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Autore: Joy    02/02/2006    13 recensioni
Non seppe cosa rispondere e perse il filo dei propri pensieri...
Poi qualcosa venne in suo aiuto.
"Cos'è quello?" domandò
"Oh... quello? E'un violino."
James racconta i segreti del suo migliore amico.
Remus tace sul suo.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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IL VIOLINO



TRE REGOLE



REGOLA N°1: “Il rispetto verso quelle persone che sono pari o superiori a noi per lignaggio o discendenza non deve mai venire meno. In nessun caso.”

REGOLA N°2: “Il contegno e l’eleganza hanno distinto per secoli ogni membro della nostra famiglia. Un portamento meno che perfetto non potrà essere tollerato.”

REGOLA N°3: “Mai – e sottolineo MAI – dovrete mostrare i vostri reali sentimenti.”

Quante volte la voce aspra e sbrigativa di sua madre aveva infranto il silenzio perfetto delle stanze di marmo per pronunciare quelle parole…

“Tre regole fondamentali…” ripeteva lei “il vangelo di casa Black” e Sirius sapeva che sgarrare significava vedersela con suo padre.

In nove anni aveva conosciuto questo soltanto: le regole della sua famiglia; e i rimproveri – pietoso eufemismo similmente usato da sua madre di fronte ai parenti così come di fronte ai figli – se non le avesse onorate.

Eppure lui non le onorava…non le rispettava neanche…

Non lo avrebbe fatto nemmeno quel giorno… nemmeno durante l’apogeo della bellezza, della nobiltà e della tradizione che venivano commemorate quasi fossero più importanti della vita stessa… e per sua madre senza dubbio era così.

Scivolò veloce verso la porta delle cucine stando attento a non attirare su di sé l’attenzione di uno qualsiasi dei suoi rispettabili parenti; compiti nei loro abiti eleganti, impegnati in educate quanto inutili discussioni…in sorrisi di ghiaccio, come reclamavano le circostanze.

Ma nessuno pareva notarlo: l’attenzione di tutti era rivolta alle scale, dove di lì a pochi minuti sarebbe apparsa sua cugina Bellatrix.

Provocante…

I suoi diciassette anni avvolti nell’abito di seta splendente.

Argento, aveva scelto per lei sua madre... e diamanti.

Avrebbe sceso gli ultimi gradini ubriaca di autostima, per fare il suo ingresso trionfale nell’alta società dei Black.

Con soddisfazione avrebbe occupato il posto che le spettava di diritto.

Bellatrix, astro splendente della sua famiglia… e orgoglio di se stessa.

Riportò lo sguardo sul corridoio scarsamente illuminato e udì nella penombra un pianto soffocato, un lamento infantile soffocato da una voce da adolescente. Accostò l’orecchio alla porta e distinse in quel diluvio di frasi una buona dose di malcelate imprecazioni borbottate sottovoce, tenute al riparo da possibili orecchi indiscreti.

Con un mezzo sorriso stampato sul volto, Sirius posò una mano sulla maniglia e spinse: solo una persona, nella sua famiglia, osava parlare a quel modo.

All’interno della stanza, Andromeda era inginocchiata davanti alla più piccola delle sue sorelle, ultima perla di quel gioiello che sua zia stringeva orgogliosamente tra le mani: le sue tre figlie.

Tre gemme d’incomparabile valore…

… e come pietre venivano trattate.

Lei si alzò di scatto, allarmata dall’intrusione, ma tornò a rilassarsi quando riconobbe il cugino.

“Sirius…” sussurrò “cosa ci fai qui? Ritorna nella sala o si accorgeranno che manchiamo tutti e tre” ma il bambino scosse la testa e chiuse attentamente la porta alle sue spalle.

“Cos’è successo?” chiese spostando lo sguardo sulla figura più piccola.

Il volto pallido era arrossato dal pianto e i capelli dorati leggermente scomposti, eppure stava in piedi… eretta e spaventata.

