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Autore: Breed 107    03/02/2006    15 recensioni
Lei è una schiava, la sua schiava... lui è un principe, il suo padrone. Due vite che si incontrano, due destini che si intrecciano... Capitoli dal 1° all'11° revisionati
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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It takes me higher

di Breed 107

 

Capitolo nono.

Akane si poggiò alla balaustra in pietra e sollevando il capo verso il cielo che andava rischiarandosi, osservò il volo delle rondini che sfrecciavano come ebbre di libertà. Seguì le loro imprevedibili parabole aeree con meraviglia, ma anche con una punta d’amarezza.

Sorrise con ironia pensando a quanto patetica fosse nel provare invidia per quegli animali. Che cosa banale dopotutto, essere gelosa di creature simbolo della libertà stessa…

Scosse il capo e sorridendo senza allegria, si fregò le mani contro le braccia lasciate scoperte dalla veste bianca che usava come camicia da notte. Era di lino, confortevole al tatto, ma certo non offriva granché riparo dal rigore di quell’alba primaverile. Il sole non era ancora alto, nonostante le ombre della notte fossero sparite e l’aria era alquanto frizzante. Nonostante questo però era piacevole starsene lì, sul quel balcone, a non far altro che osservare delle rondini impazzite svolazzare senza apparente meta; ed anche il cortile sotto di lei era pieno di vita nonostante l’ora acerba: paggi scorrazzanti, camerieri impegnati già nelle loro mansioni, schiavi che si affaccendavano prima del risveglio dei loro padroni. Non immaginava che quel posto fosse così attivo fin dall’alba, forse perché quella era la prima volta, dal suo arrivo, che si svegliava tanto presto. Il sorriso, pur fasullo, che le adornava il volto svanì, al pensiero dei suoi precedenti risvegli… soprattutto quello imbarazzante del giorno prima, quando si era ritrovata tra le braccia del suo padrone, con un pubblico per giunta. Ah, sentiva il viso ardere al sol pensiero! E pensare che non era l’unico ricordo a farla arrossire quello, anzi.

Si morse le labbra e, quasi a fatica, si separò dalla balaustra, per quanto piacevole non poteva restarsene là fuori in eterno. Doveva rientrare e magari prepararsi per quello che sarebbe stato un giorno impegnativo. Il giorno in cui il principe Ranma avrebbe finalmente appreso la tanto agognata tecnica. Pur se scocciava ammetterlo, il ragazzo era stato davvero in gamba e, come predetto, aveva imparato i precedenti passi d’avvicinamento al pieno apprendimento del Dragone ad una velocità impressionante… Era davvero un ottimo combattente, si disse rientrando lievemente in camera. E oggi, infine, tutto sarebbe finito. Forse anche la sua permanenza in quel luogo, anzi, era probabile, visto che il padrone non vedeva l’ora di liberarsi di lei.

Scivolando quasi sulla liscia superficie del pavimento, Akane si accostò al letto e per alcuni istanti restò a fissare la persona che lo occupava. Già, quasi sicuramente quella era l’ultima mattina che si risvegliava lì… Non che fosse un male, per nulla! Non aspettava altro che essere assegnata al servizio di Ranko, o della Regina… insomma, di chiunque non fosse lui, quell’arrogante, superbo, tracotante che… che quando dormiva aveva un’aria assolutamente mite, quasi innocente, davvero sorprendente. Curiosa, Akane aggirò il letto e, con passetti incerti e cauti, si approssimò al lato dove Ranma dormiva. Quando fu certa che non stesse per svegliarsi, si chinò verso di lui per poterlo osservare meglio, non immaginando nemmeno lontanamente di ricalcare quanto già fatto da lui il giorno prima.

Sembrava così ignaro di tutto, pensò sorpresa la ragazza, inclinando il capo di lato in modo d’avere una migliore visuale del volto rilassato di Ranma; dormiva supino, un braccio abbandonato lungo un fianco e l’altro nascosto sotto il cuscino, probabilmente a sorreggergli il capo. Il codino quasi del tutto disfatto era placidamente adagiato sul suo collo, come una collana d’ebano particolarmente lucida. Un piede sbucava fuori dal marasma di coperte che lo avvolgevano fino alla vita, penzolando nel vuoto; il suo petto, fasciato in una casacca di seta chiara, si sollevava ritmicamente, accompagnando il suo respiro tranquillo… Akane lo osservò appena, per poi concentrarsi sul volto addormentato che, senza che se ne rendesse conto, le strappò un sorriso quasi intenerito; ebbe la tentazione di scostargli le ciocche disordinate che gli si arruffavano sulla fronte e che ricoprivano i suoi occhi chiusi, orlati da ciglia quasi troppo lunghe per un ragazzo, ma per fortuna represse quell’istinto inspiegabile. Ammirò il naso dritto, simile a quello della regina e il bel colorito che gli sfumava le guance. E poi le labbra, appena schiuse… Akane aggrottò le sopracciglia e perplessa, sollevò lentamente una mano fino a sfiorarsi il volto, proprio lì dove lui la sera prima… Era la sua fantasia o quel punto le sembrava più sensibile del resto? Probabilmente era solo folle suggestione, ma con una punta di panico Akane pensò di avvertire ancora il tocco delle sue labbra, così vicino alle proprie… Che stupida! E poi, detta così, sembrava che quel bacio le fosse piaciuto e che, per assurdo, fosse stato in qualche modo importante per lei. Che immane sciocchezza!

Era stato un semplice, irrilevante bacio, ecco… Dato per puntiglio, per giunta, quindi nulla per cui sentirsi turbata. Affatto… non c’entrava nulla quell’insignificante tocco con il fatto che non fosse riuscita a dormire… Certo, lui era stato inaspettatamente riguardoso nei suoi confronti, ma forse era lei a sbagliarsi, scambiando l’avversione con il rispetto. Il suo padrone non la sopportava, non l’aveva baciata proprio per questa repulsione, e non per altro. Non doveva illudersi sul suo conto e poi… e poi non aveva dedicato la propria esistenza all’odio per il proprio padrone, per colui che osava possedere il suo futuro? A cosa aggrapparsi, se non a questo astio dal momento che il suo passato e presente le erano stati portati via? Fino a quando avrebbe avuto la rabbia a cui far affidamento, sapeva di poter resistere a tutte le angherie che costellavano la sua esistenza.

A volte aveva quasi desiderato non sapere nulla delle proprie origini, del misfatto che l’aveva resa schiava ed orfana probabilmente, perché almeno in quel caso avrebbe potuto dir addio al risentimento che costantemente la spingeva avanti, ma che altrettanto tenace la sfiniva. Ma era un desiderio vano e superficiale: era grata di aver incontrato Obaba lungo la sua strada, grata che, raccontandole la verità, la vecchia amazzone le avesse dato un motivo per vivere… In fondo era molto più di quanto potessero avere persone considerate più fortunate di lei: un senso alla propria esistenza, fosse pure la vendetta e la voglia di riscatto.

Troppo persa in quelle considerazioni, Akane non si accorse d’essersi ulteriormente avvicinata a Ranma; una ciocca dei suoi lunghi capelli scivolò lungo la spalla della ragazza e prima che potesse evitarlo, sfiorò il viso del principe e l’impercettibile tocco bastò se non a svegliare lui, a ridestare il suo sesto senso da artista marziale.

Quello che faceva di Ranma un ottimo combattente non era solo la sua voglia infinita di primeggiare ed apprendere nuove formidabili tecniche; era proprio il suo istinto che, perennemente allerta, lo aveva più volte salvato da incresciosi agguati.

Suo nonno, era risaputo, aveva metodi discutibili e deprecabili, che spesso celava dietro l’etichetta buonista di insegnamenti. Con la scusa di comportasi così per il fine supremo di renderlo il migliore, Happosai aveva più e più volte teso dei veri e propri agguati al suo nipote prediletto, molti dei quali avevano avuto come scenario proprio la camera da letto del ragazzo. Per anni Ranma aveva dormito col classico occhio aperto, fino a quando non aveva sviluppato una sorta d’istinto protettivo che funzionava alla grande, soprattutto quando dormiva. Negli ultimi tempi della permanenza del vecchio re, il ragazzo era stato capace non solo di fronteggiare gli attacchi mattutini del vegliardo, ma persino di risolverli a proprio favore: non era infatti scena inusuale a quei tempi osservare il piccolo sovrano volar via dalla finestra del nipote, a qualsiasi orario. E tutto questo senza che Ranma si svegliasse del tutto… Così, quel mattino, nonostante fossero passati anni dall’ultimo assalto di Happosai, il sesto senso del principe entrò in azione.

Prima che Akane potesse capire cosa stesse succedendo, Ranma scattò e con un vero e proprio balzo, si avventò su di lei; alla ragazza non restò che lanciare un urlo di sorpresa, urlo comunque smorzato dal peso del padrone quando i due precipitarono a terra. Per fortuna di Akane, la loro caduta fu attenuata dai cuscini sui quali dormiva, o l’impatto certamente sarebbe stato notevole; così, stupefatta, si ritrovò a terra, pressata dal corpo del ragazzo che non aveva ancora aperto gli occhi, segno che non fosse del tutto cosciente.

In preda al panico, provò a scrollarselo di dosso, ma fu bloccata dalla presa solida di Ranma che le catturò entrambi i polsi nelle proprie mani, impedendole ogni movimento. Era dannatamente forte, pensò angosciata la povera schiava, che comunque continuò ad agitarsi, spaventata dalla situazione: quel ragazzo avrebbe potuto davvero farle di tutto! Per quanto si sforzasse, infatti, non riusciva a liberarsi dalla sua stretta ed era praticamente costretta a terra.

