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Autore: daeran    03/02/2006    0 recensioni
Un terrore più antico del tempo è nascosto nel buio, pazientemente ci attende nell’ombra, lentamente ci trascina nell‘abisso.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parte Prima

La mia storia cominciò molto tempo fa, ero solo un bambino la prima volta che vidi le Tenebre, la prima volta che mi dimostrarono la loro potenza, il loro orrore.
Vivevo solo con mia madre, non avevo mai conosciuto mio padre, né lei me ne aveva mai parlato; forse attendeva che diventassi abbastanza grande per comprendere i motivi della loro separazione, forse lo odiava a tal punto da volermi far credere che fosse morto. Non lo ho mai saputo, non le chiesi mai nulla, né potei più farlo dopo quella notte.

Non avevo più di otto anni e, come mi era capitato spesso in passato, mi svegliai urlando terrorizzato, così certo di aver visto un’ombra scivolare fuori dall’anta socchiusa dell’armadio a muro, di aver sentito un brivido gelido accarezzarmi la guancia.
Mia madre mi raggiunse di corsa, accese la luce, prese ad accarezzarmi gentilmente, mi cullò finché non smisi di tremare e mi bisbigliò ripetutamente all’orecchio: “Era solo un sogno, piccolo mio, solo un sogno. Tu sei padrone dei tuoi sogni, puoi combatterli, puoi alterarli. Sei più forte di loro, Morgan, lo sarai per sempre.”
Per convincermi che non c’era alcun pericolo, spalancò l’armadio sotto i miei occhi; io sussultai, credetti di vedere l’ombra scivolare all’interno del mobile, per sfuggire alla luce ma, non appena  le ante furono completamente aperte, vidi solo i miei vestiti, appesi agli ometti, dondolare lentamente.
“Non c’è nulla nell’armadio, amore mio, nulla che non debba esserci.” sorrise, ricordo ancora quel sorriso sicuro; bastò il suo sguardo gentile a sciogliere il terrore che mi aveva attanagliato il cuore come una lastra di ghiaccio.
Mi rimboccò le coperte, spense la luce e tornò a dormire. Mi rigirai nel letto, ancora turbato ma in parte tranquillizzato dal ricordo del sorriso di mia madre e del suo profumo che ancora mi invadeva le narici.

Stavo per riaddormentarmi, quando la sentii urlare.
Mi sollevai sul letto e, senza quasi neppure rendermene conto, mi ritrovai a correre a piedi nudi lungo il corridoio, sentii ancora le sue urla ed urlai a mia volta.
Il corridoio parve allungarsi inesorabilmente, come se volesse impedirmi di raggiungere la grande camera da letto.
Quando finalmente arrivai davanti a quella maledetta porta, la spalancai senza attendere; spiai all’interno della stanza ma non sentii più alcun lamento.
“Mamma? Mamma cosa c’è?”
Non riuscii a distinguere nulla, le tenebre più fitte avvolgevano il suo letto, la luce accesa del corridoio non oltrepassava l‘ingresso della stanza, spariva come inghiottita dal buio, in un modo che negli anni successivi imparai a distinguere tanto bene .

Chiamai ancora ma non ebbi alcuna risposta, potevo sentire il respiro affannato della donna che mi aveva messo al mondo, ero certo che fosse lei, ma perché non mi rispondeva?
Con il cuore in gola oltrepassai l’ingresso, avanzai a tentoni con le mani appoggiate sul muro freddo, in cerca dell’interruttore, poi finalmente riuscii a trovarlo.
Nel momento stesso in cui lo premetti, sentii un brivido gelido attraversarmi il braccio, dalla mano verso la spalla, scivolò velocemente via da me, mentre la luce illuminava la stanza.

Solo allora la vidi, mia madre era sdraiata sul suo letto, le lenzuola erano scivolate di lato e ricoprivano scompostamente il pavimento, un braccio le era caduto oltre il bordo del materasso, la mano inerte toccava il pavimento, le gambe erano piegate su un lato, come se avesse cercato di rannicchiarsi ed il suo volto …
Il ricordo del suo volto ancora oggi, dopo tanti anni, mi perseguita, nelle poche ore di sonno che ho il coraggio di concedermi. Gli occhi vuoti, spalancati e rivolti al soffitto, la bocca ancora socchiusa in un terrificante urlo che solo io ero riuscito a sentire, prima che venisse definitivamente soffocato, infine i suoi capelli, Dio, quei soffici capelli castani che avevo accarezzato tante volte, che annusavo estasiato quando mi prendeva in braccio, erano completamente diversi da come li ricordavo, da come li avevo visti pochi minuti prima. Erano opachi, abbandonati disordinatamente sul cuscino, ad incorniciare il viso incredibilmente pallido ed attraversati da innumerevoli ciocche grigie.
Rimasi a lungo immobile a fissarla, prima di riuscire a riconoscerla, prima di capire che la donna che giaceva davanti a me era realmente mia madre, la stessa che mi aveva appena rimboccato le coperte.