Andromeda riportò l’attenzione sul vestito bianco della sorella, fregandolo con una spugna nel punto in cui una macchia ne imbrattava il candore, all’altezza del ginocchio.

“Narcissa è caduta…” disse senza interrompere il suo lavoro, poi riprese a borbottare le sue legittime proteste “come se fosse lecito fasciare una bambina di nove anni in un busto rigido e farle indossare scarpe talmente ridicole da far scomparire ogni barlume di buon gusto!” sbottò lasciando andare un colpetto indignato ad un paio di scarpette dall’aria decisamente scomoda.

“Perché non usi un incantesimo?” suggerì Sirius.

“Non ho il permesso di fare magie fuori da Hogwarts” rispose lei “non sono maggiorenne. Dovrei chiedere a Bellatrix, ma lei lo riferirebbe a nostra madre…”

Sospirò e Narcissa ricominciò a piangere, probabilmente immaginava i “rimproveri” di sua madre.

“Asciugati gli occhi cara…” le disse decisa sua sorella “o si accorgeranno che hai pianto e i miei sforzi con il vestito saranno vani.”

Era coraggiosa Andromeda … e pratica.

Un elfo domestico entrò nella stanza portando un’enorme tazza di latte sul vassoio in bilico. Sirius osservò la cugina andargli incontro e ringraziarlo brevemente mentre afferrava la tazza.

Una Black che ringrazia un elfo domestico…

Sorrise e lei se ne accorse… gli strizzò l’occhio con aria complice, poi mise la tazza nelle mani della sorellina.

“Bevi, cara” le disse “ti calmerà” si rivolse di nuovo al bambino rimasto immobile “Cosa ci fai ancora qui?” disse mantenendo basso il tono della voce per non farsi sentire dal corridoio “Ritorna in sala! E per tutti i maghi del ministero! Sistemati quei capelli o avranno qualcosa da criticare anche a te!”

Gli fece con la mano cenno di sbrigarsi e ritornò ad occuparsi del vestito della sorella con scarso successo.

“Oh! Questo vestito assurdo!” sbottò tra sé, poi sbirciò di nuovo nella sua direzione e constatando che non si era mosso, gli chiese:

“Dove accidenti hai lasciato tuo fratello? Sono sicura di aver sentito tua madre affidarlo a te…”

“Sì. L’ho sentita anch’io” scandì una voce adulta.

I tre ragazzi sobbalzarono e un uomo distinto, sui trentacinque anni, entrò nella stanza tenendo in braccio un bambino di circa cinque anni: Regulus Black.

“L’ho trovato in giardino” disse posandolo a terra, e il bambino si attaccò immediatamente al braccio del fratello “ aiutava gli elfi domestici a raccogliere le foglie secche” continuò con un sorriso “ se sua madre l’avesse visto si sarebbe strozzata con l’aperitivo!” poi imitò la voce stridula della donna:

“L’orgoglio e la dignità dei Black non devono mai venire meno!”

Sirius rise e anche Andromeda parve più rilassata adesso che poteva chiedere l’aiuto di un adulto.

“Oh zio Alphard…”sussurrò.

“Andromeda,” bisbigliò accarezzandole la guancia bianca, poi le sorrise malizioso “al cancello di servizio ti sta aspettando un ragazzo che credo non veda l’ora di abbracciarti”.

La ragazza spalancò gli occhi e le guance le divennero immediatamente calde.

“Sembra piuttosto disorientato” continuò “ma riesce a vedere la casa, per cui penso che sia stato invitato da te… Non è un mago, vero?”

La vide annuire.

“Mi sono permesso di dirgli che lo raggiungerai entro pochi minuti” chinò le spalle sempre sorridendo “non vorrai farlo aspettare…?”

Lei scosse la testa, poi lanciò alla sorellina uno sguardo che suo zio prontamente intercettò.

