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Autore: Ruri    21/04/2011    1 recensioni
Non c'è poi tanta differenza fra i vicoli malfamati di una città e gli spazi oscuri dell'Inferno: entrambi i luoghi possono ardere di fiamma imperitura. L'unica cosa realmente diversa sono le stelle: nel cielo del Meikai sono solo centootto, che brillano di una luce malefica e crudele. Questa è la storia di uno di loro e delle fiamme che porta con sé.
{Spectre-Centric; Nuovo Personaggio}
Genere: Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VIII

 

 

Aprì gli occhi e li richiuse immediatamente.

I deboli raggi di un sole offuscato, ma ancora troppo potente per qualcuno uscito dalle tenebre, l’avevano strappato ad un sonno eterno.

Gli era parso di dormire da anni. Forse di non aver fatto altro in tutta la sua vita.

Si rannicchiò mugolando contro il corpo caldo che percepiva al suo fianco, beandosi della serenità che gl’ispirava quel respiro tranquillo. E il profumo di lavanda.

Familiare, in un certo qual modo.

Eppure distante, come fosse il ricordo sfocato di una vita precedente. 

Soheil rimase in quella posizione a lungo, incapace di quantificare nuovamente lo scorrere del tempo, lui che proveniva da un luogo in cui non aveva la minima rilevanza.

Quando Roshanai aprì gli occhi al mattino lo trovò così: rannicchiato contro di lei con gli occhi caparbiamente serrati.

“Bentornato.” sussurrò, baciandogli la fronte.

 

I ricordi erano diventati una matassa disordinata di filo spinato, decisamente troppo complessi e dolorosi da svolgere perché Soheil decidesse di provarci.

Le uniche cose più impicciate erano i suoi capelli, con molta probabilità.

Raderlo del tutto sarebbe stata la soluzione più sensata, eppure Roshanai non aveva neanche sfiorato quell’ipotesi, limitandosi ad accorciarli molto prima di cominciare a combattere contro i nodi con un pettine ed una pazienza infinita.

Ore passate a litigare con quelle ciocche ribelli, ricorrendo alle forbici solo davanti agl’intrecci più ostinati, e Soheil se ne rimaneva seduto a fissare il vuoto. 

Senza emettere gemiti di protesta neanche agli strattoni più decisi. Fissava il vuoto e scavava sotto la cenere.

Uno scavo lungo, difficile e parzialmente inutile: non tornavano ricordi, tornavano immagini sfocate, suoni, odori, sensazioni tattili, emozioni. Il tutto separato e mescolato, come se i suoi sensi avessero perso la capacità di lavorare insieme.

Roshanai cantava.

Vecchie canzoni e filastrocche per bambini, in un mormorio indefinibile ma sempre presente e morbidamente costante.

Era cosciente delle difficoltà che Soheil stava affrontando. Si ricordava molto bene di situazioni peggiori, in cui la ricerca di sé stessi era terminata in un vuoto che niente era stato in grado di colmare.

Ma questo non la scoraggiava. Non gli aveva tagliato i capelli per questo: basta cambiamenti traumatici.

Soheil doveva tornare in grado di guardarsi allo specchio e riconoscersi, il resto sarebbe venuto dopo, naturalmente. Per ora, Soheil guardava lo specchio e sprofondava nelle fiamme.

 

“Come sta?”

Javeed si sporse un minimo, il tanto sufficiente per spiare all’interno della stanza attigua la posizione dell’amico. Soheil era immobile, sprofondato in una poltrona a fissare il cielo fuori dalla finestra.

“Come potrebbe stare una palma.”

Roshanai versò il tè, porgendo la tazza al ragazzo con movimenti gentili.

“Mangia quando lo obbligo, si lascia fare il bagno, vestire, pettinare. Ma non ha coscienza di sé. Non più di una palma, appunto.”

Javeed si sedette, accettando il tè con un gesto di ringraziamento, senza distogliere lo sguardo dal ragazzo sprofondato in sé stesso prima che nella poltrona ma senza il coraggio di avvicinarglisi. Qualsiasi aspettativa avesse avuto riguardo Roshanai, lei le aveva superate egregiamente. Soheil viveva in quella casa da più di una settimana ormai, eppure tutto sembrava men che libero.

Esistono catene molto difficili da infrangere.

Per quanto fosse tranquillo ora, nei primi giorni non lo era stato affatto. 

Più volte Roshanai si era alzata nel cuore della notte per cullarlo e calmarlo, dopo essere stata svegliata da grida lancinanti che poco avevano di umano. Finché non aveva deciso di farlo dormire assieme a lei e lui era parso tranquillizzarsi un poco.

Ma rimaneva una creatura a brandelli.

La Principessa aveva capito una cosa molto semplice: Soheil aveva paura.

Un terrore folle. 

La prima sera, in un impeto di disperazione, le aveva stretto il polso con tanta forza da causarle una distorsione. 

