It takes me higher
di Breed 107
Capitolo nono.
Akane si
poggiò alla balaustra in pietra e sollevando il capo verso il cielo che andava rischiarandosi,
osservò il volo delle rondini che sfrecciavano come ebbre di libertà. Seguì le
loro imprevedibili parabole aeree con meraviglia, ma anche con una punta
d’amarezza.
Sorrise con ironia pensando a quanto patetica fosse nel provare
invidia per quegli animali. Che cosa banale dopotutto, essere
gelosa di creature simbolo della libertà stessa…
Scosse
il capo e sorridendo senza allegria, si fregò le mani contro le braccia
lasciate scoperte dalla veste bianca che usava come
camicia da notte. Era di lino, confortevole al tatto, ma certo non offriva
granché riparo dal rigore di quell’alba primaverile. Il sole non era ancora
alto, nonostante le ombre della notte fossero sparite e l’aria era alquanto
frizzante. Nonostante questo però era piacevole starsene lì,
sul quel balcone, a non far altro che osservare delle rondini impazzite
svolazzare senza apparente meta; ed anche il cortile sotto di lei era pieno di
vita nonostante l’ora acerba: paggi scorrazzanti, camerieri impegnati già nelle
loro mansioni, schiavi che si affaccendavano prima del risveglio dei loro
padroni. Non immaginava che quel posto fosse così attivo fin dall’alba,
forse perché quella era la prima volta, dal suo arrivo, che si svegliava tanto
presto. Il sorriso, pur fasullo, che le adornava il volto svanì, al pensiero
dei suoi precedenti risvegli… soprattutto quello imbarazzante
del giorno prima, quando si era ritrovata tra le braccia del suo
padrone, con un pubblico per giunta. Ah, sentiva il viso ardere al sol
pensiero! E pensare che non era l’unico ricordo a
farla arrossire quello, anzi.
Si morse
le labbra e, quasi a fatica, si separò dalla balaustra, per quanto piacevole
non poteva restarsene là fuori in eterno. Doveva rientrare e magari prepararsi
per quello che sarebbe stato un giorno impegnativo. Il giorno in cui il
principe Ranma avrebbe finalmente appreso la tanto agognata
tecnica. Pur se scocciava ammetterlo, il ragazzo era stato davvero in
gamba e, come predetto, aveva imparato i precedenti passi d’avvicinamento al
pieno apprendimento del Dragone ad una velocità impressionante… Era davvero un
ottimo combattente, si disse rientrando lievemente in
camera. E oggi, infine, tutto sarebbe finito. Forse
anche la sua permanenza in quel luogo, anzi, era probabile, visto che il
padrone non vedeva l’ora di liberarsi di lei.
Scivolando
quasi sulla liscia superficie del pavimento, Akane si accostò al letto e per
alcuni istanti restò a fissare la persona che lo occupava. Già, quasi
sicuramente quella era l’ultima mattina che si risvegliava lì… Non che fosse un
male, per nulla! Non aspettava altro che essere assegnata al servizio di Ranko,
o della Regina… insomma, di chiunque non fosse lui,
quell’arrogante, superbo, tracotante che… che quando dormiva aveva un’aria
assolutamente mite, quasi innocente, davvero sorprendente. Curiosa, Akane
aggirò il letto e, con passetti incerti e cauti, si approssimò al lato dove
Ranma dormiva. Quando fu certa che non stesse per svegliarsi, si chinò verso di
lui per poterlo osservare meglio, non immaginando nemmeno lontanamente di
ricalcare quanto già fatto da lui il giorno prima.
Sembrava così ignaro di tutto,
pensò sorpresa la ragazza, inclinando il capo di lato in modo d’avere una
migliore visuale del volto rilassato di Ranma; dormiva supino, un braccio
abbandonato lungo un fianco e l’altro nascosto sotto il cuscino, probabilmente
a sorreggergli il capo. Il codino quasi del tutto disfatto
era placidamente adagiato sul suo collo, come una collana d’ebano
particolarmente lucida. Un piede sbucava fuori dal
marasma di coperte che lo avvolgevano fino alla vita, penzolando nel vuoto; il
suo petto, fasciato in una casacca di seta chiara, si sollevava ritmicamente, accompagnando il suo respiro tranquillo…
Akane lo osservò appena, per poi concentrarsi sul volto addormentato che, senza
che se ne rendesse conto, le strappò un sorriso quasi intenerito; ebbe la
tentazione di scostargli le ciocche disordinate che gli si arruffavano sulla
fronte e che ricoprivano i suoi occhi chiusi, orlati da ciglia quasi troppo
lunghe per un ragazzo, ma per fortuna represse quell’istinto inspiegabile.
Ammirò il naso dritto, simile a quello della regina e il bel colorito che gli
sfumava le guance. E poi le labbra, appena schiuse… Akane aggrottò le sopracciglia e perplessa, sollevò lentamente una mano fino
a sfiorarsi il volto, proprio lì dove lui la sera prima… Era la sua fantasia o
quel punto le sembrava più sensibile del resto? Probabilmente era solo folle
suggestione, ma con una punta di panico Akane pensò di avvertire ancora il
tocco delle sue labbra, così vicino alle proprie… Che stupida! E poi, detta così, sembrava che quel bacio le fosse piaciuto
e che, per assurdo, fosse stato in qualche modo importante per lei. Che immane sciocchezza!
Era stato un semplice,
irrilevante bacio, ecco… Dato per puntiglio, per giunta, quindi nulla per cui sentirsi turbata. Affatto… non c’entrava nulla
quell’insignificante tocco con il fatto che non fosse riuscita a dormire…
Certo, lui era stato inaspettatamente riguardoso nei suoi confronti, ma forse
era lei a sbagliarsi, scambiando l’avversione con il rispetto. Il suo padrone
non la sopportava, non l’aveva baciata proprio per questa repulsione, e non per altro. Non doveva illudersi
sul suo conto e poi… e poi non aveva dedicato la propria esistenza all’odio per
il proprio padrone, per colui che osava possedere il
suo futuro? A cosa aggrapparsi, se non a questo astio
dal momento che il suo passato e presente le erano stati portati via? Fino a
quando avrebbe avuto la rabbia a cui far affidamento, sapeva di poter resistere
a tutte le angherie che costellavano la sua esistenza.
A volte
aveva quasi desiderato non sapere nulla delle proprie origini, del misfatto che
l’aveva resa schiava ed orfana probabilmente, perché almeno in quel caso
avrebbe potuto dir addio al risentimento che costantemente la spingeva avanti,
ma che altrettanto tenace la sfiniva. Ma era un desiderio vano e superficiale:
era grata di aver incontrato Obaba lungo la sua strada, grata che,
raccontandole la verità, la vecchia amazzone le avesse dato un motivo per
vivere… In fondo era molto più di quanto potessero avere persone considerate
più fortunate di lei: un senso alla propria esistenza,
fosse pure la vendetta e la voglia di riscatto.
Troppo
persa in quelle considerazioni, Akane non si accorse d’essersi ulteriormente
avvicinata a Ranma; una ciocca dei suoi lunghi capelli scivolò lungo la spalla
della ragazza e prima che potesse evitarlo, sfiorò il viso del principe e
l’impercettibile tocco bastò se non a svegliare lui, a ridestare il suo sesto
senso da artista marziale.
Quello
che faceva di Ranma un ottimo combattente non era solo
la sua voglia infinita di primeggiare ed apprendere nuove formidabili tecniche;
era proprio il suo istinto che, perennemente allerta, lo aveva più volte
salvato da incresciosi agguati.
Suo
nonno, era risaputo, aveva metodi discutibili e deprecabili, che spesso celava dietro l’etichetta buonista di insegnamenti. Con la scusa di comportasi
così per il fine supremo di renderlo il migliore, Happosai aveva più e più
volte teso dei veri e propri agguati al suo nipote prediletto, molti dei quali
avevano avuto come scenario proprio la camera da letto del ragazzo. Per anni
Ranma aveva dormito col classico occhio aperto, fino a quando
non aveva sviluppato una sorta d’istinto protettivo che funzionava alla grande,
soprattutto quando dormiva. Negli ultimi tempi della permanenza del vecchio re,
il ragazzo era stato capace non solo di fronteggiare gli attacchi mattutini del
vegliardo, ma persino di risolverli a proprio favore: non era
infatti scena inusuale a quei tempi osservare il piccolo sovrano volar
via dalla finestra del nipote, a qualsiasi orario. E tutto questo senza che
Ranma si svegliasse del tutto… Così, quel mattino,
nonostante fossero passati anni dall’ultimo assalto di Happosai, il sesto senso
del principe entrò in azione.
Prima
che Akane potesse capire cosa stesse succedendo, Ranma
scattò e con un vero e proprio balzo, si avventò su di lei; alla ragazza non
restò che lanciare un urlo di sorpresa, urlo comunque smorzato dal peso del padrone
quando i due precipitarono a terra. Per fortuna di Akane,
la loro caduta fu attenuata dai cuscini sui quali dormiva, o l’impatto
certamente sarebbe stato notevole; così, stupefatta, si ritrovò a terra,
pressata dal corpo del ragazzo che non aveva ancora aperto gli occhi, segno che
non fosse del tutto cosciente.
In preda
al panico, provò a scrollarselo di dosso, ma fu bloccata dalla presa solida di
Ranma che le catturò entrambi i polsi nelle proprie mani, impedendole ogni
movimento. Era dannatamente forte, pensò angosciata la povera schiava, che comunque continuò ad agitarsi, spaventata dalla situazione:
quel ragazzo avrebbe potuto davvero farle di tutto! Per quanto si sforzasse, infatti, non riusciva a liberarsi dalla sua
stretta ed era praticamente costretta a terra.
Intanto
Ranma si svegliava; emergendo dal sonno avvertiva chiaramente il nemico che
aveva provato ad attaccarlo agitarsi sotto di lui, nel vano tentativo di
sfuggirgli. Però, si disse, mentre i suoi occhi si
snebbiavano e la sua visuale diveniva più nitida, il nemico era alquanto
morbido… e curvilineo, poteva difatti intuirlo essendogli steso sopra…
Curvilineo?