“Ci pensò io” le disse

Andromeda sorrise con l’entusiasmo della sua età e Sirius pensò che quel sorriso fosse più reale della solita maschera di doveri e responsabilità, la osservò aprire cautamente la porta per controllare che il corridoio fossero deserti e uscire dalla stanza.

“Immagino…” continuò l’uomo, questa volta rivolto a Sirius “…che il bambino dagli occhi dorati che in questo momento si trova nei giardini dall’altro lato della via, sia in attesa del suo compagno di giochi, giusto?”

Sirius lo guardò cercando di non sembrare colpevole e annuì.

Zio Alphard sorrise.

“Cosa stai aspettando allora?

Non se lo fece ripetere due volte, aveva già la mano sulla maniglia quando lo zio lo trattenne per un istante.

“Ah, Sirius?”

“Sì?”

“Quando rientri fai attenzione toglierti il fango dalle scarpe o si accorgeranno che sei uscito.”

Il bambino sorrise e annuì di nuovo, scomparendo nel corridoio.

Zio Alphard sospirò e si avvicinò ai più piccoli.

“Noi tre ci divertiremo alla festa” disse.

Puntò la bacchetta contro il vestito di Narcissa che ritornò bianco e splendente.

“Ecco fatto principessa!” e osservò benevolo il sorriso che spuntava sul volto della bambina. Poi con il più piccolo dei suoi nipoti in braccio e Narcissa per mano abbandonò la stanza.

                                                                        ***

“Dove si è cacciata quella disgraziata di Andromeda!”

Quella voce era poco più di un sibilo, ma conteneva l’intera gamma del disprezzo che la signora Black palesava nei confronti di chiunque manifestasse anche solo una minima ribellione alle “sacre” regole di famiglia.

Negli anni a venire, Sirius si chiese più volte cosa sarebbe successo se Narcissa non fosse scoppiata a piangere di fronte alle domande insistenti di sua madre.

Si domandava cosa sarebbe accaduto se suo zio non si fosse irritato a causa dei volti curiosi dei suoi ospiti.

Magari non sarebbe andato a cercare la sua ribelle figlia in giardino…

In un’altra dimensione forse la loro assenza non sarebbe stata notata… e Sirius avrebbe potuto giustificarsi con suo zio, spiegargli che non disonorava la famiglia giocando con quel ragazzino dagli occhi dorati, prima che suo padre intervenisse chiudendogli la bocca con due sonori ceffoni.

In un’altra vita…

Ma un’altra vita per lui non c’era…

Non c’era nessuna via d’uscita alla collera cieca di suo padre.

Non esisteva possibilità di appello in casa Black…

… e le braccia di suo zio Alphard erano già aperte in difesa di Andromeda.

La guardò e gli parve sconvolta, ma non piegata…

Non c’era traccia del ragazzo che era con lei, doveva essere riuscita a farlo andar via prima che fosse tardi.

Gettò uno sguardo fugace al parco alle sue spalle: quieto e ombroso.

La felicità riposa sotto le sue fronde…

E lui l’aveva soltanto sfiorata…

Pregò che il suo compagno di giochi non lo stesse osservando in quel momento, sperò che se ne fosse andato… e la mano di suo padre si abbatté di nuovo su di lui.

Rovinò a terra.



***



Tre regole…

Una voce femminile sussurrava… era roca di pianto.

Non apparteneva a sua madre… di questo era sicuro: sua madre non piangeva mai.

Nessun Black piangeva, faceva parte della terza regola…

Statue di marmo dal volto contratto in una perpetua e levigata maschera.

Le loro vite di menzogna…

Si mosse appena.

Il lenzuolo morbido sotto la sua guancia prometteva più di quanto poteva realmente donare: il calore e le carezze di madre che non conoscono sostituiti.

Ma il consolante peso del braccio che lo circondava faceva del suo meglio per ricacciare indietro gli incubi insidiosi del suo dormiveglia.