“Mamma?”
Mi avvicinai lentamente, allungai una mano a sfiorarle il braccio. Era fredda, gelida come metallo, respirava convulsamente e a fatica ma almeno respirava ancora. Tentai di scuoterla, di sollevarla ma non vi riuscii, non ero abbastanza forte ed ero terrorizzato. Le lacrime mi bruciavano gli occhi ed i tremiti mi percorrevano il corpo come se fossi attraversato da una potente scossa elettrica.
Improvvisamente ricordai cosa mi era stato insegnato a scuola, vidi dietro di me, sul comodino, il telefono.
Dovevo chiamare il nove-uno-uno per chiedere aiuto!
Mi voltai per prendere la cornetta ma, prima che potessi fare un passo, una mano gelida mi afferrò il polso e mi trascinò verso il basso, caddi sul letto, sopra il seno di mia madre.
Era lei, lei mi aveva afferrato; la sentii bisbigliare tra un sospiro e l’altro: “Scappa, scappa, Morgan, non lasciarti prendere, scappa!”
Parlava! Parlava ancora! Era un buon segno.
“Non preoccuparti, mamma, ora cerco aiuto!”
Sollevai il lenzuolo per coprirla e mi voltai di nuovo, afferrai la cornetta e tentai di premere i tasti: nove, uno…
Un’esplosione improvvisa mi fece sussultare, colpii il comodino ed il telefono cadde a terra.
Fissai smarrito il corridoio oltre la porta della stanza, ancora spalancata; era completamente avvolto nel buio più fitto. La lampadina sembrava essere esplosa, forse a causa di un corto circuito o di uno sbalzo di corrente.
Rimasi immobile con lo sguardo perso nell’oscurità, il cuore mi batteva all’impazzata, riuscivo a malapena a respirare.
In quel momento sentii un ronzio proveniente da sopra la mia testa; le lampadine del lampadario della camera cominciarono a brillare ad intensità sempre maggiore, fino a costringermi ad abbassare lo sguardo. Pochi istanti e tre nuove esplosioni risuonarono all’unisono. Indietreggiai, caddi a terra e battei la testa contro la cassettiera.
Non ho mai saputo se persi i sensi, né per quanto tempo, ricordo solo un dolore lancinante, seguito dall’oscurità più nera e da terrore puro, un terrore con il quale, dopo quella terribile notte, imparai a convivere ogni stramaledetto giorno della mia vita.

Rimasi come cieco, abbagliato dal buio, non riuscii a distinguere alcuna figura, neppure la sagoma delle mie stesse mani. Come unica prova che fossi ancora vivo, avevo solo i miei sospiri terrorizzati ed il battito accelerato del mio cuore che sembrava volermi spaccare i timpani.
Tremando come una foglia, camminai carponi sul tappeto, in cerca del letto. Trovai immediatamente la mano inerte di mia madre, la afferrai convulsamente, percorsi con le dita il braccio gelido e, raggiunta la spalla, presi a scuoterla, volevo svegliarla, dovevamo scappare, anche se non sapevo neppure da cosa.
“Mamma … mamma ti prego, svegliati … mamma ho paura …”
Scoppiai a piangere, le mie lacrime scivolarono silenziose sulla pelle gelida e, solo nel momento in cui poggiai il viso sul dorso della mano, questa prese vita, mi accarezzò lentamente, dolcemente mi asciugò la guancia.
Con un sospiro di sollievo mi alzai sulle ginocchia, mi sporsi sul letto, dove trovai l’abbraccio rassicurante che desideravo e vi affondai mormorando: “Mamma, cosa è successo?”
Avvertii due braccia soffici ma ancora fredde circondarmi le spalle, dita lunghe e sottili scivolarmi lentamente lungo la schiena.
Mi resi quasi subito conto che qualcosa non andava in quell’abbraccio, non sentii il profumo di mia madre, né la morbida carezza dei suoi capelli. Non mi parlò, potei percepire solo il suo respiro, simile ad un rantolo.
Quando tentai di allontanarmi, mi tirò nuovamente a sé, affondai con il volto in quello che mi parve un lenzuolo di carta vetrata.
“Mamma, mi fai male.”
Mi spinsi ancora indietro, ma non riuscii a sottrarmi all’abbraccio che si trasformò presto in una morsa; più mi dimenavo, più la presa attorno alle mie spalle diventava ferrea.
Le lunghe dita mi affondarono come artigli nella pelle ed urlai con quanto fiato mi rimaneva in gola, finché non mi sentii sollevare e sbattere con forza inaudita sul materasso. Qualcosa o qualcuno mi fu immediatamente addosso e mi schiacciò, togliendomi il respiro.
Fu terribile, sentivo che era sopra di me ma non riuscivo a vederlo. Ormai sapevo che non era mia madre ma ne ebbi la certezza quando, muovendo un braccio di lato in cerca di qualcosa con cui colpire il mio aggressore, trovai il viso di lei, i suoi capelli, la sua pelle.

