30 Agosto (uno qualsiasi)
30 Agosto, uno qualsiasi, Hogwarts
L'ultimo giorno di Agosto è il giorno in cui la Scuola respira.
Hogwarts sembra estendersi per chilometri e chilometri, infinita, e soprattutto
silenziosa.
Lo è stata per tutta l'estate; solo che è più facile rendersene conto a solo un
giorno, poche ore, dall'inizio dell'anno scolastico, dall'arrivo dei ragazzi che
invaderanno i corridoi con le sciarpe colorate e annulleranno gli echi tra le
risate.
Domani non sembreranno nemmeno le stesse mura grigie; domani i passi lenti di un
vecchio uomo non faranno rumore abbastanza da coprire le voci.
Albus Dumbledore cammina come sempre nei corridoi vuoti. Oggi è il giorno più
lungo dell'estate, quello che sembra non finire. E se la scuola è silenziosa,
forse i pensieri di un vecchio mago sono persino troppo rumorosi, per lui.
Albus passeggia tranquillamente, perso nei meandri della sua mente.
Sta ricordando altri, lontani, ultimi giorni d'estate.
1898, Godric's Hollow
-Non vedo l'ora che sia domani!- esclama Elphias, gettandosi sul letto di
Albus come se fosse a casa propria.
Albus sorride appena un poco, alzando gli occhi dai suoi compiti di
Trasfigurazione.
Naturalmente si è ridotto all'ultimo giorno di vacanza, per finirli. Non perché
non li abbia terminati per tempo, ma perché all'ultimo gli è venuta l'idea per
un esperimento ancora più interessante del precedente, e li sta rifacendo da
capo.
Elphias si stiracchia, contento. Adora tornare a scuola, quasi quanto Albus. E
quando è in quello stato di euforia è incredibilmente divertente averlo attorno,
di solito. Albus torna momentaneamente ai suoi appunti, correggendo una nota
frettolosa e cercando di riprendere il filo del discorso.
Si immerge di nuovo nel lavoro, mentre l'idea prende sempre più rapidamente
forma nei suoi pensieri, e poi sulla pergamena. La piuma scricchiola, la pioggia
leggera batte sul tetto, ed Elphias non dice una parola.
Finché...
-Tu studi troppo, Albus- borbotta Elphias, e gli sorride quando Albus alza il
viso e lo guarda. -Passami il libro di pozioni; almeno ripasso mentre ti
aspetto-.
Albus lo guarda un po' stupito. Il libro è sulla mensola, a tre passi da Elphias
e ad almeno sei da Albus. Ma la faccia di Elphias è troppo furba perché sia solo
pigrizia.
-Prego?- risponde, fingendosi seccato.
Elphias scuote la testa. -Alza quella bacchetta e passami il libro- ridacchia.
-Perché non lo fai tu?-
Allora Elphias ride. -Merlino, Albus. Possibile che tu ti sia dimenticato? Hai
diciassette anni, puoi fare incantesimi! Quando li ho compiuti io, non ho fatto
altro che agitare la bacchetta per giorni!-
Anche Albus ride, ma c'è un fondo di amarezza che forse Elphias non può capire.
Lui ha sempre fatto incantesimi, d'estate, fin da quando aveva appena undici
anni. Con il permesso di sua madre, e naturalmente per contenere Ariana. Ma non
è che sia esattamente una novità, per lui.
Però accontenta Elphias, solleva la bacchetta e gli fa volare il grosso tomo in
grembo.
Prima che possa tornare ai suoi compiti, Elphias parla di nuovo. Sembra che oggi
proprio non sia capace di starsene zitto; ma in fondo, anche Albus sente
l'emozione del nuovo anno che sta per iniziare, esattamente come il suo amico.
Solo che lui non vede l'ora di liberarsi di quella casa opprimente, e di
lasciare egoisticamente di nuovo le sue responsabilità sulle spalle curve di sua
madre; Elphias chiacchiera, eccitato semplicemente all'idea di trovarsi di nuovo
ad Hogwarts. Albus si sente in colpa per il suo infinito desiderio di essere
lontano da Godric's Hollow. Così risponde a monosillabi alle battute dell'amico
e cerca di distrarsi di nuovo da quella confusione di sentimenti e desideri
inconciliabili, rituffandosi nelle pieghe di una difficile Trasfigurazione.
Alla fine Elphias si arrende senza perdere il sorriso. Si mette a studiare,
borbottando ogni tanto tra sé un enunciato, o sbagliando a ripetere una formula
che Albus gli corregge senza nemmeno alzare gli occhi.