Si sentiva sonnolento e quieto, del tutto inconsapevole del luogo in cui si trovava e per niente desideroso di scoprirlo…

C’era odore di miele e di legna nella stanza…e il sussurro era lento e dolce come una cantilena…

il rispetto…qualcuno lo merita, ma non c’è lignaggio per la giustizia… non deve esserci…

Si girò su un fianco e il braccio seguì il suo movimento; contro la schiena sentiva il calore consolante di un’altra persona.

l’eleganza e il portamento… ma della mente…e del cuore…

La voce sussurrata contro il suo orecchio tremò distintamente… c’era qualcosa di disperato in quel sussurrò, nella fronte nascosta nei suoi capelli, come se cercasse un rifugio a ciò che osava pensare…

Ebbe la sensazione che quella voce parlasse a se stessa.

…le persone che ti sono vicine leggeranno sul tuo volto l’interminabile susseguirsi dei tuoi sentimenti…e il sorriso sarà vero e reale quanto le lacrime…tutti vedranno…

Tre regole…

“Andromeda…” sussurrò e si sentì abbracciare più stretto “…dove siamo?” alitò meccanicamente a dispetto delle sue intenzioni.

La ragazza sospirò “Nella casa di Ted Tonks” disse “è qui che resterò d’ora in poi… e potrai restare anche tu, se lo vorrai…”

Si guardò attorno e trovò bizzarri la maggior parte degli oggetti che vide.

< Babbani! > avrebbe borbottato sprezzante la voce di suo padre… ne percepì la crudeltà ed era gratuita… come tutte le volte che alzava le mani su di lui.

E mentre cercava di chiudere fuori dalla mente l’orrore della sua casa, sentì qualcuno chiamare sua cugina.

La voce proveniva dalle sue spalle, si voltò e vide sulla soglia un ragazzo dall’aria buona, aveva grandi occhi scuri e teneva tra le mani un bicchiere di latte.

“Andromeda…” la chiamò ancora con voce pacata “… tuo zio Alphard ti aspetta…” si avvicinò mentre la ragazza annuiva e sciogliendo Sirius dall’abbraccio, si alzava per raggiungere lo zio.

Ted Tonks posò il bicchiere su di un basso tavolino e si sedette al lato del letto.

“Andromeda parla di te così spesso che a volte credo di essere geloso” disse tutto d’un fiato.

Aveva un’espressione buffa, come se cercasse di mantenere serietà e contegno nonostante scoppiasse dalla voglia di ridere.

Non riusciva a tenere al loro posto gli angoli della bocca e pareva sempre sul punto di mostrare un largo sorriso.

Sirius non seppe cosa rispondere e perse il filo dei propri pensieri mentre osservava quel ragazzo, bizzarro quanto la stanza che lo ospitava.

Poi qualcosa venne in suo aiuto.

“Cos’è quello?” domandò indicando con un dito uno strano oggetto appeso alla parete.

“Oh… quello?” disse Ted voltandosi brevemente “Quello è un violino.”



***



I primi giorni nella casa di Ted Tonks furono come un lunghissimo ed inesorabile crollo, come vedere distruggere in poco tempo quelle mura che avevano sempre avuto la pretesa di proteggerlo.

“E’ terribile…” ripeteva sua cugina nelle sere in cui rimaneva sola con Ted, seduta al tavolo della cucina.

Sirius la vedeva… sbattere con violenza il pugno sul tavolo, poi gemere e coprirsi il volto con le mani.

“E’ terribile affrontare tutto questo a nove anni…” e la sua voce era priva di tutta la sicurezza che solitamente ostentava in casa Black.

Una maschera anche quella… al pari delle altre.

“E’ terribile anche a sedici” la voce di Ted, serio e dolce mentre la prendeva tra le braccia.

Durante quelle sere, trascorse in silenzio sotto il lenzuolo, la realtà gli appariva vivida e raggelante… e sebbene ne avesse trascorsi soltanto nove, quegli anni, avevano lasciato abbastanza segni da non fargli rimpiangere neanche per un secondo l’allontanamento dalla sua famiglia.

