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Autore: Marguerite Tyreen    20/04/2011    4 recensioni
Francesca, trent’anni, insegnante d’inglese, continua a sfuggire dal fantasma del suo ex, Enrico, tra i compiti da correggere, i disastri della collega Emma e qualche buon caffé al “James Joyce Irish Pub” di Sean. Le cose si complicano quando Enrico, bello quanto egoista, torna da lei, dopo mesi di promesse e illusioni, con il proposito di riconquistarla. Ma se Francesca per orgoglio non vorrebbe mai ammettere con l’ex di essere rimasta single aspettandolo vanamente e Sean avesse bisogno di una finta fidanzata da presentare al matrimonio del fratello in Irlanda, cosa potrebbe accadere? Può la magica Isola di Smeraldo far vibrare corde dell’animo di cui nemmeno si conosceva l’esistenza?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mie carissime,

ben ritrovate!!!
Non sapete quanto mi dispiace per averci messo tanto prima di aggiornare, ma in questi giorni che precedono le vacanze, sembra che gli impegni si siano moltiplicati senza ritegno. In più ho avuto anche qualche problema col mio micio (il mio fratellino peloso ^^), che ha sottratto parecchio tempo alla scrittura. Non posso che scusarmi e ringraziarvi per la pazienza degna di Giobbe…nonché impegnarmi per velocizzare i miei tempi biblici.
Devo dire che questo è un capitolo di transizione, che serve per conoscere meglio la famiglia irlandese di Sean e riassettare un po’ il cambio di ambientazione, ma dalla prossima ricominceranno le avventure.
Come sempre, prima di lasciarvi alla lettura, voglio ringraziarvi con tutto il cuore: siete ormai numerose e il vostro entusiasmo dà entusiasmo a me per continuare la storia con gioia sempre nuova :)
Quindi un grazie a chi passa a leggere, a chi ha inserito la storia tra le seguite (Aletta92,araba89 , beate, bren,  Chelsea88, Cohava, Davan,fefasdt23, Isyde, Kicici, lullaby3, manymany,Mary___02, mau07 ,Selilaa, valespx78, wilma,Yuki_777, _Grumpy), ricordate ( lunadArgento, Neverwas, sister82, sophia90, vic94, _Miss_), preferite ( Davan, namina89, piemme). E alle mie care e sensibili “recensore” ( piemme, namina89, manymany).
Spero davvero di riuscire a postare un altro capitolo prima di domenica, nel caso non fosse possibile, tantissimi cari auguri di buona Pasqua!!!
Per il momento un bacione ed un abbraccio! (Sean, come sempre, si aggrega ai saluti XD)
Vostra
Marguerite



Imprevisti d'amore
Editor fotografico online




   La ventura costringe l'uomo a far la conoscenza
di ben strani compagni di letto.
(William Shakespeare, La tempesta)
  

 