Il progetto di Trasfigurazione prende forma, cresce, diventa sempre più
concreto, dettaglio dopo dettaglio, fino ad arrivare a quella precisa perfezione
che in genere è la firma di Albus Dumbledore.
Quando posa la piuma, soddisfatto e insieme dispiaciuto di aver già finito,
trova Elphias che gli sorride di nuovo. Chissà da quanto lo sta guardando,
invece di ripassare pozioni. Il sole è già calato sul pomeriggio e non piove
più.
Elphias gli indica un passaggio sul libro e gli chiede spiegazioni. Albus si
avvicina a lui per vedere di che si tratta, aggiustandosi gli occhiali che si
sono inclinati sul naso; si china sulla sua spalla e comincia a spiegargli, per
l'ennesima volta, la differenza alchemica tra rimestare e mescolare, quando si
lavora con ingredienti polverizzati. E' grato all'amico che gli offre un'altra
distrazione dai suoi cupi pensieri di fine estate.
E' ancora più grato quando Elphias si avvicina al suo viso e lo bacia, quando
gli mette le mani tra i capelli e lascia cadere il libro con un tonfo, lavando
via l'angoscia di Albus con quel suo semplice modo di amarlo. Si lascia
distrarre dal suo migliore amico, dimenticando tra le sue braccia anche
quell'ultimo giorno d'estate.
1899, Godric's Hollow
-Sarai contento- ringhia Aberforth dall'altra parte della stanza.
Albus solleva di scatto il viso verso suo fratello. Lo vede a malapena, tra le
lacrime e il fumo delle candele; e per poter incrociare i suoi occhi deve
passare lo sguardo sul corpo di Ariana, composto nella bara, tra loro.
-Contento?- chiede, sinceramente stupito dall'uso di quella parola, con la loro
sorellina che domani sarà sepolta. E' troppo confuso e distrutto per litigare
con Aberforth, troppo straziato e lacerato dal dubbio e dalla colpa persino per
cogliere l'ironia nella rabbia di suo fratello.
-Contento- ribadisce Aberforth, singhiozzando. -Mi hai detto e ripetuto di non
cercare scuse per non tornare a scuola, no? Adesso ho un buon motivo per non
prendere il treno, domani. O dovrei preoccuparmi della mia istruzione prima che
del suo funerale?-
Albus incassa il colpo senza parlare. Forse dovrebbe rispondere, giustificarsi,
spiegare che mai, mai avrebbe voluto altro che il bene dei suoi fratelli.
Ma non può mentire ad Aberforth, adesso. Sarebbe inutile, perché quel che l'ha
guidato nelle sue azioni per tutta l'estate non è stato certo il dovere, né una
preoccupazione fraterna.
Ha vissuto due mesi di follia, accecato dall'amore.
Semplicemente, persino il benessere di Aberforth e Ariana era sembrato
secondario davanti agli occhi luminosi di Gellert Grindelwald, sotto le sue mani
bianche e la sua bocca morbida. Albus si è perso in un sogno, e le conseguenze
li hanno distrutti tutti. E Ariana...
Sembra una bambolina di porcellana, una bambina ancora più minuscola, immobile
nell'abito bianco. Bathilda l'ha preparata, ma è stato Aberforth con la sua
impensabile tenerezza a pettinarle i capelli come le piacevano, e a metterle in
mano un mazzolino di fiori di campo, che ormai stanno appassendo.
Tutti travolti dal lutto.
Albus ha coperto tutti gli specchi di casa. Non sarebbe riuscito a fare molto di
più, intontito com'è dalla fatica di capire cosa potesse essere stato così
mostruosamente sbagliato in un amore così bello. Ha visto il suo riflesso in
ciascuno specchio, prima di velarli a lutto, e ad ogni stanza che passava, il
suo viso sembrava sempre più piegato su se stesso, come se ogni linea piangesse
quella follia.
Ariana non c'è più.
Ariana non c'è più, ripete ai pochi amici che possono capire. Ariana non c'è
più, ha scritto ad Elphias, senza osare chiedergli di tornare dal suo viaggio in
Europa.
Ariana non c'è più, e Bathilda si occupa della casa, e Aberforth non lascia il
fianco della bara, e Albus nasconde gli specchi.
E Gellert è fuggito.
Tra tutti gli ultimi giorni d'estate, questo è sicuramente il peggiore.
1933, Hogsmeade
-Per la barba di Merlino- sbraita Aberforth, lasciando cadere il bicchiere
che ha in mano, e che si frantuma in mille pezzi sul pavimento lercio.
Albus dovrebbe ritenersi fortunato che l'espressione non sia stata più volgare.
