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Autore: Witchlight    19/04/2011    2 recensioni
Margherita giunta alla fine della propria vita si vede riflessa negli occhi degli altri. Margherita ha riempito le miei estati di bambina e ancora oggi, ogni tanto, riaffiora nei miei ricordi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo scritto questa “storia” per un concorso ma poi, rileggendola meglio, mi sono accorta che non è esattamente quello che cercavo e l'ho scartata. Tuttavia mi dispiaceva buttarla e così ho deciso di pubblicarla...

Ci tengo a specificare che non è un racconto vero e proprio, ma piuttosto la descrizione romanzata di una donna che in un certo senso è veramente esistita nella mia infanzia e che è stato il punto di partenza di diversi personaggi immaginari che ho inventato durante gli anni.

 

Era quello il suo posto preferito, quel muretto soleggiato a margine della stradina sterrata. Le piaceva perché, appoggiato com'era alla vecchia stalla, sul viottolo che portava all'ovile, era decisamente tranquillo e poco frequentato. A Margherita piaceva la tranquillità. Non era sempre stato così, però. Una volta, tanto tempo fa, la sua casa non era mai vuota e la gente la chiamava signora. Adesso poteva al massimo aspirare ad essere la signora delle lucertole che le facevano compagnia nei pigri pomeriggi d'estate. Forse ci assomigliava anche un po', a una lucertola: la pelle del collo, un tempo elastica e vellutata, si era rilassata e raggrinzita, le labbra sottili erano quasi invisibili, nascoste in un viso stanco e sciupato. La donna, come le lucertole, passava i pomeriggi a fissare un punto indefinito, immobile, scaldandosi al sole. I suoi occhi azzurri, un tempo vividi e penetranti, avevano assunto una sfumatura lattea e piatta.

La vecchiaia dona a certe persone, dà loro un'aria serena, a volte saggia, a volte dolcissima: non era questo il caso di Margherita. Ne aveva avuto le potenzialità; era stata una bella donna, forte, intelligente, ma con un difetto fondamentale: la paura di invecchiare. Aveva visto i suoi vecchi cadere sotto ai colpi dell'età, li aveva visti perdere la libertà e l'indipendenza e all'improvviso, il giorno in cui suo figlio si era sposato con una ragazza troppo bella, con lo sguardo di brace e i capelli neri, si era vista sola ed abbandonata, vicina ad una fine polverosa e triste. Allora aveva deciso che non sarebbe invecchiata. Il suo spirito era rimasto saldo, ma poi la vecchiaia era arrivata comunque sul suo corpo e, forse, sulla sua mente.

Era generalmente una donna silenziosa, forse perché in fondo non aveva molte occasioni per fare conversazione, aveva però l'abitudine di parlare da sola. Non faceva grandi discorsi, più che altro brontolava sottovoce, si lamentava degli acciacchi delle ginocchia e dei dolori della schiena, della polvere che si posava negli angoli della cucina e delle pareti della camera da letto sempre più scrostate. Margherita pensava a suo figlio e scuoteva il capo. La casa in cui un tempo avevano vissuto insieme era grande, troppo grande per una persona sola. All'inizio Claudio andava a trovarla, imbiancava le pareti ed eseguiva tutte le piccole riparazioni che una casa vecchia duecento anni richiedeva. Poi erano arrivate le bambine, prima una, quella Lucia dai lineamenti affilati e gli occhi taglienti che tanto le somigliava; e poi Roberta, che non assomigliava a lei, che non assomigliava nemmeno a Claudio, ma piuttosto al farmacista, anche se nessuno lo ammetteva ad alta voce. Le sue nipotine l'avevano sempre vista così, una vecchia pesante e curva, che portava abiti lunghi e scuri, con le ciabatte pesanti, con i capelli corti, candidi e occhi azzurri come il ghiaccio, una vegliarda che sorrideva raramente e per un secondo soltanto. Le bambine non avevano mai conosciuto la donna forte e rispettata che era stata un tempo. Quelli che l'avevano vista nel suo massimo splendore erano ormai morti tutti, o quasi. Rimanevano solo due persone: una era Maria, che a 82 anni viveva confinata al piano terra della sua casa, sorda e zoppa, ma non cieca, e spiava il mondo da dietro una tendina di pizzo bianco, soddisfatta di badare alle piantine nei vasi e a due o tre gatti. Margherita la compativa, lei non avrebbe voluto vivere prigioniera della sua casa buia e fredda. L'altra superstite di un tempo che ormai pareva lontanissimo era Natalina, 98 anni e un solo scopo nella vita: arrivare ai cento e morire serenamente. Lei e Margherita non erano mai andate d'accordo. Margherita era l'unica figlia degli antichi signori del paese e poco importava se ormai non avevano più titoli nobiliari, né terre, né denaro: il loro nome riportava alla memoria della gente un tempo in cui la valle era ricca di viti e bestiame ed i giovani non dovevano andare oltre confine per trovare un lavoro. Natalina invece era figlia di contadini e aveva dovuto rimboccarsi le maniche sin da piccolissima per badare ai fratellini, alle mucche e ai campi.