Finalmente
gli occhi del principe di spalancarono e, ora perfettamente
sveglio, si ritrovò faccia a faccia con un’Akane furiosa. La ragazza infatti lo osservava con vera e propria volontà omicida,
gli occhi le ardevano di sdegno e la bocca era tanto contratta da esser
esangue… Che diavolo ci faceva Akane lì sotto?!
Batté le palpebre un paio di volte, tanto per accertarsi di non star sognando,
poi aggrottò
le sopracciglia. “Che stai facendo?” le domandò, senza
per alto accennare a lasciarla o a scostarsi da lei.
La
schiava sgranò gli occhi furenti e stizzita, provò
nuovamente a scrollarlo via “Che diavolo sta facendo lei, piuttosto! Razza di
maniaco depravato!”
“Eh? Cosa…” senza pensarci (e continuando a non muoversi!) Ranma la
osservò con più attenzione, scrutando non solo il volto che pareva andar in
fiamme, ma anche lo scollo della camicia bianca che lei indossava e che,
probabilmente in seguito alla caduta, era diventato sensibilmente più ampio.
Dallo strappo che ora c’era proprio sul petto, il ragazzo vide più di quanto avesse intenzione e, un po’ da tonto, capì perché gli fosse
parso tanto morbido il corpo su cui si era ritrovato.
Il
pensiero comunque bastò a farlo rinsavire e con un
altro scatto agile, si allontanò da lei di corsa, tanto che nell’indietreggiare
urtò col capo contro il lato del letto, ma non se ne rese conto, troppo
impegnato a fissare la ragazza che quasi sbuffando per l’ira, stava mettendosi
seduta.
“E’
tutta colpa tua! – le urlò contro, rendendosi conto del biasimo del suo sguardo
– Che diamine ci facevi accanto al mio letto?!”
“Colpa
mia?! Mi è saltato addosso all’improvviso,
razza di pervertito! Prima la storia del bagno, ora questo! Non ha alcun
ritegno!” lo ribeccò lei, puntandogli addosso un
indice accusatorio. Il principe alzò gli occhi al cielo, in verità non era affatto sorpreso delle sue accuse: quella ragazza
tendeva un pochino ad esser paranoica per certi argomenti.
“Se avessi vissuto con mio nonno la metà del tempo che vi ho
vissuto io, allora capiresti… Non volevo saltarti addosso! Cioè,
è quello che ho effettivamente fatto, ma non perché lo volessi, l’ho
fatto senza pensarci!” provò a spiegarle con quanta tranquillità potesse in un
simile frangente, ma dallo sguardo torvo che ricevette, capì che nessuna
spiegazione sarebbe servita a convincere quella testa dura. Era davvero
increscioso: da quando quella era lì, le situazioni imbarazzanti si ripetevano una
dopo l’altra! In un angolino remoto della sua testa,
Ranma si chiese se tutti quelli che vivevano con una ragazza andassero incontro
a simili inconvenienti.
Si
grattò nervosamente un sopracciglio, poi sbuffando in maniera plateale cominciò
ad alzarsi; a giudicare dalla luce era giorno da poco e tra le molte cose che
lo attendevano per quella giornata, litigare con la sua schiava per le sue fissazioni non era contemplato.
Vedendolo
muoversi, Akane arretrò istintivamente, portandosi le braccia al petto dove
aveva scoperto con scoramento il nuovo taglio della veste; lo fissò con
maggiore biasimo e, Ranma ne era certo, se avesse
provato ad avvicinarla, padrone o meno, nulla lo avrebbe risparmiato dall’esser
colpito da un oggetto… il tavolino, per esempio, che lei stava adocchiando
proprio in quel momento.
“Senti,
ma non è che la vera maniaca tra noi due sei tu? – si
mise dritto e con noncuranza incrociò le mani dietro alla nuca – Sempre a
pensare a quali sconcezze possa mai farti… insomma,
sei tu a fantasticarci troppo mi sa, dal momento che a me non passerebbe mai e
poi mai per la testa di sfiorarti.” La sua previsione si rilevò errata: Akane
non gli scagliò contro il tavolino, ma per sua fortuna optò
per il primo oggetto capitatele a tiro, cioè un cuscino.
La forza
del lancio fu tale in ogni modo da farlo ricadere all’indietro sul letto e
quando, stupefatto, tornò a guardare verso il pavimento, della ragazza non
c’era traccia: fece appena in tempo a vederla dirigersi verso la sala da bagno,
biascicando alcune parole non proprio adatte ad una fanciulla
bene educata, tra le quali a Ranma parve di udire un nitido ‘idiota’…
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L’uomo
aggrottò le sopracciglia, non riuscendo a celare lo stupore che quanto appena
dettogli aveva suscitato in lui.
“Segreto, Altezza?” domandò,
mentre i suoi occhi grigi vagavano dal plico stretto nella propria mano, al
volto del suo sovrano che pareva esser scolpito nella pietra, tale era la
durezza dei suoi lineamenti. La luce mattutina che filtrava da una delle tante
finestre che punteggiavano la sala accentuava la rigidità dei tratti del Re,
che annuì con un cenno del capo.
“Esatto.
Questa missione resterà un segreto: nessuno, ripeto, nessuno dovrà venirne a
conoscenza, nemmeno il tuo capitano.”
L’uomo strinse le labbra e annuì
a sua volta, conscio della gravità della situazione. Non gli era mai stato
impartito un simile ordine… Tacere al capitano Taro di una tale incombenza era
davvero inspiegabile, ma il soldato fu abbastanza saggio da tener per sé la
propria incredulità.
Stimava il capitano delle
guardie reali e lo reputava un giovane in gamba, nonostante l’età tanto acerba
che in un primo tempo gli aveva fatto dubitare delle sue capacità; si era
ricreduto fino al punto di considerarsi fortunato ad essere un suo sottoposto e
lo avrebbe seguito in ogni frangente, ma… ma il Re era stato chiaro e a lui non
restava che ubbidire e sentirsi perfino orgoglioso per quella che, a tutti gli
effetti, doveva considerarsi una missione delicata e fondamentale.
Genma
osservò l’uomo perplesso dinanzi a sé, ma sapeva di potersi fidare; lo aveva
scelto proprio per la sua fama d’individuo affidabile e discreto, lo stesso
Taro gliel’aveva più volte raccomandato…
“Partirai questa mattina
stessa. Giustificherò io la tua assenza alla guarnigione, di
questo non devi assolutamente preoccuparti. L’unica cosa che conta è che
il plico sia recapitato in fretta, così come pretenderai che ti sia data una
risposta in tempi ragionevolmente brevi… naturalmente userai
tutta la diplomazia possibile affinché il destinatario del messaggio sia
solerte nell’affidarti la sua risposta, non voglio che pensi che sia l’urgenza
o la disperazione a guidare i miei passi.”
L’uomo annuì ancora una volta.
Nonostante le parole del Re, aveva compreso invece quanta premura ci fosse dietro quel plico misterioso che ora giaceva nelle sue
mani. Lo osservò con attenzione, chiedendosi cosa mai vi
fosse vergato di tanto importante. Il timore che contenesse notizie
gravose per il futuro del regno di Augusta gli
ottenebrò lo sguardo per alcuni istanti: in città si sussurrava di disordini ad
est, a Nerima, regno considerato nemico da quando l’usurpatore ne aveva
conquistato la reggenza… e poi, dopo quanto accaduto la sera del banchetto, con
il colpo di testa del principe Ranma… Il generale Kean certo non era partito
con animo ben disposto nei confronti della famiglia reale e questo non deponeva
a favore dei rapporti diplomatici con il regno di Gea.
“Non temere, non sarai latore
di notizie nefaste, anzi, se la risposta che riceverai sarà quella che mi
aspetto, allora avrai reso al tuo regno il più grande dei servigi.” Il Re pareva avergli letto sul viso le preoccupazioni che
la segretezza del suo compito aveva suscitato in lui.
Rinfrancato da tale rassicurazione, il soldato annuì per
l’ultima volta, poi s’inchinò a cospetto di Genma, pronto a congedarsi.
“Partirò immediatamente, Altezza.”
“Bene.
Rammenta: non rivelare a nessuno la tua destinazione, a nessuno. Ora va’… e che
il tuo viaggio sia foriero di buoni auspici.”
Quando il
soldato ebbe lasciato la stanza, Genma poté lasciar andare il sospiro che aveva
tenacemente trattenuto. Non aveva voluto svelare a quell’uomo quanta tensione
lo attanagliasse nel momento in cui gli aveva
consegnato il messaggio. Lo aveva scritto quello stesso mattino, quando da poco
la luce dell’alba aveva inondato benevola la sala dove si trovava in quel
momento.
Data la riservatezza
dell’intera vicenda, Genma aveva fatto convocare il soldato in una delle sue
stanze private: la sala delle Udienze, con il continuo viavai di paggi,
camerieri, dame di compagnia, era un luogo troppo affollato ed indiscreto per
una tale faccenda. E per il momento Genma voleva che
il tutto non arrivasse all’orecchio né di suo figlio, né di sua moglie.
Il
pensiero di Nodoka dipinse per la prima volta un’ombra di rimorso sul volto
severo del Re che, con un ennesimo sospiro, si scostò dallo scrittoio davanti
al quale aveva passato le prime ore del mattino, per dirigersi ad una delle
grandi finestre che punteggiavano la stanza assolata. Non vi era necessità di
informarla di quanto compiuto, si disse il pensieroso sovrano, mentre i suoi
occhi distratti erravano per il cortile deserto, soffermandosi appena sulle
aiuole ordinate e la fontana gorgogliante; non vi era alcun motivo di metterla
a conoscenza delle sue scelte che, del resto, erano più che motivate dal suo
ruolo: Nodoka non avrebbe interferito in alcun modo con una decisione presa per
il bene del regno. Non aveva senso metterla al corrente
di tutto, già… Le labbra di Genma si strinsero ancor di più, una sottile linea
illividita che rese più teso il suo volto: erano solo scuse quelle che si
raccontava e lo sapeva fin troppo bene.
