Sesto
Capitolo
Il
suono della sveglia, martellante e
continuo, mi svegliò bruscamente strappandomi violentemente
dal mondo dei miei
sogni. Mi strofinai gli occhi confusa e ci misi qualche secondo per
capire dove
mi trovavo e cosa dovevo fare.
Quando
ripresi lucidità spensi la
sveglia e sospirai afflitta, desiderando solamente di tornare a posare
la testa
sul cuscino. Detti un occhiata al mio orologio da polso e vidi che
erano appena
le sei. Nemmeno per andare a scuola mi svegliavo così presto.
Scesi
sconsolata dal letto,
rabbrividendo per il cambio della temperatura. C’era molto
freddo così presi
velocemente ciò che avevo preparato la sera prima da
indossare e corsi in bagno
per una doccia calda.
Scesi
in cucina, ma mi resi conto che
ero un po’ in ritardo, perché avevo perso qualche
minuto sia in doccia che dopo
nel sistemare la camera, così arrivai in cucina alle sette e
dieci.
Vidi il tavolo in cucina imbandito di tutto e di più ma
nessuno vi era seduto.
Solo Giulia stava riordinando delle cose nella credenza.
<<
Oh tesoro, eccoti! >>
disse non appena mi vide.
<<
Sono in ritardo. >> dissi
sedendomi.
<<
Non preoccuparti dai, mangia e
poi vai al laboratorio. Alessandro ti sta aspettando. >>
Feci
colazione velocemente anche se non
ero abituata a mangiare di mattina così presto, senza
contare che gli alimenti
erano molto diversi ma ottimi.
Salutai
Giulia con un bacio e poi corsi
fuori, stringendomi il giubbotto addosso. Fuori la temperatura era
ancora più
gelida, così mi affrettai a raggiungere la stalla, dove
intravidi la mia cavalla
all’interno del suo box per poi
recarmi
al laboratorio.
Il
giorno prima Giulia mi aveva spiegato
dove si trovasse ma era la prima volta che lo vedevo. Si trattava di
una
struttura in legno con un piccolo portico davanti, dove legati agli
assi di
legno c’erano due cavalli, probabilmente quelli di cui
Alessandro mi parlava
ieri. Dovevano essere arrivati molto presto, quindi chissà a
che ora si era
alzato quel povero ragazzo…
Entrai
nel laboratorio e detti un
occhiata all’interno, prima di scorgere Alessandro in piedi,
mentre aggiustava
delle provette in un armadietto. Una strana ansia mi pervase quando i
suoi
occhi blu incontrarono i miei. Sospirò e si
aggiustò il colletto del camice
bianco che indossava, mentre mi raggiungeva.
<<
Elisabeth, perché ti sei alzata
così presto? >> disse ironicamente.
<<
Scusa, ma… >>
<<
Nessuna scusa ragazzina. Devi
essere qui in orario, altrimenti te ne torni da dove sei venuta.
>>
Il
suo tono secco e tagliente mi ferì ma
cercai di non darlo a vedere. Sapevo che ero in torto ed ero solo un
ospite
quindi dovevo essere ineccepibile.
<<
Certo. >> risposi
semplicemente.
<<
Oggi non dovrai fare nulla
d’importante, se non aggiustare la mia agenda di appuntamenti
che è
un
vero disastro e mettere a posto la
roba negli scatoloni. >> disse indicando con il capo gli
scatoloni che
avevamo preso ieri.
<<
I cavalli come avrai già notato
sono arrivati, quindi sarò molto impegnato. Disturbami solo
se necessario.
>>
Mi
guardò in silenzio per qualche
attimo, poi mi superò e uscì nel porticato.
Sospirai
e mi avvicinai alla lunga
scrivania in noce che giaceva vicino ad una finestra che dava sul
bosco.
C’erano molti fogli sparsi, un fermacarte, un pc fisso
annesso di tastiera e
mouse e una lampada alta da ufficio. Trovai l’agenda sotto a
un plico di carte
e mi sedetti sulla poltroncina in pelle, facendomi un po’ di
spazio tra tutte
quelle carte. Certo che era proprio disordinato…
<<
Sì lo sono, altrimenti tu cosa
ci staresti a fare? >>
Avvampai
quando sentii la sua voce e mi
resi conto solo dopo di aver espresso i miei pensieri ad alta voce.