La diversità era anche fisica: Margherita era grande e pesante, Natalina piccola e secca come un uccellino, Margherita era severa e segnata da una malinconia amara, Natalina sorridente e allegra. I bambini si accorgevano della differenza: amavano Natalina e la seguivano quando zampettando si avviava a percorrere la sua passeggiata pomeridiana, ma temevano ed evitavano Margherita. Loro erano uno dei motivi per cui la donna non sapeva se amare o odiare l'estate: in inverno il freddo le entrava nelle ossa e la costringeva in casa, ma la scuola impegnava i bambini che la sfidavano con i loro sguardi irriverenti. L'estate invece portava il sole, ma con il sole arrivavano anche le vacanze e quindi i ragazzini. Non è che a Margherita non piacessero i bambini in quanto tali, semplicemente con loro non sapeva come comportarsi. Pochi giorni prima se ne stava seduta sul suo muretto, quando all'improvviso da dietro il sentiero erano comparse due bambine bionde. La faina ed il leprotto, le chiamava lei. Siete una faina e un leprotto, voi due, aveva detto loro. Le bambine si erano fermate di colpo e l'avevano guardata con gli occhi spalancati: la più grande, dal mento appuntito e i capelli scarmigliati, le aveva rivolto un sorriso falso, da faina. “Eh...” aveva risposto. Aveva già un po' dell'ipocrisia dei grandi, ma ancora le mancavano le parole. La sua sorellina, più paffuta, aveva fatto un passo indietro. Se n'erano andate con un “ciao” sbrigativo, senza voltarsi. Avevano paura di lei.

É perché sentono che non ti importa più di niente, che non ti piace più nulla” le aveva detto suo figlio quando gli aveva chiesto un'opinione. Ma non era vero che a Margherita non piaceva nulla...

le piaceva il profumo del mandarino. È Natale, la sala è calda, fin troppo calda e c'è l'albero con le palline di vetro – non è grande, ma Margherita è piccina e l'albero le sembra un gigante – e ci sono la mamma e il papà e una bambola di pezza stretta al petto della bambina e un profumo di mandarino nell'aria... Margherita sorrise, ricordando. Era da ottant'anni che non sentiva più il profumo che c'era nell'aria nei Natali della sua infanzia.

le piaceva il tintinnio dei campanelli. I bambini corrono nei prati a marzo e cantano e scuotono i campanacci per risvegliare la natura. La loro filastrocca fa crescere l'erba che poi diventerà fieno e sfamerà le bestie. Margherita sospirò: era da settant'anni che non andava più per i prati a primavera. Quel rito era ancora vivo tra i bambini del paese, ma il suo significato era perduto.

le piaceva il profumo dell'erba falciata nei prati. È una sera di luglio e le stelle sono luminose. L'erba è corta e pungente sotto alla sua schiena, ma l'aria tiepida le sfiora le gambe nude e lui è alto e bello e i suoi baci sulla pelle la fanno rabbrividire, le sue carezze le fanno girare la testa e i suoi occhi sono gli occhi che ha sempre sognato. Margherita fece una smorfia amara: era da sessant'anni che non si fidava più degli occhi di un uomo.

le piaceva il vento d'autunno. È ottobre e Claudio ha dieci anni e sta pulendo la stalla. Margherita è seduta con una vecchia vicina su di un muretto assolato a rammendare calze. Il vento è caldo e forte e all'improvviso porta un grido lamentoso che giunge dal paese e vola verso le selve ramate. È morta una strega, le dice la vicina, e quella era la sua anima che volava verso i boschi. Porta bene sentirla. Margherita chiude gli occhi: era da una vita che aspettava che qualcuno le si sedesse accanto e le chiedesse cos'erano i rumori portati dal vento.

Un suono di passi la riportò alla realtà: un contadino si dirigeva verso la stalla delle pecore. Le passò accanto, salutandola appena con un cenno del capo. Alzando gli occhi al sole che forse era più caldo di quello conservato nei suoi ricordi, Margherita si rese conto che il suo tempo era passato e che presto per lei sarebbe giunta la fine; e pensò che ognuno aveva la fine che si meritava. Ma chi era lei? Una persona, rifletté, è qualcosa in funzione degli altri, cambia identità a seconda degli occhi di chi la guarda. Ai suoi stessi occhi era una donna che non voleva invecchiare e la sua fine sarebbe stata nella solitudine in cui lei stessa si era relegata. Agli occhi di suo figlio era una vecchia testarda e la sua fine sarebbe stata nella stanza anonima di un ospedale. E agli occhi dei bambini che la sfuggivano? Ai loro occhi, immaginò Margherita, lei era la strega delle fiabe; e allora forse la sua fine sarebbe stata nel vento che corre verso i boschi che l'avevano accompagnata per tutta la vita... per un qualche motivo, Margherita trovò il pensiero confortante.

  
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