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Autore: Soul Sister    21/04/2011    1 recensioni
Parola d'ordine: ESTATE.
Chià, Andy, Ali e Viò adorano l'estate. La vorrebbero passare in santa pace, senza problemi.
Peccato che quando c'è di mezzo Cupido con le sue frecce dell'amore, stare tranquilli è un tantino difficile.
Soprattutto se ritengono i ragazzi in questione-Christian, Jacopo, Diego e Matteo- quasi irraggiungibili, e se sono braccate e costrette a nascondersi da un amico, Paolo, che piuttosto di vederle impegnate, le farebbe diventare suore. Ce la faranno le ragazze a stare contemporaneamente con i ragazzi, senza farlo scoprire all'amico Paolo, che riuscirebbe a rovinare le storie d'amore delle ragazze?
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Questa storiella non ha pretese, la trama è una classica storia d'amore e d'amicizia, leggera e allegra. Chi ne ha voglia, magari, ci faccia un salto. Spero ne valga la pena. :)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Estate: Amicizia, divertimento e..AMORE!'
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HOLA CHICAS!^-^
Eccomi qui, fia che velocità, eh? Non è proprio da me XP xD
Eh beh, non abituatevi, il prossimo ci metterò un po' di piu (MOOLTO DI PIU) a scriverlo, mi sa. u.u
Vi lasciuo al capitolo -ps: scusate lo schifo, u.u"
Firework
s
«Non preoccuparti.Ti do un passaggio io così non se ne accorge nessuno.»
A quella frase, il mio cuore aveva fatto più di un salto mortale. Jacopo mi aveva appena offerto gentilmente un passaggio fino a casa per non mostrare quel macello ai miei pantaloncini bianchi. Lui. Con cui non avevo parlato da giorni, per quella stupida, stupidissima e serissima discussione.
In tutto questo tempo, avevo riflettuto spesso sulla risposta che avrei potuto dargli. Perché lo odiavo? Perché era irritante, innanzitutto, mi stuzzicava il più delle volte, faceva uscire dalla mia bocca cose che -mio malgrado- non pensavo. Beh, in pratica tirava fuori il peggio di me, oltre che un linguaggio da scaricatore di porto. In più aveva un pessimo curriculum da gigolo. E aveva il dannato potere di monopolizzare i miei pensieri su di lui, ogni istante della mia giornata da quel maledetto pomeriggio.
Con quegli stupidi capelli perfetti, e quegli occhi grigi in cui mi sarebbe piaciuto perdermi; erano meravigliosi, ma li possedeva un assoluto stronzo.
E ora mi trovavo qui, davanti alla sua moto bellissima.
Giordani prese da sotto la sella un altro casco, lo stesso casco che aveva segnato il nostro primo vero incontro, dopo lo scontro del matrimonio, e me lo passò. Il suo sguardo era piatto, il grigio-azzurro dei suoi occhi era ghiacciato.
«Perché lo fai?» chiesi, afferrando il casco e stringendolo al petto come se abbracciandolo mi proteggesse e mi infondesse coraggio.
Lui, sorpreso, alzò gli occhi su di me, sbattendo stupito le palpebre. Poi riabbassò immediatamente lo sguardo, come se avesse paura.
«Così» fece, stringendosi nelle spalle con una nonchalance che preferivo non avesse. Mi stava meno antipatico quando sembrava un pulcino timoroso.
«Ah, fantastico.» sibilai, già irritata dalla sua risposta, mentre montava sul mezzo.
«Sali e basta, invece di lamentarti» fece con una nota di noia nella voce, come se fosse una cosa da nulla, come se non gli importasse. Mi girarono le scatole. Se mi avesse detto ancora qualcosa di scortese l’avrei buttato giù dalla moto, questo era poco ma sicuro!