<<
Ehm… >>
<<
Non m’importa nulla di quello
che pensi, Elisabeth. Sono rientrato per prendere delle provette e per
dirti
che la nuova agenda dove dovrai riscrivere tutto quanto e in ordine
è dentro il
terzo cassetto della scrivania, sulla destra. >>
Se
ne andò di nuovo e io nonostante la
brutta figura fremetti di rabbia. Sarei veramente riuscita a sopportare
a lungo
quel suo comportamento dispotico?
Sospirai
più volte e aprii il cassetto
con rabbia, tanto che rischiai di farlo uscire dal suo assetto. Presi
l’agenda
del tutto simile a quella che stringevo nell’altra mano e
feci per richiudere
il cassetto, quando una fotografia attirò il mio sguardo.
Fu
più forte di me e la presi,
controllando che Alessandro non ci fosse.
Nella
fotografia c’erano lui e una
ragazza bionda, molto bella, con lo stesso colore degli occhi di
Alessandro.
Lui era sorridente e aveva un braccio attorno al collo della ragazza
che lo
stringeva a sua volta.
Il
rumore della porta che si apriva mi
fece trasalire e misi la foto di nuovo nel cassetto, richiudendolo
stavolta.
<<
Oggi sarà proprio una pessima
giornata. >> borbottò, prendendo ancora
qualcosa dall’armadietto, vicino
la scrivania, dopodiché uscì lanciandomi un
occhiataccia.
Insomma,
cosa voleva da me?
Mi
affrettai ad aprire l’agenda e a
prendere una penna da un barattolo sul tavolo che ne conteneva diverse.
Prima
finivo i compiti che mi assegnava meglio era per entrambi.
Quasi
mi misi le mani nei capelli quando
vidi il macello che c’era all’interno della sua
agenda. Cose scritte ovunque e
bigliettini vari cadevano da ogni parte. Sospirai rassegnata e cercai
di
trovare un senso a tutta quella confusione e scrissi tutto per bene
nella nuova
agenda. Notai che aveva tantissimi clienti e innumerevoli indirizzi di
riferimento e numeri telefonici, appartenenti a molti continenti
diversi.
Non
seppi quanto tempo passò da quando
avevo iniziato, ma di sicuro non meno di due ore. In tutto quel tempo
non ero
riuscita a levarmi dalla mente l’immagine di quella foto.
Alessandro aveva un
sorriso che non gli avevo mai visto sul volto, sebbene ci conoscessimo
da
pochissimo tempo. Chi era quella donna?
Mi
resi conto che uno strisciante senso
di gelosia albergava in me e non ne compresi il motivo. Sul
serio… quel ragazzo
era scorbutico e maleducato, seppur maledettamente bello…
Scrollai
dalla testa quei pensieri e
misi l’agenda nuova e sistemata nel terzo cassetto,
imponendomi di non guardare
la foto. Quella vecchia la misi in un angolo non sapendo cosa volesse
farci,
quindi mi alzai per stiracchiarmi un po’. Mi avvicinai
all’altra finestra,
quella vicino la porta, per vedere cosa stesse facendo e lo vidi nel
recinto
con uno dei due cavalli mentre lo faceva camminare lentamente. Il
cavallo era
nero e molto bello, ma aveva una grossa fasciatura
all’altezza del busto.
Doveva avergliela fatta mentre io ero occupata con la sua agenda,
perché quando
ero arrivata il cavallo non aveva nessuna fasciatura.
L’altro invece era ancora legato all’asse di legno,
sotto al portico, ed era di
colore marrone chiaro.
Ad
un certo punto Alessandro si fermò ed
alzò lo sguardo verso di me e io come scottata mi voltai per
avvicinarmi
all’armadietto. Anche lì c’era una gran
confusione, quindi sistemai un po’ di
cose e poi avvicinai gli scatoloni per uscirne il contenuto. Passai
molto più
tempo a fare questo lavoro, perché molte cose non le
conoscevo e non sapevo
come e dove sistemarle, come un gruppo di provette che capii dopo
dovevano
essere messe dentro uno scatolino, che si trovava su uno scaffale
vicino alla
piccola libreria del laboratorio e che non c’entrava nulla
messo lì.
