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Autore: _Pulse_    24/04/2011    4 recensioni
Il ragazzo seduto sul ramo si voltò e lei ebbe la sua conferma: era lui.
Franky si alzò in piedi e saltò di ramo in ramo senza alcuna paura, fino ad arrivare a quello più vicino alla finestra. Si acquattò ad un palmo dal suo viso e in quel modo riuscirono a guardarsi negli occhi senza alcuna difficoltà.
[...] «Io l’avevo detto che avresti avuto i suoi occhi», sussurrò soddisfatto.
{Sequel di Nothing to lose e Everything to gain}
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lose and Gain'
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2. Body and Spirit

 

Evelyn dormiva placidamente nel suo letto.
Finalmente, dopo ore di pianto e di agonia alla notizia che Bill era stato costretto a darle, consapevole che avrebbe infranto il cuore a lei proprio come era successo a lui, era riuscita a chiudere gli occhi e ad abbandonarsi all’abbraccio di Morfeo.

Lui, seduto al suo fianco, non era riuscito ad addormentarsi ed era rimasto tutto il tempo al suo fianco, ad osservarla. Aveva il viso tondo di Zoe e i lineamenti delicati, come i suoi; il suo naso e la bocca della madre; i capelli biondo scuro, proprio come i suoi, e quegli occhi che per fortuna erano chiusi. Ma prima o poi si sarebbero riaperti e la voragine che gli era nata in mezzo al petto gli avrebbe fatto male, vedendo quegli specchi azzurri identici a quelli della donna che amava e che non avrebbe visto per chissà quanto tempo.

Era riuscito a non piangere per tutta la notte, in cui Tom non lo aveva abbandonato un attimo. Ora che l’aveva costretto ad andargli a prendere qualcosa di caldo da bere, diede libero sfogo alle lacrime appoggiando il viso al materasso su cui dormiva sua figlia.

 

Era certo che Bill lo avesse mandato al bar dell’ospedale solo per stare un po’ da solo. Dopotutto, non l’aveva lasciato un attimo e forse – forse – non si era accorto di essere stato un po’ soffocante. Aveva cercato di stargli il più vicino possibile per fargli capire che lui c’era e ci sarebbe sempre stato, ma forse aveva scelto il metodo sbagliato. Per questo aveva accettato di andare a prendergli qualcosa da bere. Aveva capito che Bill voleva un po’ di solitudine e, anche se gli faceva malissimo non essere desiderato proprio in quel momento, gliel’aveva concessa.

Sospirò e si passò le dita sulle palpebre che sentiva pesantissime.

Non aveva chiuso occhio quella notte e aveva continuato a pensare freneticamente, fino a farsi andare in fumo il cervello, a Franky. Si era chiesto se avesse provato a salvarla come quando aveva rischiato la vita cadendo in quel lago e aveva stabilito che doveva essere stato proprio così, visto che era senza forze una volta uscito dalla sala operatoria. Però non si spiegava quelle grida e quel pianto disperato: infondo poteva andare peggio… Forse erano cose da angeli che lui non poteva capire, ecco tutto.

La barista gli diede i due caffè americani che aveva ordinato e si mise seduto ad uno dei tavoli liberi per concedere a Bill ancora un po’ di tempo.

«E ora passiamo ad un fatto di cronaca. Ieri sera, verso le venti, l’auto su cui viaggiavano Bill Kaulitz, cantante e leader dei Tokio Hotel, con la moglie Zoe Wickert e la figlia Evelyn di quattordici anni, è stata completamente travolta da un’altra vettura, provocando inoltre il tamponamento di altre tre auto. Il conducente dell’auto che ha provocato l’incidente era ubriaco, con tasso alcolemico cinque volte superiore alla norma, e viaggiava contromano. I feriti, oltre la famiglia Kaulitz, sono cinque e sono stati tutti trasportati con le ambulanze all’ospedale Albertinen-Krankenhaus di Amburgo. Dalle notizie che sono trapelate la più grave è la moglie di Bill Kaulitz, che –».