Marciai sino a lui e montai sulla moto, questa volta però mi ero preparata alla sua partenza e riuscii a tenermi più o meno indietro. Giordani sfrecciava per il paese, e sorpassò il passaggio livello per andare verso la mia frazione. Eravamo in una stradina stretta, in mezzo ai campi verdi. Vedevo tutto quasi sfocato, ma era una sensazione bellissima. L’aria che mi soffiava sulla pelle e i capelli, il paesaggio estivo suggestivo, e..dei nuvoloni che non mi piacevano per nulla. Probabilmente quella sera avrebbe piovuto, il che non era un male. Avrebbe rinfrescato un po’ quell’aria afosa che c’era.
Ad un certo punto, sentimmo la ruota anteriore scoppiare con un suono secco che mi fece sussultare, e Jacopo frenò subito dopo.
«Porca puttana!» sibilò, mentre scendevamo dal mezzo. Ci mettemmo più vicini al ciglio della strada, e Giordani si chinò per stimare il danno, imprecando tra i denti insulti alla madre di qualche povero malcapitato.
«Ho bucato.» ringhiò tra i denti, completando la frase con qualche altro insulto indirizzato o alla moto o all’aria.
Il panico si fece largo in me, insieme ad un pizzico di rabbia. Anzi, più di un pizzico, che poco dopo sostituì completamente il precedente timore.
«Fantastico!» esclamai, picchiando i pugni sulle coscie, per poi alzare lo sguardo al cielo. In quel momento, una goccia mi cadde sul naso, e lì fu impossibile anche a me non imprecare contro quella sfiga immonda.
«Merda!» ululai, «Merda, merda, merda!» continuai a blaterare, infuriata con me stessa.
«Taci un po’, mi innervosisci!» esclamò Jacopo, lanciandomi uno sguardo truce, mentre la pioggia cominciava a scendere scriosciante.
Perché non ero tornata in bici?! Ci avrei messo un po’ di più, avrebbero notato i pantaloni sporchi, magari mi sarei bagnata, ma almeno non sarei stata bloccata qui con un Giordani ancor più acido del solito!
«Ah grazie! Non avrei dovuto accettare il passaggio!» sbraitai.
«Potevi non accettare, volevo essere almeno gentile‼» ribattè lui, guardandomi male, mentre i suoi capelli si afflosciavano sul suo viso come una tendina.
«Non te l’ha chiesto nessuno di esserlo!» risposi incazzata. Vedevo acqua ovunque, e non solo nel senso figurato. Stava diluviando.
Indossai di nuovo il casco, almeno così avrei riparato la testa dall’acqua. Al mio contrario, Giordani lo scaraventò a terra, in uno scatto isterico. Alzai gli occhi al cielo, era proprio un bambino.
Decisi che era inutile stare qui con le mani in mano, e cominciai ad andare verso casa. A piedi. Mancava ancora qualche chilometro, sotto la pioggia battente..cosuccia da niente. Speravo solo di non beccarmi una polmonite.
«Dove stai andando?!» mi urlò dietro Giordani, seccato.
«A casa! Da sola!» strillai in risposta, ancor più irritata.
Lo sentii ciabattare nell’acqua e mi si parò davanti. «Non te lo permetto! Ho mandato un messaggio a mio fratello, passerà qui con il suo furgoncino, caricherà la moto, e ti darà un passaggio a casa!» spiegò, con un tono che di gentile non aveva niente, «Questione di minuti, quindi non fare la cocciuta e rimani.»
«No!» sibilai. Ero già in ritardo, una questione di minuti..tzè!
Feci per continuare, ma mi afferrò il braccio e mi tirò contro il suo petto. Rimasi pietrificata in quella posizione, le mani sul suo petto, gli occhi incastonati in quei suoi due diamanti. Da vicino erano ancora più belli, ancora più magnetici. Jacopo, lentamente, come se avesse paura che scappassi-cosa in quel momento impossibile, dato che ero come pietrificata- sfilò il casco dalla mia testa, senza distogliere gli occhi dai miei. Ero in apnea, non respiravo, non riuscivo a farlo. E volevo scappare, scappare il più lontano da lui, ma non riuscivo a muovere un muscolo. La mia mente e i miei arti erano scollegati. E più il mio inconscio mi diceva di correre via, più il mio corpo si rifiutava.
Che volontà del cavolo.
