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Autore: Sandra Voirol    17/04/2011    13 recensioni
Questa è una situazione che non c'è proprio nella saga...
Allora ho ben pensato di riempire la lacuna...
Anche se mi è stato fatto presente di avvisare che ci sono spoiler da Midnightsun.
Cosa succede mentre Bella è in ospedale, dopo l'attacco di James?
E durante la sua convalescenza a casa?
Spero che vi piaccia...
Non so se sono riuscita a tenere conto di tutti i collegamenti...
In testa a chi sono???
A Edward ovviamente...
Fatemi sapere cosa ne pensate...
Sapete che aspetto sempre con ansia i vostri commenti...
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Twilight
- Questa storia fa parte della serie 'L' Anima di Edward...ma non solo'
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Volevo ringraziare tanto tanto tutti coloro che mi seguono…
 
Grazie infinite a chi mi ha messo tra i propri autori preferiti… sono davvero lusingata e commossa della vostra fiducia…
 
Grazie infinite a chi mi tiene tra i preferiti, ricordata e seguita...sono felice che vi piacciano le mie storie…
 
Ed infine …grazie alle tantissime persone che visitano le mie One Shot…non ci speravo che fossero così seguite… 

Questa OS è
POV. EDWARD !!!

BUONA LETTURA!!!








CONVALESCENZA
 

POV. EDWARD
 
 