Tom si era alzato e aveva spento il televisore appeso in un angolo della stanza, stringendo i denti e ricacciando indietro le lacrime.

Davvero un ottimo servizio, non c’era che dire. (C’era mancato poco che i media lo venissero a sapere prima di lui). 
Aveva cercato in tutti i modi di non vedere le foto dell’incidente, dell’auto sfasciata di Bill, di restare fuori da quell’inferno che d’ora in avanti si sarebbe portato nei sogni per molte notti, ma loro, come sempre, avevano rovinato tutto.

«Va tutto bene?», gli chiese la barista preoccupata, sporgendosi sul bancone per guardarlo meglio.

«Alla grande», grugnì e, dopo aver preso i caffè che aveva lasciato sul tavolo, uscì dal bar.

 

***

 

Franky aprì gli occhi di scatto e schizzò seduto sul letto, gridando il nome di Zoe.
Aveva il respiro accelerato e gli ci vollero alcuni secondi per riprendersi e capire che si trovava in un ospedale.

L’occhio gli cadde sul comodino e vide un mazzo di fiori in un vaso, al quale era allegato un bigliettino. Lo prese fra le dita e lo lesse ad alta voce: «Auguri di pronta guarigione al nostro fantastico professore».

Aveva riconosciuto subito quella calligrafia così particolare, tanto che aveva imparato a distinguerla dalle altre senza alcuna difficoltà anche se aveva fatto scrivere dei brevi temi solo due o tre volte ai suoi alunni. Era di Kim, non poteva sbagliare, e a confermare l’esattezza della sua tesi c’era il fatto che la prima firma del piccolo elenco composto da tutti i nomi dei suoi ragazzi fosse la sua.

A quel pensiero così carino gli si sarebbe riscaldato il cuore se fosse stato per un motivo qualunque, uno stupido, ma non era affatto così: lui si trovava lì perché aveva tentato il tutto per tutto con Zoe e aveva consumato tutte le proprie energie. E non era riuscito comunque nel suo intento. Aveva fallito e la voragine che sentiva dentro lo stava lentamente consumando.

Ricordò il dolore straziante provato dall’unico angelo che aveva visto fallire, che aveva tenuto la propria protetta senza vita fra le braccia, e riuscì finalmente a capirlo perfettamente. Quello era lo stesso dolore che provava lui in quel momento. O forse no, perché anche se lui aveva fallito, aveva anche vinto. Zoe non era morta, era solo caduta in un sonno profondo e si sarebbe risvegliata. Doveva risvegliarsi.

Si strappò la flebo e tutti gli altri cerotti magnetici che aveva appiccicati al corpo per controllare i suoi parametri vitali e saltò giù dal letto, barcollando. Ritrovò l’equilibrio e camminò verso la porta, quando questa si aprì e un’anima infermiera si parò di fronte a lui.

«Dove credi di andare?! Non sei ancora guarito del tutto!».

«Me ne fotto altamente!», scostò l’infermiera, furibondo, ma non se la levò dai piedi facilmente. Alla reception dell’ospedale gli chiesero di firmare dei moduli per la libera uscita e solo allora se la scrollò di dosso.

Corse a scuola per parlare con San Pietro, ma trovò un altro ostacolo a rallentarlo: Kim.

«Professore!», gridò vedendolo da lontano. La vide correre verso di lui, ma Franky grugnì qualcosa ed andò dritto per la sua strada.

«Professore! Professore, si fermi!», urlò ancora e lo raggiunse a metà scalinata. Gli si parò davanti e quando lo guardò negli occhi tutta la sua sicurezza svanì ed arrossì. «All’ospedale mi avevano detto che sarebbe stato dimesso domani…».

«Beh, si sbagliavano», disse frettolosamente.