Un tempo era stato soltanto un sospetto, sbiadito e annebbiato dall’esuberanza infantile, ma in momenti come quello, mentre osservava le braccia di Ted intorno alla cugina e le lacrime sul volto di lei, vedeva chiaramente il limite della sua famiglia e capiva qual era l’errore…

Non esisteva niente che fosse giusto, in casa Black… niente che fosse umano.

Sapeva che prima o poi avrebbe fatto ritorno a Grimmauld Place, non si era mai illuso di poter rimanere in quella casa; aveva sentito suo zio Alphard che ne parlava con Andromeda, ma in realtà, per quanto tenesse presente l’inevitabile rientro a casa, non riusciva a figurarsi le sue stanze buie e i corridoi freddi… e le mani ghiacciate di sua madre; non quando c’era un gatto acciambellato sul copriletto che lo gratificava con sottili e solleticanti fusa ogni volta che allungava una mano per accarezzarlo, non quando la legna del caminetto diffondeva nell’aria il suo tenue odore di pino… e Sirius sapeva che sarebbe rimasto fino a che non si fosse addormentato.

A volte, durante i pomeriggi quieti, sentiva anche la musica di un carillon, Andromeda gli aveva detto che apparteneva alle due bambine che abitavano nella casa vicina.

La melodia risuonava attraverso le finestre aperte ed esercitava su di lui un richiamo così forte da non poter essere ignorato, non ci provava nemmeno…

Era come tornare indietro… e vivere di solo spirito.

Un giorno chiese a Ted se la musica fosse così bella perché stregata con la magia.

Il ragazzo lo fissò attentamente come se cercasse di capire se fosse sincero o se stesse scherzando, poi davanti al suo sguardo perplesso scoppiò a ridere.

“Non sono gli incantesimi che rendono speciale la musica, Sirius” disse con occhi benevoli dopo essersi ricomposto “è bella perché ha il potere di tirar fuori ciò che senti, ciò che tieni nascosto… e lo fa con semplicità, senza bisogno di trovare le parole… senza usare la mente…”

Non capì bene il significato di ciò che Ted aveva detto, ma suppose che fosse qualcosa che faceva star bene, perché era così che si sentiva ogni volta che ascoltava quella melodia.

Ma quel pomeriggio nessun suono cristallino giungeva dal giardino limitrofo, soltanto un sussurro

flebile e lamentoso.

Sirius si accostò alla finestra e curioso, scostò le tendine badando di restare indietro di qualche passo.

Una bambina vestita di azzurro cullava la sua bambola, la stringeva con foga, come se in realtà cercasse lei stessa conforto da quell’abbraccio.

Sirius si avvicinò al vetro socchiuso e la sentì lamentarsi piano; vide che chiudeva gli occhi mentre due lacrimoni le scendevano sulle guance… aveva lunghe trecce rosse…

Poco distante, sua sorella la fissava con aria severa e guardinga: ai suoi piedi, i frammenti scombinati del carillon.

Nessuna melodia a riscaldare l’aria con il suo tiepido conforto…

“Perché…” chiese la bimba in un sussurro soffocato “… perché lo hai rotto…?”

“Era pericoloso!” strillò la sorella prendendola per un braccio e strattonandola forte.

La bambola le cadde dalle braccia.

“Era pericoloso e malvagio!”

“Non è vero…” si ribellò debolmente, soffocando i singhiozzi.

Sirius chiuse la mano attorno alla stoffa della tenda.

“Sì invece! Stava suonando!” le urlò la sorella “Suonava capisci?! Nessuno lo aveva caricato da ieri, ma ha incominciato a suonare lo stesso!” diede un calcio ai frammenti sul terreno e un paio di note si spensero in agonia “E’ maledetto!” lasciò andare di colpo la sorella e scappò via.