Capitolo 6: Queequeg o strani compagni di letto
 
 
- Sean, ti arrabbi se ti faccio una domanda? – gli domandò Fran, posando la valigia con un sospiro.
- Basta che non sia quella che penso. – lui continuava a guardare i nomi delle vie, con gli occhiali da lettura sul naso, senza riuscire a raccapezzarvisi più – Certo, se mettessero il cartello anche su questa strada, di sicuro non andrebbero in rovina, tu che dici, Fran?
- Tu sei sicuro che stiamo andando nella direzione giusta? – si sedette stancamente sul trolley, in attesa che il suo “fidanzato” si decidesse a chiedere un’indicazione.
- Ecco, appunto, la domanda che mi aspettavo. E, adesso, non dire anche che avremmo fatto meglio a prendere un autobus, perché ci saremmo persi comunque.
- Io volevo solo proporre di domandare a qualcuno.
- Domandare! Io ci sono nato a Galway: queste strade le conosco a memoria!
- Ci sarai anche nato, ma qui sei tu ad esserti perso.
- Ci siamo persi. – sottolineò il “siamo” con una certa ostinazione.
- Io sono autorizzata a perdermi, mica conosco la città.
- Ma non è neanche colpa mia se uno si assenta per un decennio e qui gli cambiano tutto.
- Esisteranno pure i cellulari in Irlanda. Non sarebbe bene chiamare tuo fratello?
- Prima vagliamo tutte le possibilità, invece di arrendersi subito.
- Testardo come un mulo, eh? Beh, io non vedo poi tante possibilità: via a fondo chiuso, mare mare mare…
- E’la Galway Bay.
- Sempre acqua è. Via dalla quale siamo arrivati, mare mare mare, casa bianca. Potrebbe essere quella? Se vuoi vado a suonare.
- Fran, ma non dirai sul serio. Vai a suonare a casa di chissà chi e magari sbagli clamorosamente indirizzo.
- O tu telefoni o io suono.
- Per me sei tutta matta, colleen.
- Senti, al massimo valuto chi mi apre la porta poi scappo o chiedo scusa rigorosamente in gaelico. Intanto che ci pensi, io vado a suonare il campanello.
- Vai, ma solo una cosa: non scusarti in gaelico. Non si sa mai cosa potrebbero capire, con il tuo accento.
Fran gli rivolse un mezzo sorriso, prima di incamminarsi verso il cancello dell’unica villetta nei paraggi.
- Ehi, di casa? C’è nessuno?
Nel giardino, un tale che indossava un improponibile papillon rosa shocking su un completo antracite di taglio perfetto, tentava di districarsi i piedi da un groviglio di edera e trifogli visibilmente finti.
- Mi scusi! Sì, lei… esatto, proprio lei… Avrei bisogno di un’indicazione. Perché non mi ha risposto?
- Lei ha chiesto della gente di casa ed io non abito qui.
- E’ un modo di dire. Senta: io non ho la benché minima idea di dove mi trovo. Nel senso, non sono di qui e mi sono persa. Stavo cercando una via… ehi, Sean, come hai detto che si chiama? Sì, hai voglia ad aspettare, quello sta ancora al telefono. Insomma, quanto sarà grande la città? Cercavo Michael e Sinead O’Brien, li conosce?
- No, sinceramente no .
- Come no? Sta solo organizzando il loro matrimonio! – un uomo le era andato incontro lungo il vialetto di ghiaia bianca.
- Beh, che devo dire, che li conosco e che la casa è questa? La signorina, per quanto ne so, potrebbe avere le peggiori intenzioni. – aveva replicato il tizio dal cravattino orrendo.
- Certo, è Jack lo squartatore con la parrucca. Lo perdoni, signorina, è il nostro wedding planner. È un tipo strambo, ma in gamba. Anzi, se anche per il suo matrimonio vuole un giardino pieno di edera e trifogli di plastica ha trovato l’uomo giusto.
- Oh, no, grazie. – si schermì Francesca, divertita – Mi basta sapere qual è la casa degli O’Brien.
- Questa, ovviamente. – le tese la mano attraverso le inferiate del cancello – Michael O’Brien. E lei?
- Fran! Fran, ma dove diavolo…- Sean non vedendola tornare aveva deciso di cercarla. Si bloccò per lo stupore, quando riconobbe il fratello sul vialetto della villa. - Mik? Ma ti sembra il caso di prendere una casa in una via che non si sa nemmeno come si chiama? E dove cavolo lo tieni quel cellulare? Non distingui un telefono da un soprammobile.
- Comunque, ben ritrovato anche a te, fratello. – gli fece Mik in tono ironico.
- Colleen, questo è quel matto di mio fratello Michael. Mik, lei è Francesca. Francesca Fortini, la mia fidanzata.
- Cioè, tu vuoi dire che l’hai mandata in avanscoperta da sola, col rischio che le aprisse la porta un maniaco, un serial killer… Hai la stessa cavalleria di un tirannosauro, Sean. – gli ribatté l’altro aprendo loro il cancello – Cara Francesca, il caso ha voluto che ci incontrassimo comunque, alla faccia di quell’insensibile di mio fratello. Sinead, vieni a vedere chi c’è! Sinead!
- Arrivo, lo sai che mi ci vuole un po’ ad alzarmi… - appena li vide, cacciò un gridolino di stupore, improvvisando una corsetta – Oh, Sean!
- Sinead, per carità, pensa a mio nipote! – fu lui a precipitarsi ad abbracciarla.
- Ah sì, vai ad abbracciare mia moglie e tuo fratello no: questa me la segno, Sean. Vabbè, abbracciamoci anche noi altri, Francesca: benvenuta in Irlanda.
Il gridolino di Sinead invase di nuovo il giardino: - Via, spostati Mik, la voglio conoscere anch’io! Mamma mia, com’è bella. Perché ce l’hai tenuta nascosta per tanto tempo, disgraziato.
Dì la verità, avevi paura che quel dongiovanni di Mik te la soffiasse. – gli fece Sinead, dandogli di gomito.
Francesca rise, non aspettandosi quel cameratismo da parte di quella ragazza bella come una di quelle ninfe che si dice popolino l’Irlanda. Era davvero uno splendore, Sinead, flessuosa come un giunco, diafana, con lunghi ricci rossi che scendevano sulle spalle e un paio di luminosi occhi azzurri. Uno splendore semplice: un paio di jeans, scarpe basse ed una maglietta che evidenziava appena la gravidanza.
- Beh, c’è da essere gelosi quando si è il meno bello dei due fratelli. – sottolineò divertito Michael.
A dire il vero, non è che differissero tanto l’uno dall’altro. Si assomigliavano, se non per il fatto che Michael era di poco più alto e non aveva ereditato il biondo ramato dei capelli come Sean, ma piuttosto un morbido castano.
- Sebbene io sia il maggiore, le signore converranno con me che non si nota. Anzi, Sean, ti dirò che il più giovane dei due sembro io.
- Vorrei precisare che fra noi due ci sono un anno e dieci mesi di differenza. E, comunque, ti ringrazio per la gentile accoglienza.
- Ma sentilo, vorrebbe anche la gentile accoglienza !– scherzò Michael – L’ultima volta che sei venuto qui, fratello, il Post Office di Dublino fumava ancora…
- Cara, come sono contenta di conoscerti! – continuava a ripeterle Sinead, abbracciandosela – Adesso sì che finalmente potremmo farci quattro chiacchiere tra donne. Speriamo che anche lei sia femmina – aggiunse portandosi una mano al pancione – anche se qui tutti mi dicono che sarà maschio. Ma l’importante, poi, è che stia bene!
- In quanti mesi sei?
- Quasi quattro e mangio come un lupo, mi sa che se non facevamo le nozze in fretta, all’altare ci andavo rotolando.
- Ehi, Sinead, adesso non me la sequestrare. – le fece Sean, prendendo Francesca per mano. Lei trasalì per la naturalezza con cui aveva compiuto quel gesto, ricordandosi poi di non poter far trasparire troppa sorpresa, e acconsentì di intrecciare le dita a quelle di lui.
- Mamma e papà sono dentro? Vieni, mo ghra *, ti faccio conoscere i responsabili di aver procreato questa generazione di matti.
Una donna piccolina, esile e raffinata li aveva accolti nel corridoio. Un paio di ciocche che cominciavano a incanutirsi sulle tempie e il trucco perfetto le davano una parvenza senza tempo e senza età. Ma, dalla serie di vezzeggiativi in gaelico che aveva cominciato a sciorinare, gettandosi tra le braccia di Sean, Francesca non tardò a intuire che si trattava della madre.
- Mamma, è solo qualche mese che non ci vediamo…
- Sempre troppo! Ma guardati, come sei sciupato, ma ti danno da mangiare in Italia?
- Sì, non preoccuparti: mangio. – fece lui, districandosi dall’abbraccio – Mamma, questa è Francesca, la mia fidanzata.
Lo stesso trattamento, con tanto di informazioni sulle abitudini alimentari, venne riservato a lei e l’arrivo di Malachy O’Brien – il mio adorabile capofamiglia, come lo chiamava Fiona – si portò dietro un altro giro di saluti e affettuosità varie.
- Cara, benvenuta nella nostra famiglia e nella nostra casa. – aveva detto Malachy con un ampio gesto teatrale, tentando di assumere un’aria solenne, ma finendo per far scoppiare tutti in una bonaria quanto inevitabile risata.
Era un uomo asciutto e allampanato, con l’aria seria da filosofo stoico che contrastava notevolmente con il suo spiccato e talvolta inafferrabile senso dell’umorismo.
Sembravano averla immediatamente accolta con calore e altrettanto ne avevano ricevuto indietro.
Sean aveva sorriso con tenerezza, nel vedere la sua famiglia stringersi da subito attorno a Francesca, che credevano avrebbe fatto presto parte della dinastia, come amavano chiamarla. Ma, allo stesso tempo, eludendo le troppe domande che non gli erano mai piaciute, un poco gli si era stretto il cuore nel pensare che quella era tutta una finzione.
 