Intanto Ranma si svegliava; emergendo dal sonno avvertiva chiaramente il nemico che aveva provato ad attaccarlo agitarsi sotto di lui, nel vano tentativo di sfuggirgli. Però, si disse, mentre i suoi occhi si snebbiavano e la sua visuale diveniva più nitida, il nemico era alquanto morbido… e curvilineo, poteva difatti intuirlo essendogli steso sopra… Curvilineo?

Finalmente gli occhi del principe di spalancarono e, ora perfettamente sveglio, si ritrovò faccia a faccia con un’Akane furiosa. La ragazza infatti lo osservava con vera e propria volontà omicida, gli occhi le ardevano di sdegno e la bocca era tanto contratta da esser esangue… Che diavolo ci faceva Akane lì sotto?!

Batté le palpebre un paio di volte, tanto per accertarsi di non star sognando, poi aggrottò le sopracciglia. “Che stai facendo?” le domandò, senza per alto accennare a lasciarla o a scostarsi da lei.

La schiava sgranò gli occhi furenti e stizzita, provò nuovamente a scrollarlo via “Che diavolo sta facendo lei, piuttosto! Razza di maniaco depravato!”

“Eh? Cosa…” senza pensarci (e continuando a non muoversi!) Ranma la osservò con più attenzione, scrutando non solo il volto che pareva andar in fiamme, ma anche lo scollo della camicia bianca che lei indossava e che, probabilmente in seguito alla caduta, era diventato sensibilmente più ampio. Dallo strappo che ora c’era proprio sul petto, il ragazzo vide più di quanto avesse intenzione e, un po’ da tonto, capì perché gli fosse parso tanto morbido il corpo su cui si era ritrovato.

Il pensiero comunque bastò a farlo rinsavire e con un altro scatto agile, si allontanò da lei di corsa, tanto che nell’indietreggiare urtò col capo contro il lato del letto, ma non se ne rese conto, troppo impegnato a fissare la ragazza che quasi sbuffando per l’ira, stava mettendosi seduta.

“E’ tutta colpa tua! – le urlò contro, rendendosi conto del biasimo del suo sguardo – Che diamine ci facevi accanto al mio letto?!

“Colpa mia?! Mi è saltato addosso all’improvviso, razza di pervertito! Prima la storia del bagno, ora questo! Non ha alcun ritegno!” lo ribeccò lei, puntandogli addosso un indice accusatorio. Il principe alzò gli occhi al cielo, in verità non era affatto sorpreso delle sue accuse: quella ragazza tendeva un pochino ad esser paranoica per certi argomenti.

“Se avessi vissuto con mio nonno la metà del tempo che vi ho vissuto io, allora capiresti… Non volevo saltarti addosso! Cioè, è quello che ho effettivamente fatto, ma non perché lo volessi, l’ho fatto senza pensarci!” provò a spiegarle con quanta tranquillità potesse in un simile frangente, ma dallo sguardo torvo che ricevette, capì che nessuna spiegazione sarebbe servita a convincere quella testa dura. Era davvero increscioso: da quando quella era lì, le situazioni imbarazzanti si ripetevano una dopo l’altra! In un angolino remoto della sua testa, Ranma si chiese se tutti quelli che vivevano con una ragazza andassero incontro a simili inconvenienti.

Si grattò nervosamente un sopracciglio, poi sbuffando in maniera plateale cominciò ad alzarsi; a giudicare dalla luce era giorno da poco e tra le molte cose che lo attendevano per quella giornata, litigare con la sua schiava per le sue fissazioni non era contemplato.

Vedendolo muoversi, Akane arretrò istintivamente, portandosi le braccia al petto dove aveva scoperto con scoramento il nuovo taglio della veste; lo fissò con maggiore biasimo e, Ranma ne era certo, se avesse provato ad avvicinarla, padrone o meno, nulla lo avrebbe risparmiato dall’esser colpito da un oggetto… il tavolino, per esempio, che lei stava adocchiando proprio in quel momento.

“Senti, ma non è che la vera maniaca tra noi due sei tu? – si mise dritto e con noncuranza incrociò le mani dietro alla nuca – Sempre a pensare a quali sconcezze possa mai farti… insomma, sei tu a fantasticarci troppo mi sa, dal momento che a me non passerebbe mai e poi mai per la testa di sfiorarti.” La sua previsione si rilevò errata: Akane non gli scagliò contro il tavolino, ma per sua fortuna optò per il primo oggetto capitatele a tiro, cioè un cuscino.

La forza del lancio fu tale in ogni modo da farlo ricadere all’indietro sul letto e quando, stupefatto, tornò a guardare verso il pavimento, della ragazza non c’era traccia: fece appena in tempo a vederla dirigersi verso la sala da bagno, biascicando alcune parole non proprio adatte ad una fanciulla bene educata, tra le quali a Ranma parve di udire un nitido ‘idiota’…

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L’uomo aggrottò le sopracciglia, non riuscendo a celare lo stupore che quanto appena dettogli aveva suscitato in lui.

“Segreto, Altezza?” domandò, mentre i suoi occhi grigi vagavano dal plico stretto nella propria mano, al volto del suo sovrano che pareva esser scolpito nella pietra, tale era la durezza dei suoi lineamenti. La luce mattutina che filtrava da una delle tante finestre che punteggiavano la sala accentuava la rigidità dei tratti del Re, che annuì con un cenno del capo.

“Esatto. Questa missione resterà un segreto: nessuno, ripeto, nessuno dovrà venirne a conoscenza, nemmeno il tuo capitano.

L’uomo strinse le labbra e annuì a sua volta, conscio della gravità della situazione. Non gli era mai stato impartito un simile ordine… Tacere al capitano Taro di una tale incombenza era davvero inspiegabile, ma il soldato fu abbastanza saggio da tener per sé la propria incredulità.

Stimava il capitano delle guardie reali e lo reputava un giovane in gamba, nonostante l’età tanto acerba che in un primo tempo gli aveva fatto dubitare delle sue capacità; si era ricreduto fino al punto di considerarsi fortunato ad essere un suo sottoposto e lo avrebbe seguito in ogni frangente, ma… ma il Re era stato chiaro e a lui non restava che ubbidire e sentirsi perfino orgoglioso per quella che, a tutti gli effetti, doveva considerarsi una missione delicata e fondamentale.

Genma osservò l’uomo perplesso dinanzi a sé, ma sapeva di potersi fidare; lo aveva scelto proprio per la sua fama d’individuo affidabile e discreto, lo stesso Taro gliel’aveva più volte raccomandato…

“Partirai questa mattina stessa. Giustificherò io la tua assenza alla guarnigione, di questo non devi assolutamente preoccuparti. L’unica cosa che conta è che il plico sia recapitato in fretta, così come pretenderai che ti sia data una risposta in tempi ragionevolmente brevi… naturalmente userai tutta la diplomazia possibile affinché il destinatario del messaggio sia solerte nell’affidarti la sua risposta, non voglio che pensi che sia l’urgenza o la disperazione a guidare i miei passi.”

L’uomo annuì ancora una volta. Nonostante le parole del Re, aveva compreso invece quanta premura ci fosse dietro quel plico misterioso che ora giaceva nelle sue mani. Lo osservò con attenzione, chiedendosi cosa mai vi fosse vergato di tanto importante. Il timore che contenesse notizie gravose per il futuro del regno di Augusta gli ottenebrò lo sguardo per alcuni istanti: in città si sussurrava di disordini ad est, a Nerima, regno considerato nemico da quando l’usurpatore ne aveva conquistato la reggenza… e poi, dopo quanto accaduto la sera del banchetto, con il colpo di testa del principe Ranma… Il generale Kean certo non era partito con animo ben disposto nei confronti della famiglia reale e questo non deponeva a favore dei rapporti diplomatici con il regno di Gea.

“Non temere, non sarai latore di notizie nefaste, anzi, se la risposta che riceverai sarà quella che mi aspetto, allora avrai reso al tuo regno il più grande dei servigi. Il Re pareva avergli letto sul viso le preoccupazioni che la segretezza del suo compito aveva suscitato in lui.

Rinfrancato da tale rassicurazione, il soldato annuì per l’ultima volta, poi s’inchinò a cospetto di Genma, pronto a congedarsi. “Partirò immediatamente, Altezza.”

“Bene. Rammenta: non rivelare a nessuno la tua destinazione, a nessuno. Ora va’… e che il tuo viaggio sia foriero di buoni auspici.”

Quando il soldato ebbe lasciato la stanza, Genma poté lasciar andare il sospiro che aveva tenacemente trattenuto. Non aveva voluto svelare a quell’uomo quanta tensione lo attanagliasse nel momento in cui gli aveva consegnato il messaggio. Lo aveva scritto quello stesso mattino, quando da poco la luce dell’alba aveva inondato benevola la sala dove si trovava in quel momento.

Data la riservatezza dell’intera vicenda, Genma aveva fatto convocare il soldato in una delle sue stanze private: la sala delle Udienze, con il continuo viavai di paggi, camerieri, dame di compagnia, era un luogo troppo affollato ed indiscreto per una tale faccenda. E per il momento Genma voleva che il tutto non arrivasse all’orecchio né di suo figlio, né di sua moglie.

Il pensiero di Nodoka dipinse per la prima volta un’ombra di rimorso sul volto severo del Re che, con un ennesimo sospiro, si scostò dallo scrittoio davanti al quale aveva passato le prime ore del mattino, per dirigersi ad una delle grandi finestre che punteggiavano la stanza assolata. Non vi era necessità di informarla di quanto compiuto, si disse il pensieroso sovrano, mentre i suoi occhi distratti erravano per il cortile deserto, soffermandosi appena sulle aiuole ordinate e la fontana gorgogliante; non vi era alcun motivo di metterla a conoscenza delle sue scelte che, del resto, erano più che motivate dal suo ruolo: Nodoka non avrebbe interferito in alcun modo con una decisione presa per il bene del regno. Non aveva senso metterla al corrente di tutto, già… Le labbra di Genma si strinsero ancor di più, una sottile linea illividita che rese più teso il suo volto: erano solo scuse quelle che si raccontava e lo sapeva fin troppo bene.