Ammutolito, Sirius non si mosse, osservò la bambina mentre si chinava a raccogliere la bambola e le spolverava il vestito… le guance ancora bagnate dalle lacrime.

La vide accucciarsi davanti al carillon rotto e allungare la mano per sfiorare gli ingranaggi.

“Io volevo che suonasse…” sussurrò.

Poche note uscirono da quella carcassa quasi fossero un ultimo saluto.

Sirius sentì il dolore prepotente e il rimpianto e l’ ingiustizia… e la voce di suo padre sempre presente come un incubo da sveglio… la sentiva anche adesso, provenire dal piano di sotto, e pur sapendo di essere distante diverse miglia dalla sua casa non riuscì a trattenere un brivido.

Riportò brevemente lo sguardo sulla bambina, aveva il volto nascosto tra le mani e piangeva di nuovo.

Nessuna melodia … solo i singhiozzi attutiti.

E il silenzio gli parve più spaventoso di qualsiasi altro demone… la voce di suo padre ancora più nitida.

Strinse i pugni e agitò la testa con violenza, ma i singhiozzi non sparirono e neanche suo padre.

Adesso lo sentiva distintamente.

“LUI VERRA’ VIA CON ME!” sbraitava e per la prima volta Sirius sentì la paura e lo smarrimento.

Aprì la porta della stanza con l’impeto e il terrore di chi fugge da qualcosa che non vede e si precipitò giù per le scale.

Se non fosse stato per il corrimano a cui si era aggrappato, sarebbe rotolato giù per i gradini dalla foga con cui scendeva.

Cercò Andromeda con lo sguardo ancor prima di toccare il pianerottolo e la vide alzarsi da una sedia, pallida e spaventata quanto lui.

“IL CARILLON!” urlò Sirius “IL CARILLON SI E’ ROTTO! LA SORELLA MAGGIORE L’ HA DISTRUTTO, NON SUONA PIU’!”

Incespicò sul tappeto e si riprese per miracolo prima di finire a terra.

“ANDROMEDA!” continuò incurante della presenza di altre persone “NON SUONA-

Non finì la frase mentre una mano rude lo afferrava per un braccio e cominciava a scuoterlo con violenza.

“ALLORA SEI QUI’, DISGRAZIATO!” e l’altra mano gli mollò un ceffone sul viso.

La mano di suo padre…

La voce di suo padre…

Quella era la realtà… dov’era finita la dimensione melodica e confortante che aveva cominciato ad amare senza sforzo…

“Non suona più…” sussurrò, leggermente tramortito dallo schiaffo e l’ombra di suo padre si proiettò su di lui.

Chiuse gli occhi.

Ma quando li riaprì vide che qualcuno si era posto davanti a lui.

“PER UNA VOLTA! UNA VOLTA! COMPORTATI DA ESSERE UMANO!” urlava suo zio Alphard.

“Togliti dai piedi!” ordinò la voce aspra di suo padre “Il fatto che tu non abbia famiglia non ti da il diritto d’intrometterti in quella degli altri!”

“TU STAI DISTRUGGENDO QUESTO RAGAZZO!”

“E’ MIO FIGLIO! IO LO EDUCHERO’ SECONDO I PRINCIPI DELLA NOSTRA FAMIGLIA!”

“E LO FARI DIVENTARE FALSO E IPOCRITA! E FREDDO… COME TE!”

“LO FARO’ DIVENTARE UN BLACK!”

“LO CONDANNERAI AD UNA VITA DI APPARENZE COME HAI SEMPRE FATTO CON TUTTI NOI!”

Sirius osservò suo padre fare un passo avanti furioso… la voce sibilante da sembrare, contro ogni logica, quasi letale nonostante il tono moderato.

“Alphard…” disse trattenendo a stento la rabbia “… per l’ultima volta… SCANSATI!”

Ma suo zio non si muoveva… e nel silenzio risuonava soltanto l’eco pungente di quella voce.