«Aspetti!». Lo rincorse e faticò un poco per stare al suo passo e allo stesso tempo parlare con lui. «È vero quello che si dice?».

«Che si dice?», domandò distrattamente.

«Che ieri sera è dovuto andare di sotto per salvare la vita alla sua protetta e che ci è mancato un soffio!».

Franky si irrigidì sul posto e la guardò assottigliando gli occhi. «Chi è che ha sparso in giro questa voce?». Non sapeva nemmeno perché fosse così innervosito dalla scoperta che già tutti conoscevano quello che era successo e in quel momento non doveva nemmeno importargli, aveva altro a cui pensare!

«Non lo so… voci che girano», sollevò le spalle Kim.

Franky grugnì, sempre più irritato, e riprese a salire gradino dopo gradino con passo ancora più sostenuto. Stava per esplodere!

«Professore…». Alla sua voce così debole e triste, però, non poté far altro che fermarsi e voltarsi. «Lei se ne dovrà andare per un po’, non è così?». Anche la sua espressione era sinonimo di puro dispiacere e a Franky gli si strinse il cuore.

Scese i gradini che li dividevano e l’abbracciò, poi le diede un buffetto sulla guancia. «Tornerò. Fai finta che il mio sia… un corso di aggiornamento, ecco», le fece un sorriso, strappandone uno anche a lei. «Quando tornerò avrò un mucchio di altre cose da raccontarvi».

«È una promessa?», gli domandò.

«Certo. Ora devo proprio scappare, abbi cura di te».

«Anche lei».

«E smettila di darmi del lei!».

La lasciò con un sorriso sulle labbra e sperò che anche lei, durante il periodo in cui non si sarebbero visti, l’avrebbe ricordato in quel modo. Aveva sbagliato a dimostrarsi così scontroso con una ragazza dolce e sensibile come lei, infondo lei non c’entrava niente e non doveva scaricare la sua frustrazione su nessuno.

Completò la scalinata che lo avrebbe portato al piano in cui era situato l’ufficio di San Pietro e, di fronte alla porta che aveva varcato tantissime volte, fece un respiro profondo. Poi l’aprì.
Lo vide subito. Era rivolto verso le grandi vetrate che davano sul giardino e aveva le mani giunte sulla schiena, come ogni qualvolta si metteva a riflettere.

«Sapevo saresti arrivato», disse il santo, voltandosi e sorridendogli bonariamente.

«Ho bisogno di andare di sotto», spiegò Franky con il fiato corto, gli occhi imploranti. «Devo abbandonare il corso».

«Sapevo anche che avresti detto queste parole».

«E io so che me lo permetterà! Grazie mille!», esclamò prima di correre fuori dall’ufficio lasciando San Pietro con un palmo di naso.

«Franky, ma Zoe è…!», tentò di chiamarlo, sporgendosi in corridoio, ma il suo pupillo si era già fiondato giù per le scale. 
«Anche qui», disse sospirando, scuotendo il capo.

 

***

 

Tom fece apposta il giro lungo, al ritorno, per non passare di fronte alla stanza in cui sapeva riposasse Zoe.

Chiamò l’ascensore e si diede del cretino: come poteva aver paura della sua migliore amica che, oltre tutto, era in un coma profondo? Forse era proprio quello a spaventarlo, il fatto che non avrebbe riaperto gli occhi sentendolo entrare, né avrebbe sorriso e riso alle sue battute stupide, né lo avrebbe preso in giro. Almeno lo avrebbe sentito?

L’ascensore arrivò, ma lui non ci salì, poiché quando si aprirono le porte era già sulle scale.

In prossimità della sua stanza sentì il cuore pulsargli in gola, lo stomaco attorcigliarsi e le gambe tremare. Chiuse gli occhi e fece qualche respiro profondo, giusto per regolarizzare i battiti e dirsi che sarebbe andato tutto bene, poi aprì la porta e vi entrò.
Per i primi istanti non riuscì ad alzare gli occhi dal pavimento. Camminò a tentoni fino a raggiungere il comodino, su cui lasciò il caffè di Bill. Il suo l’aveva già finito da un po’.