Come al solito, stavo esagerando.
Lo sapevo, ma proprio non riuscivo a farne a meno. Specialmente dopo quello che era accaduto. Non la mollavo un attimo. Ero praticamente la sua ombra. L’unica privacy che le concedevo, era il bagno. Non sembrava soffrirne, però. Sembrava ancora più attaccata del solito a me.
Forse dipendeva dal discorso che le avevo fatto - quando si era svegliata -  dopo l’arrivo in ospedale. Mi era sembrata veramente disperata, all’idea di andare a Jacksonville e lasciarmi. Anche se poteva essere un’impressione. Non potendo leggerle nel pensiero, dovevo adattarmi come sempre, a cosa mi diceva e a cosa mi trasmetteva il suo viso.
Da allora, non ne avevamo parlato più. Cercavo di non pensarci. Ma nella mia testa non smetteva di farsi strada l’idea, che senza di me sarebbe stata meglio. Come avevo sempre pensato, d’altronde. Comunque, tenevo quel pensiero chiuso in un angoletto della mia mente e speravo ardentemente che non sarebbe accaduta nessun altra disgrazia. Con Bella non si poteva mai sapere.
Come cercavo di non pensare alla richiesta che mi aveva fatto. Solo il pensiero che le era passato per la testa di diventare come me, mi aveva riempito d’angoscia. Aveva provato un altro paio di volte ad aprire il discorso, ma ero rimasto sul vago e avevo spostato il discorso su altro. Non si rendeva conto di cosa significava. Non avrei mai preso in considerazione una tale ipotesi, come non l’avevo mai considerata. Anzi, lottavo contro quell’eventualità da quando Alice aveva avuto la visione di lei morta o vampira. Finora avevo eluso entrambe le possibilità e così avrei continuato a fare. Piuttosto sarei andato via.
Vegliavo protettivo su di lei. Ogni suo desiderio era un ordine. Ero perennemente di fianco al suo letto. Abbandonavo il suo capezzale, solo quando arrivavano Renée o Charlie.
Renée era diventata cordiale con me. Nei suoi pensieri non c’era animosità. Anzi, dopo un’iniziale ritrosia a prendere in considerazione, che la sua bambina avesse un ragazzo; si era poi disposta a conoscermi senza pregiudizi. Anche se mi teneva d’occhio, anzi, ci teneva d’occhio. Era molto perspicace.
Charlie era un’altra questione. Mi riteneva direttamente responsabile dell’accaduto. Era convinto che Bella non sarebbe mai andata via, se io non l’avessi spaventata in qualche modo. Certo, secondo lui era andata via perché non voleva legarsi a Forks. Perché la odiava. E provando qualche cosa per me, aveva deciso di darsela a gambe levate. Questa era la versione propinata da Bella la sera della fuga. Ma la realtà era ben altra, ovviamente. E fortunatamente, lui non l’avrebbe mai saputa. Comunque non potevo dargli torto. Ero convinto anch’io che era tutta colpa mia. Quindi, sopportavo tranquillamente tutte le tacite dichiarazioni d’insofferenza di Charlie e cercavo di essere il più discreto possibile. Quando lui arrivava, io mi defilavo silenziosamente. Sembrava apprezzare. 
Bella ed io passavamo ore a guardarci negli occhi. Ed ore ad accarezzarci il viso. Ma anche a chiacchierare. Visto la sua immobilità approfittavo per bombardarla di domande, quelle che non le avevo ancora fatto sulla mia lista personale. Sembrava sopportare i miei interrogatori con piacere. E per quante scoperte facevo su di lei; Lei ne faceva altrettante su di me. Non ero l’unico a fare una sequenza interminabile di domande. Aveva voluto sapere il più possibile sulla mia famiglia. E io, per quanto possibile, l’accontentavo. Cercando comunque di rispettare la privacy dei miei familiari. Come sempre, sapevo molto più di quanto avrebbero voluto.
All’inizio ero stato il tormento di Carlisle. Ero così preoccupato per lei, che l’avevo costretto a controllare tutto personalmente. E nonostante mi assicurava che i medici erano preparatissimi, non gli davo tregua.
“Edward, adesso basta” sbottò un giorno, “loro non faranno niente di meno rispetto a quello che farei io. Ho visto e rivisto le radiografie e le analisi di Bella. E i medici sono giunti alle mie stesse conclusioni. Quindi rilassati e stai tranquillo”. Mi rilassai e mi tranquillizzai. O almeno, ci provai.
Non ero l’unico a pendere dalle labbra di Carlisle. Charlie quasi lo venerava. E per ogni dubbio o preoccupazione si fiondava da lui. Diciamo che il sentimento che lo animava nei confronti di mio padre, era agli antipodi rispetto a quello che provava per me. La cosa un po’ mi disturbava in realtà. Oserei quasi dire che ero geloso. In fondo, a “salvare” Bella, non c’era solo Carlisle. Cioè, a salvarla dalla caduta per le scale del nostro albergo, con relativo sfondamento di una finestra. Ma sembrava che la mia partecipazione fosse del tutto irrilevante agli occhi di Charlie. Aver fatto scappare di casa Bella - poche ore dopo essermi presentato ufficialmente a Charlie - non era un biglietto da visita rassicurante, bisognava ammetterlo. Dovevo farmene una ragione, probabilmente non mi avrebbe mai digerito molto.
Più passavano i giorni e più l’odore di Bella tornava ad essere il suo. La cosa non mi dispiaceva, il suo odore mi piace molto. Ma la mia gola prendeva fuoco ogni giorno di più. Come ogni giorno che passava, il mostro ribolliva sempre di più, mentre la baciavo. Era arrabbiato. Gli avevo interrotto il pasto. Quando ricordavo il suo sapore, rabbrividivo. Non mi capacitavo ancora da aver trovato la forza per fermarmi.