Sua moglie era la miglior consigliera che avesse, anzi, il suo giudizio si era sempre rivelato prezioso ed oculato e tacerle di quanto appena fatto dava a Genma la sensazione di aver agito alle sue spalle. Forse perché temeva che, stavolta, non avrebbe appoggiato il suo agire.

Era una donna saggia, anche se a volte poteva dar l’impressione di esser svagata, distratta forse da alcune sue piccole manie… Un brivido involontario percorse la schiena del sovrano al pensiero fuggevole della katana che da anni ormai faceva bella mostra di sé nella loro camera da letto. Quella lama letale era per Nodoka l’unica eredità familiare di cui andasse veramente fiera e alla quale dedicava amorevoli cure, quasi si trattasse di un altro figlio. Aggrottandosi se possibile ancor di più, Re Genma rammentò come la bella donna avesse avuto l’abitudine nei primi anni del loro matrimonio di aggirarsi perennemente con la preziosa spada tra le mani. Per lui la visione di quella bellissima, ma terribile arma era motivo di tensione: la sua giovane sposa aveva delle idee alquanto… singolari e radicate sul concetto di virilità e quella spada, pur se raramente sfoderata, sembrava rammentargliele ogni qualvolta i suoi occhi vi si posavano.

Non poteva negare di aver tirato un bel sospiro di sollievo, quando da un giorno all’altro Nodoka si era presentata senza la katana al seguito! Sollievo non solo per se stesso, ma anche per il piccolo Ranma, all’epoca un mocciosetto di appena tre anni che trotterellava ignaro per la corte…

Bei tempi quelli: un figlio sano a cui affidare il trono un domani ed una graziosa femminuccia in fasce, da mandare in sposa a qualche alleato al fine di rinsaldare vincoli di amicizia e garantirsi così pace e prosperità.

Gli occhi di Genma si offuscarono al ricordo di quei giorni lieti, in cui il suo unico pensiero era costituito dal vecchio Happosai e le sue stramberie. Chissà cosa avrebbe detto il vecchio di quanto stava accadendo ora nel suo palazzo, con un erede al trono ribelle ed insofferente alla disciplina ed una principessa più interessata alle arti marziali che al suo futuro da sposa. Un ennesimo sospiro lasciò le labbra del Re che, sconsolato, scosse il capo: probabilmente Happosai avrebbe trovato divertente il tutto!

Non si era mai curato del suo Regno e anzi, se suo figlio era ciò che era, gran parte della colpa ricadeva proprio sul vecchiaccio. Aveva sbagliato ad affidargli l’educazione di Ranma nei suoi primi anni di vita, ma ora era tardi per recriminare: non poteva rimediare agli sbagli del passato, però poteva evitare di compierne degli altri. Aver permesso a quella schiava di restare a corte era l’ultimo, si disse con nuovo cipiglio. In un motto di fierezza, Genma raddrizzò le spalle e serrò la mascella in un’espressione severa, scacciando definitivamente le ombre del dubbio e del rimorso dal suo animo.

Restò immobile per alcuni istanti, poi, con una ritrovata vitalità, si mosse verso l’uscita delle proprie stanze; la colazione lo aspettava e Ranma avrebbe fatto meglio a presentarsi al suo cospetto, o sarebbero stati guai.

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Ranma sbuffò platealmente e, brontolando di padri idioti e ritardatari, appoggiò il viso ad una mano.

Il vecchio era in ritardo e questo non solo significava che fino al suo arrivo la colazione non sarebbe stata servita, ma che anche l’allenamento con Obaba doveva aspettare… Proprio quel giorno, in cui finalmente si sarebbe impadronito della tecnica portentosa per cui aveva tanto patito.

Tra le sofferenze da imputare alla sua smania di conoscenza, Ranma annoverava non solo le bastonate ricevute dalla non tenerissima amazzone e le continue occhiate di disapprovazione di sua madre, ma anche la convivenza con quella terribile ragazza. Anche il piccolo incidente di quel mattino ricadeva nell’elenco dei patemi che aveva affrontato e che finalmente quel giorno avrebbero avuto una retribuzione. Non voleva poi neanche pensare al bacio che era stato costretto a darle.

Il ragazzo si grattò distrattamente una guancia, mentre il ricordo della sera prima gli tornava alla memoria con rinnovato vigore; nonostante cercasse a più riprese di allontanarlo non poteva che riviverlo, ogni qualvolta con sentimenti diversi. Fastidio ed imbarazzo per lo più, ma anche meraviglia e curiosità. Già…

Nonostante il solo pensiero gli annodasse lo stomaco, Ranma si chiedeva come sarebbe stato se avesse proseguito con il suo intento iniziale e avesse infine baciato Akane sulle labbra… Se non avesse letto negli occhi di lei lo sgomento e la paura che gli avevano provocato una fitta inspiegabile al cuore, l’avrebbe baciata sul serio? E cosa sarebbe accaduto poi?

Aveva la mezza idea di chiedere ad Obaba, o a sua sorella, cosa significasse in concreto per un’amazzone legare la propria esistenza a quella di un uomo mediante il sigillo di un bacio. Forse Akane sarebbe diventata più docile ed ossequiosa se l’avesse baciata sulle labbra, tanto da non rischiare più d’esser colpito da chissà quali oggetti: era stato fortunato quella mattina, la prossima volta avrebbe potuto trattarsi di qualcosa di più duro di un cuscino… Un briciolo di rimorso per l’occasione mancata fece capolino tra i sentimenti confusi di Ranma, che però non ebbe il tempo e l’opportunità di interrogarsi in merito.

Prima infatti che questi pensieri divenissero troppo palesi nel suo animo, e prima fortunosamente che il rossore si diffondesse sul suo volto annoiato, la voce argentina di Ranko lo riportò alla realtà.

Perché quell’espressione contrariata, fratellino?”

Il ragazzo volse lo sguardo verso quella peste travestita da sorella minore e l’osservò con attenzione. Il brillio nello sguardo ed il sorriso spavaldo volevano dire una sola cosa per lui: guai. Decise perciò di giocare d’astuzia e non offrire a sua sorella nessun pretesto per far scattare la linguaccia per cui era famosa. “Sono affamato” rispose semplicemente, volgendo poi gli occhi altrove.

Ma la principessa non si fece scoraggiare dalla scarsa oratoria del fratello; si adagiò meglio contro lo schienale del suo seggio ed inclinò il capo fulvo di lato, in una posa fintamente innocente. “Temevo che fossi deluso dalla compagnia e che io e Ryoga non fossimo all’altezza delle tue aspettative, visto con chi ultimamente preferisci condividere i tuoi pasti” asserì, aggiungendo persino una nota greve alla sua voce, mentre i suoi occhi continuavano a brillare per il divertimento.

Ranma si morse l’interno di una guancia per impedirsi di risponderle a tono. Perché quella piccola serpe sembrava trovare tanto godimento nel prenderlo in giro? Era sempre stato l’oggetto preferito dei suoi lazzi e delle sue frecciatine, ma da quando Akane era entrata nella loro vita, Ranko sembrava aver trovato nuovo slancio in questa fastidiosa abitudine. Ringraziando per lo meno il fatto che i loro genitori non fossero lì per sentirla, Ranma s’impose nuovamente di ignorarla e dedicò la sua attenzione ad un’altra persona che, al momento, brillava per la sua assenza. “Dov’è Taro?” chiese, osservando il seggio vuoto di solito occupato dall’amico.

Ryoga parve ridestarsi dalle fantasticherie che lo avevano reso silenzioso fino a quel momento (sulle quali Ranma aveva qualche sospetto circa il soggetto che le animava…) e sorrise. “Credo che sia con quella ragazza, Ame. Ieri mi ha detto che le avrebbe mostrato il palazzo prima di colazione.”

Il principe inarcò un sopracciglio "Non è da lui comportarsi tanto gentilmente…” osservò, stupito; anche suo cugino ne convenne, stringendosi poi nelle spalle.

“Forse non è solo gentilezza… Lui non l’ammetterebbe mai, ma sono convinto che provi compassione per lei. Sono pronto a scommettere che il fatto che sia un’amaritiana sia il motivo principale per cui l’abbia acquistata” asserì poi.

“Non lo facevo tanto sentimentale – scherzò Ranma incrociando le braccia al petto – Però credo che saresti stato tu il più adatto a farle da guida, cugino. Chi meglio di te può affermare di conoscere questo palazzo in ogni anfratto? Con tutte le volte che lo giri in lungo e largo…”

“Ah, ah, spiritoso…”

“E’ la verità! E poi credevo che portare ragazze a spasso ti piacesse… Avresti potuto mostrare anche alla schiava di Taro com’è la vista dalla torre.

Ryoga batté le palpebre, disorientato da quelle parole. Lo osservò, notando come il sorriso che pur gli curvava le labbra non gli sfiorava minimamente lo sguardo che, anzi, in contrasto, sembrava esser freddo, quasi… ostile. Che Ranma fosse contrariato per quanto accaduto il giorno prima? Per il fatto di aver condotto Akane lassù… Lo conosceva abbastanza per riconoscere i sintomi del suo fastidio, ma proprio non riusciva a capire cosa lo irritasse tanto.

“Sei geloso per caso?” gli domandò più per metterlo alla prova che per altro; suo cugino era così orgoglioso che non lo avrebbe mai ammesso seppure ciò fosse corrisposto al vero e la smorfia che accompagnò la sua risposta non fu affatto inaspettata.

“Figuriamoci, se ti piace tanto startene con certe arpie, accomodati pure! Puoi pure portartela a spasso tutto il giorno per quel che m’importa!”

