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Autore: Ceci Princessofbooks    21/04/2011    3 recensioni
Le ossa sono ciò che sostiene i nostri corpi, e ci infonde il potere di compiere i nostri viaggi; sono ciò che protegge le nostre debolezze, e che ci consente di sollevare lo sguardo verso il cielo; le ossa sono dure, forti, rigide. Ma le ossa sono anche ciò che permette alle nostre mani di accarezzare, ai nostri volti di ridere, alle nostre braccia di stringere: e talvolta possono anche spezzarsi e scheggiarsi, perché affrontano ogni scossa e ogni colpo che tenti di ferirci, e a volte sono tutto ciò che ci impedisce di cadere.
Una raccolta di racconti sul Dottor Leonard McCoy, e sui legami che ha saputo intrecciare con i suoi compagni: perché tutti prima o poi scoprono che le ossa sono preziose, e insostituibili.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Leonard H. Bones McCoy, Spock
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Quarto capitolo della mia raccolta, anche se abbastanza in ritardo... perdonatemi, ma trovare il tempo e la concentrazione necessaria per una revisione costituisce una missione intrinsecamente complessa. Stavolta l'attenzione è tutta per il nostro Dottore: ho ritenuto opportuno occuparmi un po' della sua diretta psicologia, per quanto ritenga che i punti di vista di Spock e Kirk possano delineare il suo spirito con delle pennellate estremamente profonde e ricche di possibilità. Il nome del mentore di McCoy è Osler, in onore di William Osler, celebre chirurgo ottocentesco e vero riformatore dei metodi di insegnamento della medicina, e in particolare primo insegnate a portare gli studenti fuori dalle aule per assicurare loro una diretta esperienza del lavoro di dottore: considerato l'atteggiamento del nostro Bones e la sua predilezione per le tecniche che implicano lo stabilirsi di legami umani, mi sembrava plausibile che anche il suo maestro sostenesse idee simili. Come sempre, grazie per tutti i vostri commenti, e per la vostra partecipazione a questo mio bislacco e ambizioso progetto.

Alla prossima, Ceci

P.S.:Per il titolo, devo ringraziare mia mamma e i suoi suggerimenti: lode ai parenti creativi, e pazienti con gli aspiranti scrittori.



Bones' Bonds



Certi giorni, Leonard odiava possedere le sue conoscenze. Odiava essere in grado di elencare in qualunque momento tutti i tipi di frattura alla gamba che Umani e Vulcaniani potevano riportare, o ricordare con precisione le centinaia di circostanze per cui una ferita si sarebbe infettata, o sapere così bene quanto gli agglomerati di proteine che chiamavano corpi fossero vulnerabili; odiava, pur sapendo quanto fosse stato prezioso per molte esistenze e molti individui, la facilità con cui poteva immaginare e vedere le sfaccettature del dolore, e della morte. Quelle conoscenze diventavano insopportabili soprattutto le volte in cui Spock e Jim andavano in missione senza di lui: perché allora Bones non riusciva ad impedire alla sua mente di enumerare ogni minaccia e ogni debolezza che avrebbe potuto tradirli, ogni male che avrebbe potuto divorarli, e trascorreva le ore fino al loro ritorno sgranando i minuti in ipotesi angosciose e sospetti orribili: visioni vecchie e nauseanti di ossa spezzate e pelle bruciata e occhi morenti. E tutti i suoi fantasmi, tutte le ombre e gli sguardi di coloro che non aveva salvato, in quei momenti tornavano ad assediarlo, scandendo il tempo con i loro echi freddi, rivestendo di volti dolorosi e carne urlante ogni supposizione che lo attraversava, e non tacevano fino a quando sentiva i passi fluidi di Spock e la risata di Kirk avvicinarsi di nuovo all'Infermeria.

D'altronde, lo aveva capito molti anni prima. La medicina era un grande dono, e un grande potere, ma esigeva un prezzo: quello di essere sempre il più pessimista, il più irrequieto, il più sospettoso; quello più consapevole di quanto mortalmente fragili fossero gli uomini. Jim aveva riso, la prima volta che nell'attesa di uno sbarco aveva consegnato a lui e a Spock quattro kit medici con furiosa scrupolosità, affermando che nemmeno sua madre era mai stata tanto apprensiva;quella volta Leonard gli aveva risposto che doveva ricordare di trovarsi davanti non solo un medico, ma anche un uomo della Georgia, dotato perciò di tutta la torva, ostinata sollecitudine delle madri che avevano popolato la sua infanzia. Ed era vero; il suo sangue gli imponeva di difendere ciò a cui teneva senza tenere minimamente conto delle convenzioni, dei tempi o delle circostanze, e la sua disciplina gli insegnava ogni giorno quanto fosse spaventosamente semplice scivolare al di là della vita e perdersi: e se quella combinazione, quella misteriosa mescolanza di istintiva dedizione e spietata lucidità scientifica costituiva il grande motore della sua mente, più volte l'aveva guidato a vette vertiginose, e più volte l'aveva condotto sull'orlo negli abissi da cui strappava gli altri uomini. E poi, c'erano le ragnatele.