Del resto, non vede suo fratello da almeno quattro anni e del resto non ha mai
messo piede nella catapecchia che chiamano il suo locale.
-Fuori. Oggi si chiude prima-. Aberforth indica sgarbatamente la porta ad un
paio di avventori piuttosto equivoci, e quelli saggiamente se ne vanno,
portandosi via i bicchieri.
Albus cerca di sorridere. Ma non è mai facile capire se farlo sia fuori luogo,
con suo fratello.
-Non dovresti rinunciare agli affari per me- commenta, sedendosi sullo sgabello
più pulito di quella bettola immonda.
-Non cercare di essere spiritoso. Cosa vuoi?- abbaia Aberforth.
Dire che tra i due fratelli i rapporti sono tesi sarebbe una bella favola. Non
esiste praticamente nessun rapporto, e da oltre trent'anni.
Tuttavia quella visita era necessaria. Sgradevole, forse persino spaventosa, ma
necessaria. Come se fossero due animali rivali, Albus non può trasferirsi nel
territorio di suo fratello senza usargli la cortesia di avvisarlo prima.
E non è colpa di Aberforth, niente di quello che è accaduto. E' senza dubbio
Albus quello in debito, anche se deve ripeterselo per soffocare l'istintivo
fastidio che la presenza di Aberforth gli provoca, trascinandosi dietro tutti i
ricordi terribili che ormai legano i due fratelli, al di là del sangue.
-Vorrei qualcosa di non troppo forte, per favore-.
Aberforth guarda Albus con gli occhi spalancati, l'espressione incredula e la
bocca aperta. Gli ci vuole un attimo per elaborare quello che ha sentito; Albus
può vedere la consapevolezza di essere appena stato preso in giro che si fa
strada nella sua mente.
Una volta Abe gli avrebbe dato un pungo sulla spalla e gli avrebbe detto di non
burlarsi di lui, ridendo. Ma allora Ariana era ancora viva.
-Non ti ho chiesto cosa vuoi da bere!- dice Aberforth, seccamente. -Cosa
vuoi da me?-
Albus sorride amaramente. Una volta, una volta era tutto diverso.
-E' una visita di cortesia, Aberforth. Da domani insegno ad Hogwarts, e ho
pensato...-
Aberforth sbatte il pugno sul bancone, facendo tremare i bicchieri sporchi e le
bottiglie mezze vuote, e sollevando una nuvola di polvere e scricchiolii
sospetti.
-Per Godric! Tu? Insegnare?- Aberforth accenna una risata sguaiata, ma non è
nemmeno vagamente sincero. -Come no. L'ambizione della tua vita, vero?- chiede,
ironico.
Albus si stringe nelle spalle. Naturalmente.
-Penso di poter fare qualcosa di buono. Anche i Consiglieri e il Preside ne
sembrano convinti- risponde Albus, pensando solo brevemente a quali fossero le
ben altre ambizioni che aveva per la sua vita, e a che disastro abbiano portato.
-Davvero- commenta Aberforth. Da sotto al bancone tira fuori un giornale
spiegazzato e bagnato, e lo sbatte sul ripiano, proprio davanti ad Albus.
Non è la Gazzetta, ma un giornale babbano; una foto in prima pagina ritrae
l'inaugurazione di un "campo di lavoro" a Dachau, in Germania. Numerose autorità
circondano l'ufficiale che taglia cerimoniosamente il nastro. Una scena
inquietante.
Se ne vedono sempre di più, a seguire la cronaca babbana.
Aberforth guarda Albus che scorre l'articolo. Poi sbuffa.
-Quanto sanno i Consiglieri di quello che sta combinando il tuo amico?
Credi che sarebbero altrettanto convinti delle tue capacità di insegnare, se
sapessero del tuo passato?-
Albus alza la testa di scatto e fissa negli occhi suo fratello. I loro occhi
sono identici, l'hanno sempre detto tutti. Anche in quel momento, l'azzurro fa
da fondo allo stesso dolore. Affondano entrambi, ancorati allo stesso ricordo.
Eppure le parole di Aberforth non sono una minaccia. Sono una constatazione
triste, una lama che passa nella vecchia ferita. E' la rabbia che ormai li
divide, a farlo parlare.
Albus scuote la testa. -Nessuno lo sa, Abe- dice. Poi qualcosa nel suo sguardo
si indurisce. -Nessuno lo saprà- aggiunge.
Ma neanche questa è una minaccia.
I due fratelli tacciono, persi nello stesso silenzio.