Allo stesso tempo, però, continuava a constatare come Francesca sapesse farsi amare con naturalezza, con spontaneità e sapesse ricambiare l’affetto in modo tanto gratuito. Con quel suo inglese appena un po’ troppo scolasticamente britannico, stava raccontando un paio di aneddoti sull’Italia suscitando l’ilarità di tutti, mentre sua madre portava in tavola la famosa torta alla Guinness, sua specialità per chiudere la cena.
Accantonato il pensiero di Enrico, almeno per il momento, era emersa quella parte nascosta di lei che Sean era sicuro si fosse sempre celata da qualche parte, sotto la cenere delle delusioni e dell’attesa. Ed era una parte fatta di ironia, qualche piccola arguzia e di intelligenza. Fatta di dolcezza, di adorabile calore umano e di ottima cordialità. Una parte che era stata sacrificata per molto tempo, forse troppo, in nome di qualcosa che Sean non avrebbe saputo definire con esattezza.
Qualcosa che Francesca si ostinava a chiamare amore, anche se lui non riusciva a crederlo perché –per quanto si fosse innamorato di rado – di norma l’amore dovrebbe tirare fuori il lato migliore delle persone e non lasciarle appassire come un fiore trascurato.
- Nessuno di voi due ci ha ancora raccontato la storia di come vi siete conosciuti. E lo sapete che io adoro questi romanticismi. – aveva detto Fiona, anche con un certo ritardo secondo quanto previsto, mentre distribuiva fette di torta appena troppo abbondanti.
- Vuoi raccontarlo tu, mo ghra? Sei sempre stata più brava di me. – Sean aveva appoggiato con finta noncuranza la propria mano su quella di lei, distrattamente abbandonata sul tavolo.
Sinead diede di gomito a Michael: - Sean sì che è un uomo romantico, che usa il gaelico con Fran. Sai, cara, per me il nostro gaelico è proprio la lingua del cuore, dei sentimenti. Non come questo insensibile del mio futuro marito, che non le capisce proprio queste cose. Oh, guarda che carini! Portano anche il claddagh… Anch’io lo voglio per il matrimonio! Mik, sei l’antiromantico per eccellenza. Dopo queste cose, anch’io sono curiosa di come vi siete incontrati.
- Su, su, ragazzi, raccontate.
- Se proprio insistete, vi annoieremo con questa storia. – Fran aveva rispolverato le sue vecchie doti da cantastorie per intavolare una perfetta narrazione romantica degna della letteratura romantica con cui usava distrarsi da Coleridge, Yeats, Shelley e tutti gli altri.
- Dovete sapere che undici anni e mezzo fa, quasi dodici, studiavo letteratura inglese all’università e dovevo assolutamente dare un esame su un corso monografico dedicato a Joyce e le innovazioni narrative del Novecento, flusso di coscienza, epifanie e tutte queste cose che saprete meglio di me. Ma, con tutto il bene che posso volere a quel brav’uomo di James Joyce, non c’era verso che mi entrasse in testa. È sempre stato così, per me, quando un autore mi piace da leggere, mi risulta piacevole, mi riesce altrettanto difficile studiarlo. Beh, insomma, le mie amiche continuavano a ridere e a prendermi in giro perché erano tre volte che rifiutavo di dare l’esame, sentendomi in soggezione davanti alla buon’anima di Joyce. E, alla fine, per il mio compleanno fecero una specie di rito scaramantico: mi fecero il gioco della profezia con i piattini, avete in mente come si svolge? Bendati, si tocca uno dei piattini sul tavolo e il contenuto predice il futuro, come in Dubliners. Per me, però, non è uscito il risultato dell’esame, ma l’anello, il famoso anello di fidanzamento o matrimonio, che dir si voglia.
- Scommetto che voleva indicare Sean! Oh, com’è romantico… Ma lui, lui quando l’hai conosciuto?
- Sinead, ma lasciala raccontare in pace. – l’aveva zittita Michael, preso dalla storia forse più delle donne.
- Una settimana dopo me ne stavo seduta su una panchina del parco cittadino coi famosi Dubliners in mano, ad imprecare contro tutta quella simbologia in cui non riuscivo a dipanarmi, quelle frasi in mezzo gaelico che ogni tanto spuntano nel testo e altri dettagli tipicamente irlandesi. Beh, devo essermela presa a voce troppo alta, perché un tale dall’altro lato della panchina mi fa, in inglese: “Signorina, non se la prenda a questo modo col povero Joyce!”. Mi mostra il frontespizio del libro che ha in mano ed è il mio stesso libro, accidenti.
Sean aveva perfettamente capito dove Francesca stava tentando di arrivare e aveva preso in mano il filo del racconto, per far vedere che, in fondo, di fantasia ne aveva pure lui: - Le dico: serve una mano? Sa, io sono irlandese e Joyce mi è sempre piaciuto. E in un pomeriggio, grazie a me, ha capito meglio la sua letteratura che in sei mesi di lezione.
- Modesto tuo figlio. – aveva commentato Malachy.
- Quando fa così è uguale a te. – aveva sorriso Fiona.
- Alla fine, Joyce a parte, mi sono accorta che questo ragazzo che mi spiegava la letteratura come niente fosse, era assolutamente gentile, carino, sensibile. Eppoi, sì insomma, come rimanere indifferente davanti a questi occhi? Ci siamo frequentati per tutta la durata del suo soggiorno e ci siamo innamorati.
- A tal punto che non sono più voluto ripartire.
- E ci credo.- Michael proruppe in un’uscita spontanea – Quindi dovete ringraziare Joyce. A proposito, l’hai passato l’esame?
- Certo! E quando mai dovessi incontrare Joyce, devo davvero ringraziarlo per avermi fatto incontrare Sean, che è la persona migliore che si possa volere a fianco. – gli rivolse un’occhiata abbastanza veloce da non far cadere entrambi in imbarazzo, ma sufficientemente affettuosa da non sembrare fredda – E voi, come vi siete conosciuti, Mik?
- Oh, la nostra storia non è romantica quanto la vostra. Io tengo la contabilità dell’azienda, Sinead è avvocato e si occupa di tutti gli aspetti legali dei contratti, forniture, cose di questo genere. Così, fra un whisky e l’altro, ci siamo conosciuti.
Sinead frappose la mano tra il proprio viso e Michael per fingere di non voler essere sentita: - Dovevo essere ubriaca quando ho accettato di sposarlo, sapete?
- Sinead, ho buone orecchie…
E così, fra scherzi e racconti, era passata la prima serata.