Deglutì il nodo che aveva in gola e si costrinse ad essere forte. Così alzò gli occhi e la prima cosa che vide fu il viso placido di Zoe: le palpebre nascondevano i suoi bellissimi occhi azzurri, le ciglia lunghe accarezzavano la sua pelle ora più che mai pallida e le sue labbra rosse sembravano dei petali di rosa; le uniche cose che stonavano, in quella perfezione, erano il tubo che aveva in gola e che le permetteva di respirare meglio e un taglio sulla fronte, coperto da un grosso cerotto.

Fin lì tutto bene, anche se le lacrime gli avevano pizzicato gli occhi.

Percorse il resto di lei con lo sguardo, come se le stesse facendo una dettagliata scansione, e vide le sue braccia fasciate, probabilmente per via delle ustioni provocate dall’esplosione. Si chiese quanto fossero gravi quelle abrasioni e quali fossero gli altri punti fasciati, quelli che erano stati esposti al momento dello scoppio. Dedusse che, se il suo viso non era stato sfregiato, doveva essersi trovata stesa a pancia in giù e se Franky l’aveva davvero protetta… forse non erano poi così gravi come temeva. Forse i medici si erano chiesti com’era stato possibile che si fosse bruciata “così poco” e solo l’idea che non fossero riusciti a darsi una risposta logica lo fece sorridere e commuovere: erano davvero fortunati ad avere un angelo a vegliare su di loro.

Accarezzò il palmo aperto della mano di Zoe, al cui indice aveva una piccola sonda, e si mise seduto accanto a lei, trascinando vicino al letto una sedia di plastica.
«Ehi Zoe, mi spieghi come mai sei sempre tu a finire nei guai?», le sussurrò e pianse.

 

***

 

Zoe, da qualche parte più su, sentì qualcuno piangere accanto a sé e aprì gli occhi. Ma nell’immacolata stanza d’ospedale era sola.

 

***

 

«Tieni, ti ho preso il caffè», biascicò, tirando su col naso. «Forse non è stata la scelta migliore, ora che ci penso… E sarà anche freddo».

«Non importa, Tomi», sussurrò e abbandonò il bicchiere di carta spessa sul comodino, per tornare a contemplare il viso della sua bambina e ad accarezzarle i capelli.

«Sono stato da Zoe», gli confessò il maggiore, ancora in piedi accanto a lui, scaricando nervosamente il peso da una gamba all’altra.

Bill si girò lentamente verso di lui e lo guardò con gli occhi grandi e lucidi. Tom capì che voleva sapere come stava.

«Sembra… sembra in ottima forma, vista così. È come se dormisse. Non è così spaventosa come immaginavo». L’ultima frase la mormorò, abbassando il capo ed infilandosi le mani nelle tasche. «Se vuoi, quando Evelyn si sveglia, vi accompagno».

«Sì», annuì Bill, con voce tremante.

 

Il sole del mattino illuminava il soffitto bianco.

Franky entrò nella stanza di Zoe passando per la finestra e rimase per qualche secondo a guardarla, immobile, poi si mise seduto accanto a lei e si stropicciò il viso, sospirando pesantemente.

 

Evelyn era silenziosa, seduta sulla sedia a rotelle che suo zio Tom spingeva nei corridoi semideserti dell’ospedale. Bill, che camminava accanto a lei, le teneva una mano e con l’altra trasportava il trespolo della flebo che la ragazza aveva ancora infilata nella piega del gomito.

Arrivarono di fronte alla stanza di Zoe e Tom fermò la sedia a rotelle proprio di fronte al vetro che permetteva di vedere all’interno della camera. La mamma di Evelyn dormiva ancora, ma non era più sola: al suo fianco c’era Franky, che le teneva una mano, e sia Bill che Tom sobbalzarono vedendolo.