Aberforth tira giù da uno scaffale una bottiglia di qualcosa di spaventosamente
alcolico. Come per magia, da un angolo nascosto sotto il bancone spuntano due
bicchieri praticamente puliti. Il barista versa con fare pratico una generosa
dose di liquore per entrambi, spinge uno dei bicchieri verso suo fratello, e
vuota l'altro d'un sorso.
Albus lo imita, cercando di non strangolarsi con il liquore potente. Ma
qualsiasi intruglio sia, è freddo e scende bene per la gola, senza costringerlo
a sputacchiare come un ragazzino. Lui e Abe appoggiano il bicchiere sul bancone
lurido, quasi contemporaneamente.
Poi Aberforth raddrizza le spalle. -Credo che sia ora che tu te ne vada- dice.
-Se davvero vuoi insegnare, domani avrai una giornata pesante. Sarà interessante
vederti lavorare come noi comuni mortali, Albus-.
Albus si alza. Fa per mettere mano nella tasca della veste, ma Aberforth scuote
la testa.
-Offre la casa- borbotta. -Per questa volta. Durante l'anno scolastico, i
Professori hanno uno sconto, ma fanno meglio a portarsi dietro i bicchieri.
Buona fortuna-.
Concluse le raccomandazioni, Aberforth si gira e sale le scale sul retro del
bancone, come se Albus non ci fosse già più.
Lui sorride un po' tra sé, poi esce, lasciandosi alle spalle il locale e un
altro ultimo giorno d'estate.
1945, Nurmengard
-E' fatta- dice l'uomo, asciugandosi la fronte sudata con un fazzoletto
spiegazzato.
Albus annuisce al Ministro tedesco della Magia.
E' l'unico uomo nella stanza a non essere il vertice politico di un paese
europeo, eppure è quello a cui tutti si rivolgono, come se fosse la massima
autorità. Il carisma dell’eroe. Probabilmente quei maghi lo vedono potente,
imponente e vittorioso, in piedi accanto alla finestra, con Fawkes posata sulla
spalla. Come se dal potere occulto di Grindelwald si fossero liberati solo per
cercare un'altra eminenza grigia che sostenga i loro troni.
Ma quello non è il ruolo di Albus; l'ha rifiutato troppi anni fa per poterci
anche solo pensare.
E poi è stanco, è ferito nel corpo e ancora più in profondità. Ha vinto il
duello, ma il prezzo è stato pesante.
E' fatta, che vuol dire che Gellert Grindelwald non farà più del male a nessun
altro, che Nurmengard è stata attrezzata, secondo i suoi ordini, perché lui non
possa uscirne; è fatta, e Gellert marcirà in prigione da solo, da quel preciso
istante.
E' fatta. Albus ridacchia tra sé. Che sciocchezza; tutto il resto comincia
adesso.
-Signori- dice, con voce solenne, e tutti tacciono, nella stanza. Sciocchi,
uomini da poco. Albus si volta a guardarli, uno alla volta, e nessuno di loro
sostiene lo sguardo dell'eroe senza tradire un certo nervosismo. Uomini comuni;
troppo comuni per reggere il confronto con Gellert Grindelwald.
Ma la forma va rispettata.
-Signori,- ripete, quando ottiene la loro attenzione, -vi ringrazio di questa
collaborazione. Vi garantisco che non c'è motivo di temere una fuga. Mi
assicurerò personalmente che non ci siano falle, poi tornerò in Inghilterra-.
Il Ministro francese fa una smorfia. -Non resterà a sorvegliare la situazione,
Dumbledore?- chiede. I suoi piccoli occhi neri saettano per la stanza, come se
si sentisse in pericolo.
Albus sorride. -Domani comincia un nuovo anno scolastico. I miei doveri mi
chiamano in patria, ma vi ripeto che non c'è rischio di fuga-.
Uno ad uno, i dignitari con i loro seguiti lasciano la fortezza. Quel luogo li
inquieta tutti; spaventerebbe anche Albus, se non fosse la creatura di un uomo
che ha amato.
Fawkes canta piano, strofinando le piume morbide contro i capelli di Albus.
Sembra che lo voglia confortare.
Ma solo quando tutti se ne sono andati, quando le nere mura della prigione
restano a custodire solo lui e il suo prigioniero, Albus smette i panni
dell'eroe e si siede su una sedia, stringendosi il capo tra le mani. Fawkes
aumenta il volume del suo canto confortante, e Albus le è grato, ma quasi non lo
sente.
Resta a pensare, a soppesare la situazione.
Poi si alza e si incammina verso la cella di Gellert.