Javeed spostò nuovamente lo sguardo sulla donna, ingoiandosi le domande poco opportune che gli stavano salendo alle labbra.

Roshanai era un simbolo. La Principessa. 

In quella specifica frazione di Shush c’erano ben pochi affari nei quali non fosse coinvolta, nessuno di loro neanche lontanamente legale. Laddove non poteva giungere personalmente utilizzava intermediari: persone fidatissime che le dovevano cose ben più importanti della vita stessa.

Eppure, malgrado questa occupazione la rendesse la donna più ricca del quartiere, oltre che l’unica in grado di amministrare il proprio patrimonio, Roshanai riutilizzava quelle stesse sostanze per occuparsi attivamente della gente stessa del quartiere.

Non aveva mai accettato di darsi all’usura, né al più redditizio traffico di droga. Il suo regno erano i bassifondi e il mercato nero.

Principessa del Fango, ma pur sempre Principessa.

Di suo marito nessuno parlava volentieri. Javeed aveva tentato d’immaginarselo un giorno, un uomo scialbo e privo di spina dorsale che si limitava a bearsi dello splendore di Roshanai.

Si era sentito infinitamente superiore a lui.

Poi lo aveva invidiato ferocemente.

Ma nessuno poteva sperare di possedere l’anima o il corpo della Principessa, accordi matrimoniali o meno.

“Sta mettendo ordine nel suo spirito. Bisogna dargli tempo per farlo.”

Sei mesi sono eterni quando un singolo istante racchiude in sé il dolore di secoli. Sei mesi sono sufficienti a spezzare la volontà di chiunque.

Soheil era l’ombra di quello che era stato, un’ombra sfocata e sottile. Ma non si era ancora spezzato.

Roshanai fece una smorfia di dolore quando, per abitudine, provò a sollevare la tazza facendo leva sul polso fasciato e Javeed approfittò di quella piccola dimostrazione di mortalità.

“Come hai fatto?”

Abbassò subito lo sguardo, imbarazzato. La curiosità aveva prevalso, eppure sapeva bene che certe domande non andrebbero poste.

Lei sorrise, accondiscendente, mentre teneva la tazza con la mano sinistra.

“Cosa ti cambierebbe saperlo?”

“Cercherei di contraccambiare, in qualche modo.”

Roshanai scosse il capo, senza smettere di sorridere. 

“Javeed” mormorò con dolcezza “Ognuno sceglie la strada che desidera percorrere e ne affronta i rischi e i sacrifici. Majid ha i suoi lati fragili, come tutti. Io ho semplicemente fatto pressione su uno di questi. Inoltre…”

Si voltò verso Soheil, ancora immobile.

“E’ lui ad essere in debito con me, non tu.”

Javeed aveva un fortissimo e fastidioso sospetto riguardo la debolezza di Majid. E il solo pensiero gli dava la nausea.

Senza contare che Soheil, al momento, non era in grado di ricambiare un bel niente.

“Potevi scegliere un’altra strada.” azzardò, più irritato di quanto gli piacesse ammettere.

Roshanai rise, divertita.

“Mi hai chiesto tu di salvarlo e ora compiangi i metodi che ho utilizzato? Ho deciso di farlo perché cosciente di poter pagare il prezzo che mi avrebbe richiesto. O pensi forse…” la voce ridotta ad un sussurro allegro “Che questo possa ledere in qualche modo la mia dignità?”

Il ragazzo scosse rapidamente il capo.

No, questo non avrebbe mai neanche osato pensarlo.

Mormorò delle scuse, senza riuscire a guardare in viso la donna, concentrato sulle piastrelle del pavimento.

Poi rialzò la testa di scatto, spaventato dal grido soffocato che Roshanai aveva, inconsapevolmente, emesso.

Soheil era fermo. Davanti a loro, in piedi. 

Non mi ero mai accorto di quanto fossero neri i suoi occhi.

Sul viso senza espressione del ragazzo si disegnò un ghigno crudele.

“Non riuscite a sentirlo dunque?” chiese, con la voce arrochita dal tanto gridare.

Non mi ero mai accorto di quanta tenebra ci fosse.

“Il rumore di qualcosa che s’infrange?”


 

Welcome to Hell

 

***

Cosa dire? Risponderò alle recensioni tramite l'ottimo metodo che EFP mi mette a disposizione (l'avrei fatto prima, ma mi ero completamente dimenticata della sua esistenza) e intanto sfrutto questo spazietto per ringraziare tutti quelli che, nonostante l'assenza, hanno continuato a seguire questa fic.

Spero gli aggiornamenti possano tornare ad essere stabili entro poco tempo ma purtroppo le contingenze della vita mi tengono forzatamente lontana dal pc e per quanto possa scrivere comunque, certo non posso mettermi a pubblicare qui. Ma la storia c'è e va avanti! Quindi non abbandonatemi!

E non abbandonate Soheil! Lui vi vuole bene! çOç (?!)

 

   
 
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