«Chi è quello che sta tenendo la mano a mamma?», chiese la ragazza, corrucciata.

I gemelli spalancarono gli occhi ed esclamarono all’unisono: «Riesci a vederlo?!».

Evelyn li guardò preoccupata e suo padre e suo zio si scambiarono uno sguardo che gli permise di decidere chi dei due le avrebbe spiegato come stavano le cose. Toccava a Bill. Tom, nel frattempo, sarebbe andato a fare quattro chiacchiere con l’angelo che non vedeva ormai da quattordici anni.

Bill prese i manici della sedia a rotelle e la portò accanto alle poltroncine blu di fronte alla porta della stanza. Si mise seduto su una di esse e prese le mani della figlia fra le sue, poi la guardò negli occhi.

«Ti ricordi di Franky?», le domandò a bassa voce.

«Certo, tu e mamma me ne avete parlato tanto», rispose con un’alzata di sopracciglia.

«Ecco… è lui, quello che sta tenendo la mano a mamma».

Evelyn strabuzzò gli occhi. «Non è possibile, è morto quasi venticinque anni fa!».

Il cantante guardò oltre il vetro e vide Tom posare una mano sulla spalla di Franky. Probabilmente lei, dalla sua posizione, non aveva notato le grandi ali bianche piegate sulla sua schiena.

«È l’angelo custode di tua madre». 

 

Tom entrò nella stanza e si avvicinò alla sedia su cui era seduto l’angelo. Osservò Zoe in un silenzio sia fisico che mentale, per non disturbarlo con pensieri che in quel momento sarebbero sembrati privi di senso, poi posò una mano sulla sua spalla, sentendo un piacevole calore pervadergli il petto.
Gli era mancata quella sensazione, forse più di qualsiasi altra cosa: quella di sentirsi subito più leggero, più sereno, solo al suo contatto. Era un potere che solo gli angeli come lui possedevano e in quel momento avrebbe tanto voluto fiondarsi fra le sue braccia per essere avvolto dalle sue ali ed irradiato da quel calore.

«Sono arrivato tardi», mormorò Franky dopo un po’, con una voce così flebile che a malapena si fece sentire.

«Sono certo che hai fatto tutto il possibile», lo rassicurò in tono pacato.

«Se solo l’avessi avvertito prima…».

«Franky». Pronunciare di nuovo quel nome ad alta voce e a faccia a faccia con lui, gli fece tremare il cuore e venire le lacrime agli occhi. L’angelo lo guardò negli occhi per la prima volta e anche i suoi erano lucidi, colmi di dolore.
Tom gli accarezzò il viso con entrambe le mani, tracciò delle linee invisibili sulle sue guance con le quali arrivò al mento, poi si chinò verso di lui e gli posò un bacio sulla fronte.

Franky sgranò gli occhi e il suo cuore perse un battito, sorpreso da quel gesto fin troppo affettuoso per uno come Tom, ma che aveva sempre sognato. Era un gesto che fu in grado di ricambiare tutto il calore che lui sapeva offrire alle persone che amava e si rese conto che erano passati tanti anni dall’ultima volta che si era sentito così bene. Forse troppi, perché quell’emozione fu così forte e così inaspettata che, insieme a tutti gli altri sentimenti che provava per quello che era successo a Zoe, lo fece piangere come un bambino.
Si alzò in piedi scansando la sedia di lato e si aggrappò alle sue spalle, nascondendo il viso contro il suo collo.

Tom lo lasciò sfogare per un po’, cullandolo fra le sue braccia, e chiuse gli occhi posando la guancia sui suoi capelli a spazzola. Ad un certo punto sorrise e ridacchiò.

«Perché ridi?», gli chiese Franky, biascicando e tirando su col naso.

