti del possibile, uscirono in corridoio.
Steso sul pavimento piastrellato, presso la porta della sala operatoria in cui si trovava Zoe, c’era Franky. Tom e Bill lo riconobbero subito, con un tuffo al cuore, e quest’ultimo si disse che allora non era stato solo un sogno, era stato davvero lui ad aiutarlo, ad avvertirlo del pericolo e a proteggere Zoe nell’esplosione.
Fece un passo in avanti per raggiungerlo, ma Tom lo prese per la spalla e lo fece rimanere accanto a sé. Lo guardarono gridare e piangere disperato, nonostante sembrasse stremato, privo di forze, fino a quando un angelo che loro non avevano mai visto apparve al suo fianco e lo fece sparire con sé.
Poco dopo quella scena che li aveva lasciati con un macigno al posto del cuore, un dottore col camice verde sporco di sangue si avvicinò a loro con una faccia che non prometteva nulla di buono.
«Abbiamo fatto tutto il possibile», disse subito, non dando nemmeno il tempo ad uno dei due di chiedere di Zoe. «Siamo riusciti ad arrestare l’emorragia alla gamba, anche se abbiamo dovuto farle delle trasfusioni. Purtroppo però ha subito un forte trauma cranico…».
«Vada al dunque!», gridò Tom, esasperato e con il fiato corto.
Il dottore sospirò. «È in coma».
Le urla di Franky rimbombarono nelle loro teste.
Goodbye, into the
light
Like a phantom rider,
I’m dying tonight
So dark and cold
I drive alone
Like a phantom rider,
can’t make it all on my own