Il Dottor McCoy sapeva come erano costruiti i cervelli degli umani e dei Vulcaniani, e quindi anche quelli dei suoi due migliori amici: ne aveva studiato i modelli all'università, li aveva visti nelle radiografie, li aveva snudati durante le operazioni. Conosceva perfettamente la forma e il peso dell'encefalo, la struttura delle ramificazioni nervose, le danze di ioni che le rendevano vive: ed era consapevole di come in realtà non fossero meccanismi meno saldi degli altri. Eppure, quando pensava ai pericoli che incombevano sui suoi pazienti, o quando sopportava quelle disperanti attese nell'Infermeria dell' Enterprise, la sua mente correva sempre a quel groviglio disperatamente leggero di condotti, a quell'albero di reticoli e impulsi troppo sottili, troppo facili da spezzare: e per qualche motivo sconosciuto, aveva cominciato a vederli come il simbolo di tutte le minacce che potevano colpire un organismo, l'emblema della fragilità che, al di là di tutta la sua audacia e la sua tecnologia, l'uomo si portava dentro.

Era una paura che lo seguiva fin dai suoi anni da studente: il timore affascinato di fronte ai canali finissimi e delicati che custodivano l'anima di ogni individuo, l'inquietudine viscerale davanti a un sistema tanto potente e tanto effimero; per lui, che amava le mangrovie enormi e possenti su cui si arrampicava da bambino, quelle radici non sembravano abbastanza forti, abbastanza solide, per essere tutto ciò che univa i corpi alle menti che li abitavano.

La prima volta che aveva visto il sistema nervoso di un uomo, quando era ancora uno specializzando, era rimasto sconvolto da quanto apparisse fragile. Non era corretto, aveva pensato, non era possibile che fosse così facile strappare ad un individuo la sua mente; che per qualche scherzo crudele la natura avesse affidato la parte più preziosa e più necessaria di un essere umano a quell'intrico di rami tremanti. Con mani leggere, incerte, aveva percorso gli orli del midollo, le tenere spirali infinitamente mutevoli del cervello, le ramificazioni pallide, sottili come ragnatele, dei nervi: e il pensiero che un'intera esistenza dipendesse da un incastro così delicato, che un semplice tocco potesse annientare e distorcere per sempre lo spirito di un uomo, lo aveva paralizzato. Continuando a fissare quei ricami indifesi, aveva chiesto al suo mentore di ricucire subito, di chiudere di nuovo l'incastro nella sua corazza di ossa e carne, al sicuro. Il dottor Osler l'aveva mandato al diavolo, gli aveva spinto brutalmente il bisturi tra le mani e gli aveva ordinato di cominciare l'operazione, perché solo così avrebbe potuto proteggere davvero quell'intreccio: perché solo se le sue dita fossero affondate tra quei filamenti, accettando il rischio di strapparli, l'incastro non si sarebbe spezzato.

Leonard non aveva mai dimenticato quella lezione, anche dopo tutti gli anni e tutte le cicatrici che erano passati. E con il tempo, aveva compreso che spesso si doveva agire nello stesso modo con coloro che si amava: non trattenerli, non tentare di preservarli da ogni pericolo, ma azzardare, spingere la lama fin all'interno, perché in certe occasioni quello era il più grande gesto d'amore che si potesse compiere.

La paura non lo aveva mai davvero abbandonato; era terribili conoscere gli orrori che avrebbero potuto stroncare volti amici, era terribile non sapere chi sarebbe tornato, e chi non sarebbe riuscito a salvare: per lui, Spock e Jim sarebbero sempre stati due di quei cervelli, due ragnatele complesse, meravigliose, spaventosamente esposte. Ma sapeva anche che entrambi dovevano vivere in quel modo, rischiando e patendo e lottando, nelle immensità selvagge dello spazio, e che rinchiuderli tra le ossa sicure dell'Infermeria, nella carne protettrice dell'Enterprise, avrebbe solo negato al mondo scoperte e avventure eccezionali, e li avrebbe divorati. Perciò ogni volta li lasciava andare, lanciando loro dietro solo qualche scontrosa raccomandazione, senza trattenerli davvero, pur sapendo quanto fossero fragili le radici delle loro vite, e quanta parte del suo cuore avrebbero strappato spegnendosi: perché talvolta era questo ciò che gli comandava l'amore che lo legava a loro. Perché talvolta bisognava solo infilare il bisturi nel profondo, tra i nervi sottili, per essere un buon dottore.

E ogni volta, pregava che anche quel giorno le ragnatele non si sarebbero spezzate.

   
 
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