Sua
moglie era la miglior consigliera che avesse, anzi, il
suo giudizio si era sempre rivelato prezioso ed oculato e tacerle di quanto
appena fatto dava a Genma la sensazione di aver agito alle sue spalle. Forse
perché temeva che, stavolta, non avrebbe appoggiato il suo agire.
Era una
donna saggia, anche se a volte poteva dar l’impressione di esser svagata,
distratta forse da alcune sue piccole manie… Un brivido involontario percorse
la schiena del sovrano al pensiero fuggevole della katana che da anni ormai
faceva bella mostra di sé nella loro camera da letto. Quella lama letale era
per Nodoka l’unica eredità familiare di cui andasse
veramente fiera e alla quale dedicava amorevoli cure, quasi si trattasse di un
altro figlio. Aggrottandosi se possibile ancor di più, Re Genma rammentò come
la bella donna avesse avuto l’abitudine nei primi anni
del loro matrimonio di aggirarsi perennemente con la preziosa spada tra le
mani. Per lui la visione di quella bellissima, ma
terribile arma era motivo di tensione: la sua giovane sposa aveva delle idee
alquanto… singolari e radicate sul
concetto di virilità e quella spada, pur se raramente sfoderata, sembrava
rammentargliele ogni qualvolta i suoi occhi vi si posavano.
Non
poteva negare di aver tirato un bel sospiro di sollievo,
quando da un giorno all’altro Nodoka si era presentata senza la katana al
seguito! Sollievo non solo per se stesso, ma anche per il piccolo Ranma,
all’epoca un mocciosetto di appena tre anni che
trotterellava ignaro per la corte…
Bei
tempi quelli: un figlio sano a cui affidare il trono un domani ed una graziosa femminuccia
in fasce, da mandare in sposa a qualche alleato al fine di rinsaldare vincoli di amicizia e garantirsi così pace e prosperità.
Gli
occhi di Genma si offuscarono al ricordo di quei giorni lieti, in cui il suo
unico pensiero era costituito dal vecchio Happosai e le sue stramberie. Chissà cosa avrebbe detto il vecchio di quanto stava accadendo ora
nel suo palazzo, con un erede al trono ribelle ed insofferente alla disciplina
ed una principessa più interessata alle arti marziali che al suo futuro da
sposa. Un ennesimo sospiro lasciò le labbra del Re che, sconsolato,
scosse il capo: probabilmente Happosai avrebbe trovato divertente il tutto!
Non si
era mai curato del suo Regno e anzi, se suo figlio era
ciò che era, gran parte della colpa ricadeva proprio sul vecchiaccio. Aveva
sbagliato ad affidargli l’educazione di Ranma nei suoi primi anni di vita, ma
ora era tardi per recriminare: non poteva rimediare
agli sbagli del passato, però poteva evitare di compierne degli altri. Aver
permesso a quella schiava di restare a corte era l’ultimo, si
disse con nuovo cipiglio. In un motto di fierezza, Genma raddrizzò le
spalle e serrò la mascella in un’espressione severa, scacciando definitivamente
le ombre del dubbio e del rimorso dal suo animo.
Restò
immobile per alcuni istanti, poi, con una ritrovata vitalità, si mosse verso
l’uscita delle proprie stanze; la colazione lo aspettava e Ranma avrebbe fatto
meglio a presentarsi al suo cospetto, o sarebbero stati guai.
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Ranma
sbuffò platealmente e, brontolando di padri idioti e ritardatari, appoggiò il
viso ad una mano.
Il
vecchio era in ritardo e questo non solo significava che fino al suo arrivo la
colazione non sarebbe stata servita, ma che anche l’allenamento con Obaba
doveva aspettare… Proprio quel giorno, in cui finalmente si sarebbe impadronito
della tecnica portentosa per cui aveva tanto patito.
Tra le
sofferenze da imputare alla sua smania di conoscenza, Ranma annoverava non solo
le bastonate ricevute dalla non tenerissima amazzone e le continue occhiate di
disapprovazione di sua madre, ma anche la convivenza con quella terribile
ragazza. Anche il piccolo incidente di quel
mattino ricadeva nell’elenco dei patemi che aveva affrontato e che finalmente
quel giorno avrebbero avuto una retribuzione. Non voleva poi neanche pensare al
bacio che era stato costretto a darle.
Il
ragazzo si grattò distrattamente una guancia, mentre il ricordo della sera
prima gli tornava alla memoria con rinnovato vigore; nonostante cercasse a più
riprese di allontanarlo non poteva che riviverlo, ogni qualvolta con sentimenti
diversi. Fastidio ed imbarazzo per lo più, ma anche meraviglia e curiosità.
Già…
Nonostante
il solo pensiero gli annodasse lo stomaco, Ranma si chiedeva come sarebbe stato
se avesse proseguito con il suo intento iniziale e
avesse infine baciato Akane sulle labbra… Se non avesse letto negli occhi di
lei lo sgomento e la paura che gli avevano provocato una fitta inspiegabile al
cuore, l’avrebbe baciata sul serio? E cosa sarebbe
accaduto poi?
Aveva la
mezza idea di chiedere ad Obaba, o a sua sorella, cosa significasse
in concreto per un’amazzone legare la propria esistenza a quella di un uomo
mediante il sigillo di un bacio. Forse Akane sarebbe diventata più docile ed
ossequiosa se l’avesse baciata sulle labbra, tanto da
non rischiare più d’esser colpito da chissà quali oggetti: era stato fortunato
quella mattina, la prossima volta avrebbe potuto trattarsi di qualcosa di più
duro di un cuscino… Un briciolo di rimorso per l’occasione mancata fece
capolino tra i sentimenti confusi di Ranma, che però non ebbe il tempo e
l’opportunità di interrogarsi in merito.
Prima infatti che questi pensieri divenissero troppo palesi nel
suo animo, e prima fortunosamente che il rossore si diffondesse sul suo volto
annoiato, la voce argentina di Ranko lo riportò alla realtà.
“Perché quell’espressione contrariata, fratellino?”
Il
ragazzo volse lo sguardo verso quella peste travestita
da sorella minore e l’osservò con attenzione. Il brillio nello sguardo ed il
sorriso spavaldo volevano dire una sola cosa per lui: guai. Decise perciò di
giocare d’astuzia e non offrire a sua sorella nessun pretesto
per far scattare la linguaccia per cui era famosa. “Sono affamato”
rispose semplicemente, volgendo poi gli occhi altrove.
Ma la
principessa non si fece scoraggiare dalla scarsa oratoria del fratello; si
adagiò meglio contro lo schienale del suo seggio ed inclinò il capo fulvo di
lato, in una posa fintamente innocente. “Temevo che fossi deluso dalla
compagnia e che io e Ryoga non fossimo all’altezza delle tue aspettative,
visto con chi ultimamente preferisci condividere i tuoi pasti” asserì,
aggiungendo persino una nota greve alla sua voce, mentre i suoi occhi
continuavano a brillare per il divertimento.
Ranma si
morse l’interno di una guancia per impedirsi di risponderle a tono. Perché quella piccola serpe sembrava trovare tanto godimento
nel prenderlo in giro? Era sempre stato l’oggetto preferito dei suoi lazzi e
delle sue frecciatine, ma da
quando Akane era entrata nella loro vita, Ranko sembrava aver trovato nuovo
slancio in questa fastidiosa abitudine. Ringraziando per lo meno il fatto che i
loro genitori non fossero lì per sentirla, Ranma s’impose nuovamente di
ignorarla e dedicò la sua attenzione ad un’altra persona che, al momento,
brillava per la sua assenza. “Dov’è Taro?” chiese,
osservando il seggio vuoto di solito occupato dall’amico.
Ryoga
parve ridestarsi dalle fantasticherie che lo avevano reso silenzioso fino a
quel momento (sulle quali Ranma aveva qualche sospetto circa il soggetto che le
animava…) e sorrise. “Credo che sia con quella ragazza, Ame. Ieri mi ha detto che le avrebbe mostrato il palazzo prima di
colazione.”
Il
principe inarcò un sopracciglio "Non è da lui comportarsi tanto
gentilmente…” osservò, stupito; anche suo cugino ne convenne, stringendosi poi
nelle spalle.
“Forse
non è solo gentilezza… Lui non l’ammetterebbe mai, ma
sono convinto che provi compassione per lei. Sono pronto a scommettere che il
fatto che sia un’amaritiana sia il motivo principale per cui l’abbia acquistata” asserì poi.
“Non lo facevo
tanto sentimentale – scherzò Ranma incrociando le braccia al petto – Però credo
che saresti stato tu il più adatto a farle da guida, cugino. Chi meglio di te
può affermare di conoscere questo palazzo in ogni anfratto? Con
tutte le volte che lo giri in lungo e largo…”
“Ah, ah, spiritoso…”
“E’ la
verità! E poi credevo che portare ragazze a spasso ti piacesse… Avresti potuto
mostrare anche alla schiava di Taro com’è la vista dalla torre.”
Ryoga
batté le palpebre, disorientato da quelle parole. Lo osservò, notando come il
sorriso che pur gli curvava le labbra non gli sfiorava minimamente lo sguardo
che, anzi, in contrasto, sembrava esser freddo, quasi…
ostile. Che Ranma fosse contrariato per quanto
accaduto il giorno prima? Per il fatto di aver condotto Akane lassù… Lo
conosceva abbastanza per riconoscere i sintomi del suo
fastidio, ma proprio non riusciva a capire cosa lo irritasse tanto.
“Sei
geloso per caso?” gli domandò più per metterlo alla prova che per altro; suo
cugino era così orgoglioso che non lo avrebbe mai ammesso seppure ciò fosse
corrisposto al vero e la smorfia che accompagnò la sua risposta non fu affatto inaspettata.
“Figuriamoci, se ti piace tanto
startene con certe arpie, accomodati pure! Puoi pure portartela a spasso tutto
il giorno per quel che m’importa!”
“Davvero?
Dici sul serio Ranma? – Ryoga assottigliò i chiari occhi, non s’era fatto ingannare da tanto ostentato disinteresse – E allora
perché quando tutta questa storia della tecnica sarà conclusa, non dai a me
Akane?”