“Davvero? Dici sul serio Ranma? – Ryoga assottigliò i chiari occhi, non s’era fatto ingannare da tanto ostentato disinteresse – E allora perché quando tutta questa storia della tecnica sarà conclusa, non dai a me Akane?”

Il principe sussultò, talmente stupito da quella richiesta da ignorarne il tono ironico e provocatorio. Sentì la gola contrarsi al solo pensiero. Confuso, si chiese come mai una simile eventualità lo irritasse tanto, perché, inutile nasconderselo, ciò che provava era stizza. Batté le palpebre un paio di volte e, incapace di trovare una risposta adeguata, tacque: non si fidava della propria voce in quel momento e sapeva che se avesse parlato, sia Ryoga che Ranko avrebbero intuito la sua collera.

Ryoga, nel frattempo, lesse comunque sul viso dell’altro ragazzo il turbamento che aveva scientemente provocato e ne fu soddisfatto. Tra lui e Ranma, nonostante il legame d’amicizia e parentela che li univa, vi era sempre competizione ed ogni piccola vittoria sul solito trionfante parente aveva un sapore speciale, prezioso quasi. E poi, una volta localizzato un presunto punto debole di Ranma, questo andava colpito più volte… non era forse questo lo scopo delle arti marziali indiscriminate?

“Già da stasera potresti liberarti di lei. A me Akane non ha dato affatto l’idea di un’arpia e devo dirti che in mia compagnia l’ho vista molto più serena di come è con te.”  Fu un colpo basso quello. Soprattutto perché spiacevolmente corrispondente alla verità: lo stesso erede aveva notato come la sua riottosa schiava avesse recuperato sorriso e gentilezza ogni qualvolta l’aveva vista in compagnia dell’eterno disperso.

Un nervo parve guizzargli sotto la pelle tesa della mascella e i suoi occhi s’incupirono ancor di più, fissandosi furiosi in quelli di suo cugino che istintivamente s’irrigidì… Forse lo aveva provocato troppo, si disse, preparandosi alla reazione che certo ci sarebbe stata. Ranko, intanto, li osservava, spostando lo sguardo vivace da uno all’altro; la curiosità stava divorandola, ma ebbe il buon senso di non fare domande: non era consigliabile stuzzicare troppo il fratello in un simile frangente, non quando i suoi occhi sembravano voler fulminare il povero Ryoga sul posto!

“No.”

Solo quello. Un monosillabo pronunciato con voce fredda e terribile. Ranma non diede spiegazioni, evidentemente non riteneva di doverne. Lasciare che Akane diventasse la schiava di Ryoga? Sul suo cadavere forse. Non volle sapere il perché di una simile determinazione, non si domandò se fosse vera gelosia o solo desiderio di non darla vinta a Ryoga… o timore, chissà, che lei potesse preferirlo. La visione di quel sorriso, di quell’unico sorriso che era riuscito a strapparle qualche sera prima, tornò a tormentarlo. No, non l’avrebbe lasciata a nessuno, nessuno. Meno che mai a lui. 

Ryoga sospirò e scosse il capo “Sei come un bambino viziato, Ranma. Non la vuoi, ma detesti il pensiero che ti possa esser portata via. Akane non è un gioco, è una persona con dei sentimenti e…”

Se la pensi davvero così, allora perché mi hai chiesto di cedertela come se fosse un oggetto? E’ da ipocriti.” Ranko deglutì ora più nervosa, a quel punto ogni sembianza di scherno era sparita ed entrambi i ragazzi erano dannatamente seri. Se fosse scoppiata una lite in un momento simile

Fu con sollievo che la giovane principessa accolse il rumore di passi alle sue spalle, segno dell’arrivo di qualcuno. Ed infatti i due sovrani stavano facendo il loro ingresso nella sala; subito l’attenzione di suo padre fu attirata da Ranma e, a giudicare dalla sua espressione, l’uomo sembrò piacevolmente sorpreso di vedere il figlio regolarmente seduto.

“Bene. Sono lieto di vederti, ragazzo!” dichiarò avvicinandolo, un sorriso soddisfatto sulle labbra ed una sorta di baldanza nella voce che gli fece meritare un’occhiataccia risentita da parte del già irritato principe.

“Se tenevi così tanto a vedermi, potevi pure farti vivo prima. Sto morendo di fame” fu la sua acida replica e, mentre sia Ryoga che Ranko in segno di rispetto si erano alzati, lui era rimasto immobile, le braccia ancora incrociate al petto. Il sovrano parve esser troppo contento di averlo lì a suo cospetto che ne ignorò il comportamento poco regale e prese posto, mentre la sua sposa si accomodava all’altro capo del tavolo di fronte a lui.

Finalmente la colazione poté esser servita, ma nonostante avesse dichiarato tanto sgarbatamente di esser affamato, Ranma mangiò con insolita parsimonia quanto portatogli.

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Obaba poggiò la ciotola ormai vuota dinanzi a lei ed osservò la ragazza sedutale accanto. Akane stava conversando allegramente con una delle cameriere, Sayuri se ricordava bene il nome e sul suo viso aleggiava un gran sorriso. La vecchia amazzone assottigliò i grandi occhi, occhi esperti e che difficilmente si lasciavano ingannare: nonostante l’apparente allegria, la sua discepola era tesa. Nervosa, più che altro. Lo riconosceva subito, quel nervosismo strisciante che la ragazza tentava di tener nascosto, ma che alcuni gesti tradivano platealmente, o almeno a lei, che la conosceva meglio di chiunque altro, apparivano palesi. Come il sistemarsi continuo di una ciocca di capelli dietro all’orecchio, gesto inutile visto che i capelli erano perfettamente a posto. E quel suo stesso sorriso, tanto caloroso in apparenza, non era affatto sentito… cortese, sì, ma non sincero. Quando Akane sorrideva sul serio, era tutt’altra cosa, tutt’altra luce. E poi quando Sayuri non la guardava, quello stesso sorriso era come se si affievolisse pur non sparendo del tutto.

Bene, qualcosa quindi l’impensieriva… Obaba sollevò un angolo della bocca, tutto sommato divertita dagli affanni della ragazza. Beata gioventù! Con tanta energia a disposizione, anche le emozioni parevano essere ingestibili, gigantesche. Senza la pacatezza della maturità ogni azione, ogni gesto, ogni preoccupazione anche, assumeva una valenza capitale… E in una giovane ragazza dal temperamento di Akane poi, niente poteva dirsi tranquillo: quella piccola era irruente in tutto, anche nei suoi timori.

La saggia maestra scosse leggermente il capo, sgridando leziosamente se stessa per l’inevitabile invidia che provava ogni qualvolta le si parava dinanzi un simile sfoggio di giovinezza, che tanto le ricordava i suoi anni verdi. Avrebbe volentieri fatto a cambio in qualsiasi momento, un solo focoso tumulto giovanile per decenni della sua saggezza… Forse per questo amava ancora tanto addestrare giovani come Akane, chissà… Ma era un’inutile perdita di tempo smarrirsi in tali pensieri, quindi risoluta, tornò a dedicasi alla giovane accanto.

“Sono lieta che tu oggi abbia fatto colazione con noi, Akane. E’ la prima volta da quando siamo in questo palazzo” le disse vivace e chissà perché, la ragazza avvertì le guance riscaldarsi un po’ a quel commento del tutto innocente.

“Sì, in effetti. Credo che da oggi accadrà più spesso, anzi, sono certa che dividerò con voi ogni mio pasto e la cosa mi rende felice” asserì con entusiasmo.

Molti sguardi curiosi si posarono su lei e Sayuri fu la prima a dar voce alla domanda che tutte le altre donne stavano ponendosi. “Vuoi dire che non resterai più in compagnia del principe?”

Era una domanda priva di malizia… beh, per lo meno ovvia ed Akane avrebbe dovuto aspettarsela invece l’imbarazzo, unito al ricordo perenne di quanto accaduto quel mattino la mandò in agitazione. E quando Akane si agitava, la rabbia la faceva da padrona.

“In compagnia di quel villano superficiale?! Mai più! Non dividerò nulla con lui, niente di niente!” sbottò, posando la ciotola con tale forza sulla lunga tavolata che quasi ne rovesciò il contenuto.

Sayuri, e con lei molte altre, batté le palpebre, confusa da un tale sfogo. “Ma condividi ancora la sua camera, no?”

Ancora un’altra domanda logica… Akane non ce la faceva più, quello stillicidio di domande ovvie stava facendo perderle la pazienza e non voleva che la gentile cameriera ne pagasse le conseguenze, le era simpatica, nonostante la sua curiosità potesse essere irritante.

“Questa situazione potrebbe non durare… anzi, scommetto che a breve, cesserà del tutto.” Già, in fondo quel giorno il principe Ranma avrebbe ottenuto ciò che desiderava, quindi si sarebbe finalmente sbarazzato di lei. Era quasi certa che non l’avrebbe allontanata dal palazzo pur di non darla vinta a colui che avrebbe dovuta averla sin dal principio, quindi poteva ritenersi soddisfatta. Sarebbe rimasta a palazzo, ma non più costretta a vivere con lui, non più costretta a dormire nella sua camera, a vederlo dormire, a sentirlo affibbiargli nomignoli cattivi per prenderla in giro, non più costretta a subire i suoi comportamenti da maniaco… non più costretta a sentirsi definire carina per un semplice sorriso. Perfetto. Tutto sarebbe stato perfetto.

Akane si morse le labbra per trattenere un sospiro che, ne era sconsolatamente consapevole, non sarebbe stato di sollievo.

Obaba pensò che il tormento potesse concludersi lì, aveva infatti notato come gli sguardi si fossero accesi a quelle parole e come molte donne avevano completamente messo da parte il cibo, pronte a tuffarsi sulla giovane con domande che, ne era certa, sarebbero diventate sempre più imbarazzanti.

“Se hai finito, credo che potremmo avviarci, Akane.”