Era
di sicuro ormai ora di pranzo quando
lui rientrò. Io feci finta di nulla e rimasi china sullo
scatolone, ormai mi
rimanevano poche cose da sistemare.
<<
Sei ancora lì? >>
Sospirai
un paio di volte prima di
alzarmi e girarmi a fronteggiarlo.
<<
Veramente ho quasi finito.
>>
Evitai
di dirgli che la colpa era sua se
ci avevo messo così tanto e dell’incredibile
confusione che regnava in quel
laboratorio, ma ero molto tentata di farlo.
<<
Bene… andiamo a mangiare, poi
Lorenzo ti accompagnerà a Firenze. Oggi comincerai i corsi.
>>
Annuì
contenta di non ritornare a
lavorare per lui di pomeriggio. Finalmente sarei andata a Firenze per
fare ciò
che dovevo.
Uscimmo
insieme e ci avviammo verso
casa.
<<
Hai sistemato l’agenda?
>> chiese autoritario.
<<
Certo. L’ho messa nel terzo
cassetto, mentre quella vecchia è ancora sulla scrivania,
perché non sapevo
cosa volessi farci. >>
<<
Bene. >> disse solamente.
Non
parlammo più ed entrammo in casa
diretti verso la cucina. Un delizioso profumo mi fece venire
l’acquolina in
bocca, così dopo aver salutato Giulia che stava mettendo
della pasta nei piatti
e Lorenzo che era già seduto a tavola, mi sedetti, subito
seguita da
Alessandro.
Allungai
una mano verso la bottiglia
d’acqua ma incontrai un'altra mano nel percorso. Per qualche
attimo sia io che
Alessandro ci guardammo in silenzio e io potei risentire quella strana
scossa
elettrica che quasi m’immobilizzava la mano.
<<
Scusa. >> mormorai,
ritraendo la mano.
Lui
non disse nulla ma dopo essersi
versato l’acqua nel bicchiere, la riversò anche le
mio prima di riporre la
bottiglia sul tavolo.
Lo
trovai un gesto gentile, forse il
primo da parte sua.
Bevvi
appena qualche sorso d’acqua sotto
il suo sguardo, all’improvviso insistente. Per fortuna Giulia
spezzò quel
momento di imbarazzo portando dei piatti fumanti di pasta con il sugo.
Lorenzo impegnò Alessandro in una discussione sui cavalli
che gli erano stati
portati, mentre anche Giulia si sedeva accanto a me con un sorriso.
Sospirai
e mangiai più tranquilla quel
piatto buonissimo.
<<
Mi farai ingrassare di sicuro.
>> dissi ridendo a Giulia, quando si alzò per
portare via il mio piatto.
<<
Sei così magra tesoro, che non
sarebbe un male, vero Alessandro? >>
Lui
guardò prima me, poi Giulia e poi di
nuovo me.
<<
Uhm – Uhm >> mugugnò
solamente.
<<
Com’è andata la giornata di
oggi? >> chiese a nessuno in particolare.
<<
Direi bene. >> dissi per
spezzare il silenzio assordante seguito a quella domanda.
<<
Come al solito. >>
rispose invece Alessandro, appoggiandosi allo schienale della sedia.
<<
Non avrai fatto stancare la
povera Elisabeth, vero? >> dissi gioviale Giulia,
portando il caffè con
le tazzine a tavola.
<<
Ti ho fatto stancare? >>
chiese lui con una strana smorfia che sembrava essere un mezzo sorriso.
<<
Ho avuto di peggio. >>
dissi senza pensare.
<<
Molto bene, perché da domani ti
stancherò di più. >> concluse
ironico, inarcando un
sopracciglio.
Non
risposi e sbuffai, voltando il viso
verso il giardino al di là della porta finestra che avevo al
lato.
<<
Adesso torno al lavoro, i
cavalli mi aspettano. Giulia magnifica come sempre, Lorenzo mi
raccomando sta
attento alla ragazzina e tu… >> disse
fermandosi accanto a me,
osservandomi attentamente.
Lo
guardai anch’io e il mio cuore fece
una strana capriola…
Stava
con le mani nelle tasche dei
Jeans, aveva il colletto della maglietta messo male e una leggera barba
sul
viso.
<<
Tu fa la brava, Elisabeth.
>> disse con voce bassa e roca.