Il
principe sussultò, talmente stupito da quella richiesta da ignorarne il tono
ironico e provocatorio. Sentì la gola contrarsi al
solo pensiero. Confuso, si chiese come mai una simile eventualità lo irritasse
tanto, perché, inutile nasconderselo, ciò che provava era stizza. Batté le
palpebre un paio di volte e, incapace di trovare una risposta adeguata, tacque:
non si fidava della propria voce in quel momento e sapeva che se avesse
parlato, sia Ryoga che Ranko avrebbero intuito la sua
collera.
Ryoga,
nel frattempo, lesse comunque sul viso dell’altro
ragazzo il turbamento che aveva scientemente provocato e ne fu soddisfatto. Tra
lui e Ranma, nonostante il legame d’amicizia e parentela che li univa, vi era
sempre competizione ed ogni piccola vittoria sul solito trionfante parente
aveva un sapore speciale, prezioso quasi. E poi, una volta
localizzato un presunto punto debole di Ranma, questo andava colpito più
volte… non era forse questo lo scopo delle arti marziali indiscriminate?
“Già da stasera potresti
liberarti di lei. A me Akane non ha dato affatto
l’idea di un’arpia e devo dirti che in mia compagnia l’ho vista molto più
serena di come è con te.” Fu un colpo
basso quello. Soprattutto perché spiacevolmente corrispondente alla verità: lo
stesso erede aveva notato come la sua riottosa schiava avesse
recuperato sorriso e gentilezza ogni qualvolta l’aveva vista in
compagnia dell’eterno disperso.
Un nervo parve guizzargli sotto
la pelle tesa della mascella e i suoi occhi s’incupirono ancor di più,
fissandosi furiosi in quelli di suo cugino che istintivamente s’irrigidì… Forse
lo aveva provocato troppo, si disse, preparandosi alla
reazione che certo ci sarebbe stata. Ranko, intanto, li osservava, spostando lo
sguardo vivace da uno all’altro; la curiosità stava divorandola, ma ebbe il
buon senso di non fare domande: non era consigliabile stuzzicare troppo il
fratello in un simile frangente, non quando i suoi
occhi sembravano voler fulminare il povero Ryoga sul posto!
“No.”
Solo quello. Un monosillabo
pronunciato con voce fredda e terribile. Ranma non diede
spiegazioni, evidentemente non riteneva di doverne. Lasciare che Akane
diventasse la schiava di Ryoga? Sul suo cadavere forse. Non volle sapere il
perché di una simile determinazione, non si domandò se fosse
vera gelosia o solo desiderio di non darla vinta a Ryoga… o timore, chissà, che
lei potesse preferirlo. La visione di quel sorriso, di quell’unico
sorriso che era riuscito a strapparle qualche sera prima, tornò a tormentarlo.
No, non l’avrebbe lasciata a nessuno, nessuno. Meno che mai a lui.
Ryoga
sospirò e scosse il capo “Sei come un bambino viziato, Ranma. Non la vuoi, ma
detesti il pensiero che ti possa esser portata via.
Akane non è un gioco, è una persona con dei sentimenti
e…”
“Se la pensi davvero così, allora perché mi hai chiesto di
cedertela come se fosse un oggetto? E’ da ipocriti.” Ranko deglutì ora più
nervosa, a quel punto ogni sembianza di scherno era sparita
ed entrambi i ragazzi erano dannatamente seri. Se fosse
scoppiata una lite in un momento simile…
Fu con sollievo che la giovane
principessa accolse il rumore di passi alle sue spalle, segno dell’arrivo di
qualcuno. Ed infatti i due sovrani stavano facendo il
loro ingresso nella sala; subito l’attenzione di suo padre fu attirata da Ranma
e, a giudicare dalla sua espressione, l’uomo sembrò piacevolmente sorpreso di
vedere il figlio regolarmente seduto.
“Bene.
Sono lieto di vederti, ragazzo!” dichiarò avvicinandolo, un sorriso soddisfatto
sulle labbra ed una sorta di baldanza nella voce che gli fece meritare
un’occhiataccia risentita da parte del già irritato principe.
“Se
tenevi così tanto a vedermi, potevi pure farti vivo
prima. Sto morendo di fame” fu la sua acida replica e, mentre sia Ryoga che Ranko in segno di rispetto si erano alzati,
lui era rimasto immobile, le braccia ancora incrociate al petto. Il sovrano
parve esser troppo contento di averlo lì a suo cospetto che ne ignorò il comportamento poco regale e prese posto, mentre la sua
sposa si accomodava all’altro capo del tavolo di fronte a lui.
Finalmente
la colazione poté esser servita, ma nonostante avesse dichiarato tanto
sgarbatamente di esser affamato, Ranma mangiò con insolita parsimonia quanto portatogli.
--- --- ---
Obaba poggiò la ciotola ormai
vuota dinanzi a lei ed osservò la ragazza sedutale accanto. Akane stava
conversando allegramente con una delle cameriere, Sayuri se ricordava bene il
nome e sul suo viso aleggiava un gran sorriso. La vecchia amazzone assottigliò
i grandi occhi, occhi esperti e che difficilmente si
lasciavano ingannare: nonostante l’apparente allegria, la sua discepola era
tesa. Nervosa, più che altro. Lo riconosceva subito, quel nervosismo
strisciante che la ragazza tentava di tener nascosto, ma che alcuni gesti
tradivano platealmente, o almeno a lei, che la conosceva meglio di chiunque
altro, apparivano palesi. Come il sistemarsi continuo di una
ciocca di capelli dietro all’orecchio, gesto inutile visto che i capelli erano
perfettamente a posto. E quel suo stesso sorriso, tanto caloroso in
apparenza, non era affatto sentito… cortese, sì, ma
non sincero. Quando Akane sorrideva sul serio, era
tutt’altra cosa, tutt’altra luce. E poi quando Sayuri
non la guardava, quello stesso sorriso era come se si affievolisse pur non
sparendo del tutto.
Bene,
qualcosa quindi l’impensieriva… Obaba sollevò un angolo della bocca, tutto sommato divertita dagli affanni della ragazza. Beata
gioventù! Con tanta energia a disposizione, anche le emozioni parevano essere
ingestibili, gigantesche. Senza la pacatezza della maturità ogni azione, ogni
gesto, ogni preoccupazione anche, assumeva una valenza capitale… E in una
giovane ragazza dal temperamento di Akane poi, niente
poteva dirsi tranquillo: quella piccola era irruente in tutto, anche nei suoi
timori.
La saggia maestra scosse leggermente il capo, sgridando leziosamente se stessa per
l’inevitabile invidia che provava ogni qualvolta le si parava dinanzi un simile
sfoggio di giovinezza, che tanto le ricordava i suoi anni verdi. Avrebbe
volentieri fatto a cambio in qualsiasi momento, un solo focoso tumulto
giovanile per decenni della sua saggezza… Forse per questo amava ancora tanto
addestrare giovani come Akane, chissà… Ma era
un’inutile perdita di tempo smarrirsi in tali pensieri, quindi risoluta, tornò
a dedicasi alla giovane accanto.
“Sono
lieta che tu oggi abbia fatto colazione con noi, Akane. E’ la prima volta da quando siamo in questo palazzo” le disse vivace e chissà
perché, la ragazza avvertì le guance riscaldarsi un po’ a quel commento del
tutto innocente.
“Sì, in
effetti. Credo che da oggi accadrà più spesso, anzi, sono certa che dividerò
con voi ogni mio pasto e la cosa mi rende felice”
asserì con entusiasmo.
Molti
sguardi curiosi si posarono su lei e Sayuri fu la prima a dar voce alla domanda
che tutte le altre donne stavano ponendosi. “Vuoi dire
che non resterai più in compagnia del principe?”
Era una
domanda priva di malizia… beh, per lo meno ovvia ed
Akane avrebbe dovuto aspettarsela invece l’imbarazzo, unito al ricordo perenne
di quanto accaduto quel mattino la mandò in agitazione. E
quando Akane si agitava, la rabbia la faceva da padrona.
“In
compagnia di quel villano superficiale?! Mai più! Non
dividerò nulla con lui, niente di niente!” sbottò, posando la ciotola con tale
forza sulla lunga tavolata che quasi ne rovesciò il contenuto.
Sayuri,
e con lei molte altre, batté le palpebre, confusa da un tale sfogo. “Ma condividi ancora la sua camera, no?”
Ancora
un’altra domanda logica… Akane non ce la faceva più, quello stillicidio di
domande ovvie stava facendo perderle la pazienza e non voleva che la gentile
cameriera ne pagasse le conseguenze, le era simpatica, nonostante la sua
curiosità potesse essere irritante.
“Questa situazione potrebbe non
durare… anzi, scommetto che a breve, cesserà del
tutto.” Già, in fondo quel giorno il principe Ranma avrebbe ottenuto ciò che
desiderava, quindi si sarebbe finalmente sbarazzato di lei. Era quasi certa che
non l’avrebbe allontanata dal palazzo pur di non darla vinta a colui che avrebbe dovuta averla sin dal principio, quindi
poteva ritenersi soddisfatta. Sarebbe rimasta a palazzo, ma non più costretta a
vivere con lui, non più costretta a dormire nella sua camera, a vederlo dormire, a sentirlo affibbiargli nomignoli cattivi per
prenderla in giro, non più costretta a subire i suoi comportamenti da maniaco…
non più costretta a sentirsi definire carina per un semplice sorriso. Perfetto.
Tutto sarebbe stato perfetto.
Akane si
morse le labbra per trattenere un sospiro che, ne era
sconsolatamente consapevole, non sarebbe stato di sollievo.
Obaba
pensò che il tormento potesse concludersi lì, aveva
infatti notato come gli sguardi si fossero accesi a quelle parole e come molte
donne avevano completamente messo da parte il cibo, pronte a tuffarsi sulla giovane con domande che,
ne era certa, sarebbero diventate sempre più imbarazzanti.
“Se hai
finito, credo che potremmo avviarci, Akane.”
“Sì,
Obaba…” si alzò dal suo posto e dopo un veloce saluto a Sayuri, lasciò con la
sua maestra la grande sala delle cucine dove per
abitudine le cameriere e le altre schiave consumavano i loro pasti. Subito un
brusio sommesso si levò alle loro spalle, ma entrambe decisero d’ignorarlo…
pettegolezzi, tsé.
