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Autore: Leonhard    18/04/2011    2 recensioni
Alessa Gillespie. La strega. Considerata la figlia del demonio da tutti...da tutti? Un episodio segreto della triste infanzia della bambina sta per sorgere...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alessa Gillespie, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 9.
 
 
 
Leon sarebbe stato lontano per altri due giorni. Alessa lo sapeva e continuava ad aspettarlo. Quel giorno stava disegnando, quando dal piano di sotto sentì due persone urlare.
 
(Strano…) pensò. (Non viene mai nessuno qui…). Si alzò e si affacciò dalla porta, per sentire. Riconobbe la voce roca e furiosa della madre, ma l’altra faticò per associarla ad un volto. Era calma, quasi mistica, pacata e ridondante. Scese le scale e si affacciò sulla cucina, spiando.
 
La zia era venuta a casa loro. Le due donne non si accorsero della sua presenza e continuarono a parlare.
 
“Se non l’abbiamo ancora fatto è perché Alessa non l’ha chiesto!” ringhiò la madre. Cristabella scosse la testa.
 
“Non dirmi che non ha mai fatto domande” replicò, pacata. “Non ti ha mai chiesto perché viene trattata così da tutta la città? Non ti ha mai chiesto chi è suo padre e perché ti rifiuti di parlarne? Grazie a noi, al potere che Dio ci ha concesso, possiamo donarle una vita normale, con affetto ed amici”.
 
“Non far finta di tenere a lei! Anche tu non ti sei mai curata di tua nipote!”.
 
“Le Sacre Scritture dicono che bisogna stare lontano dal demonio: se proprio io mostrassi affetto verso la bambina, che esempio darei?”.
 
“Ti preoccupi più della tua posizione all’interno della chiesa che di Alessa?”.
 
“Io non odio Alessa” sbottò la donna, alzando leggermente la voce. “È proprio perché è mia nipote che sto offrendo a te ed a lei una vita migliore”.
 
“Io sto bene…” mormorò lei, entrando timidamente nella stanza. La donna si volse, guardandola come si guarda una tigre dentro la sua stessa stanza. “Ho un amico”.
 
In quel momento, credette di aver fatto la cosa giusta. Aveva sempre pensato che, se avesse avuto un amico, l’avrebbe detto a tutti. Leon era suo amico, il suo unico amico. E non c’era nessun motivo per cui dovesse nasconderlo. Cristabella si mostrò vagamente interessata, ma non chiese il nome di Leon, dove si fossero conosciuti, né perché avesse deciso di essere suo amico.
 
“Comunque sia, io sono sempre pronta a chiamare i fedeli a consiglio” disse, rivolgendosi a Dahlia. “E, visto il caso, credo proprio che praticheremo un esorcismo differente”. Si volse e si diresse verso la porta, senza degnare di uno sguardo o di una parola Alessa. “Tornerò quando le cose precipiteranno”.
 
 
 
Le cose non ci misero molto a precipitare. Due giorni, per l’esattezza: l’ultimo giorno in cui Leon sarebbe stato lontano; Alessa, sul pullman della scuola, si sforzo di non sorridere, anche se il pensiero la rendeva felice. Entrata a scuola, tuttavia, trovò ad accoglierla un’arena di bambini, molto più numerosi del solito. La chiusero in un cerchio e cominciarono ad additarla.
 
“Brucia la strega! Brucia la strega!” cantilenavano. La bambina si guardò intorno, cercando una via di fuga. Non le stavano tirando nulla, ma avrebbe preferito un libro in faccia a quello. Si sentì schiacciata, chiusa. Si lanciò verso i bambini e ne spintonò via due. Davanti a lei, si aprì il corridoio, la salvezza. Cominciò a correre, sentendosi dietro quell’infernale cantilena. Arrivò alla porta del bagno, con una spallata l’aprì e poi la richiuse. Sapeva che dentro c’era il bidello e si rassicurò leggermente: si sarebbe presa la solita bastonata sugli stinchi e poi si sarebbe chiusa nel bagno.
 
 
 
Faceva uno strano effetto la solitudine nel cubicolo del bagno. I colori, gli odori, le sensazioni, tutto diverso quella volta. Sdraiata davanti al gabinetto, in quella pozza di acqua sporca e sangue, Alessa non riusciva a pensare a nulla: perfino Leon, davanti ai fatti, aveva perso valore. Pochissimo, ma ne aveva perso.
 