 I vecchi O’Brien erano già ripartiti, adducendo il pretesto che erano abituati ad andare a letto presto e ad alzarsi di buon’ora, quando Sinead e Michael avevano terminato di mostrare la casa agli ospiti.
Era stata una magnifica villa retrò e preannunciava di diventare, una volta restaurata, un’altrettanto splendida abitazione moderna.
- A dire il vero non sappiamo nemmeno noi quando termineranno i lavori. Certo, è una bella disdetta che vadano a rilento, proprio mentre noi siamo già dentro. È anche vero che è molto grande, forse anche più di quello che ci serviva, ma la posizione è talmente unica che mi ha fatto innamorare. – spiegava Sinead, indicando le camere complete e quelle ancora da sistemare.
- Tutto il terzo piano forse non lo useremo mai. La cosa migliore sarebbe che tu e Fran vi sposaste presto e veniste a vivere qui.
- Fran ed io non lasceremo l’Italia nemmeno una volta sposati: ci trattengono troppe cose.
- Capisco. Ma potrete venire a trovarci quando vorrete! Intanto, perché non vi godete la camera per gli ospiti che abbiamo preparato per voi? Qui sopra nessuno vi darà fastidio e, Fran, la biblioteca è stata la prima cosa che siamo riusciti ad ultimare: abbiamo un sacco di volumi di Joyce. – le fece Mik, con una strizzatina d’occhio.
Sinead aveva spalancato loro la porta di una stanza luminosa, annessa ad una toilette piastrellata con un delizioso motivo a mosaico, arredata solo da un letto e un paio di sedie. Sean si era aspettato che suo fratello commentasse maliziosamente che ad una giovane coppia non sarebbe servito molto altro, meravigliandosi, anzi, del suo silenzio. Ma l’occhiata che gli rivolse valse più di troppe parole.
- Bene. Vi lasciamo soli. – concluse Sinead, giungendo le mani, con un sorriso radioso prima di accomiatarsi – Fran, domani passeremo la nostra giornata tra donne, non vedo l’ora! Dormite bene.
Sean chiuse loro la porta alle spalle, un istante prima che Francesca si gettasse esausta sul letto.
 