“Non
preoccuparti, Akane. Presto la smetteranno: appena si saranno assuefatte alla
tua presenza e la loro curiosità sarà soddisfatta, non ti porranno più domande.”
“Lo
spero, anche se temo che la curiosità di quelle donne sia insaziabile. Non
capisco cosa interessi loro sapere con chi mangio o meno!”
L’amazzone
ridacchiò, mentre con la solita agilità montava sul bastone con cui prediligeva
spostarsi. “Non vorrei disilluderti, bambina, ma credo
che il loro interesse sia dovuto più che altro al tuo padrone. Molte di quelle
ragazze, e persino qualcuna che da lustri non può più definirsi tale,
vorrebbero essere al tuo posto…”
Il
broncio di Akane a quelle parole fu impagabile e
strappò un’ulteriore risata alla maestra. “Glielo darei volentieri tale onore…
Uff, parlando d’altro, credi che il principe ce la
farà ad apprendere la tecnica entro oggi?”
“Uhm, le
capacità non gli mancano, anzi, credo che sia
praticamente ad un passo dal dominare il Drago. Vedremo… di certo posso solo dirti che, per me, sarà divertente vederlo in azione.”
--- --- ---
Quando
giunsero nel grande chiostro, il sole splendeva
fulgido tanto da accecare Akane. Si portò istintivamente una mano al viso,
parando gli occhi che ben presto si adattarono alla luce sfavillante di quel
giorno. Non faticò a scorgere il suo padrone nella vastità del cortile: era
completamente vestito di nero, dai pantaloni che morbidamente gli ricadevano
sulle lunghe e nervose gambe, alla casacca senza maniche che aderiva
perfettamente al suo torso, fasciandolo quasi in un lucido abbraccio di seta.
Il suo codino scuro si distingueva appena, poggiato su una delle spalle.
Quell’abito tanto cupo in un contesto tanto luminoso attirò immediatamente l’attenzione
di Akane, che senza poterselo impedire restò a fissarlo. La rigidità della sua
postura, le spalle dritte rivolte alla fontana, la mascella quasi contratta che
rendeva il suo profilo incredibilmente definito… Era in visibile attesa, ogni
muscolo teso al fine di celare la propria impazienza. La ragazza provò a
volgere altrove lo sguardo, magari posandolo sulla principessa che sorridente
stava salutandole con un cenno della mano, o sul signor Ryoga, scattato
improvvisamente in piedi, ma più provava a distogliere lo sguardo più questo,
testardamente, tornava a puntarsi su di lui e quando anche Ranma parve rendersi
conto del loro arrivo, volgendosi nella sua direzione, i loro occhi non poterono fare altro che incontrarsi. Ed
Akane rabbrividì.
C’era
qualcosa di ferino in quegli occhi blu, qualcosa che per un istante le serrò il
respiro. Lo sguardo penetrante di lui parve scrutarle fin dentro l’animo,
facendola sentire vulnerabile, esposta a quelle iridi imperscrutabili. A
fatica, e con rabbia, distolse i propri e si affrettò a raggiungere
Obaba che l’aveva sopravanzata.
Ancora
scossa per l’inspiegabile sensazione provata a causa di Ranma, Akane recuperò
un sorriso e ricambiò il saluto allegro della principessa. “Buongiorno
sua grazia… signor Ryoga – s’inchinò dinanzi ai due con rispetto, poi
molto più rigidamente chinò il capo e puntò gli occhi al suolo – Padrone…”
Il
ragazzo non si curò nemmeno di risponderle e sbrigativamente si avvicinò alla
maestra amazzone. “Finalmente! Ve la siete presa comoda voi due!” proruppe affibbiando alla donna un’occhiata frustrata che
naturalmente lei ignorò.
“Buongiorno
anche a lei, principe” gli disse ironica e Ranma ebbe almeno la decenza di
arrossire imbarazzato.
“Sì…
buongiorno.”
“Allora,
come si sente, sua grazia? Pronto?” gli domandò Obaba e lui annuì deciso.
“Sono
impaziente di cominciare!”
“Non
avevo dubbi in merito, però mi domandavo una cosa… Rammenta
quel che dicemmo qualche giorno fa, circa il provocar danni?”
Ranma annuì, consapevole di cosa l'anziana maestra volesse dire.
“Sì, lo ricordo. E’ arrivato il momento di farne… e non nel dojo” con il capo
fece un cenno verso la sala dove si erano allenati fino al
giorno prima.
“Occorre
quindi recarci in un luogo più ampio e dove, possibilmente, non arrecheremo
disturbo a nessuno” confermò l’amazzone.
“Un
intero bosco ti pare un luogo abbastanza ampio e solitario,
maestra?” tutti si volsero verso Ryoga che pareva aver recuperato l’uso
della parola.
“Ci avevo pensato anch’io,
nella parte destinata alla corte, nel bosco, vi è uno
spiazzo abbastanza grande. Solitamente viene usato
come punto di ritrovo per le partite di caccia di nostro padre, ma per oggi non
ne sono previste” spiegò Ranko e Ranma annuì.
“Sì, è effettivamente il luogo migliore, ma resta comunque da stabilire come faremo a
lasciare il palazzo inosservati.”
La principessa fece una smorfia
sarcastica, incrociando le braccia al prosperoso seno. Anche lei indossava
abiti pratici, molto simili a quelli di suo fratello, ma
diversi nel colore: neri quelli del ragazzo, di un rilucente turchese i suoi.
“Come se ti fossi mai posto un simile problema…”
“Io no, ma credo, anzi, sono
certo che purtroppo tu voglia unirti a noi e la tua assenza risulterebbe
ben più strana, soprattutto per nostra madre” le rammentò pungente il principe:
sperava ancora di liberarsi di quella mocciosa, pur sapendo che era impossibile.
Il sorriso smagliante che lei gli rivolse confermò l’amara certezza.
“Oh, non
temere, ho già predisposto tutto con Maya: se qualcuno dovesse cercarmi, dirà che sono impegnata nei miei studi e che non desidero
essere disturbata. Vedrai, nostra madre tiene così tanto
a che impari l’etichetta che non vorrà interrompere i miei sforzi per
l’apprendimento.”
Ryoga
sospirò, alzando gli occhi al cielo. “Tu che ti applichi zelante nello studio
dell’etichetta? Giusto la zia potrebbe crederci nella sua ingenuità!” commentò poco convinto, ma lei parve pienamente soddisfatta
della propria menzogna.
“Già me
la immagino, tutta compiaciuta esternare a Maya la sua felicità perché sua
figlia si comporta da perfetta fanciulla!”
“Tu non
sai cosa sia la vergogna, cugina… gongolare in quel modo per aver mentito alla
propria madre, nemmeno Ranma arriverebbe a tanto!”
“Bando alle ciance!” sbottò il
sunnominato erede al trono “Abbiamo già perso troppo
tempo. Usciremo divisi, tutti insieme daremmo troppo
nell’occhio: tu – indicò Akane – verrai con me, sei la mia schiava e non
troveranno nulla di strano che ti conduca a spasso per il palazzo.” Ranko in
cuor suo pensò che chiunque conoscesse suo fratello
avrebbe trovato invece molto strana una simile cortesia, ma non osò proferir
parola.
“Ranko, tu verrai con la
maestra Obaba e tu, Ryoga, devi cercare Taro e quando
l’avrai trovato… o meglio, quando ci avrai sbattuto contro – un grugnito
infastidito fu il fugace commento a questa frase da parte del povero ragazzo –
ti farai portare allo spiazzo: non tentare di venirci da solo, non possiamo
aspettarti per tutto il giorno!”
“Idiota… comunque
a quest’ora sarà tornato dalla sua visita, probabilmente starà assegnando le
mansioni alla guarnigione reale. Lo cercherò nel cortile esterno, stamani
dovevano essere stabiliti i nuovi turni di guardia nelle garitte all’entrata
principale.”
“Ottimo,
muoviamoci allora… Ehi, Ryoga… il portone principale è dall’altra parte…”
--- --- ---
Il rumore
dei loro passi era appena udibile; camminavano lentamente, attraversando i
lunghi corridoi dove frenetica invece continuava la vita di corte. Akane era
sorpresa di come, per quanto avesse già girovagato per quel palazzo in varie
occasioni, scoprisse nuove sale e cortili di varie
dimensioni che si susseguivano quasi in una successione ininterrotta, tant’è che ad un certo punto pensò che il principe avesse
cominciato a girare in circolo… Quanto grande poteva essere quel palazzo! La stima per il povero Ryoga accrebbe molto in lei in quei
lunghi minuti di silenzioso peregrinare: perdersi là dentro non era poi così
difficile. Certo, il ragazzo vi viveva fin dalla nascita, però…
Ranma
camminava appena qualche passo dinanzi a lei, ogni tanto rispondeva con un
semplice cenno del capo ai numerosi inchini che riceveva da parte dei tanti
camerieri. Akane notò che questi erano fin troppo indaffarati per prestarle più di un’occhiata distratta, un vero sollievo
dopo gli sguardi indiscreti delle donne di servizio a colazione; non aveva mai
vissuto in un posto così grande ed affollato, così quel via vai indaffarato la
incuriosiva, nonostante la tensione che ancora la pervadeva. Il mattino doveva
essere il momento più critico della giornata, valutò la ragazza, quando l’ennesimo
paggio le sfrecciò accanto, naturalmente dopo aver salutato con rispetto il
principe.
Man mano che proseguivano
però il numero di persone che incrociavano diminuì sensibilmente, fino a
quando giunsero ad un lungo corridoio buio e deserto che, partendo da un
cortile ampio e a pianta circolare, doveva condurre all’esterno; alla fine di
esso, infatti, Akane intravide la luce del giorno rischiararne le tenebre,
anche se non del tutto. Sempre in religioso silenzio, seguì Ranma
quando questi lo imboccò senza esitazione.