Senza neanche comprendere quali frasi venivano pronunciate realmente e quali altre invece, nascevano e morivano nella sua stessa mente come ricordi, si portò le mani alle orecchie e strinse con forza, chiudendo gli occhi, sperando di cacciarle entrambe.

“Non suona più…” disse ancora mentre nelle palpebre chiuse rivedeva il riflesso del carillon distrutto.

Dopo pochi secondi riconobbe il calore delle braccia attorno a sé… e il vago sentore di miele e zucchero.

La dolcezza di Andromeda…

Sentì che gli accarezzava i capelli e la schiena, poi gli baciò la fronte e tentò di scostargli le mani dagli orecchi.

“No…” mugugnò Sirius, senza aprire gli occhi, ma la mano della cugina ritornò con più decisione.

All’inizio pensò che le carezze lo avessero fatto addormentare… penso di dormire e di sognare…

Una melodia contagiava l’aria di emozioni… la solita, consolante nenia del carillon, solo mille volte più forte…e più intensa…

Le note che si rincorrevano impudenti come le emozioni, selvagge come le convinzioni, libere come i sentimenti…

Dopo anni trascorsi ad imparare le sottile arte del nascondere…

Tormenti dignitosamente celati sotto una maschera di freddezza…

E quella musica adesso reclamava il suo tributo per tute quelle volte che si era nascosto dietro ad una facciata di apatia.

Inconsciamente sapeva cha da quel momento in poi, tutto ciò che avrebbe provato, sarebbe stato un diluvio d’immagini, sensazioni e vortici… come in ogni perfetta legge del contrappasso.

Riconobbe la paura solo quando la sentì fuggire… e aprì gli occhi.

Ted Tonks suonava il violino.

E tutto quello che era stato, tutto ciò che si trovava intorno a lui sembrò scomporsi nel vortice armonico e inarrestabile delle note.

Con gli occhi sbarrati assistette alla creazione e alla distruzione del tutto, mentre un’unica cosa restava costante: la musica.

Lasciò che un paio di lacrime gli sgorgassero dagli occhi senza neanche tentare di trattenerle e attraverso la nebbia, percepì la realtà che si materializzava…

Vide la bambina dalle trecce rosse spostare lo sguardo stupita dal carillon rotto alla casa vicina; incredula davanti all’incanto delle note che le giungevano… la bambola ancora tra le braccia. Si asciugò gli occhi col dorso della mano e senza porsi domande, senza chiedere perché, riprese a cullarla.

Il braccio di Andromeda lo teneva ancora stretto, chiuse gli occhi e vide un sorriso incerto spuntare sul volto esile del bambino con il quale aveva condiviso felici pomeriggi di giochi; lo sguardo malinconico e dorato fisso su di lui…

“Ho sperato che tu tornassi… prima o poi…” sussurrò piano “… ma i miei desideri non si realizzano mai.”

Una lunga e rossa ferita gli attraversava la guancia.

Gli occhi dorati si chiusero e Sirius vide di nuovo i corridoi bui e umidi e le scale di marmo, fredde, altere e sfarzose.

Vide i dipinti arcigni sulle pareti e la voce acuta di sua madre che urlava.

“REGULUS!”

Piccole mani si materializzarono sui suoi pantaloni, suo fratello si nascondeva dietro di lui, il viso affondato nella maglia…

“S..Sirius…” balbettò il bambino con gli occhi pieni di lacrime.

La musica si spense e lui alzò il viso.

Pensò di non poter sopportare tutti quei volti intorno a lui senza il conforto delle note, ma inspiegabilmente sostenne gli sguardi senza vacillare.

Si scostò dall’abbraccio di Andromeda e si portò di fronte a suo padre.

“Tornerò a casa, padre” disse e la sua voce non tremò.

L’uomo lo fissò per un istante con severità.

“Sei rinsavito appena in tempo, figliolo” e si voltò deciso ad andarsene.

Sirius si guardò brevemente attorno prima di seguirlo.