Uscì
direttamente dalla porta finestra e
io sospirai cercando di riportare i battiti del mio cuore ad un ritmo
normale.
Perché diavolo mi faceva quell’effetto?
<<
Vado anch’ io, belle donzelle.
>>
Sorrisi
dell’ultima parola, che
immaginai ancora essere italiana. Aveva uno strano suono!
Lorenzo
diede un bacio sui capelli della
moglie e i due si guardarono amorevolmente per qualche attimo, facendo
intuire
come tra di loro ci fosse ancora una grande complicità e un
grande amore.
Chissà
se anch’io un giorno mi sarei
ritrovata alla loro età con un amore così bello.
<<
Tesoro va pure a riposarti se
vuoi. Hai un ora circa, poi Lorenzo ti accompagnerà ai tuoi
corsi. >>
Sorrisi
a Giulia e annuii. Salii in
camera mia e mi distesi sul letto per qualche attimo. Di nuovo quella
fotografia mi tornò in mente… avrei mai scoperto
chi era quella donna?
Chiusi
gli occhi per qualche minuto e
poi andai in bagno per darmi una sistemata e truccarmi un
po’, dato che quella
mattina non avevo neppure avuto il tempo di farlo.
Scesi
di nuovo giù e corsi fuori per
raggiungere la mia cavalla. Era ancora dentro il suo box e Lorenzo gli
stava
dando da mangiare.
<<
Elisabeth! Vuoi farla uscire un
po’? >> mi schiacciò
l’occhio e io sorrisi felice.
Lorenzo
aprì il box e con un po’
d’emozione afferrai le briglie della cavalla e lentamente la
portai fuori. Non
avevo mai fatto nulla del genere ma mi piaceva!
Lorenzo
mi stava accanto per sicurezza e
lo ringraziai con lo sguardo.
<<
Devi darle un nome! >>
<<
Hai ragione, Lorenzo, ma non so
quale dargli. >>
<<
Di solito si mettono ai cavalli
nomi particolari, come quelli elfici o legati a delle
divinità mitologiche.
>>
In
effetti ci avevo pensato ma non mi
era ancora venuto nulla. La osservai bene e ammirai il suo manto
marrone scuro,
tendente al rossiccio, così come la criniera che sotto i
deboli raggi di sole
riluceva di riflessi quasi rossi.
<<
Ci sono! Posso chiamarla
Fiamma! >>
<<
Bel nome! Gliel’hai dato in
riferimento al colore del suo manto? >>
Annuii
con energia, felice di aver dato
finalmente un nome a quella bellissima cavalla.
<<
Elisabeth, ora dobbiamo andare,
se torniamo presto te la faccio montare. >>
Annuii
con un sorriso e poi Lorenzo
tornò indietro e legò Fiamma in un asse apposito
poco lontano dalla stalla.
<<
Invece che chiuderla
direttamente nel box, sta un po’ fuori. Stamattina non era
ancora uscita.
>> mi disse Lorenzo quando tornò da me.
Mi
sentii in colpa, dovevo imparare ad
occuparmene io, ma Alessandro non mi aveva dato nessuno spazio.
Lorenzo
mi portò a Firenze e si inoltrò
lungo le strade del centro. Il viaggio con lui fu molto più
piacevole, ridemmo
e scherzammo con tranquillità fin quando non si
fermò davanti a una struttura
che a prima vista mi sembrava una scuola.
<<
Siamo arrivati! Ti basterà
entrare e chiedere in segreteria dove si trova la tua aula. Sanno
già chi
sei
e molti parlano l’inglese così come
l’insegnate che ti insegnerà l’italiano.
Sarò qui tra due ore, quando uscirai.
>>
Mi
sorrise con calore e per un attimo mi
ricordò mio nonno. Gli detti un bacio sulla guancia
facendolo sorridere di
stupore e con un sorriso scesi dalla macchina e mi avviai in quella
scuola.
Prima
di entrare sospirai profondamente.
Si comincia!
Trovai
subito la segreteria, perché era
la seconda porta a destra subito dopo l’entrata. Le targhette
dietro la porta
erano sia in italiano che in inglese, quindi non ebbi problemi. Vidi
molti
ragazzi e ragazze che facevano avanti e indietro per il lungo
corridoio, in cui
stavo camminando, altri invece erano seduti su dei divani, posti qua e
là nel
corridoio.