«Perché mi odi?» mormorò, i suoi occhi accesi e brillanti, luminosi, e da quella vicinanza notai che le pagliuzze che qualche giorno fa al sole erano azzurre, oggi erano quasi argentee.
Perché lo odiavo?
Perché ogni suo sguardo era capace di mandare in fibrillazione il mio cuore;
perché un suo sorriso malizioso mi faceva arrossire come un pomodoro;
perché i suoi continui dispetti mi divertivano, nonostante tutto;
perché una sua parola era capace di farmi sentire bene, ma anche terribilmente male, come in quei giorni precedenti, in cui avevo pensato in ogni istante a cosa rispondergli.
Perché lo odiavo?
Perché riusciva a mettere dei dubbi nel mio cuore;
perché quando avevo saputo che faceva il cretino con tutte le ragazze mi ero sentita malissimo, come se il torto lo avessero fatto a me, come se io avessi avuto il diritto di sentirmi offesa. Come se avessi potuto avere pretese su di lui.
Perché era una continua sorpresa, e mi sentivo sempre più spiazzata con lui. E tutto ciò che faceva mi colpiva, positivamente. E non potevo negare che nonostante certe cose, fosse un ragazzo davvero perfetto. Perfetto per me.
Lo odiavo perché, anche se non lo volevo ammettere, non mi sentivo all’altezza, perché sapevo già che non sarei mai stata nulla per Jacopo.
«Non lo so.» mentii, abbassando gli occhi.
La sua mano lasciò cadere il casco e scattò sotto il mento, per alzarlo verso ai suoi occhi scrutanti. Mi leggeva dentro, mi metteva a nudo. Indifesa.
Cancellò una goccia d’acqua dal mio viso, di quella pioggia che incurante di tutto continuava a scendere copiosa, bagnata, rumorosa. E ringraziavo il cielo, che così nascondeva il battito del mio cuore. Lo sentivo perfino nelle orecchie, veloce, incalzante.
«No, non me lo vuoi dire.» mi corresse, accennando un sorriso furbo. Ebbi paura, in quel momento, che avesse letto tutto ciò che mi era passato per la testa sino a quel momento.
«Perché ti interessa?» ribattei, in un sussurro. Ma riuscii a prendere un po’ più di controllo, e affilai lo sguardo. Mi avvicinai inconsapevolmente di più, per scrutare più in fondo quelle meraviglie di occhi.
«Curiosità.» rispose, con non curanza.
«Tu non mi odi.» dedussi, piegando leggermente la testa da un lato.
Lui scosse la sua lentamente, accennando un sorriso sghembo. «No.»
«Nemmeno io.» confessai in un sussurro, gli occhi sempre immersi in quell’argento ghiacciato nei suoi.
Lui sorrise, questa volta le labbra le distese davvero, con sollievo.
«Lo sapevo già. Volevo solo sentirtelo dire.»
Arrossii appena, abbassando il capo.
«Allora..» feci io titubante, dopo qualche istante di totale silenzio, rotto dal picchiettare che andava affievolendosi della pioggia. «Amici?» domandai, alzando lo sguardo al suo viso. Lui mi osservò serio per vari istanti, come se stesse valutando l’idea. Poi si aprì in un sorriso.
«Se riuscirò a sopportarti..sì.» mi beffeggiò lui, con un sorriso strafottente.
«Ma vai a cagare, va!» esclamai, facendo un passo indietro, allontanandomi da lui. Ormai quella posizione mi andava decisamente scomoda, e per di più era imbarazzante stargli così vicino.
Giordani gettò la testa all’indietro, lasciandosi andare ad una risata cristallina, che mi contagiò un po’. Ridacchiai anch’io, con lui, e gli pizzicai un braccio.
«Qui, quella che deve sopportare sono io!»
In quel momento, un furgoncino bianco si fermò accanto a noi, e ne scese un ragazzo che avrà avuto al massimo diciotto anni.
«Ehi, Alex! Grazie!» esclamò Giordani, voltandosi sollevato verso il ragazzo.