Stavolta
il suono dei loro passi, urtando contro le alte pareti del corridoio, echeggiò
nitido. Akane guardava fisso dinanzi a sé, attirata dalla luce esterna: non
amava troppo i luoghi bui e chiusi, forse perché, amaramente, le davano l’idea
di una brutta metafora della propria condizione. O
forse, chissà, per qualche brutto ricordo relegato nell’inconscio. Senza quasi
accorgersene, anelante ad avvertire nuovamente la carezza tiepida del sole sul
viso, accelerò il cammino fino a ritrovarsi gomito a gomito
con il suo padrone.
Ranma si
volse a guardarla e, stupito, notò la sua espressione accigliata, tesa; non che
fosse strano vederla così, ma più che arrabbiata, la ragazza gli parve
timorosa, intimidita quasi. “Hai paura del buio?” le domandò a bruciapelo, lei
lo guardò per qualche istante prima di scuotere il
capo.
“No.”
“Sicura?”
“Certo
che sono sicura! Non sono una mocciosa… signore.”
Ranma
sorrise. Era inspiegabile, ma bastava appena un accenno per farla arrabbiare… e
per far ritrovare a lui il buonumore. Lei stimolava
proprio il suo istinto guerriero, evidentemente, sfidandolo di continuo con la
sua linguaccia e le sue occhiate roventi. “Non devi vergognartene, sai? Non c’è nulla
di male ad avere paura del buio” insisté, prevedendo,
o meglio, pregustando già la sua reazione stizzita che non si fece attendere.
“Il mio
signore forse soffre di qualche disturbo che gli impedisce di sentire
correttamente quanto gli viene detto? Il buio non mi spaventa!” sbottò piantandosi sul posto e stringendo i
pugni.
“D’accordo, non occorre andare
in escandescenze… Se non è il buio, allora cosa ti fa paura?”
Akane aggrottò le sopracciglia, fissandolo. Non riusciva
bene a scorgerne le fattezze, visto che lui dava le spalle all’unica fonte di
luce, laggiù in fondo al corridoio, ma era quasi certa che non stesse ridendo. Anzi, a giudicare dal suo tono, sembrava sinceramente curioso e,
tanto per cambiare, non intenzionato a prendersi gioco di lei. Disorientata,
Akane abbassò lo sguardo sui piedi che non poteva vedersi e si strinse nelle
spalle. “Non lo so…” mormorò poi.
“Non è
possibile che tu non lo sappia! Avanti, cos’è? I ragni? I topi? Gli insetti o…
i fantasmi?” a quell’ultima ipotesi, la ragazza inarcò un sopracciglio.
“I fantasmi non esistono,
signore” affermò con sicurezza.
“Allora
cosa?”
"Non
capisco perché le interessi saperlo… cos’è, cerca un
nuovo metodo per torturarmi? Che so, se le dicessi che
mi fanno paura le rane, me ne farebbe trovare una sul cuscino ogni notte?”
Ranma batté le palpebre, sconcertato. Non aveva mai conosciuto una persona più
prevenuta di quella testona! “E comunque
non c’è nulla che mi fa paura…” continuò lei, stringendosi nelle spalle.
“Tutti
hanno paura di qualcosa…”
“Anche lei, Signore?”
Ranma assottigliò
gli occhi, che andavano man mano adattandosi alla penombra. L’aveva sentita, oh sì, eccome se l’aveva sentita quella
piccola, subdola nota maliziosa nella sua voce… Quella finta innocenza nella
domanda… voleva prenderlo in giro, la furbastra. “Io sono l’eccezione che
conferma la regola. Non ho paura, di niente e di nessuno!” mentì chiaramente, ma a che scopo rivelare la propria
avversione per i gatti quando lei era stata tanto
restia a confidargli la propria?
“Allora,
Signore, evidentemente le eccezioni alla regola sono ben due, contando anche
me” e così, con quella frase lapidaria, lo superò per rimettersi in cammino e a
lui non restò che seguirla.
A
sorvegliare il portone vi erano solo due guardie essendo quella
uscita la meno frequentata del palazzo e, infatti, quando i due ragazzi
vi si approssimarono, i soldati parvero stupiti di ritrovarsi a cospetto del
principe, prima di scattare diligentemente sull’attenti.
“Sua altezza!” salutarono in
coro, stringendo la lancia che portavano con loro al petto, spiccio Ranma agitò
la mano.
“Riposo…
Se qualcuno dovesse venire a cercarmi, nessuno di voi
mi ha visto, d’accordo? Non voglio essere disturbato.” A giudicare
dall’occhiata che i due si scambiarono, non fu difficile capire quale fosse, a loro parere, il motivo di una simile richiesta…
Akane
avvampò quasi quando, simultaneamente, i due militari
la guardarono e, sempre all’unisono, sul loro volto glabro andò disegnandosi un
sorrisetto che lei etichettò da perfetti pervertiti. Sentì le mani pruderle, avrebbe
voluto prenderli a pugni e gridar loro di non immaginare quello che, con
evidente diletto, stavano fantasticando, ma prima che
potesse farlo, Ranma parlò nuovamente. “Andiamo Akane” le disse rimettendosi in
cammino e privandola dell’occasione di spiegare come stavano le cose a quei
maniaci sogghignanti.
“Ora
crederanno chissà che!” sbuffò, camminando veloce e a testa bassa, mentre le
guance le si coloravano per lo sdegno.
“E allora? Non dimenticare che più in giro si pensa che io mi
diverta con te, più la tua presenza nella mia camera sarà spiegabile.”
“E questo che significa?! Solo perché sono la sua schiava, non significa che io e
lei… che noi, ecco… insomma… – incespicò con imbarazzo sulle parole, poi
sospirando allargò le braccia – Dov’è questo cavolo di spiazzo?” chiese
arrendendosi.
“Ad
appena un miglio da qui, in quella direzione” le indicò un punto imprecisato
verso est, ma la ragazza non vide alto che alberi ed alberi
a perdita d’occhio.
--- --- ---
Dopo aver camminato per quello
che le era sembrata un’eternità, finalmente i due giovani giunsero alla
sospirata radura, una macchia brulla tra una vegetazione altrimenti fitta e
lussureggiante.
Dopo essersi addentrati nelle
prime file d’alberi, Akane era passata dall’ammirazione per quello spettacolo
della natura, all’esasperazione: quel bosco sembrava
infinito ed era impervio quasi quanto una giungla! E
pensare che il giorno prima le era parso così bello, visto da lontano…
Gli alberi erano talvolta così
vicini da sembrare un’unica parete legnosa e le loro radici sembravano
spostarsi di proposito per farla inciampare, quasi comparissero
all’improvviso tra i suoi piedi. Le chiome folte impedivano al sole di filtrare
libero e l’aria si era fatta improvvisamente pesante, carica di
umidità; sotto lo strato di foglie che copriva quasi interamente il
suolo, sembrava strisciare ogni sorta di piccoli animali ed Akane non aveva
voluto farsi troppe domande sulla loro natura: come aveva detto, non aveva
paura degli insetti, ma questo non significava che amasse sentirseli
passeggiare sotto i piedi. Frotte di insetti volanti,
a completare il quadro, sembravano trovarla di loro interesse e più di una
volta aveva dovuto scacciarne qualcuno di più intraprendente che, ostinato,
aveva cercato di infilarsi in uno degli orifizi che le ornavano il volto… E poi parlavano delle bellezze della natura
incontaminata! Quel posto era un inferno!
Con rabbia notò invece come il
suo padrone pareva ritrovarcisi a perfezione: schivava agilmente le radici,
ignorava gli animali e, cosa ancora più irritante, questi sembravano ignorare
lui! Con passo sicuro avanzava nella fitta vegetazione nemmeno si trovasse in camera sua…
Lo
spiazzo era piuttosto ampio e la giovane dovette convenire sul fatto che fosse
semplicemente perfetto per allenarsi. La spianata era circolare ed il terreno
duro e solido, per nulla polveroso; alcune rocce costituivano l’unica asperità.
Attesero
pochi minuti, Akane seduta proprio su una di quelle rocce e Ranma che a grandi
falcate sembrava voler misurare il pianoro, quando spuntando silenziosamente
dal bosco alle loro spalle, giunsero Obaba e la principessa. A nessuno sembrò
strano il ritardo di Ryoga, anzi, soprappensiero, Ranma si chiese se avesse già
trovato Taro, pur dubitandone fortemente; anche la vecchia amazzone trovò il
posto più che adatto al loro scopo e sorridendo lo rassicurò che lì avrebbe
potuto scatenare tutti i Draghi nascenti che desiderava. “Sempre che ne sia in
grado…” aggiunse maliziosa, meritandosi un’occhiata in tralice dal giovane.
“Altrochè
se ne sarò capace… Obaba, alla fine di questa giornata lei sarà costretta ad
ammettere che io sono stato il suo allievo migliore!” asserì tracotante.
“Pfui…”
fu il commento silenzioso, ma non troppo, di Akane.
“Mentre aspettiamo quei due idioti, perché non mi spiega
quello che mi aspetta?”
“Farò di
meglio, altezza, le spiegherò il segreto del Drago, la sua anima
– lo sguardo di Ranma parve illuminarsi a quella prospettiva – Vede, gli
elementi essenziali affinché lei possa scatenare una simile potenza sono già
nelle sue mani. Lei ha già tutto quello che le serve.”
La
piccola donna si sedette comodamente su una delle rocce e dopo aver frugato in
una delle ampie maniche del suo abito verde, ne tirò fuori una pipa sottile e
semplice che cominciò a fumare con evidente gusto. “Il segreto della tecnica
non è la forza del combattente, principe… anche se
essa è capace di scatenarne molta, potente ed inarrestabile. Il segreto non sta
nel braccio, ma nella mente. Il Cuore di ghiaccio, che lei ha faticosamente
appreso, quello è il vero segreto.”
Ranma
distrattamente si carezzò il capo, dove poteva sentire sotto le dita alcuni
ricordini lasciati dal bastone della vecchia: sì, lo aveva appreso proprio con
fatica e dolore…
“Non deve
far altro che metter insieme i pezzi e il gioco è fatto. Il Cuore di ghiaccio
fa sì che il suo spirito si mantenga freddo, immune allo spirito
combattivo che invece alberga nell’animo del suo sfidante e più esso è
esacerbato, più il Drago sarà potente. Il freddo e il caldo, la calma e
l’irruenza, la lucidità e la furia combattiva… lati della stessa medaglia che
si attraggono in un abbraccio indissolubile, capace di spazzare via intere
città, se l’energia in ballo è quella giusta.”