Lui è seduto per terra, appoggiato al muro, come se non avesse un comodo letto e
una poltrona su cui riposare. Albus lo guarda e non gli parla. Gellert ha la
fronte posata sulle ginocchia, ma quando Fawkes trilla, solleva la testa e
sorride ad Albus.
La sua faccia è un macello. Il labbro è rotto e sanguina, una guancia è gonfia e
un occhio è nero, chiuso e pesto.
E' ancora bellissimo.
-Ciao- lo saluta Gellert, semplicemente. -Credevo che fosse finita. Che ve ne
foste andati tutti- commenta.
L'uomo che ha messo in ginocchio l'Europa. La voce che esce da ogni incubo e da
ogni sogno di Albus.
-Sto per andarmene- risponde. Le orecchie gli ronzano e, per la prima volta
nella sua vita, Albus pensa che potrebbe persino sentirsi male.
Gellert si alza, e un po' zoppicante si avvicina alla porta. Il suo sorriso è
abbagliante.
-Posso salutarti? O penserai che voglia ucciderti?- scherza. Ancora la vecchia
arroganza, che probabilmente è l'unica cosa che gli rimane, adesso.
Albus scuote la testa e Fawkes emette un verso di rimprovero. -Non puoi fare
magie, Gellert. Qui dentro sei senza potere-.
Gellert si avvicina, impugna le sbarre. Quasi inconsapevolmente, Albus fa un
passo avanti, verso di lui. Gellert si sporge più che può, finché è così vicino
al volto di Albus, che lui può percepire chiaramente l'odore del sangue nel suo
respiro.
Gli sussurra qualcosa all'orecchio, così piano che probabilmente nemmeno Fawkes
riesce a sentirlo. Albus sgrana gli occhi. Se lo ricorda ancora?
Poi Gellert solleva una mano e sfiora con l'indice il lungo taglio sottile che
lui stesso ha inferto sulla guancia di Albus, durante il duello. -Resterà il
segno?- gli chiede. Albus scuote la testa. Fawkes ha già cercato di curare lo
sfregio con le sue lacrime diverse volte. Albus glielo ha impedito, ma prima o
poi l'avrà vinta la fenice, e non ha importanza.
Gellert abbassa la mano, sfiora un istante il petto di Albus e la lascia cadere.
-Resterà il segno?- chiede di nuovo, e poi ride come un pazzo, come il pazzo che
è sempre stato.
Albus non sa se ridere con lui, o piangere, o odiarsi ancora di più per la
voglia di prendere Gellert e portarlo via di lì, di rinchiuderlo da qualche
parte dove essere ancora e sempre a portata delle sue dita.
Non c'è bisogno che risponda che resterà sempre. Gellert lo sa.
Si gira e si allontana per il corridoio.
Gellert ride ancora, ma quando ormai Albus ha un piede sul primo gradino che lo
condurrà fuori di lì, si sente chiamare e si gira un'ultima volta.
-Mi scriverai?- gli urla dietro Gellert.
Sembra ancora un ragazzo. Albus sorride e scuote la testa.
-Non sto andando in vacanza, sciocco- gli ricorda, senza pensarci.
-Tu scrivimi lo stesso- risponde Gellert.
E se c'è un'estate dal finale pazzesco, è proprio quella.
1955, Londra
-Smetti di agitarti così- lo rimprovera Elphias.
Albus lancia la cravatta nera sul letto dell'amico, senza smettere di andare su
e giù per la stanza. I vestiti babbani sono rigidi e scomodissimi, non vede
l'ora di toglierseli. Slaccia il colletto della camicia con un gesto secco, e fa
saltare via il bottone.
Elphias si china a raccoglierlo e lo stringe un attimo in mano, senza smettere
di guardare Albus.
-Senti- gli dice, -lo so che il tempismo non è il massimo, ma...-
-Non è il massimo?- risponde Albus. -Non è il massimo? Domani comincia l'anno
scolastico!-
Lancia la giacca sulla poltrona di Elphias, in malo modo.
-Non credo che abbia scelto Dippet di morire alla fine di Agosto, Albus- gli
ricorda Elphias. -Non è colpa del poveretto. Neanche che la sua famiglia abbia
la tradizione dei funerali babbani, e che tu abbia dovuto vestirti così, è colpa
sua-.
Elphias è saggio, nel suo modo semplice. E Albus sa che agitarsi non gli serve a
nulla, ma non si aspettava quello che è successo, ed è nervoso.
Come al solito, quando è in quello stato, l'unico a cui si rivolge è Elphias.