Non capiva perché. Tutti i bambini orfani di padre ricevevano quel trattamento? Venivano tutti considerati cattivi? Venivano tutti circondati e presi a librate? O lei era particolare? Cercò di alzarsi, ma le gambe non la sorressero e dovette fare uno sforzo incredibile per arrivare a sedersi sulla tazza. Non appena si sedette, sentì un bruciore lancinante salirle per tutto il corpo, ma non trovò le forze per alzarsi. Aveva urlato; un urlo che nessuno si era preso la briga di ascoltare. Nato dalla sua bocca e morto inosservato nell’aria di quella scuola, così cupa, buia e fredda.
 
Sentendo una goccia correrle per le gambe, desiderò sparire. Sotto un cumulo di neve e nascosta dalla nebbia: la sua idea di sicurezza, di pace.
 
La porta si spalancò e, contro la luce della lampada, comparve la figura di sua madre. Alessa non si mosse, anche se avrebbe voluto fiondarsi tra le sue braccia. La donna era chiaramente sconvolta; rivolgendole parole di conforto, le tese una mano, aiutandola ad alzarsi. Contro il vestito della madre, con la coda dell’occhio, vide la zia chiudere la porta, lasciando fuori gli sguardi incuriositi dei compagni.
 
“Lo sanno” disse Cristabella, con la sua mistica voce gelida. “Anche i bambini sanno che è tua figlia. Perché non ci dici chi è il padre?”.
 
Suo padre. Già, chissà chi era. Alessa avrebbe tanto voluto conoscerlo. Dahlia non rispose; volse una fugace occhiata alla sorella, prima di tornare a baciarle lievemente la testa, cercando di tranquillizzarla.
 
 
 
Si svegliò in una stanza bianca. Il pigiama bianco e azzurro le copriva il corpo, livido e violato. Aprì gli occhi, ma non si mosse: rimase ferma a guardare il soffitto, ripensando suo malgrado a ciò che era successo in quel bagno. Sentì fuori dalla porta una serie di passi veloci, delle parole sconnesse, poi la porta si spalancò violentemente.
 
“Alessa!” esclamò Leon. Ansimava, segno che aveva corso per venire da lei. Alessa lo guardò con occhi spenti. Che stupida: aveva lasciato il bigliettino a casa. “Che diavolo è successo?”. Lei non rispose. Abbassò la testa e lasciò che i capelli le nascondessero la faccia. Non riusciva a guardarlo per la vergogna. Lui riprese fiato, poi si avvicinò a lei. Quando sentì la sua mano sfiorarle i capelli, non reagì: si trattava di Leon. Sapeva che non le avrebbe fatto quello che aveva fatto il bidello. Sentì i capelli muoversi e qualcosa che glieli pizzicava sulla testa. Alzò lo sguardo e vide sé stessa, incorniciata in un piccolo specchio, con un fermagli a forma di farfalla sulla testa.
 
“Souvenir” disse il bambino, con un tiratissimo sorriso. “Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere. Se non ti piace, dillo pure apertamente, non mi offendo mica!”.
 
“…è bello…” mormorò lei, onesta. “Grazie…”. Lui si sedette sul letto, attento a non toccarla. Normalmente, le avrebbe chiesto come stava, ma sua madre gli aveva detto tutto. Poteva intuire come si sentisse.
 
“Leon…” chiamò lei. “Questa sera…mia zia mi purificherà. Mia madre ha deciso di darle retta: così tutto finirà ed io potrò vivere tranquilla”. Lui sorrise.
 
“Beh, meglio no?” commentò. “Potrai farti altri amici”. Lei non rispose.
 
 
 
 
 
 
 
 
DURO STO CAPITOLO! HO CERCATO DI SOTTINTENDERE AL MEGLIO CIO’ CHE E’ SUCCESSO NEL BAGNO, ANCHE SE TUTTI VOI LO SAPETE BENISSIMO. E’ UN ARGOMENTO DELICATO E NON SONO SICURO DI AVER DESCRITTO BENE IL TRAUMA DI ALESSA.
A PRESTO CON IL PROSSIMO AGGIORNAMENTO. RECENSITE IN TANTI.
CIAO!
   
 
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