“Sì, Obaba…” si alzò dal suo posto e dopo un veloce saluto a Sayuri, lasciò con la sua maestra la grande sala delle cucine dove per abitudine le cameriere e le altre schiave consumavano i loro pasti. Subito un brusio sommesso si levò alle loro spalle, ma entrambe decisero d’ignorarlo… pettegolezzi, tsé.

“Non preoccuparti, Akane. Presto la smetteranno: appena si saranno assuefatte alla tua presenza e la loro curiosità sarà soddisfatta, non ti porranno più domande.

“Lo spero, anche se temo che la curiosità di quelle donne sia insaziabile. Non capisco cosa interessi loro sapere con chi mangio o meno!”

L’amazzone ridacchiò, mentre con la solita agilità montava sul bastone con cui prediligeva spostarsi. “Non vorrei disilluderti, bambina, ma credo che il loro interesse sia dovuto più che altro al tuo padrone. Molte di quelle ragazze, e persino qualcuna che da lustri non può più definirsi tale, vorrebbero essere al tuo posto…”

Il broncio di Akane a quelle parole fu impagabile e strappò un’ulteriore risata alla maestra. “Glielo darei volentieri tale onore… Uff, parlando d’altro, credi che il principe ce la farà ad apprendere la tecnica entro oggi?”

“Uhm, le capacità non gli mancano, anzi, credo che sia praticamente ad un passo dal dominare il Drago. Vedremo… di certo posso solo dirti che, per me, sarà divertente vederlo in azione.”

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Quando giunsero nel grande chiostro, il sole splendeva fulgido tanto da accecare Akane. Si portò istintivamente una mano al viso, parando gli occhi che ben presto si adattarono alla luce sfavillante di quel giorno. Non faticò a scorgere il suo padrone nella vastità del cortile: era completamente vestito di nero, dai pantaloni che morbidamente gli ricadevano sulle lunghe e nervose gambe, alla casacca senza maniche che aderiva perfettamente al suo torso, fasciandolo quasi in un lucido abbraccio di seta. Il suo codino scuro si distingueva appena, poggiato su una delle spalle.

Quell’abito tanto cupo in un contesto tanto luminoso attirò immediatamente l’attenzione di Akane, che senza poterselo impedire restò a fissarlo. La rigidità della sua postura, le spalle dritte rivolte alla fontana, la mascella quasi contratta che rendeva il suo profilo incredibilmente definito… Era in visibile attesa, ogni muscolo teso al fine di celare la propria impazienza. La ragazza provò a volgere altrove lo sguardo, magari posandolo sulla principessa che sorridente stava salutandole con un cenno della mano, o sul signor Ryoga, scattato improvvisamente in piedi, ma più provava a distogliere lo sguardo più questo, testardamente, tornava a puntarsi su di lui e quando anche Ranma parve rendersi conto del loro arrivo, volgendosi nella sua direzione, i loro occhi non poterono fare altro che incontrarsi. Ed Akane rabbrividì.

C’era qualcosa di ferino in quegli occhi blu, qualcosa che per un istante le serrò il respiro. Lo sguardo penetrante di lui parve scrutarle fin dentro l’animo, facendola sentire vulnerabile, esposta a quelle iridi imperscrutabili. A fatica, e con rabbia, distolse i propri e si affrettò a raggiungere Obaba che l’aveva sopravanzata.

Ancora scossa per l’inspiegabile sensazione provata a causa di Ranma, Akane recuperò un sorriso e ricambiò il saluto allegro della principessa. “Buongiorno sua grazia… signor Ryoga – s’inchinò dinanzi ai due con rispetto, poi molto più rigidamente chinò il capo e puntò gli occhi al suolo – Padrone…”

Il ragazzo non si curò nemmeno di risponderle e sbrigativamente si avvicinò alla maestra amazzone. “Finalmente! Ve la siete presa comoda voi due!” proruppe affibbiando alla donna un’occhiata frustrata che naturalmente lei ignorò.

“Buongiorno anche a lei, principe” gli disse ironica e Ranma ebbe almeno la decenza di arrossire imbarazzato.

“Sì… buongiorno.”

“Allora, come si sente, sua grazia? Pronto?” gli domandò Obaba e lui annuì deciso.

“Sono impaziente di cominciare!”

“Non avevo dubbi in merito, però mi domandavo una cosa… Rammenta quel che dicemmo qualche giorno fa, circa il provocar danni?”

Ranma annuì, consapevole di cosa l'anziana maestra volesse dire. “Sì, lo ricordo. E’ arrivato il momento di farne… e non nel dojo” con il capo fece un cenno verso la sala dove si erano allenati fino al giorno prima.

“Occorre quindi recarci in un luogo più ampio e dove, possibilmente, non arrecheremo disturbo a nessuno” confermò l’amazzone.

“Un intero bosco ti pare un luogo abbastanza ampio e solitario, maestra?” tutti si volsero verso Ryoga che pareva aver recuperato l’uso della parola.

“Ci avevo pensato anch’io, nella parte destinata alla corte, nel bosco, vi è uno spiazzo abbastanza grande. Solitamente viene usato come punto di ritrovo per le partite di caccia di nostro padre, ma per oggi non ne sono previste” spiegò Ranko e Ranma annuì.

“Sì, è effettivamente il luogo migliore, ma resta comunque da stabilire come faremo a lasciare il palazzo inosservati.”

La principessa fece una smorfia sarcastica, incrociando le braccia al prosperoso seno. Anche lei indossava abiti pratici, molto simili a quelli di suo fratello, ma diversi nel colore: neri quelli del ragazzo, di un rilucente turchese i suoi. “Come se ti fossi mai posto un simile problema…”

“Io no, ma credo, anzi, sono certo che purtroppo tu voglia unirti a noi e la tua assenza risulterebbe ben più strana, soprattutto per nostra madre” le rammentò pungente il principe: sperava ancora di liberarsi di quella mocciosa, pur sapendo che era impossibile. Il sorriso smagliante che lei gli rivolse confermò l’amara certezza.

“Oh, non temere, ho già predisposto tutto con Maya: se qualcuno dovesse cercarmi, dirà che sono impegnata nei miei studi e che non desidero essere disturbata. Vedrai, nostra madre tiene così tanto a che impari l’etichetta che non vorrà interrompere i miei sforzi per l’apprendimento.”

Ryoga sospirò, alzando gli occhi al cielo. “Tu che ti applichi zelante nello studio dell’etichetta? Giusto la zia potrebbe crederci nella sua ingenuità!” commentò poco convinto, ma lei parve pienamente soddisfatta della propria menzogna.

“Già me la immagino, tutta compiaciuta esternare a Maya la sua felicità perché sua figlia si comporta da perfetta fanciulla!”

“Tu non sai cosa sia la vergogna, cugina… gongolare in quel modo per aver mentito alla propria madre, nemmeno Ranma arriverebbe a tanto!”

“Bando alle ciance!” sbottò il sunnominato erede al trono “Abbiamo già perso troppo tempo. Usciremo divisi, tutti insieme daremmo troppo nell’occhio: tu – indicò Akane – verrai con me, sei la mia schiava e non troveranno nulla di strano che ti conduca a spasso per il palazzo.” Ranko in cuor suo pensò che chiunque conoscesse suo fratello avrebbe trovato invece molto strana una simile cortesia, ma non osò proferir parola.

“Ranko, tu verrai con la maestra Obaba e tu, Ryoga, devi cercare Taro e quando l’avrai trovato… o meglio, quando ci avrai sbattuto contro – un grugnito infastidito fu il fugace commento a questa frase da parte del povero ragazzo – ti farai portare allo spiazzo: non tentare di venirci da solo, non possiamo aspettarti per tutto il giorno!”

“Idiota… comunque a quest’ora sarà tornato dalla sua visita, probabilmente starà assegnando le mansioni alla guarnigione reale. Lo cercherò nel cortile esterno, stamani dovevano essere stabiliti i nuovi turni di guardia nelle garitte all’entrata principale.

“Ottimo, muoviamoci allora… Ehi, Ryoga… il portone principale è dall’altra parte…”

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Il rumore dei loro passi era appena udibile; camminavano lentamente, attraversando i lunghi corridoi dove frenetica invece continuava la vita di corte. Akane era sorpresa di come, per quanto avesse già girovagato per quel palazzo in varie occasioni, scoprisse nuove sale e cortili di varie dimensioni che si susseguivano quasi in una successione ininterrotta, tant’è che ad un certo punto pensò che il principe avesse cominciato a girare in circolo… Quanto grande poteva essere quel palazzo! La stima per il povero Ryoga accrebbe molto in lei in quei lunghi minuti di silenzioso peregrinare: perdersi là dentro non era poi così difficile. Certo, il ragazzo vi viveva fin dalla nascita, però…

Ranma camminava appena qualche passo dinanzi a lei, ogni tanto rispondeva con un semplice cenno del capo ai numerosi inchini che riceveva da parte dei tanti camerieri. Akane notò che questi erano fin troppo indaffarati per prestarle più di un’occhiata distratta, un vero sollievo dopo gli sguardi indiscreti delle donne di servizio a colazione; non aveva mai vissuto in un posto così grande ed affollato, così quel via vai indaffarato la incuriosiva, nonostante la tensione che ancora la pervadeva. Il mattino doveva essere il momento più critico della giornata, valutò la ragazza, quando l’ennesimo paggio le sfrecciò accanto, naturalmente dopo aver salutato con rispetto il principe.

Man mano che proseguivano però il numero di persone che incrociavano diminuì sensibilmente, fino a quando giunsero ad un lungo corridoio buio e deserto che, partendo da un cortile ampio e a pianta circolare, doveva condurre all’esterno; alla fine di esso, infatti, Akane intravide la luce del giorno rischiararne le tenebre, anche se non del tutto. Sempre in religioso silenzio, seguì Ranma quando questi lo imboccò senza esitazione.