Sono amici da tantissimo tempo; Elphias ha visto tutto, è testimone di ogni cosa
e con lui Albus può permettersi di mostrarsi a disagio. E intende approfittarne,
come sempre.
Ad Elphias non dispiace, e se deve avere una crisi isterica, meglio con l'amico
che al funerale, o al Ministero.
Albus si blocca e ride di se stesso, della piega che hanno preso i suoi
pensieri, di quegli stupidi pantaloni che dopo tanti anni di vesti da mago gli
danno un fastidio assurdo.
Elphias gli sorride, e gli lancia una delle sue vesti da casa. -Così va meglio-
dice, vedendolo rilassarsi.
Senza smettere di ridacchiare della scenata, Albus si cambia rapidamente.
Finalmente comodo, si lascia andare sulla poltrona preferita di Elphias,
permettendo alla tensione della giornata di cominciare a scivolare via.
Sempre sensibile al suo umore, Elphias si mette dietro di lui e gli massaggia
piano le spalle. Albus si rilassa sotto quel tocco familiare.
-Davvero, non me lo aspettavo- ripete. Non ha praticamente detto altro da quando
è arrivato a casa dell'amico, direttamente dal Ministero, dopo il funerale di
Armando Dippet.
-Eri l'unico, Albus- ribatte Elphias, divertito. -Chi altro poteva nominare come
suo successore?-
-Pensavo alla Merrythought, veramente- ammette Albus, ed Elphias ride.
-Avrà cinquecento anni!- commenta. -Era vecchia quando insegnava a noi, Albus.
Le auguro ogni bene, ma non avrei mai pensato sopravvivesse a Dippet-.
Albus non risponde.
Albus Dumbledore è il nuovo preside di Hogwarts, ufficialmente, da quel
pomeriggio. E' una grande responsabilità. Albus avrebbe preferito limitarsi ad
insegnare. Essere Preside è avere potere, seppure solo sulla scuola, e Albus non
si fida di se stesso, ancora.
Elphias lo sa.
-Sarai il più grande preside che Hogwarts ricordi- gli dice. -E' capitato
all'improvviso, ma te la caverai benissimo, vedrai-.
Caro Elphias. Albus gli sfiora una mano, ancora posata sulla sua spalla, per
ringraziarlo di quel conforto. Elphias interrompe il massaggio e stringe le dita
tra le sue. Per un po' nessuno dei due si muove. Poi Elphias si china e posa un
bacio leggero sulla testa di Albus.
-Credo che tu debba tornare a scuola, sai? L'anno scolastico inizia domani, e
penso ci sia bisogno di te- gli dice.
Albus annuisce. Fissa lo sguardo sulle vecchie tende blu di Elphias ed esita a
lasciare quella stanza pacchiana e confortevole per le difficoltà che lo
attendono.
-Andrà alla grande, Albus- lo incoraggia ancora Elphias. -Un passo alla volta.
Qual è la prima cosa che devi fare?-
Albus ci pensa un istante. -Probabilmente una riunione con lo staff, rendermi
conto di come funziona la carica-.
Elphias mugugna, pensieroso. -Sai, credo che prima tu debba metterti a caccia di
un nuovo insegnante di Trasfigurazione- gli dice.
Naturalmente. Il Professor Dumbledore lascia il posto al Preside, e serve un
sostituto.
Albus si alza.
-Ho davvero moltissimo da fare- dice, rendendosi conto che già il primo giorno è
davanti alla prospettiva di iniziare l'anno scolastico senza un membro
importante del corpo insegnanti. -Devo andare, Elphias- dice, e non si stupisce,
girandosi verso di lui, che l'amico gli stia già porgendo il suo mantello da
viaggio.
Un passo alla volta, anche se ancora non lo sa, Albus Dumbledore sta già
diventando il Preside, sta già trovando naturali le sue nuove responsabilità.
-Grazie- dice ad Elphias, già sulla porta.
I due uomini si abbracciano brevemente, poi Dumbledore esce velocemente dalla
casa, verso Hogwarts.
L'estate finisce un'altra volta, e comincia qualcosa di nuovo.
1991, Hogwarts
-Sarà un anno interessante- dice Albus alla testa nel camino.
-Puoi dirlo forte, amico- risponde ridendo Nicholas Flamel, prima di sparire tra
le lingue di fuoco verde.
Albus ride tra sé. Interessante, pericoloso... chi può mai dirlo, ad Hogwarts?
L'esperienza gli ha insegnato ad aspettarsi di tutto. Anche senza contare i
nuovi arrivi che l'indomani di sicuro faranno parlare a lungo studenti ed
insegnanti.
L'estate è di nuovo finita.
