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Autore: Tangled    18/04/2011    1 recensioni
Breve one-shot.
Si colloca alla fine della quarta stagione.
Dopo l'amnesia che coinvolge tutti e quattro gli ultimi anni Booth sta cercando di ricordare.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Seeley Booth
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Di colpo spalancò gli occhi e si ritrovò a fissare il soffitto della sua stanza.
Per l’ennesima volta era stato sul punto di scoprire qualcosa e per l’ennesima volta aveva finito con lo svegliarsi improvvisamente.
Da quando aveva ripreso conoscenza in quel maledetto letto d’ospedale gli accadeva quasi ogni notte.
Sapeva che la chiave dei suoi ricordi era da qualche parte nella sua testa, eppure dopo settimane non era ancora riuscito a trovarla, così, l’unica reminiscenza che aveva degli ultimi quattro anni rimaneva quello straordinario sogno.
Quello stesso sogno che aveva raccontato fino a perdere la voce e che non sapeva più quante persone tra dottori, psicologi e colleghi aveva sviscerato alla ricerca di quella molla che avrebbe potuto liberare la sua mente dall’oscurità. Fino ad allora, però, non erano giunti a nulla.
Sapeva che i protagonisti erano gli squints con cui lavorava, a cui si erano aggiunti altre persone che avevano fatto parte della sua vita negli ultima quattro anni. Sapeva che “Il Laboratorio” non era un night club, ma un vero laboratorio in cui si analizzavano le vittime di crimini violenti o comunque coloro che necessitavano di un identificazione. Sapeva che la dottoressa Brennan era solo la sua collega.
O almeno era ciò che lei gli continuava a ripetere quando cercava di trovare una spiegazione al fatto che nel suo sogno loro due erano innamorati, sposati e in attesa di un figlio o di una figlia.
Lei gli era accanto quasi in ogni momento, faceva di tutto per aiutarlo, ma quando lui le chiedeva delucidazioni sul loro rapporto lei semplicemente spariva e non intendeva solo fisicamente, ma anche emotivamente, era come se sentisse il bisogno di mettere una distanza tra di loro.
Ma non era quello a scoraggiarlo, ogni volta, dall’insistere, quanto, piuttosto, il lampo di dolore che le attraversava lo sguardo come un fulmine nel pomeriggio estivo dei suoi occhi.
La stessa sofferenza che aveva letto in lei quando risvegliandosi dal coma le aveva chiesto chi fosse.
Lei aveva cercato di nasconderla e gli aveva risposto di essere la sua partner lavorativa e che il suo nome era Temperance Brennan, ma che lui non la chiamava mai così.
Le aveva chiesto allora quale soprannome le aveva dato, lei, però, si era rifiutata di dirglielo, sostenendo che non era importante. Lui, comunque, aveva capito che stava mentendo, l’aveva compreso anche da quella lieve traccia umida sulla sua guancia che brillava come una cicatrice.
Quella lacrima aveva scatenato in lui un istinto di protezione talmente forte che per un attimo gli era girata la testa, l’unico da cui non sembrava, però, in grado di farlo era lui stesso.
Leggeva nei suoi occhi una tristezza persistente che si intensificava ogni volta che posava lo sguardo su di lui, come se la sua sola vista fosse in grado di amplificare il suo supplizio.
Si odiava per quello, ma non sapeva come evitarlo dato che lei si rifiutava cocciutamente di lasciarlo solo.
Si sforzava in ogni momento di ricordare, perché sperava che in quel modo avrebbe potuto lenire la sofferenza di lei.
Passava ogni singolo minuto del suo tempo a cercare di rammentare: visitava suo figlio, andava nel suo ufficio o al laboratorio, aveva persino partecipato ad alcune indagini, ma i suoi ricordi restavano inafferrabili.
Lei si rifiutava di parlare di loro al di là del lavoro, ma per quello c’era Angela che era ben lieta di raccontare, gli aveva fornito tutta una serie di indizi sul fatto che ciò che c’era tra lui e Brennan non era solo un rapporto di lavoro. Loro erano amici, confidenti, compagni: ogni volta che era successo qualcosa di importante nella vita di uno dei due l’altro era stato presente, ed ogni volta che erano stati in pericolo erano riusciti a salvarsi solo lavorando insieme.
La gente sa bene qual è il modo migliore per fargli del male. Fare del male a te.
Era una frase che l’Angela del suo sogno aveva detto a Temperance, ma aveva la sensazione che fosse perfetta non solo per il suo alter-ego, ma anche per lui stesso, perché, al di là dell’oblio della sua mente, sapeva di essere pronto a dare la vita per lei e proprio per quello si odiava per la sua incapacità di ricordarla.
Ma come diavolo era potuto succedere, come aveva fatto a scordarsi di una donna tanto meravigliosa?
Sì, certo, aveva subito un’operazione al cervello, ma non era una giustificazione sufficiente.
Doveva ricordare. DOVEVA!
Era imperativo, era necessario per lei, perché la vedeva ogni giorno chiudersi un po’ di più e anche se non sapeva come fosse possibile sapeva che lei stava tornando quella di prima . Un prima che non sapeva collocare o esprimere, il ritorno di un passato che lui sapeva di dover impedire.
Doveva ricordare ad ogni costo perché vederla soffrire lo stava uccidendo.
Doveva ricordare perché l’amava.
Doveva ricordare perché le aveva promesso che non l’avrebbe mai abbandonata.
Aveva trovato la chiave.
I ricordi lo travolsero, quattro anni che improvvisamente tornavano alla luce.
I sorrisi, gli abbracci, le lacrime, le chiacchierate e tutti gli altri singoli momenti della loro amicizia e partnership.
Gli ci volle più di un’ora per riprendersi da quell’invasione, ma appena recuperata la lucidità afferrò le chiavi e corse alla macchina.
Guidò come un pazzo fino a casa di lei, parcheggiò e salì i gradini di corsa per poi attaccarsi al suo campanello.
Dopo qualche minuto e un po’ di trambusto la porta si aprì. 

“Sono tornato... Bones”

 

 

  
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