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Autore: Slytherin Nikla    18/04/2011    2 recensioni
Premetto che è un tentativo, nato da mesi e mesi di fantasticherie sul mio telefilm preferito: una ragazza cresciuta in polizia torna, dopo una brutta esperienza, a ricaricare le pile nell'Agenzia Governativa dove il suo Maestro regna sovrano.
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Donald Mallard, Leroy Jethro Gibbs
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi sentivo stanca, la testa pesante e i movimenti impediti. Faticavo ad aprire gli occhi del tutto. Poi però l'avevo sentita. La voce di Ducky che mi parlava, le sue mani che stringevano la mia: non capivo dove fossi né cosa stesse succedendo, ma qualcosa in me si sentiva felice. Feci per sollevarmi sui gomiti.

« No, non fare sforzi, rischi di strappare i punti... » Mi accarezzò la fronte. « Vuoi dell'acqua? »

Annuii.

Dovetti ingoiare lentamente, a dispetto della sete, perché le pareti secche della mia gola si reidratassero nei tempi giusti. In caso contrario, avevo imparato durante gli anni in cui ero stata una bambina estremamente predisposta ad altissimi picchi di febbre, con buone probabilità l'acqua mi avrebbe quasi soffocata in un accesso di tosse. Una delle mani di Donald mi reggeva dietro la nuca, mentre l'altra mi somministrava poco alla volta brevi sorsi dal bicchiere di plastica. La sensazione dell'acqua che scivolava piano attraverso la mia bocca asciutta mi fece sentire molto meglio.

« Cos'è successo? » Donald Mallard abbassò istintivamente le palpebre.

« Moriarty ti ha aggredita alle spalle. Se non avessi reagito come hai fatto, probabilmente sarebbe arrivato all'aorta... Ma hai perso comunque molto sangue, quindi devi riposarti, » aggiunse, con un certo tono di rimprovero. La mia mente iniziava a rimettersi in moto, pur lentamente, e ritrovai qualche brandello di ciò di cui Ducky stava parlando. Sulle prime non ero riuscita a ricordare come la mia strada avesse incontrato quella di Moriarty...e neppure, per la verità, chi fosse Moriarty.

« L'avete preso? »

« L'hai ucciso »

« E Carson? » Di nuovo quella carezza sulla fronte, di nuovo quello sguardo dolce.

« Dovresti riposare, tesoro mio. Vado a chiamare il dottor Fontès. »

Lasciò la stanza e io, troppo intorpidita e debole, non potei impedirglielo; ma man mano che il mio cervello si snebbiava, e recuperavo lucidità, si faceva sempre più chiaro il perché non avessi avuto risposta. Sbattei la mano destra sul letto, rabbiosa ed esasperata, e un bip alla mia sinistra si intensificò.

« Non deve agitarsi, Christine. » Un uomo in camice bianco era entrato nella mia stanza, e seppi ancor prima di leggere il suo cartellino, per il fatto che Ducky l'accompagnava, che doveva essere il dottor Fontès. « Come si sente? »

« Debole. Stordita. Di cattivo umore ed esasperata. Devo andare avanti? »

« Solo se le va di farlo. »

« Allora basta così. » Mi tastò il polso, consultò monitor e fogli, il tutto senza più dire una parola. Non ero stata molto accomodante, con l'uomo che - mi avrebbero poi detto - mi aveva salvato la vita.

« Credo che la nostra...paziente...possa considerarsi fuori pericolo, dottore. Se metterà tutta quest'energia nella guarigione, può fare passi da gigante a tempo di record... »

Non dimenticherò mai l'espressione di Ducky in quel momento; non gli avevo mai visto - e solo raramente ho potuto rivederlo - un sorriso di pura felicità come quello che gli illuminava il volto quando strinse la mano al dottor Fontès. Da quel comportamento, ancor prima che dalle parole che il chirurgo aveva appena usato, compresi che - davvero - le mie condizioni dovevano essere state gravi.

« Carson è scappato, vero? » tornai alla carica non appena Fontès se ne fu andato. Donald sospirò.

« Jethro lo prenderà. »

Mi voltai dall'altra parte. « È tutta colpa mia »

« Non è vero, Christine, non potevi... »

« Sarà colpa mia, eccome, se ucciderà un'altra volta. Dovevo sparargli, Ducky; lo avevo sotto tiro, ho avuto mille occasioni e non l'ho fatto... »

In silenzio perfetto il dottor Mallard mi aggiustò il risvolto del lenzuolo e della coperta perché non sentissi freddo.

« L'unica cosa che conta è che tu sia viva », mormorò, baciandomi la fronte. « Sarà il caso che io avverta gli altri... Altrimenti Abby mi ucciderà, e sappiamo entrambi che non lascerebbe tracce! »

Lo guardai uscire e chiusi gli occhi, prendendomi il tempo di riflettere sull'accaduto. Avevo rischiato di morire. Concretamente. Adesso ricordavo... Il freddo. Il sorriso beffardo di Carson. L'assalto inaspettato di Moriarty, la lama che penetrava nella mia carne. Il dolore, lo sparo, il buio.

E adesso Ducky, la sua presenza accanto al mio letto, la sua dolcezza e le sue parole affettuose come carezze. Avevo la sensazione che qualcosa fosse cambiato, tra di noi, ma non avrei saputo dire cosa... E tuttavia la sensazione mi piaceva. Mi sentivo coccolata, in un certo senso amata, forse per la prima volta in vita mia, ed ero decisa a godermelo.

Finché la mia gamba sinistra non iniziò a prudere, e io d'istinto tentai di grattarmi. La semplicità di quel gesto, unita all'improvvisa consapevolezza di non essere in grado di portarlo a termine, mi gettò nel panico; certo capivo che il braccio doveva essere stato immobilizzato contro il torace, aveva senso, ma nel realizzare che le dita non rispondevano alla mia volontà mi prese il panico. Scoppiai in lacrime, terrorizzata.

  
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