Quando avevo preso a succhiare via il veleno dalle vene di Bella, il vampiro aveva esultato. L’istinto si era fatto incontrollabile e la lucidità quasi del tutto assente, nonostante lottassi per mantenerla. Il sapore del suo sangue aveva mandato in estasi il mostro. Non ci sono parole, per descrivere l’immenso piacere viscerale, che il sangue di Bella che scendeva lungo la mia gola, mi aveva dato. Era puro godimento. Staccarmi dalla sua mano era stata una violenza. Sia per il vampiro, che per me, devo ammetterlo almeno con me stesso.
Ma mentre cercavo con tutte le mie forze di non dissanguarla, la guardavo in viso. E questo – probabilmente - non mi aveva fatto dimenticare quanto l’amassi e con uno scatto di volontà, mi ero staccato dalle sue vene. La prova mi aveva sfiancato. Non fisicamente – ovvio - ma emotivamente. Anche se mi sentivo un gladiatore vittorioso di ritorno da una battaglia. Non c’erano più dubbi su quanto fossi innamorato di lei.
Dopo due settimane, finalmente avevamo lasciato l’ospedale. E nonostante le rimostranze di Charlie, avevo portato in braccio Bella ogni volta che avrebbe dovuto camminare. Non che non potesse farlo. Con il tutore poteva muoversi autonomamente. Ma mi sembrava più… prudente, ecco. Oppure, ero solo il solito esagerato. Ma mi sembrava una buona scusa per tenerla in braccio.
Tornammo da Phoenix con l’aereo e a Seattle, venne a prenderci Emmett. Lui e Jasper erano tornati a casa senza che Charlie e Renée li vedessero. Renée era tornata da Phil a Jacksonville. L’avevamo convinta che Bella era in ottime mani e penso che tutto sommato ci credesse veramente. Aveva visto come c'eravamo presi cura di lei in ospedale.
Una volta giunti a casa di Bella le cose cambiarono. Charlie prese in mano la situazione e c'impose regole che non mi piacevano granché. Avrei dovuto aspettarmelo, che avrebbe messo dei limiti al tempo in cui potevamo stare insieme. Aveva imposto sia il coprifuoco che degli orari di visita. La scusa ufficiale era che visto l’accaduto, Bella aveva bisogno di regole più rigide. Ma secondo me, la mia presenza aveva spinto Charlie a mettere dei limiti. Ci adeguammo.
Per alleviare la mia ansia - mentre non ero con Bella - Alice si era proposta di farle compagnia e di aiutarla. Le sarei stato eternamente grato per questo. Alice era felicissima di poter passare il suo tempo insieme a Bella. Ormai la loro amicizia era ogni giorno più forte. La visione che aveva avuto, acquistava senso ogni giorno di più. E al contrario della mia, Charlie gradiva molto la presenza di mia sorella in casa sua. Diventava perfino più loquace in sua presenza.
La notte, la passavo quasi sempre con Bella. Con un orecchio sempre rivolto a Charlie, chiacchieravamo di tutto o di niente. O semplicemente godevamo della reciproca compagnia. Senza parlare, distesi sul suo letto, finché scivolava nel sonno. L’avvolgevo nelle coperte, per paura che avesse freddo. Non ero esattamente un caminetto. Spesso, mentre dormiva, si appoggiava al mio petto. Le emozioni che provavo in quei momenti erano sconvolgenti. Il suo corpo caldo espandeva il tepore in tutto il mio essere e la parte umana di me mi faceva provare sensazioni così intense da togliermi il fiato.
Ormai ero perpetuamente assuefatto al suo odore. Le poche ore che non passavamo insieme mi depuravano dal suo odore, ma non abbastanza da farmi ricominciare da capo ogni volta. Prima dell’alba sgattaiolavo fuori dalla finestra e tornavo a casa. Tanto per rassicurare Esme, che ero ancora fra i vivi.
Emmett ormai, aveva rinunciato a chiedermi di andare a giocare con loro. Aveva capito, che senza Bella non sarei mai andato. Probabilmente, aspettava che lei fosse guarita completamente, per riprendere le partite di baseball. Al pensiero un brivido mi passava lungo la schiena, ma dovevo convincermi che non sarebbe accaduto un’altra volta. Quante possibilità c’erano che in quel campo si scatenasse nuovamente una tragedia.
Dopo un paio d’ore tornavo a prendere Bella con la macchina, per andare a scuola. Quando bussavo alla sua porta e mi apriva, la giornata acquistava un senso per me. Ogni ora di separazione era una ferita insopportabile.
A scuola mi ero lavorato la signorina Cope. Mentre le parlavo, con lo sguardo d’oro caldo fisso nel suo, il dejà vu era fortissimo. Ma le motivazioni erano ben diverse stavolta. Invece che per evitare Bella, stavo facendo di tutto per non lasciarla un attimo. Le cose erano decisamente cambiate. Qualche mese fa non l’avrei mai reputato possibile.
Adesso, le ore di scuola che condividevo con Bella erano molte di più rispetto alla sola ora di biologia. Gli amici di Bella sembrarono farsene una ragione. La mia presenza costante li aveva allontanati. Solo Angela e Ben non sembravano avere problemi a relazionarsi con noi, come coppia. Lui le stava sempre vicino protettivo. Come una guardia del corpo contro il mostro cattivo. Aveva ancora in testa il discorso che aveva sentito da Emmett e me. E la sensazione che io fossi sbagliato. Anche se la mia costante presenza al fianco di Bella lo aveva rassicurato.