Stavolta il suono dei loro passi, urtando contro le alte pareti del corridoio, echeggiò nitido. Akane guardava fisso dinanzi a sé, attirata dalla luce esterna: non amava troppo i luoghi bui e chiusi, forse perché, amaramente, le davano l’idea di una brutta metafora della propria condizione. O forse, chissà, per qualche brutto ricordo relegato nell’inconscio. Senza quasi accorgersene, anelante ad avvertire nuovamente la carezza tiepida del sole sul viso, accelerò il cammino fino a ritrovarsi gomito a gomito con il suo padrone.

Ranma si volse a guardarla e, stupito, notò la sua espressione accigliata, tesa; non che fosse strano vederla così, ma più che arrabbiata, la ragazza gli parve timorosa, intimidita quasi. “Hai paura del buio?” le domandò a bruciapelo, lei lo guardò per qualche istante prima di scuotere il capo.

“No.”

“Sicura?”

“Certo che sono sicura! Non sono una mocciosa… signore.”

Ranma sorrise. Era inspiegabile, ma bastava appena un accenno per farla arrabbiare… e per far ritrovare a lui il buonumore. Lei stimolava proprio il suo istinto guerriero, evidentemente, sfidandolo di continuo con la sua linguaccia e le sue occhiate roventi.  “Non devi vergognartene, sai? Non c’è nulla di male ad avere paura del buio” insisté, prevedendo, o meglio, pregustando già la sua reazione stizzita che non si fece attendere.

“Il mio signore forse soffre di qualche disturbo che gli impedisce di sentire correttamente quanto gli viene detto? Il buio non mi spaventa!” sbottò piantandosi sul posto e stringendo i pugni.

“D’accordo, non occorre andare in escandescenze… Se non è il buio, allora cosa ti fa paura?”

Akane aggrottò le sopracciglia, fissandolo. Non riusciva bene a scorgerne le fattezze, visto che lui dava le spalle all’unica fonte di luce, laggiù in fondo al corridoio, ma era quasi certa che non stesse ridendo. Anzi, a giudicare dal suo tono, sembrava sinceramente curioso e, tanto per cambiare, non intenzionato a prendersi gioco di lei. Disorientata, Akane abbassò lo sguardo sui piedi che non poteva vedersi e si strinse nelle spalle. “Non lo so…” mormorò poi.

“Non è possibile che tu non lo sappia! Avanti, cos’è? I ragni? I topi? Gli insetti o… i fantasmi?” a quell’ultima ipotesi, la ragazza inarcò un sopracciglio.

“I fantasmi non esistono, signore” affermò con sicurezza.

“Allora cosa?”

"Non capisco perché le interessi saperlo… cos’è, cerca un nuovo metodo per torturarmi? Che so, se le dicessi che mi fanno paura le rane, me ne farebbe trovare una sul cuscino ogni notte?” Ranma batté le palpebre, sconcertato. Non aveva mai conosciuto una persona più prevenuta di quella testona! “E comunque non c’è nulla che mi fa paura…” continuò lei, stringendosi nelle spalle.

“Tutti hanno paura di qualcosa…”

Anche lei, Signore?”

Ranma assottigliò gli occhi, che andavano man mano adattandosi alla penombra. L’aveva sentita, oh sì, eccome se l’aveva sentita quella piccola, subdola nota maliziosa nella sua voce… Quella finta innocenza nella domanda… voleva prenderlo in giro, la furbastra. “Io sono l’eccezione che conferma la regola. Non ho paura, di niente e di nessuno!” mentì chiaramente, ma a che scopo rivelare la propria avversione per i gatti quando lei era stata tanto restia a confidargli la propria?

“Allora, Signore, evidentemente le eccezioni alla regola sono ben due, contando anche me” e così, con quella frase lapidaria, lo superò per rimettersi in cammino e a lui non restò che seguirla. 

A sorvegliare il portone vi erano solo due guardie essendo quella uscita la meno frequentata del palazzo e, infatti, quando i due ragazzi vi si approssimarono, i soldati parvero stupiti di ritrovarsi a cospetto del principe, prima di scattare diligentemente sull’attenti.

“Sua altezza!” salutarono in coro, stringendo la lancia che portavano con loro al petto, spiccio Ranma agitò la mano.

“Riposo… Se qualcuno dovesse venire a cercarmi, nessuno di voi mi ha visto, d’accordo? Non voglio essere disturbato.” A giudicare dall’occhiata che i due si scambiarono, non fu difficile capire quale fosse, a loro parere, il motivo di una simile richiesta…

Akane avvampò quasi quando, simultaneamente, i due militari la guardarono e, sempre all’unisono, sul loro volto glabro andò disegnandosi un sorrisetto che lei etichettò da perfetti pervertiti. Sentì le mani pruderle, avrebbe voluto prenderli a pugni e gridar loro di non immaginare quello che, con evidente diletto, stavano fantasticando, ma prima che potesse farlo, Ranma parlò nuovamente. “Andiamo Akane” le disse rimettendosi in cammino e privandola dell’occasione di spiegare come stavano le cose a quei maniaci sogghignanti.

“Ora crederanno chissà che!” sbuffò, camminando veloce e a testa bassa, mentre le guance le si coloravano per lo sdegno.

E allora? Non dimenticare che più in giro si pensa che io mi diverta con te, più la tua presenza nella mia camera sarà spiegabile.

“E questo che significa?! Solo perché sono la sua schiava, non significa che io e lei… che noi, ecco… insomma… – incespicò con imbarazzo sulle parole, poi sospirando allargò le braccia – Dov’è questo cavolo di spiazzo?” chiese arrendendosi.

“Ad appena un miglio da qui, in quella direzione” le indicò un punto imprecisato verso est, ma la ragazza non vide alto che alberi ed alberi a perdita d’occhio. 

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Dopo aver camminato per quello che le era sembrata un’eternità, finalmente i due giovani giunsero alla sospirata radura, una macchia brulla tra una vegetazione altrimenti fitta e lussureggiante.

Dopo essersi addentrati nelle prime file d’alberi, Akane era passata dall’ammirazione per quello spettacolo della natura, all’esasperazione: quel bosco sembrava infinito ed era impervio quasi quanto una giungla! E pensare che il giorno prima le era parso così bello, visto da lontano…

Gli alberi erano talvolta così vicini da sembrare un’unica parete legnosa e le loro radici sembravano spostarsi di proposito per farla inciampare, quasi comparissero all’improvviso tra i suoi piedi. Le chiome folte impedivano al sole di filtrare libero e l’aria si era fatta improvvisamente pesante, carica di umidità; sotto lo strato di foglie che copriva quasi interamente il suolo, sembrava strisciare ogni sorta di piccoli animali ed Akane non aveva voluto farsi troppe domande sulla loro natura: come aveva detto, non aveva paura degli insetti, ma questo non significava che amasse sentirseli passeggiare sotto i piedi. Frotte di insetti volanti, a completare il quadro, sembravano trovarla di loro interesse e più di una volta aveva dovuto scacciarne qualcuno di più intraprendente che, ostinato, aveva cercato di infilarsi in uno degli orifizi che le ornavano il volto… E poi parlavano delle bellezze della natura incontaminata! Quel posto era un inferno!

Con rabbia notò invece come il suo padrone pareva ritrovarcisi a perfezione: schivava agilmente le radici, ignorava gli animali e, cosa ancora più irritante, questi sembravano ignorare lui! Con passo sicuro avanzava nella fitta vegetazione nemmeno si trovasse in camera sua…

Lo spiazzo era piuttosto ampio e la giovane dovette convenire sul fatto che fosse semplicemente perfetto per allenarsi. La spianata era circolare ed il terreno duro e solido, per nulla polveroso; alcune rocce costituivano l’unica asperità.

Attesero pochi minuti, Akane seduta proprio su una di quelle rocce e Ranma che a grandi falcate sembrava voler misurare il pianoro, quando spuntando silenziosamente dal bosco alle loro spalle, giunsero Obaba e la principessa. A nessuno sembrò strano il ritardo di Ryoga, anzi, soprappensiero, Ranma si chiese se avesse già trovato Taro, pur dubitandone fortemente; anche la vecchia amazzone trovò il posto più che adatto al loro scopo e sorridendo lo rassicurò che lì avrebbe potuto scatenare tutti i Draghi nascenti che desiderava. “Sempre che ne sia in grado…” aggiunse maliziosa, meritandosi un’occhiata in tralice dal giovane.

“Altrochè se ne sarò capace… Obaba, alla fine di questa giornata lei sarà costretta ad ammettere che io sono stato il suo allievo migliore!” asserì tracotante.

Pfui…” fu il commento silenzioso, ma non troppo, di Akane.

Mentre aspettiamo quei due idioti, perché non mi spiega quello che mi aspetta?”

“Farò di meglio, altezza, le spiegherò il segreto del Drago, la sua anima – lo sguardo di Ranma parve illuminarsi a quella prospettiva – Vede, gli elementi essenziali affinché lei possa scatenare una simile potenza sono già nelle sue mani. Lei ha già tutto quello che le serve.”

La piccola donna si sedette comodamente su una delle rocce e dopo aver frugato in una delle ampie maniche del suo abito verde, ne tirò fuori una pipa sottile e semplice che cominciò a fumare con evidente gusto. “Il segreto della tecnica non è la forza del combattente, principe… anche se essa è capace di scatenarne molta, potente ed inarrestabile. Il segreto non sta nel braccio, ma nella mente. Il Cuore di ghiaccio, che lei ha faticosamente appreso, quello è il vero segreto.