«Perché più andiamo avanti con l’età, più diventiamo sentimentali».

Lo guardò negli occhi ed accennò un sogghigno. «Parla per te, Kaulitz».

«Oh, sentilo, inizia subito a fare lo sbruffone. Intanto, per ogni volta che vieni a trovarci passa un decennio…».

«Infatti volevo che passassero vent’anni prima di tornare da voi, ma sono stato costretto a scendere prima». Si voltò verso Zoe e le sfiorò una mano con la punta delle dita con aria malinconica.

«Si riprenderà?», gli domandò Tom, mettendosi al suo fianco.

Franky scosse il capo, sospirando. «Non lo so nemmeno io, questo».

 

Bill ed Evelyn entrarono nella stanza di Zoe e Franky si fece da parte per non intralciare, per questo si appoggiò al muro accanto alla finestra. Tom si mise al suo fianco e, col pensiero, gli disse: “Lei riesce a vederti”.

Franky corrugò la fronte e frugò nella sua mente. Fu come se fosse stato nel corpo di Tom e avesse visto con i suoi occhi quello che era successo e si disse che era proprio così, che era riuscita a vederlo.

“Come ci è riuscita?”, gli chiese, ancora mentalmente, Tom.

Franky non rispose subito, posò lo sguardo sulla ragazza che ogni tanto lo guardava di sottecchi e sorrise, ascoltando i suoi pensieri: “Non è possibile che sia l’angelo custode di mamma… non veramente! Lei diceva sempre che era il suo angelo, ma credevo che scherzasse, che alcune cose le inventasse come si inventano e si rendono magici i personaggi delle favole… Possibile che sia tutto vero, ogni singola cosa che mi ha raccontato?”.

“Zoe le ha parlato di me fino alla nausea”, pensò Franky, divertito, ma non rese quel pensiero accessibile solo a Tom, bensì anche a Bill, che accennò un sorriso mentre accarezzava la fronte di sua moglie. “Quindi penso che riesca a vedermi perché infondo crede in me”.

La suoneria di un cellulare ruppe il silenzio pieno di parole che si era creato e tre paia di occhi si puntarono su Franky, che si tastava le tasche alla ricerca del suo Cellulare Celeste. Lo trovò nella tasca posteriore dei pantaloni bianchi ed uscì dalla finestra, si mise seduto a gambe penzoloni sul cornicione del tetto dell’ospedale e rispose alla chiamata di San Pietro.

«Mi dica tutto», disse a mo’ di saluto.

«Franky, ti pare il caso di scappare così?».

«Mi scusi, ma ero di fretta».

«Lo so, posso anche capirti, ma se mi avessi ascoltato due secondi in più ora staresti parlando con Zoe».

Il cuore di Franky sobbalzò. «Che cosa sta dicendo, Zoe è in coma!».

«Oh, Franky», rise genuino. «Ci sono così tante cose che ancora non sai…».

«Per esempio?», domandò innervosito.

«Per esempio…».

 

***

 

Franky corse all’interno dell’ospedale degli angeli – così lo aveva soprannominato col passare del tempo, anche se non venivano curati solo ed esclusivamente gli angeli – e alla reception chiese in quale camera fosse stata trasferita Zoe Wickert. L’anima infermiera che era di turno in quel momento era una delle più lente che avesse mai visto e rischiò seriamente di perdere le staffe, ma per fortuna arrivò San Pietro che, sorridendo, lo prese per le spalle e lo portò con sé lungo i corridoi dell’ospedale.

«Uff, perché non me l’ha detto prima?!», sbottò ad un certo punto Franky, imbronciato.

«Credi che non ci abbia provato?!», rispose il santo allargando le braccia.

«Forse ha ragione lei. Mi perdoni, non volevo scappare così, è che… ero così preoccupato…».

«Non fa niente Franky, capisco benissimo come tu ti stia sentendo in questo momento», gli sorrise affettuosamente.