“Non c’è nulla nell’armadio, amore mio, nulla che non debba esserci.”
Una vocetta stridula imitò grottescamente le parole di mia madre.
Cercai ancora di liberarmi ma il peso sul mio sterno aumentò smisuratamente.
“Chi sei?” gemetti appena, non potendo più respirare.
“Nulla che non debba esserci, piccolo Morgan.” ripeté la voce in un ghigno.
“Lasciami, ti prego.”
“Non sei più forte di me, Morgan, non potrai mai vincermi. Sei mio, piccolo, lo sei sempre stato.”
Due fonti di luci incandescenti si accesero improvvisamente a pochi centimetri dal mio volto, due abissi di fuoco mi scrutarono impietosi mentre la voce maligna si sollevò in una risata glaciale.
Quello che accadde dopo fu terribile, non riesco neppure a trovare le parole adatte per descriverlo, sentii come una lama trapassarmi la cassa toracica ed un gelo mortale attanagliarmi il cuore e farsi strada nelle mie ossa.
Potei percepirlo attraversarmi il corpo, muoversi dentro di me, possedermi completamente.
So cosa state pensando, so che mi state già classificando come un povero adulto cresciuto con problemi psichici provocati da un’orribile violenza subita da bambino; state già pensando che uno sconosciuto mi abbia stuprato e che la mia mente per superare lo shock abbia inventato un mostro indefinito da incolpare; un caso da manuale.
Eppure sbagliate.
Quella notte fui violentato, questo è certo ma nell’anima, non nel corpo.
Quell’essere mi entrò dentro, si impossessò di me, mi trascinò in un vortice di tenebre e dolore dal quale non riuscii più a scappare.


Passai le quattro settimane successive in un ospedale, ricoverato nel reparto di terapia intensiva. Rimasi in una sorta di catalessi dovuta al forte shock, provocatomi, secondo i dottori ed i poliziotti che ci avevano trovati la mattina successiva, allertati dai vicini, dalla visione di mia madre aggredita da un gruppo di balordi, introdottisi in casa nostra durante la notte.
Io non presentavo alcun segno di violenza, solo un forte stress emotivo, mentre mia madre era ricoperta di ematomi e lividi (non ho mai saputo che cosa li avesse provocati). Anche lei, come me, era caduta in coma, tentarono di tutto per svegliarci ma senza successo.
Clinicamente ero perfettamente sano, nessun danno fisico ma, con disappunto dei dottori, rimanevo incosciente, rinchiuso in un mio limbo personale, scollegato dal mondo circostante.
Ricordo che provavo emozioni molto forti e contrastanti, ricordo il dolore, la paura ed il freddo, la rabbia e la vergogna. Potevo vedere i volti dei medici, chini su di me, come attraverso una coltre di nebbia, oltre la quale loro non potevano sentirmi né aiutarmi.
Quella cosa era ancora dentro di me, si cibava della mia anima, mi bisbigliava in continuazione: “Sei mio, bel bambino, sei mio.”
Lo sentivo farsi più forte ogni giorno che passava, lo sentivo crescere dentro di me ma allo stesso tempo sentivo la sua frustrazione, come se non si aspettasse di dover attendere così tanto tempo per impossessarsi definitivamente della mia vita.

Quando un giorno. la situazione cambiò; vidi un uomo sconosciuto chinarsi sul mio letto, percepii le sue parole come un mormorio lontano ed incomprensibile, mi poggiò la mano sulla fronte e sentii un lievissimo soffio di tepore accarezzarmi le tempie.
Dapprima fu doloroso, la testa sembrò sul punto di esplodermi, finché il calore si fece poco alla volta più intenso, il gelo nel mio cuore divenne pungente, come un pugnale che tentasse di lacerarmi da dentro, spingendo verso l’esterno per mantenere lontano il calore.
In quei momenti ripresi in parte il controllo del mio stesso corpo e tentai di dimenarmi, per sottrarmi alla battaglia che stava avvenendo dentro di me.
Le mie orecchie furono invase da un rombo assordante, la cui eco si trasformò in parole ora comprensibili:
“Resisti, Morgan, sono qui per aiutarti.”

Solo allora mi svegliai urlando e quella cosa scivolò finalmente fuori di me, non so neppure io come, la sentii sgusciare, allontanarsi sconfitta ed infuriata; udii il suo urlo espandersi nell’aria assieme al mio, quando mi ritrovai stretto tra le braccia di quello strano uomo.
Piansi convulsamente, con il volto affondato nel suo petto, sotto lo sguardo attonito di medici ed infermieri, accorsi in seguito alle mie grida.
“Va tutto bene, piccolo, va tutto bene. E’ finita, per ora.” lo sconosciuto mi bisbigliò parole gentili, cullandomi lentamente.

  
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