Ranma distrattamente si carezzò il capo, dove poteva sentire sotto le dita alcuni ricordini lasciati dal bastone della vecchia: sì, lo aveva appreso proprio con fatica e dolore…

“Non deve far altro che metter insieme i pezzi e il gioco è fatto. Il Cuore di ghiaccio fa sì che il suo spirito si mantenga freddo, immune allo spirito combattivo che invece alberga nell’animo del suo sfidante e più esso è esacerbato, più il Drago sarà potente. Il freddo e il caldo, la calma e l’irruenza, la lucidità e la furia combattiva… lati della stessa medaglia che si attraggono in un abbraccio indissolubile, capace di spazzare via intere città, se l’energia in ballo è quella giusta.

“Non credo di aver capito granché…” ammise a quel punto il ragazzo, quasi perso in quelle spiegazioni così astratte.

“Si è mai chiesto perché proprio la spirale?” domandò la vecchia, sbuffando fuori una piccola nuvoletta di fumo dall’odore pungente.

“Per riuscire a tenere a distanza i miei avversari, desumo” rispose pronto.

Anche, ma non è per quello che la spirale ha un tale andamento, dall’esterno all’interno… - con la punta del bastone, Obaba tracciò una piccola voluta sul terreno – essa ha uno scopo ben preciso, altezza: attira…”

“Eh? Attira? Cosa?”

“Lo spirito combattivo, la violenza, il furore… Il Cuore di ghiaccio crea una sorta di vuoto all’interno della spirale, un vuoto energetico che va riempito, colmato in qualche modo.

“Ed esso viene colmato dall’energia combattiva degli avversari?” domandò Ranko affascinata, osservando il piccolo tracciato.

“Sì, esattamente sua grazia. La spirale attira lo spirito combattivo ed il suo senso rotatorio lo fa avvolgere su se stesso, creando il portentoso vortice che lei, principe Ranma, ha visto scatenarsi al serraglio.

Il ragazzo rifletté su quelle parole, rammentando anche quanto Akane gli aveva detto la sera prima… forse aveva intuito cosa volessero dire quelle parole fino a quel momento incomprensibili. La riuscita della tecnica era effettivamente nelle mani degli altri, o meglio, nella loro foga combattiva.

“Io attiverò il Drago nascente effettuando la spirale e mantenendo inalterato il mio stato spirituale, fino a quando il mio avversario non resterà prigioniero della sua stessa energia combattiva… è questo ciò che devo fare quindi? Attirare gli altri in trappola?”

“Beh, se vuole metterla così…”

Ma come s’innesta il tutto? Come posso far sì che la forza del Drago si sprigioni, una volta giunto alla fine della spirale, al suo culmine? Cosa dovrei…”

“Questo lo scoprirà dopo, appena i suoi amici si saranno presentati. Il loro apporto è essenziale.”

Ranma allargò le braccia, sconsolato. “Di nuovo?! E cosa dovrebbero fare stavolta? Ricordarmi quante volte ho fatto la pipì a letto da bambino, magari?”

Il ventre della saggia amazzone vibrò per la risata fragorosa che la scosse. “Oh no, niente del genere! Niente più attacchi vergognosi per lei, stia tranquillo, maestà! Stavolta si tratterà di attacchi veri e propri… In fondo è una bella mattina per un combattimento, non trova?”

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La spiegazione di quello che avrebbero dovuto fare Ryoga e Taro fu incredibilmente rapida e semplice. Senza perder tempo in preamboli, l’anziana guerriera si parò loro dinanzi, appena questi ebbero superato l’ultima linea alberata.

“Dovrete scagliarvi contro il principe, senza alcun riguardo” ordinò con voce ferma ed intransigente. Il capitano della guarnigione reale si strinse nelle spalle e senza chiedere ulteriori chiarimenti, cominciò a liberarsi del mantello, mentre Ryoga fu alquanto perplesso.

“Dobbiamo lottare con Ranma? Soltanto questo?” chiese stupito.

“Sì padrone, solo questo. Sua grazia non vi opporrà alcuna resistenza, anzi, non accennerà nemmeno a difendersi… Faccio affidamento su voi, mi raccomando!”

Quella poi! Attaccare Ranma, in due, mentre lui non si difendeva? Troppo bello per esser vero, magari quello era il giorno che l’avrebbe visto trionfatore, pensò Ryoga sulle prime, ma mentre si avvicinava alla sua vittima, cominciò a sentirsi turbato.

Aveva voglia di sconfiggere Ranma, era logico, ma… ma non così. Sotto lo sguardo attento di Akane, per giunta! Comportarsi in maniera così opportunista e scorretta non era da lui: si era sempre vantato di essere un combattente onorevole. Sapeva che se la vecchia Obaba gli aveva impartito tali istruzioni doveva essere per un motivo, ma nonostante questo l’idea non gli piaceva eccessivamente, anzi, per nulla. E non era l’unico a trovare da ridire. Ranko infatti non sembrò affatto contenta quando, con altrettanta perentorietà, l’amazzone la escluse dal combattimento; la ragazzina protestò vivacemente, ma né le sue minacce né tanto meno le sue suppliche ammorbidirono la precettrice.

Ma perché? L’assicuro che sono perfettamente in grado di…”

Un cenno netto della mano raggrinzita zittì quell’ultima protesta. “Non metto in dubbio la sua capacità, altezza, ma le assicuro che in questo particolare caso lei non può essermi utile. Sono certa che il suo pregiato fratello non vorrà mai provare un simile attacco nei suoi confronti, principessa, e il timore che possa accaderle qualcosa intaccherebbe irrimediabilmente il Cuore di Ghiaccio” lanciò un’occhiata al giovane che annuì.

“Per quanto tu sia brava, potresti davvero farti del male… e chi lo sentirebbe poi nostro padre! Per una volta dammi ascolto: stanne fuori. Di fronte a tanta risolutezza alla ragazza non restò che arrendersi; Ranma comunque non aveva finito. “Anche tu” asserì rivolto ad Akane che, stupita, provò a ribattere, ma anche lei fu messa a tacere da Obaba.

“Credo che a sua grazia sia bastato infrangere i suoi principi una volta. Il padrone e il Capitano saranno più che sufficienti mia cara, senza che sia costretto a battersi con una donna, di nuovo.”

Rassegnata Akane annuì, non dopo aver dedicato al suo padrone un’occhiata rovente; quel ragazzo aveva principi alquanto volubili secondo il suo modesto parere, visto come li aveva rigirati più volte a proprio vantaggio. Risentita, ma compiendo uno sforzo immane per non darlo a vedere, si fece da parte e, sedendo su una delle rocce più discoste, si apprestò ad assistere allo spettacolo.

I tre combattenti si disposero gli uni di fronte all’altro, pronti a cominciare al segnale dell’amazzone che dopo averli osservati un’ultima volta, li mise in guardia.

“Non mi aspetto di vedere un Drago nascente al primo tentativo, anzi, desumo che più di uno ne occorrerà affinché esso possa palesarsi questa stessa mattina, ma mi aspetto grande impegno da voi tre, signori. Principe, lei rammenti che oltre al suo spirito, anche il suo corpo dovrà esser immune ad ogni emozione. Un corpo di ghiaccio che faccia da paio al Cuore di ghiaccio… lo rammenti sempre e una volta giunto al culmine della spirale, le rivelerò l'ultimo fondamentale segreto – Ranma annuì con un cenno del capo, mentre raccoglieva tutta la propria concentrazione – E per quanto riguarda voi, non abbiate remore nell’attaccare il vostro amico, nessuna esitazione” li osservò a turno, soffermandosi su Ryoga che distolse subito lo sguardo. “Bene… Cominciate!”

Così accadde. Accadde proprio quello che la saggia Obaba in realtà si era aspettata, vale a dire nulla di nulla. I combattenti scattarono quasi all’unisono, ma fu subito palese che tranne una grande confusione, niente sarebbe nato da quello scontro. Non avevano compiuto che pochi passi che, sospirando, la maestra li aveva fermati.

“Dov’è finito il vostro spirito combattivo?” domandò loro, osservandoli severamente “E lei, ragazzino, fa’ un gran parlare, ma il suo Cuore di ghiaccio dov’è? Posso ancora avvertire la sua aura!” Ranma sbuffò, ma annuì non potendo negare l’evidenza “Ricominciamo!”

Per quante volte provassero, per quanto impegno potessero metterci, il risultato era sempre lo stesso: nulla di fatto. Grazie alla spirale, Ranma poteva egregiamente tenerli a bada, anche se Taro lo impensieriva particolarmente; sembrava l’unico a non farsi problemi ed ogni suo colpo mirava a fargli male, molto male. Man mano che i minuti passavano ed i tentativi si susseguivano senza successo, la frustrazione aumentò nel giovane ed anche la minima parvenza di freddezza sparì in lui.

Obaba scosse il capo, nonostante avesse previsto quell’evolversi dei fatti, non si era però aspettata tanto, e cioè che la prodigiosa e centenaria tecnica del Dragone, capace di spazzare via intere schiere di nemici, si trasformasse in una zuffa caotica e, in fin dei conti, totalmente inutile. Provò a richiamare i vari combattenti all’ordine, ma la confusione della loro lotta era così clamorosa che non la udirono. Rassegnata, inspirò a fondo e rafforzò la presa ossuta sul bastone, evidentemente non c’era altro modo.

Puntuale come sempre, il bastone calò violento su quelle testacce dure, risparmiando Taro perché, a detta della vecchia guerriera, era l’unico a comportarsi adeguatamente. “Voi invece dovreste vergognarvi di farvi chiamare combattenti!” Ranma e Ryoga si scambiarono un'occhiata perplessa, massaggiandosi il capo offeso. “Si può sapere a cosa state pensando?! Non siamo qui per dilettarci! Da lei sua grazia mi sarei aspettata più impegno, ma anche lei, padron Ryoga… perché esita tanto? So che è un ottimo combattente eppure si sta trattenendo, perché mai?”