Albus si siede dietro la scrivania e chiude un attimo gli occhi.
Quando sarà così vecchio da sentirsi più stanco che elettrizzato, al pensiero di
un nuovo anno scolastico? Nonostante la guerra e i timori che la caduta di
Voldemort non ha dissipato, l'ultimo giorno d'estate è sempre lo stesso. Pace,
tranquillità e vecchi ricordi, e la promessa di un nuovo inizio, l'indomani.
Albus sta valutando se concedersi un'altra solitaria passeggiata nei corridoi,
la seconda per quel giorno, quando Fawkes entra dalla finestra aperta, portando
con sé l'aria calda e umida di pioggia dall'esterno.
Sorride alla fenice che si posa sulla scrivania e, come suo solito, inclina la
testa verso di lui, gorgheggiando e aspettandosi una carezza. Fawkes è in uno
dei suoi giorni di massimo splendore, e le sue piume rosse, gialle e blu
splendono nella luce come pietre preziose; il piumaggio del suo capo è morbido
come il velluto, e incredibilmente caldo.
E porta una lettera, piegata a forma triangolare; Albus l'aspettava, e comunque
conosce bene quel vezzo.
Prende la missiva e la apre, sedendosi comodo per leggere, mentre la fenice, che
improvvisamente non è più al centro della sua attenzione, volteggia un paio di
volte per la stanza, prima di posarsi sul suo trespolo e mettersi a dormire con
la testa sotto l'ala.
La lettera è di Gellert, naturalmente; Fawkes non farebbe il lavoro di un gufo
per nessun altro, ma va volentieri a Nurmengard, dove l'aspetta sempre qualche
boccone prelibato che Gellert non le fa mai mancare.
Albus scorre velocemente le righe, divorando le parole che lo tengono in
contatto con Gellert, ancora, dopo tanti anni. Si perde come sempre nei tratti
dell'inchiostro, nelle volute della calligrafia e della mente che governa la
penna.
Chiacchiere senza senso; pochi convenevoli, che non sono nello stile di Gellert,
e tante idee strampalate, alcune messe lì chiaramente solo per farlo ridere.
La parte finale della lettera è la più interessante.
Ah, quindi vuoi sapere come finire il tuo discorso di benvenuto? Da me?
Hai intenzione di stupirli, quest'anno, i tuoi ragazzini. Bene, potresti dire
qualcosa di molto efficace, una frase ad effetto che segni le loro vite per
sempre; quella per cui tra dieci anni racconteranno ai loro figli che gli hai
fatto vedere la giusta via, hai cambiato loro la vita, con quattro, semplici
parole. Sarebbe bello, eh?
Una frase così dovresti pensartela da solo.
Io non ho tutta questa saggezza.
Però... se vuoi che ancora tra cento anni, quando saranno vecchi come noi siamo
adesso, quando deperiranno e i nipoti dei loro nipoti penderanno dalle loro
labbra, ricordino il loro vecchio Preside con affetto; se vuoi che ridano tra
loro, senza dimenticare mai il primo giorno di scuola, e il vecchio bislacco e
il suo discorso; se vuoi segnarli per sempre, fai così.
Fidati di me, non lo dimenticheranno mai.
Alzati con tutta la tua solennità, guardali come solo tu sai fare, uno per uno
anche se sono mille.
Dai loro il benvenuto. Sorridi.
E poi di' loro queste poche parole:
Pigna, Pizzicotto, Manicotto, Tigre.
E li avrai in pugno.
Albus ride fino ad avere le lacrime agli occhi, disturbando Fawkes che vola
via, indignata da quel trambusto nell'ora del suo riposo; ma non può proprio
evitare, nonostante tutto, di tenersi la pancia e piegarsi contro la scrivania.
Gellert è pazzo, lo è sempre stato; ma di quella pazzia geniale che Albus ha
sempre capito al volo, che ancora dopo tanti anni lo fa ridere come uno stupido.
Gellert è pazzo perché ha ragione.
E Albus è pazzo, perché gli darà retta.
La fine dell'estate non è niente male, quell'anno.
30 Agosto, uno qualsiasi, Hogwarts
Al termine della passeggiata e dei suoi ricordi, Albus torna nel suo studio.
Gli piace la solitudine della scuola, l'ultimo giorno d'estate. Lo rende triste
e felice allo stesso tempo. Gli regala lo spazio per rivivere ogni memoria,
quella più triste e quella più lieta. Ogni ricordo delle persone che ama e ha
amato.
La rabbia di Aberforth, il conforto di Elphias, la pazzia di Gellert.
Tutti i pezzi della sua vita che si porta dentro.