 
- Cielo! La prima giornata è andata! Che dici, ci hanno creduto? – gli chiese lei, sbirciando da sotto la mano con cui si era scostata i capelli dalla fronte.
- Fran, ti adorano. Letteralmente. Non li ho mai visti tanto entusiasti, ti assicuro.
- Sono adorabili, Sean. Troppo carini, davvero.
- Aspetta solo di vederli all’opera per organizzare il matrimonio e cambierai idea. Ma potresti cambiarla già da adesso, non appena ti renderai conto che ci hanno messi nella stessa camera.
- Nella stessa che? – Fran era balzata a sedere sul letto, come se si fosse improvvisamente trasformato in un rovo – Tu vuoi dire… No, no, no, mi dispiace, ma io non ho mai dormito nello stesso letto di qualcuno che non conoscevo più che bene.
- Non dirmi che non sei mai andata in gita scolastica, Fran.
- Sì, ma erano mie compagne, quelle. O mie colleghe, dopo. Non sono mai stata nella stessa camera di colleghi maschi. E non dormirò con te, mi scuserai, ma sono una persona riservata, in questo genere di cose.
- Credo che l’alternativa sia o la sedia o il pavimento. E se ti aspetti che io faccia il cavaliere, cedendoti il materasso e prendendomi il tappeto, mi duole deluderti, principessa, ma non ci sono più gli uomini di una volta.
- Senti, io non ho intenzione di farmi vedere col mio improponibile pigiama.
- Tesoro, non ho mai detto che mi piacciono le donne perfette con la sottoveste di taffettà. Dopo dodici anni dovresti saperlo.
- Fosse solo questo, il problema!
- Hai mai letto Moby Dick? – le chiese lui, armeggiando nella valigia.
- Che c’entra adesso Moby Dick?
- Il civilissimo protagonista, prima di imbarcarsi sulla baleniera, trascorre una notte in una locanda più che discutibile, dividendo il letto con un selvaggio ramponiere di nome Queequeg.
- Guarda che l’ho letto anch’io e conosco quel capitolo.
- Allora saprai che egli non ha mai dormito tanto bene come con quello sconosciuto. Credi che io non sia altrettanto civile? – scherzò – Magari dormiremo perfettamente. Anzi, andrò prima io in bagno, così puoi sgattaiolare sotto le coperte anche al buio: attenzione agli spigoli, colleen.
- Spiritoso.
 