Il ragazzo arrossì e ad occhi bassi incassò quasi il capo tra le spalle borbottando delle scuse a metà voce. “Se lui non si difende io non riesco a… a fargli del male. Mi da l’idea di… di combattere contro un inerme…” confessò con un pizzico di vergogna. Il pugno di Ranma che lo spedì, dolorosamente, dall’altra parte dello spiazzo non servì del tutto a fargli capire quanto sbagliata fosse la propria percezione.

Obaba scosse il capo con frustrata pazienza e allargò le braccia mentre il suo padrone si metteva seduto “Ah, ragazzo mio, questi sentimenti in un altro momento le avrebbero fatto onore, ma ora… Senza la sua volontà combattiva, la spirale assume più l’aspetto di una danza che di una tecnica micidiale.”

“Mi spiace Obaba, ma è più forte di me: non riesco a combattere senza uno scopo… e a condizioni tanto indecorose per di più!” niente e nessuno lo avrebbe costretto a comportarsi da vigliacco di fronte ad Akane, mai e poi mai. Poteva quasi avvertire lo sguardo della ragazza puntato su di lui e per quanto suo cugino avrebbe detto o fatto, sarebbe rimasto insensibile ad ogni offesa, pur di conservare l’idea che credeva la ragazza amata avesse di lui.

Si rialzò e, con quanta dignità potesse, si pose dinanzi ad un Ranma stranamente calmo, eppure avrebbe dovuto esser furioso…Oppure sta macchinando qualcosa’ pensò Taro, osservando la scena alquanto divertito. Aveva ragione.

“Vuoi uno scopo per combattermi allora… tutto qui? E’ solo questo che ti serve, cugino, un pretesto per volermi sconfiggere?” lo sguardo dell’erede al trono in quel momento non prometteva nulla di buono al povero Ryoga che non rispose, fermo sulla propria decisione. “Allora facciamo così… - un sorriso sfacciato distese i tratti di Ranma – ricordi di cosa abbiamo parlato stamani, a colazione, vero? La vuoi ancora?”

Gli occhi di Ryoga si dilatarono per lo stupore: possibile che… che stesse parlando di Akane? Nervosamente l’eterno disperso lanciò un’occhiata alla ragazza ancora seduta al suo posto, una leggera patina di sudore gli imperlò la fronte, mentre la gola gli s’inaridì; non voleva farsi ingannare da Ranma, lo conosceva, sapeva quanto abile fosse a sfruttare le debolezze altrui e, in effetti, la giovane dagli occhi profondi era al momento il suo più grande punto debole…

“Sii serio, Ranma! Non è da te scherzare su certe cose!” ma l’altro ragazzo non era mai stato tanto serio.

Con la solita spavalderia incrociò le braccia al petto e lo fissò dritto in viso. “Combatti con me e se riuscirai a sconfiggermi, Akane diventerà la tua schiava.

Nel silenzio attonito che seguì l’incredibile dichiarazione, non solo Obaba si rese conto di come d’improvviso l’aura del proprio padrone avesse cominciato a divampare incontrollata. Desiderio, voglia di rivalsa e bramosia colmavano il giovane, persino i suoi occhi sembravano ardere.

“Manterrai la parola?” domandò cupo, mentre sembrava che ogni muscolo del suo corpo s’irrigidisse pregustando la battaglia; Ranma annuì altrettanto greve e bastò quel piccolo cenno a dar il via alla nuova sfida, Ryoga infatti scattò fulmineo prima ancora che Obaba avesse il tempo di dir nulla, se mai avesse potuto dir nulla per fermare quella follia.

Amareggiata osservò il proprio padrone scagliarsi contro l’altro ragazzo che, ne era certa, avrebbe pagato cara la propria avventatezza: per quanto abile, il principe non conosceva ancora tutto della tecnica, non poteva affatto padroneggiarla… Sfidare in quel modo il cugino, provocandolo affinché il suo spirito battagliero ardesse incontrollato era da folli!

Con occhi attenti osservò la lotta dei due, valutando come apparisse diversa dalle pantomime precedenti: per quanto Ranma fosse più veloce dell’altro, non potendo contrattaccare, si limitava solo a difendersi, ma lo sforzo per rimanere impassibile lo lasciava alquanto scoperto, facile preda del suo rivale che, come accecato, continuava imperterrito ad attaccarlo, ignaro di essere stato inghiottito dalla spirale che il principe ad ogni modo stava tracciando.

Un pugno violento colpì pesantemente il principe al volto, quasi gettandolo a terra e fu solo grazie alla propria velocità che riuscì ad evitare d’esser colpito più duramente. Dritta accanto ad Akane, Ranko osservava il combattimento con ansia; le piccole mani erano strette l’una all’altra e ad ogni singolo, rabbioso, colpo che si abbatteva su suo fratello sussultava. Avrebbe voluto chiedere ad Obaba di interrompere quella sfida insensata, ma temeva che Ranma non gliel’avrebbe mai perdonato, ora che tutto andava come previsto: l’animo combattivo di Ryoga, combinandosi con il suo Cuore di Ghiaccio stava effettivamente attivando il Dragone; un’energia palpabile infatti permeava ora lo spiazzo, dilatandosi nell’aria come cerchi sull’acqua. Nonostante la paura, la giovane principessa non poté evitarsi d’ammirare quel prodigioso evento…

Quando un altro pugno colpì il fratello al ventre stavolta, facendogli contorcere il volto per il dolore, non resistette e angosciata urlò il suo nome. Fece per avvicinarsi ai due duellanti, ma una presa solida alla spalla la bloccò. Non si era accorta nemmeno che il capitano delle guardie le si fosse avvicinato.

“Potresti essere coinvolta dal vortice” le disse con voce incolore, gli occhi fissi sugli altri due ragazzi.

Ma… Ranma non sa ancora come attivare il Dragone! Quando arriverà al culmine della spirale lui non saprà cosa fare! Dobbiamo fermarlo o Ryoga gli farà del male!”

“Non si preoccupi principessa, il padrone sta comportandosi egregiamente. Akane, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, le sorrise con dolcezza; per quanto apparisse sicura di quanto appena dettole, Ranko non se ne sentì affatto risollevata. Ranma stava prendendole, e tante per giunta, come poteva affermare con tanta sicurezza…

Un urlo improvviso strappò la principessa a quelle considerazioni e di slancio tornò a voltarsi verso suo fratello… giusto in tempo per assistere, per la prima volta in vita sua, alla nascita di un perfetto, potentissimo, Dragone. Il corpo di Ryoga parve quasi esser senza peso quando fu sollevato in aria da una forza invisibile, forza che con uguale semplicità sembrò giocare con lui, facendolo mulinare vorticosamente in una sorta di turbine ad un tal punto veloce che quasi era impossibile distinguere il povero ragazzo che, sotto lo sguardo sempre più stupefatto di Ranko, fu scagliato via con feroce violenza. Attonita, lo vide impattare rovinosamente al suolo sollevando nubi di polvere, mentre decine di metri distante, al centro di un vero e proprio cratere, Ranma piegato sulle gambe per la fatica, teneva il braccio destro ancora rivolto al cielo. Ce l’aveva fatta, proprio come aveva previsto Akane… Certo, era ridotto in condizioni pietose, ricoperto di ferite e con gli abiti a brandelli, ma ce l’aveva fatta. Era davvero un testone…

Sorridendo e scuotendo la testa, la principessa pensò fosse il caso di occuparsi di Ryoga che, era facile prevederlo, non doveva essere in condizioni migliori, anzi, da quando era caduto a terra, non si era ancora mosso probabilmente doveva aver perso i sensi, o almeno, Ranko lo sperò: esser coinvolti in quel vortice per poi esser scagliati via non doveva esser piacevole. Così, seguendo Taro, si diresse verso la figura immota del suo distratto cugino. Akane, invece, si alzò dal suo posto e dopo essersi liberata dalla polvere con calma quasi inspiegabile, si avvicinò alla sua maestra che, ancora incredula, stava complimentandosi con il principe, a fatica venuto fuori dalla voragine che lui stesso aveva creato.

“E’ davvero stupefacente sua grazia! Ha eseguito il colpo finale alla perfezione, nonostante non le avessi detto ancora nulla in merito!” raramente la giovane schiava aveva visto la vecchia Obaba tanto entusiasta; doveva convenirne, il padrone aveva superato anche le proprie aspettative. Durante il combattimento, nonostante l’apparente difficoltà, Akane aveva notato come non avesse mai perso la concentrazione e come, seppur fatto bersaglio di colpi tremendi, non avesse smesso nemmeno per un attimo di tracciare la spirale, attirando l’altro fino a quando, alla fine, aveva agito d’impulso e aveva vinto. Aveva vinto…

Il cuore le batteva così forte contro il petto da farle quasi male, quando con occhi lucidi per un’emozione sconosciuta, lo guardò rimettersi in piedi; tremava visibilmente e a giudicare dalla sua espressione, le ferite dovevano fargli molto male, soprattutto il colpo allo stomaco doveva dolergli, quando vi poggiò le mani infatti non trattenne un gemito sofferente.

“Mi sento come se fossi stato investito da una mandria di bufali selvatici…” commentò con il fiato corto, tenendo gli occhi serrati.

Padron Ryoga non c’è andato leggero. Per un attimo ho dubitato di lei, sua grazia, ma mi ha smentito nel miglior modo possibile. Come ha fatto a capire che solo un pugno montante inferto con un moto rotatorio, avrebbe creato il vortice?”

Ranma riaprì gli occhi e, sospirando, si strinse nelle spalle. “Istinto, credo. Non ci ho pensato…”

Un sorriso a metà tra il tenero ed il rassegnato distese il viso dell’amazzone che scosse la testa. “Ah, lei è davvero avventato… Capace, ma avventato. Sa che poteva non funzionare? Avrebbe perso…” senza esitazione il ragazzo spostò gli occhi vividi su Akane e la fissò con una tale intensità che la ragazza non poté evitarsi di arrossire.

“Non sarebbe mai capitato. Non l’avrei mai permesso.”

  
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