Bussai
alla porta della segreteria e poi
entrai. C’erano due scrivanie poste ai lati della stanza, una
grande pianta
vicino a una piantana, un divano su cui era seduto un signore che stava
scrivendo qualcosa sulla sua agenda e una piccola libreria stracolma di
varie
cartelle e documenti.
Dietro
le due scrivanie c’erano una
ragazza piuttosto giovane, con capelli e occhi scuri che mi
guardò con un
sorriso e tratteneva una penna in mano, rigirandola tra le dita e
nell’altra
una signora di quarant’anni circa che con i suoi occhiali
calati sul naso e
l’aria austera consultava il pc fisso che aveva vicino. Non
sembrava neppure essersi
accorta della mia presenza, così mi avvicinai alla ragazza
che ancora mi
guardava.
<<
Salve, sono Elisabeth Wilson.
Devo frequentare il corso d’italiano. >>
Lei
mi capii subito, per fortuna e dopo
aver preso una cartelletta verde con dentro alcuni fogli mi sorrise di
nuovo.
<<
Ti aspettavamo, Elisabeth. Sei
nell’aula numero due, con il professore Giulio Salvemini.
>>
M’indicò
l’uomo seduto sul divano, che
avevo visto all’entrata. Nel sentirsi nominare
quest’ultimo alzò lo sguardo e
mi sorrise debolmente.
<<
Bene, piacere di conoscerti
Elisabeth. Il programma è già cominciato da un
paio di settimane, ma ti lascerò
il tempo per recuperare.>>
Oh,
questo non lo sapevo. Quindi già
dovevo recuperare qualcosa del programma. Sperai davvero di riuscirci
velocemente
perché non volevo rimanere indietro rispetto agli altri.
<<
Andiamo insieme, la lezione sta
per cominciare. >>
La
segretaria mi salutò con una mano
mentre uscivo con il professore. Percorremmo ancora quel corridoio e
incrociai
gli sguardi di altri ragazzi, fin quando non entrammo in un aula, poco
lontana
dalla segreteria.
Notai
che era già piena di ragazzi e
ragazze di varie età, ma non andavano più avanti
dei vent’anni.
Non
appena videro il professore si
sedettero tutti ai propri posti e io mi sentii a disagio sotto ai loro
sguardi
curiosi. Naturalmente si conoscevano tutti quindi le cose per me
sarebbero
state un po’ più difficili.
<<
Buon pomeriggio ragazzi.
>> disse in italiano, per poi posare la sua
ventiquattrore sulla
cattedra.
<<
Questa è la nuova alunna. Si
chiama Elisabeth Wilson, ha sedici anni e viene da Atlanta.
>> continuò
stavolta in inglese
<<
E’ indietro rispetto a voi,
perché sta cominciando adesso per la prima volta a studiare
l’italiano, quindi
qualcuno di voi magari sarà così gentile da
prestargli i suoi appunti e a darle
qualche aiuto. >>
Tutti
mi osservavano e alcuni parlavano
tra loro, indicandomi spesso. Sospirai e quando il professore mi disse
di
sedermi notai che l’unico posto libero, era in un banco posto
nella fila di
destra, vicino alla finestra. C’era un ragazzo seduto che mi
fece cenno di
sedermi lì. Così feci e una volta seduta il
professore prese a scrivere delle
cose alla lavagna.
<<
Ciao. >>
<<
Ciao >> ricambiai con un
sorriso.
<<
Mi chiamo Anthony e vengo da
Los Angeles. >>
Sorrisi
di nuovo e lo osservai con più
attenzione. Aveva i capelli castano chiaro, così come gli
occhi ma era molto
carino.
<<
Piacere di conoscerti Anthony!
>>
<<
Se vuoi al termine della
lezione posso darti i miei appunti. >>
<<
Grazie mille >> dissi
sollevata.
Il
professore richiamò la nostra
attenzione e io mi concentrai subito sulle sue parole.
All’iniziò mi sembrò
tutto molto difficile ma mi feci coraggio. Infondo era ciò
che più desideravo
imparare l’italiano e poter studiare lì.
<<
Sta tranquilla, ti aiuterò io.
>> mi sussurrò in un orecchio Anthony e io
dopo avergli rivolto un
sorriso radioso mi interessai del tutto alla lezione.