 
Francesca uscì dal bagno, decisa ad affrontare la luce tenue della abatjour armata di uno dei suoi soliti pigiami impresentabili. Questa volta non sapeva dire se il giallino che faceva da sfondo all’enorme gatto stampato fosse davvero meglio della sua tenuta rosa con gli elefanti che era rimasta a casa.
Che vergogna, accidenti a me. Colpa mia che ho la mania di questi pigiami da adolescente e non ho minimamente pensato che qualcuno potesse vedermi.
Di Sean, che si era preso il tempo di leggere qualche pagina prima di dormire, con la schiena appoggiata ai cuscini e alla spalliera, si intravedeva un ben più formale pigiama di seta blu. Per un interminabile attimo, si sentì ridicola, finché si decise a non pensarci.
Lui, del resto, sembrava non farci nemmeno caso. In realtà si era preso un istante di libertà per sbirciarla da sopra gli occhiali e non gli era parsa così impresentabile. Era una qualunque ragazza carina, semplice, che si accingeva a mettersi a letto.
Cercò di allontanarsi il più possibile verso il bordo per farle spazio e spense la luce.
Shakespeare diceva che la ventura costringe a far conoscenza con strani compagni di letto, pensò Fran. Ismaele ha dormito col ramponiere Queequeg, io potrò ben dividere la stanza con l’educato gestore del “Joyce”, almeno fino a quando sarà il mio “fidanzato”.
Aveva creduto di faticare a prendere sonno, ma la stanchezza e le emozioni della giornata avevano preso il sopravvento. Così, ritirandosi anch’ella quanto più potè nel suo lato, si addormentò profondamente, cullata dalle onde della Galway Bay e sognando i verdi prati d’Irlanda.
 
 
 
* mo ghra: gaelico, “amore mio”

 

   
 
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