«Comunque non pensavo che le persone in coma finissero qui. Cioè, il loro spirito…», disse Franky, infilando le mani in tasca. «E che cosa fanno qui, precisamente?».

«Aspettano che il loro corpo si risvegli dal torpore. Solo in quel momento il corpo e lo spirito si ricongiungono e si riesce ad uscire dal coma».

«Sì, ma…».

«Di solito quando il corpo dà segni di ripresa gli spiriti si sentono molto stanchi e sono costretti a stare a letto tutto il giorno per, eventualmente, ricongiungersi al loro corpo. Altrimenti possono, diciamo… avere un assaggio del Paradiso, nel caso…».

«Zoe si risveglierà», disse in maniera decisa, interrompendolo. «E quando gli spiriti si ricongiungono al loro corpo ed escono dal coma non ricordano nulla di quello che hanno vissuto qui?».

«Certo che no. Riescono solo a ricordare, seppure vagamente, ciò che ha sentito il loro corpo, come le voci dei parenti, la loro presenza… cose del genere. Capita molto spesso che gli spiriti sentano ciò che sta sentendo il corpo: è sintomo che comunque le due parti sono ancora collegate».

«Capisco», annuì meditabondo. «Si è già svegliata?».

«Sì. Credeva di essere in un ospedale “normale”», sorrise. «Ha chiesto di Bill e di Evelyn…».

«Le avete già spiegato che si trova in Paradiso?».

Si sentiva nervoso, parecchio nervoso. Pensare che lui e Zoe sarebbero stati vicini anche nella dimensione dei non più vivi gli faceva venire i brividi e forse era anche un po’ imbarazzato perché avrebbe visto il suo mondo, ciò che le aveva solo raccontato in modo molto vago, e, cosa più importante e che lo intimidiva di più, era il fatto che avrebbe passato molto più tempo con lei: non era più abituato e si sentiva come se quella fosse la ragazza per cui si era preso una folla cotta senza nemmeno conoscerla, non come se quella fosse Zoe, la sua Zoe. Erano stati lontani tanto tempo e non era sicuro che il loro rapporto fosse rimasto lo stesso di sempre: lei era cresciuta, lui era cresciuto, erano cambiate molte cose…

«No, aspettavamo giusto te», rispose San Pietro, distraendolo dai suoi pensieri. Franky annuì col capo e deglutì il nodo che gli si era formato in gola.

Arrivarono di fronte alla porta della stanza di Zoe e San Pietro gli disse che lui non l’avrebbe accompagnato, era una cosa di cui dovevano parlare da soli, loro due.

Franky lo salutò con un cenno della mano, tremendamente in ansia, poi prese coraggio ed entrò nella stanza immacolata, illuminata anch’essa dal sole del mattino.

Zoe era stesa sul letto, il lenzuolo bianco le arrivava fino alla vita e aveva il viso rivolto verso la finestra da cui riusciva a vedere il giardino dell’ospedale. Quando si accorse della sua presenza spalancò gli occhi, lucidi dall’emozione, e si rizzò seduta sul letto.

«Franky», mormorò, portandosi le mani sulla bocca. «Franky, sei qui».

Ogni singola paura si dissolse quando si perse in quegli occhi azzurri ed udì la sua voce. Franky si rilassò e si avvicinò al letto.
«Ciao, piccola», le sussurrò e si mise seduto sul bordo del materasso.

Sembrava in ottima forma, non aveva neanche un graffio, e non poteva essere altrimenti, poiché lei, lì ed ora, era soltanto uno spirito; era il suo corpo, di sotto, ad essere ferito.

Le sfiorò il viso con una mano, scostandole i capelli dal viso, e sorrise, anche se aveva un’assurda voglia di piangere. Lei non doveva essere lì, non doveva…

Zoe lo abbracciò di slancio e lo strinse forte a sé, nascondendo il viso contro il suo collo proprio come quando era una ragazzina. Franky ricambiò incerto l’abbraccio e lei se ne accorse, per questo lentamente si scostò e lo guardò con i lucciconi agli occhi.