“Non credo di aver capito
granché…” ammise a quel punto il ragazzo, quasi perso in quelle spiegazioni
così astratte.
“Si è mai chiesto perché
proprio la spirale?” domandò la vecchia, sbuffando fuori una piccola nuvoletta
di fumo dall’odore pungente.
“Per
riuscire a tenere a distanza i miei avversari, desumo” rispose pronto.
“Anche, ma non è per quello che la spirale ha un tale
andamento, dall’esterno all’interno… - con la punta del bastone, Obaba tracciò
una piccola voluta sul terreno – essa ha uno scopo ben preciso, altezza: attira…”
“Eh?
Attira? Cosa?”
“Lo
spirito combattivo, la violenza, il furore… Il Cuore di ghiaccio crea una sorta
di vuoto all’interno della spirale, un vuoto energetico che va riempito,
colmato in qualche modo.”
“Ed esso
viene colmato dall’energia combattiva degli
avversari?” domandò Ranko affascinata, osservando il piccolo tracciato.
“Sì,
esattamente sua grazia. La spirale attira lo spirito combattivo ed il suo senso
rotatorio lo fa avvolgere su se stesso, creando il portentoso vortice che lei,
principe Ranma, ha visto scatenarsi al serraglio.”
Il
ragazzo rifletté su quelle parole, rammentando anche quanto Akane gli aveva
detto la sera prima… forse aveva intuito cosa volessero
dire quelle parole fino a quel momento incomprensibili. La riuscita della
tecnica era effettivamente nelle mani degli altri, o meglio, nella loro foga
combattiva.
“Io
attiverò il Drago nascente effettuando la spirale e
mantenendo inalterato il mio stato spirituale, fino a quando il mio avversario
non resterà prigioniero della sua stessa energia combattiva… è questo ciò che
devo fare quindi? Attirare gli altri in trappola?”
“Beh, se
vuole metterla così…”
“Ma come s’innesta il tutto? Come posso far sì che la forza
del Drago si sprigioni, una volta giunto alla fine
della spirale, al suo culmine? Cosa dovrei…”
“Questo
lo scoprirà dopo, appena i suoi amici si saranno presentati. Il loro apporto è
essenziale.”
Ranma
allargò le braccia, sconsolato. “Di nuovo?! E cosa dovrebbero fare stavolta? Ricordarmi quante volte ho fatto la pipì a letto da bambino, magari?”
Il
ventre della saggia amazzone vibrò per la risata fragorosa che la scosse. “Oh
no, niente del genere! Niente più attacchi vergognosi per lei, stia tranquillo,
maestà! Stavolta si tratterà di attacchi veri e
propri… In fondo è una bella mattina per un combattimento, non trova?”
--- --- ---
La spiegazione di quello che avrebbero dovuto fare Ryoga e Taro fu
incredibilmente rapida e semplice. Senza perder tempo in preamboli, l’anziana guerriera si
parò loro dinanzi, appena questi ebbero superato l’ultima linea alberata.
“Dovrete
scagliarvi contro il principe, senza alcun riguardo” ordinò con voce ferma ed
intransigente. Il capitano della guarnigione reale si strinse nelle spalle e
senza chiedere ulteriori chiarimenti, cominciò a
liberarsi del mantello, mentre Ryoga fu alquanto perplesso.
“Dobbiamo
lottare con Ranma? Soltanto questo?” chiese stupito.
“Sì
padrone, solo questo. Sua grazia non vi opporrà alcuna
resistenza, anzi, non accennerà nemmeno a difendersi… Faccio affidamento
su voi, mi raccomando!”
Quella
poi! Attaccare Ranma, in due, mentre lui non si difendeva? Troppo bello per esser vero, magari quello era il giorno che l’avrebbe
visto trionfatore, pensò Ryoga sulle prime, ma mentre si avvicinava alla sua vittima, cominciò a sentirsi turbato.
Aveva voglia di sconfiggere Ranma, era logico, ma… ma non così. Sotto lo
sguardo attento di Akane, per giunta! Comportarsi in
maniera così opportunista e scorretta non era da lui: si era sempre vantato di
essere un combattente onorevole. Sapeva che se la vecchia Obaba gli aveva
impartito tali istruzioni doveva essere per un motivo, ma nonostante questo
l’idea non gli piaceva eccessivamente, anzi, per nulla. E
non era l’unico a trovare da ridire. Ranko infatti non
sembrò affatto contenta quando, con altrettanta perentorietà, l’amazzone la
escluse dal combattimento; la ragazzina protestò vivacemente, ma né le sue
minacce né tanto meno le sue suppliche ammorbidirono la precettrice.
“Ma perché? L’assicuro che sono perfettamente in grado di…”
Un cenno
netto della mano raggrinzita zittì quell’ultima protesta. “Non metto in dubbio
la sua capacità, altezza, ma le assicuro che in questo particolare caso lei non
può essermi utile. Sono certa che il suo pregiato fratello non vorrà mai
provare un simile attacco nei suoi confronti, principessa, e il timore che
possa accaderle qualcosa intaccherebbe
irrimediabilmente il Cuore di Ghiaccio” lanciò un’occhiata al giovane che
annuì.
“Per
quanto tu sia brava, potresti davvero farti del male…
e chi lo sentirebbe poi nostro padre! Per una volta dammi ascolto: stanne
fuori.” Di fronte a tanta risolutezza alla ragazza non
restò che arrendersi; Ranma comunque non aveva finito.
“Anche tu” asserì rivolto ad Akane che, stupita, provò
a ribattere, ma anche lei fu messa a tacere da Obaba.
“Credo
che a sua grazia sia bastato infrangere i suoi
principi una volta. Il padrone e il Capitano saranno più che sufficienti
mia cara, senza che sia costretto a battersi con una donna, di nuovo.”
Rassegnata
Akane annuì, non dopo aver dedicato al suo padrone un’occhiata rovente; quel
ragazzo aveva principi alquanto volubili secondo il suo modesto parere, visto
come li aveva rigirati più volte a proprio vantaggio. Risentita, ma compiendo
uno sforzo immane per non darlo a vedere, si fece da parte e, sedendo su una
delle rocce più discoste, si apprestò ad assistere allo spettacolo.
I tre
combattenti si disposero gli uni di fronte all’altro, pronti
a cominciare al segnale dell’amazzone che dopo averli osservati un’ultima volta,
li mise in guardia.
“Non mi
aspetto di vedere un Drago nascente al primo tentativo, anzi, desumo che più di
uno ne occorrerà affinché esso possa palesarsi questa
stessa mattina, ma mi aspetto grande impegno da voi tre, signori. Principe, lei rammenti che oltre al suo spirito, anche il suo corpo
dovrà esser immune ad ogni emozione. Un corpo di ghiaccio che faccia da
paio al Cuore di ghiaccio… lo rammenti sempre e una volta
giunto al culmine della spirale, le rivelerò l'ultimo fondamentale
segreto – Ranma annuì con un cenno del capo, mentre raccoglieva tutta la
propria concentrazione – E per quanto riguarda voi, non abbiate remore
nell’attaccare il vostro amico, nessuna esitazione” li osservò a turno,
soffermandosi su Ryoga che distolse subito lo sguardo. “Bene… Cominciate!”
Così
accadde. Accadde proprio quello che la saggia Obaba in realtà si era aspettata,
vale a dire nulla di nulla. I combattenti scattarono
quasi all’unisono, ma fu subito palese che tranne una grande
confusione, niente sarebbe nato da quello scontro. Non avevano compiuto che
pochi passi che, sospirando, la maestra li aveva fermati.
“Dov’è finito il vostro spirito
combattivo?” domandò loro, osservandoli severamente “E lei, ragazzino, fa’ un
gran parlare, ma il suo Cuore di ghiaccio dov’è? Posso ancora avvertire la sua aura!” Ranma sbuffò, ma annuì non
potendo negare l’evidenza “Ricominciamo!”
Per quante volte provassero,
per quanto impegno potessero metterci, il risultato
era sempre lo stesso: nulla di fatto. Grazie alla spirale,
Ranma poteva egregiamente tenerli a bada, anche se Taro lo impensieriva
particolarmente; sembrava l’unico a non farsi problemi ed ogni suo colpo mirava
a fargli male, molto male. Man mano che i minuti passavano
ed i tentativi si susseguivano senza successo, la frustrazione aumentò nel
giovane ed anche la minima parvenza di freddezza sparì in lui.
Obaba
scosse il capo, nonostante avesse previsto quell’evolversi
dei fatti, non si era però aspettata tanto, e cioè che la prodigiosa e
centenaria tecnica del Dragone, capace di spazzare via intere schiere di
nemici, si trasformasse in una zuffa caotica e, in fin dei conti, totalmente
inutile. Provò a richiamare i vari combattenti all’ordine, ma la confusione
della loro lotta era così clamorosa che non la udirono.
Rassegnata, inspirò a fondo e rafforzò la presa ossuta sul bastone,
evidentemente non c’era altro modo.
Puntuale
come sempre, il bastone calò violento su quelle testacce
dure, risparmiando Taro perché, a detta della vecchia guerriera, era l’unico a
comportarsi adeguatamente. “Voi invece dovreste vergognarvi di farvi chiamare
combattenti!” Ranma e Ryoga si scambiarono un'occhiata perplessa,
massaggiandosi il capo offeso. “Si può sapere a cosa state pensando?! Non siamo qui per dilettarci! Da lei sua grazia mi sarei aspettata più impegno, ma anche lei, padron Ryoga… perché esita tanto? So che è un ottimo
combattente eppure si sta trattenendo, perché mai?”