Andromeda era stupita - e probabilmente anche dispiaciuta – ma stimava la forza… e lui non faticò a trovare sul suo volto le tracce di quell’orgoglio compiaciuto.

Zio Alphard non lo guardava, fissava le spalle di suo padre con espressione seria e provocatoria, come se dicesse:

'Lui vale mille volte te!'

Si voltò verso il ragazzo che reggeva ancora il violino e tutto ciò che aveva immaginato di trovare sul suo volto, s’infranse.

Ted Tonks sorrideva… ed era uno dei suoi sorrisi: aperto… benevolo…

Sirius rimase talmente basito che non trovò altro di meglio da fare che fissare lo strumento tra le sue mani.

Il ragazzo gli si avvicinò e posò virilmente una mano sulla sua spalla.

“Torna ogni volta che puoi” disse “t’insegnerò a suonarlo.”

Rimase in silenzio per un lungo momento, come se dovesse decidere qualcosa di vitale importanza e sapesse perfettamente che non gli era concessa una scelta.

Accarezzò le corde tese e le sentì vibrare… e seppe che mai nessuna regola l’avrebbe fermato.

Suo padre si era già allontanato dalla stanza.

Guardò Ted negli occhi e annuì.

“Tornerò spesso” disse velocemente.

Poi scappò via per raggiungere la schiena rigida di quell’uomo.



***



“E’ una bella storia, Prongs.”

Remus sollevò lentamente le spalle dalla poltrona nella quale era sprofondato circa due ore prima.

La voce di James si era spenta e adesso fissava le fiamme del camino con aria assorta.

La Sala Comune era deserta.

“Non avrei mai immaginato…”riprese posando i gomiti sulle ginocchia e fissando la punta delle sue scarpe “… insomma… lui non dice mai-

“Lo so” lo interruppe l’amico “lui non ne parla mai… in questo vi assomigliate.”

Remus accennò un sorriso e tralasciò le giustificazioni.

“Quando si è confidato con te?” domandò dopo un istante.

“Non lo ha fatto.”

La voce di James risuonò decisa sui muri della stanza, ma non conteneva note di rimprovero o delusione, era quasi affettuosa, come se potesse sorridere dei difetti così come dei pregi.

Remus pensò che mai nessuno avrebbe potuto odiare James Potter.

“Ma allora… da chi hai saputo?” chiese.

Lily Evans.”

I ricordi… polverosi frammenti di memoria che tornano al loro posto…

“La bambina dalle trecce rosse…”constatò tra sé e vide James annuire continuando a fissare le fiamme “… ma lei come…?”

“Più di una volta si è rifugiata da Andromeda negli anni successivi… l’infanzia è stata dura anche per lei.”

Il ragazzo tornò ad adagiarsi stancamente contro lo schienale della poltrona.

“Sembra quasi una maledizione” sospirò.

James si voltò per guardarlo; era la prima volta che lo faceva da quando aveva cominciato a raccontare.

“E’ una maledizione fino a quando non decidi di parlarne con qualcuno” rispose “ dopo diventa solo un ostacolo da superare” si passò una mano tra i capelli e lo fissò con sguardo complice… amichevole “comunque non penso che il Sirius di nove anni credesse nelle maledizioni” aggiunse.

“Io alla sua età ci credevo.”

“Sì…”sibilò il ragazzo ritornando a fissare le fiamme “… tu già ci credevi… e forse, un giorno, ci racconterai perché.”

Remus si alzò in piedi e fece un passo in direzione dell’amico.

“Forse quel giorno verrà molto presto, James” disse con semplicità e mostrò un breve sorriso. Poi si avviò verso le scale del dormitorio “Salgo da Sirius…” dichiarò “…devo parlargli di giochi da bambini, di maledizioni e di desideri realizzati.”

James lo osservò mentre si voltava un’ ultima volta per salutarlo… gli occhi dorati che sparivano nel buio delle scale.

FINE.



  
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