Albus percorre lentamente lo studio, dal gargoyle di guardia, su per la scala,
attraverso il portone fino al suo tavolo. Fa un po' più fatica dell'anno prima,
ma è la vecchiaia che chiede il suo prezzo; ed è giusto, è quello il tempo di
smettere di correre e di muoversi con cautela.
Sulla scrivania lo attendono tre biglietti, arrivati nel corso della mattinata
con tre diversi uccelli, il gufo di Elphias, il barbagianni di Aberforth e
Fawkes, naturalmente, da Nurmengard e da Gellert.
Li ha letti prima di mettersi a camminare, come sempre, ma li riprende in mano e
fa scorrere di nuovo lo sguardo sulle tre grafie familiari.
Non impiega molto a rileggerli.
Dicono tutti e tre la stessa cosa.
Buon compleanno, Albus Dumbledore.
Il compleanno di Albus Dumbledore non ci è dato da canon. Online ho trovato due diverse ipotesi per la data, il 26 e il 28 agosto; comunque il fatto che sia nato in estate deriva da un'affermazione della Rowling (Fonte). Ho scelto arbitrariamente il 30 Agosto perché non si allontana molto dalle stime che ho trovato in giro, e allo stesso modo mi sembrava la data più adatta a segnare la fine dell'estate, con la scuola che ricomincia il primo settembre. Ci stava bene, insomma.
Il calcolo degli anni è quasi sempre ripreso dalla fonte del lexicon o direttamente dal Canon. In particolare, Dumbledore è nato nel 1881, quindi ha iniziato il settimo anno nel 1898, come Elphias che era nella stessa classe. L'estate che ha trascorso con Gellert è senza dubbio quella del 1899. Ho trovato invece versioni discordanti sull'anno in cui ha iniziato ad insegnare; sicuramente insegnava già nel 1938, quando arriva ad Hogwarts Tom Riddle. Da come si comporta nei ricordi dell'orfanotrofio di Riddle, direi che non era al primo anno di insegnamento, ma il fatto che sia il Professore incaricato di trattare con i Nati Babbani prima dell'iscrizione mi ha sempre dato l'idea che fosse probabilmente all'epoca uno dei Professori più nuovi; mi sa di un compito che si lasci all'ultimo arrivato, insomma. Quindi il 1933 come inizio dell'insegnamento è totalmente inventato. Vero è invece che in quell'anno venne costruito il campo di concentramento di Dachau (FONTE), il primo in Germania; anche se è stato inaugurato nel marzo del '33, ritengo plausibile che la stampa estera su cui può mettere le mani Aberforth sia un po' indietro con le notizie. Il 1945 è l'anno del duello con Grindelwald; non ne conosciamo la data, quindi mi sono sentita libera di farla cadere nelle vicinanze del 30 Agosto per comodità. Probabilmente qualche giorno prima, dal momento che suppongo siano state fatte delle modifiche a Nurmengard prima di rinchiuderci l'uomo che l'aveva creata e che quindi ne conosceva le eventuali falle. Non sappiamo in quale anno Dumbledore diventi Preside. Per lo più ho trovato due opzioni in giro, entrambe dedotte dal canon: una è il 1956, ovvero l'anno a partire da cui la cattedra di Trasfigurazione è occupata da Minerva McGranitt. (FONTE). (L'altra è il 1971, l'anno dell'arrivo ad Hogwarts dei Malandrini, ed è dedotta dal racconto di Remus Lupin alla Stamberga, ma non collima con il fatto che Dumbledore smetta già nel '56 di insegnare Trasfigurazione). Avendo però reso così inopportunamente repentina la morte di Armando Dippet, ho pensato fosse più probabile che ad Albus servisse tempo per procurarsi un sostituto, e che quindi la McGranitt gli sia subentrata di fatto ad anno scolastico iniziato. Quindi ho retrodatato al 1955 l'insediamento di Dumbledore. Infine, il 1991 è il primo anno di scuola di Harry Potter, all'inizio del quale Dumbledore fa il celebre discorso che gli ho fatto suggerire da Gellert nella lettera.
Dopo aver postato questa fic, mi è stato fatto notare giustamente che il 30 agosto non è l'ultimo giorno di agosto, in quanto questo mese ha 31 giorni... A parte l'errore idiota, 31 agosto non mi suona particolarmente bene come data (non come trenta), quindi non ho modificato la storia. Preferisco pensare che ad Hogwarts l'ultimo giorno tranquillo dell'estate sia il 30, e che il 31 comincino i lavori per l'anno scolastico imminente, ecco. XDD