Ero felice per Angela. Il mio stratagemma aveva funzionato. Ben aveva colto l’imput e nelle settimane in cui eravamo stati assenti si era dato da fare, evidentemente. Anche se tenevano ancora le distanze di sicurezza. Il mio regalo era stato recapitato.
Gli altri approfittavano delle ore in cui io non c’ero o delle giornate di sole, che mi tenevano lontano dalla scuola. Il pomeriggio studiavamo sempre insieme. Cioè, io guardavo studiare Bella e la distraevo. Mentre si districava tra i compiti di matematica, io giocavo con i suoi capelli. E mi divertivo a cogliere ogni singola espressione del suo viso, mentre cercava di capirci qualche cosa. Quando proprio non riusciva, le davo degli indizi, per portarla sul ragionamento giusto. Non mi deludeva mai. La sua intelligenza era pronta e frizzante.
A caccia ci andavo nelle ore di separazione, quando Charlie mi faceva presente l’ora e con sua somma soddisfazione, mi vedeva salutare Bella con il volto triste ed andare via. Per fortuna, sapevo che la separazione non sarebbe stata lunga quanto pensava lui. La sera, appena possibile, mi arrampicavo su per il muro ed entravo per la finestra in camera sua.  
Mancavano pochi giorni al ballo e avevo deciso di portarcela. Immaginavo la sua faccia, quando lo avrebbe scoperto. La vedevo sgomenta. Ma non volevo che la mia presenza le impedisse di fare tutte le cose che una ragazza di diciassette anni dovrebbe fare. Quindi mi ero impegnato a farle vivere la sua vita, nel modo più normale possibile. Sempre tenendo conto, che accanto aveva un vampiro.
Quando decisi di potarla al ballo ero in macchina. Dopo cinque secondi il telefono aveva squillato. “Si arrabbierà” aveva esploso Alice, senza nemmeno salutarmi. “Sai quanto odia stare al centro dell’attenzione”.
Non mi ero dato per vinto. “Alice, ti prego, sai quanto ci tengo che Bella faccia tutte le cose che dovrebbe fare alla sua età. Dammi una bella notizia. Concentrati. Vedi se alla fine le piacerà.”.
“Va bene”, aveva detto un po’ scocciata. Aspettai, paziente. Eravamo troppo distanti perché potessi leggere la visione direttamente dai suoi pensieri.
Dopo pochi secondi mi rispose. “Okay, Edward. Procedi, alla fine non le dispiacerà così tanto”. Un sorriso illuminò il mio viso. “Ma…” ecco, c’era il “ma”. “Se vuoi farle una sorpresa, voglio essere io a prepararla”.
La immaginavo saltellante. Accidenti, si metteva sempre in mezzo. Ma sapevo che non mi avrebbe dato tregua finché non avrei ceduto. “Va bene Alice” dissi con un sospiro, “ma ti prego, non esagerare. E soprattutto, non farla arrabbiare. Che lo sarà già abbastanza, quando scoprirà dove la porto”.  
Alice ed io avevamo parlato con Charlie. Convincerlo a farmi portare Bella al ballo, non era stato poi così difficile con l’intervento di mia sorella. Aveva un ascendente inaspettato su di lui. Forse si era lasciato convincere facilmente, perché Alice aveva messo in chiaro, che ci sarebbe stata anche lei.
Quel pomeriggio era stata lei a prelevare Bella da casa sua. Aveva una tecnica tutta sua per convincere le persone a fare quello che voleva. Bella non faceva eccezione. Alice mi aveva ordinato di non farmi vedere in giro, fino a quando sarei dovuto andarla a prendere a casa mia. Dove aveva intenzione di prepararla. Non osavo immaginare quanto Bella avrebbe gradito la cosa.
Per ammazzare il tempo ero andato a caccia con Emmett e Jasper. Loro provavano a distrarmi, perlomeno. Ero felice che avevano accettato Bella. Non era una cosa così scontata, visto le premesse. Mi prendevano in giro per la mia ansia e la mia agitazione. Sembravo un ragazzino al primo appuntamento, secondo loro. In effetti, un po’ mi ci sentivo. Portare Bella al ballo era una cosa importante per me. In più, avrei ballato con lei. Cosa da non sottovalutare. Tenerla stretta tra le braccia, seguendo il ritmo della musica. Mi sentivo elettrizzato al solo pensiero. Oltretutto, avrei messo in chiaro una volta di più, che lei era mia. Portarla al ballo di fine anno, era una cosa ufficiale. Ci rendeva una coppia agli occhi di tutti. Specialmente di qualcuno, pensò una vocina irritata nella mia testa.
Nonostante la mia presenza costante al suo fianco, potevo ancora leggere qualche pensiero interessato nei suoi confronti. Tipo Mike e Tyler. Le cose andavano messe in chiaro per bene, se no, avrei finito per farli a pezzi. I loro pensieri mi esasperavano, la gelosia mi divorava.
Quando mi ebbi infilato lo smoking che Alice mi aveva preparato sul letto. Sempre efficiente, la mia sorellina. Scesi nel salone. Sentivo Esme chiacchierare con Bella. Ma poco dopo, il rumore di un piede zampettante, attirò la mia attenzione verso lo scalone.
E la vidi.
E mi si mozzò il respiro.
E un sorriso da ebete mi si stampò in faccia.
Era meravigliosa. Di una bellezza quasi ultraterrena.
Il suo colorito pallido contrastava con un vestito blu scuro, mettendo in risalto la sua figura e i capelli le scendevano morbidi sulle spalle in delicate onde.
Era una visione celestiale.           


 

   
 
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