Il
ragazzo arrossì e ad occhi bassi incassò quasi il capo tra le spalle
borbottando delle scuse a metà voce. “Se lui non si
difende io non riesco a… a fargli del male. Mi da l’idea
di… di combattere contro un inerme…” confessò
con un pizzico di vergogna. Il pugno di Ranma che lo spedì, dolorosamente,
dall’altra parte dello spiazzo non servì del tutto a fargli capire quanto
sbagliata fosse la propria percezione.
Obaba scosse il capo con
frustrata pazienza e allargò le braccia mentre il suo
padrone si metteva seduto “Ah, ragazzo mio, questi sentimenti in un altro
momento le avrebbero fatto onore, ma ora… Senza la sua volontà combattiva, la
spirale assume più l’aspetto di una danza che di una tecnica micidiale.”
“Mi spiace Obaba, ma è più
forte di me: non riesco a combattere senza uno scopo… e a condizioni tanto
indecorose per di più!” niente e nessuno lo avrebbe costretto a comportarsi da
vigliacco di fronte ad Akane, mai e poi mai. Poteva quasi avvertire lo sguardo
della ragazza puntato su di lui e per quanto suo cugino avrebbe detto o fatto,
sarebbe rimasto insensibile ad ogni offesa, pur di conservare l’idea che credeva
la ragazza amata avesse di lui.
Si rialzò e, con quanta dignità
potesse, si pose dinanzi ad un Ranma stranamente calmo, eppure avrebbe dovuto
esser furioso… ‘Oppure sta macchinando qualcosa’ pensò Taro, osservando la scena alquanto
divertito. Aveva ragione.
“Vuoi uno scopo per combattermi
allora… tutto qui? E’ solo questo che ti serve, cugino, un pretesto per volermi
sconfiggere?” lo sguardo dell’erede al trono in quel momento non prometteva nulla di buono al povero Ryoga che non rispose,
fermo sulla propria decisione. “Allora facciamo così… - un sorriso sfacciato
distese i tratti di Ranma – ricordi di cosa abbiamo parlato stamani, a colazione, vero? La vuoi ancora?”
Gli occhi di Ryoga si
dilatarono per lo stupore: possibile che… che stesse parlando di Akane? Nervosamente l’eterno disperso lanciò un’occhiata
alla ragazza ancora seduta al suo posto, una leggera patina di sudore gli
imperlò la fronte, mentre la gola gli s’inaridì; non voleva farsi ingannare da
Ranma, lo conosceva, sapeva quanto abile fosse a sfruttare le debolezze altrui
e, in effetti, la giovane dagli occhi profondi era al momento il suo più grande punto debole…
“Sii serio, Ranma! Non è da te
scherzare su certe cose!” ma l’altro ragazzo non era
mai stato tanto serio.
Con la solita spavalderia incrociò le braccia al petto e
lo fissò dritto in viso. “Combatti con me e se riuscirai a sconfiggermi, Akane
diventerà la tua schiava.”
Nel
silenzio attonito che seguì l’incredibile dichiarazione, non solo Obaba si rese
conto di come d’improvviso l’aura del proprio padrone avesse cominciato a
divampare incontrollata. Desiderio, voglia di rivalsa e bramosia colmavano il
giovane, persino i suoi occhi sembravano ardere.
“Manterrai
la parola?” domandò cupo, mentre sembrava che ogni muscolo del suo corpo s’irrigidisse
pregustando la battaglia; Ranma annuì altrettanto greve e bastò quel piccolo
cenno a dar il via alla nuova sfida, Ryoga infatti
scattò fulmineo prima ancora che Obaba avesse il tempo di dir nulla, se mai
avesse potuto dir nulla per fermare quella follia.
Amareggiata
osservò il proprio padrone scagliarsi contro l’altro ragazzo che, ne era certa, avrebbe pagato cara la propria avventatezza:
per quanto abile, il principe non conosceva ancora tutto della tecnica, non
poteva affatto padroneggiarla… Sfidare in quel modo il cugino, provocandolo
affinché il suo spirito battagliero ardesse incontrollato era da folli!
Con
occhi attenti osservò la lotta dei due, valutando come apparisse diversa dalle
pantomime precedenti: per quanto Ranma fosse più veloce dell’altro, non potendo
contrattaccare, si limitava solo a difendersi, ma lo sforzo per rimanere
impassibile lo lasciava alquanto scoperto, facile preda del suo rivale che,
come accecato, continuava imperterrito ad attaccarlo, ignaro di essere stato
inghiottito dalla spirale che il principe ad ogni modo stava tracciando.
Un pugno
violento colpì pesantemente il principe al volto, quasi gettandolo a terra e fu
solo grazie alla propria velocità che riuscì ad evitare d’esser colpito più
duramente. Dritta accanto ad Akane, Ranko osservava il combattimento con ansia;
le piccole mani erano strette l’una all’altra e ad ogni singolo, rabbioso,
colpo che si abbatteva su suo fratello sussultava. Avrebbe voluto chiedere ad
Obaba di interrompere quella sfida insensata, ma temeva che Ranma non
gliel’avrebbe mai perdonato, ora che tutto andava come previsto: l’animo
combattivo di Ryoga, combinandosi con il suo Cuore di Ghiaccio stava
effettivamente attivando il Dragone; un’energia palpabile
infatti permeava ora lo spiazzo, dilatandosi nell’aria come cerchi
sull’acqua. Nonostante la paura, la giovane
principessa non poté evitarsi d’ammirare quel prodigioso evento…
Quando
un altro pugno colpì il fratello al ventre stavolta, facendogli contorcere il
volto per il dolore, non resistette e angosciata urlò il suo nome. Fece per
avvicinarsi ai due duellanti, ma una presa solida alla spalla la bloccò. Non si
era accorta nemmeno che il capitano delle guardie le si fosse
avvicinato.
“Potresti essere coinvolta dal
vortice” le disse con voce incolore, gli occhi fissi sugli altri due ragazzi.
“Ma… Ranma non sa ancora come attivare il Dragone! Quando
arriverà al culmine della spirale lui non saprà cosa
fare! Dobbiamo fermarlo o Ryoga gli farà del male!”
“Non si
preoccupi principessa, il padrone sta comportandosi egregiamente.” Akane, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, le
sorrise con dolcezza; per quanto apparisse sicura di quanto appena dettole,
Ranko non se ne sentì affatto risollevata. Ranma stava
prendendole, e tante per giunta, come poteva affermare con tanta sicurezza…
Un urlo improvviso strappò la
principessa a quelle considerazioni e di slancio tornò a voltarsi verso suo
fratello… giusto in tempo per assistere, per la prima volta in vita sua, alla nascita
di un perfetto, potentissimo, Dragone. Il corpo di Ryoga parve quasi esser
senza peso quando fu sollevato in aria da una forza
invisibile, forza che con uguale semplicità sembrò giocare con lui, facendolo
mulinare vorticosamente in una sorta di turbine ad un tal punto veloce che
quasi era impossibile distinguere il povero ragazzo che, sotto lo sguardo
sempre più stupefatto di Ranko, fu scagliato via con feroce violenza. Attonita,
lo vide impattare rovinosamente al suolo sollevando nubi di polvere, mentre
decine di metri distante, al centro di un vero e proprio cratere, Ranma piegato
sulle gambe per la fatica, teneva il braccio destro ancora rivolto al cielo. Ce l’aveva fatta, proprio come aveva previsto Akane… Certo,
era ridotto in condizioni pietose, ricoperto di ferite e con gli abiti a
brandelli, ma ce l’aveva fatta. Era davvero un testone…
Sorridendo e scuotendo la
testa, la principessa pensò fosse il caso di occuparsi di Ryoga che, era facile
prevederlo, non doveva essere in condizioni migliori, anzi, da quando era
caduto a terra, non si era ancora mosso probabilmente
doveva aver perso i sensi, o almeno, Ranko lo sperò: esser coinvolti in quel
vortice per poi esser scagliati via non doveva esser piacevole. Così, seguendo
Taro, si diresse verso la figura immota del suo distratto cugino. Akane,
invece, si alzò dal suo posto e dopo essersi liberata dalla polvere con calma
quasi inspiegabile, si avvicinò alla sua maestra che, ancora incredula, stava
complimentandosi con il principe, a fatica venuto fuori dalla
voragine che lui stesso aveva creato.
“E’ davvero stupefacente sua
grazia! Ha eseguito il colpo finale alla perfezione, nonostante non le avessi
detto ancora nulla in merito!” raramente la giovane schiava aveva visto la
vecchia Obaba tanto entusiasta; doveva convenirne, il padrone aveva superato
anche le proprie aspettative. Durante il
combattimento, nonostante l’apparente difficoltà, Akane aveva notato come non avesse mai perso la concentrazione e come, seppur fatto
bersaglio di colpi tremendi, non avesse smesso nemmeno per un attimo di
tracciare la spirale, attirando l’altro fino a quando, alla fine, aveva agito
d’impulso e aveva vinto. Aveva vinto…
Il cuore le batteva così forte
contro il petto da farle quasi male, quando con occhi lucidi per un’emozione
sconosciuta, lo guardò rimettersi in piedi; tremava visibilmente e a giudicare
dalla sua espressione, le ferite dovevano fargli molto male, soprattutto il
colpo allo stomaco doveva dolergli, quando vi poggiò le mani
infatti non trattenne un gemito sofferente.
“Mi sento come se fossi stato
investito da una mandria di bufali selvatici…” commentò con il fiato corto,
tenendo gli occhi serrati.
“Padron Ryoga non c’è andato leggero. Per un attimo ho
dubitato di lei, sua grazia, ma mi ha smentito nel miglior modo possibile. Come
ha fatto a capire che solo un pugno montante inferto con un moto rotatorio,
avrebbe creato il vortice?”
Ranma
riaprì gli occhi e, sospirando, si strinse nelle spalle. “Istinto, credo. Non
ci ho pensato…”
Un
sorriso a metà tra il tenero ed il rassegnato distese il
viso dell’amazzone che scosse la testa. “Ah, lei è davvero
avventato… Capace, ma avventato. Sa che poteva non funzionare? Avrebbe
perso…” senza esitazione il ragazzo spostò gli occhi
vividi su Akane e la fissò con una tale intensità che la ragazza non poté
evitarsi di arrossire.
“Non
sarebbe mai capitato. Non l’avrei mai permesso.”