«Franky, che cosa c’è?», gli domandò con la voce che le tremava. «Almeno tu, dimmi quello che sta succedendo, dimmi perché Bill e Evelyn non ci sono… Non sono…».

«No! No, stai tranquilla Zoe, stanno bene», la rassicurò, asciugando le lacrime che le erano scivolate sulle guance contro il suo volere. «Solo che non sono qui…».

«E dove sono? Io… io voglio vederli».

«Ascolta, Zoe», sospirò e si passò le dita sugli occhi, massaggiandoli. «Io… io non so come spiegartelo… Quali sono le ultime cose che ricordi?», le domandò alla fine, cercando forse di prendere ancora un po’ di tempo.

«Ricordo che stavamo andando da Tom a cena e poi che c’è stato un incidente…».

«Nient’altro?». Zoe scosse il capo, dispiaciuta. Franky le prese le mani fra le sue e ne accarezzò i dorsi con i pollici.

«Vedi…», incominciò a dire a bassa voce, come se non volesse ferirla con le sue parole. «Quando ho avvertito che sarebbe successo quello che è successo sono subito corso per salvarti, ma sono arrivato tardi e me ne vergogno, non sai quanto vorrei tornare indietro e…». Strinse gli occhi e alcune lacrime caddero sul lenzuolo candido. «Ho fatto tutto quello che ho potuto, ma… Zoe, tu… tu sei in coma».

«Che cosa?», balbettò, incredula. «Che stai dicendo, io sono qui, ti sto parlando, sto bene! Non posso essere in coma!».

«Tu… tu in questo momento sei solo uno spirito», le sussurrò, guardandola negli occhi nonostante le lacrime gli tracciassero il viso.

Zoe, con la delicatezza di una mamma, gliele spazzò via con le mani. «Uno spirito?».

«Sei in Paradiso e questo è l’ospedale in cui sia io che Jole siamo stati ricoverati quando ci sentivamo poco bene; tu sei solo il tuo spirito qui, il tuo corpo è di sotto ed è in un coma profondo, come di sotto sono anche Bill, Evelyn, Tom e tutti gli altri, distrutti dal dolore; e la causa di questo dolore sono io, perché io sono arrivato tardi e ho permesso che ti accadesse tutto questo…».

La donna, ancora scioccata, lo prese fra le braccia e gli posò la testa sul suo petto, lasciandolo sfogare su di sé le lacrime e i singhiozzi.

 

___________________________________________

 

Buonasera e buona Pasqua! :D
Insomma, che bel casino, eh? Zoe si è letteralmente divisa in due: una parte di sotto - il suo corpo - e una parte di sopra - il suo spirito.
Abbiamo anche scoperto che la cara piccola Evelyn è riuscita subito a vedere Franky! Zoe le ha fatto una testa tanta.... xD No, ovviamente scherzo :)
Che cosa succederà adesso? Franky dovrà dire a Tom e a Bill, soprattutto, che la parte "funzionante" di Zoe è in Paradiso e... come credete che reagirà il nostro cantante? u.u
Bene, vi o dato fin troppi spunti su cui riflettere - mi raccomando fatelo anche nelle recensioni che mi piace assaiiiiii *w*

Ringrazio di cuore coloro che hanno accettato con entusiasmo questo sequel e in particolare chi ha recensito lo scorso capitolo! *-* (Vi ho ringraziati tutti nelle risposte delle recensioni, penso sia più comodo, visto che qui finisco sempre per scrivere un papiro xD)  
Grazie anche a chi ha semplicemente letto e a chi ha già inserito questa FF fra le seguite, le preferite e le ricordate! :D

Un bacio enorme, alla prossima!! 

Vostra, 

_Pulse_

   
 
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