Dedussi fosse suo fratello, nonché suo completo opposto. Se Jacopo era castano chiaro, con i capelli abbastanza lunghi, e con gli occhi grigi, suo fratello aveva i capelli cortissimi e corvini, e gli occhi verdi.
«Hai proprio un culo, fratello! Ti sei beccato anche l’acquazzone!» rise lui, avvicinandosi alla moto di Jacopo. Poi si accorse di me.
«E tu chi sei?» mi chiese, osservandomi curioso.
Stavo per parlare, quando Giordani m’interruppe. «Un’insopportabile piaga chiamata Andrea.» fece, ghignando. Lo trucidai con lo sguardo, l’avrei incenerito. Ma guarda che figure che mi faceva fare!
«Andrea? Andy? Quella Andy?» disse con un sorrisino, indicandomi.
Quella Andy?
«Alex, taci. Forza, carica quella cazzo di moto e portiamola a casa!» sibilò, montando sul furgoncino. Alex si strinse nelle spalle, mi porse la mano, e mi sorrise. «Comunque, piacere di conoscerti!»
**
To Giordani: no, non è colpa mia se ti sei preso il raffreddore, IMBECILLE! Ora devo andare, serata ‘only women’ a casa di Chià. Ciao ciao‼
Inviai il messaggio a Jacopo, forse il trentesimo della giornata. Non che si potesse definire conversazione tra ‘amici’ quello scambio di insulti reciproci, ma almeno era divertente. Sì beh, più o meno. Ma come pseudo-inizio ci stava.
Con le ragazze comprammo tutto l’occorrente per il party tra ragazze, e tornammo a casa di Chiara. Ci sdraiammo sui salviettoni, in giardino, sotto il sole caldo di un inoltrato giugno. Mi sentivo allegra, quel giorno. Era cominciato bene, con un messaggio di Giordani che mi dava della capra per avere delle difese immunitarie migliori delle sue, dato che si era preso un raffreddore micidiale, mentre io nulla, zero, nada. Tanto che non era uscito per due giorni, mentre io avevo preferito chiudermi in casa a refrigerarmi al fresco del mio condizionatore e a riflettere.
Afferrai una margherita e cominciai a strappare petalo per petalo, distrattamente, sorridendo tra me e me.
Tutto sommato, non mi ero pentita di aver proposto a Jacopo di tentare di essere amici. Dopotutto, andavo d’accordo con Diego, Matt e Christian, perché con lui no? Beh, probabilmente io e Giordani non saremmo mai stati pappa e ciccia, eravamo troppo diversi e troppo cocciuti. Era nel nostro DNA il bisogno di prenderci in giro, molto probabilmente, e il fatto che stessimo forzando la genetica mi dava la certezza che, appunto, non saremmo mai stati amici per la pelle. Ma a me stava bene anche così.
«Cos’è successo con Jacopo, Andy?!» mi chiese all’improvviso Viò, con un’aria da ossessa. Sembrava che la curiosità la stesse divorando. Osservai anche Chià e Ali,e mi dovetti correggere: sembravano divorate dalla curiosità, tutte e tre. Alzai il sopracciglio, scettica: «Cosa diavolo vi fa pensare che sia successo qualcosa? E perché proprio con Giordani?» rimbeccai.
Viò puntò il dito contro le mie mani: «Stavi facendo m’ama non m’ama, Andy. Con un’aria trasognante. E prima di tornare a casa con lui, avevi una spanna di muso che anneriva la prospettiva felice del più ottimista.»
Alzai gli occhi al cielo, tirandomi su. «Non è successo granchè.» ribattei di nuovo, «Alla moto si è bucata la ruota, siamo rimasti mezz’ora da soli sul ciglio della strada sotto un acquazzone, e abbiamo deciso di provare ad andare d’accordo. Tutto qua.»
«”Andare d’accordo” che dovrebbe significare?» chiese Chià, morbosamente assetata di notizie. Ecco dove volevano andare a parare.
«Cercheremo di essere amici.» dissi, impassibile.
«E tu vuoi essere sua amica?» incalzò Ali, scettica. La trucidai con gli occhi, «Perché non dovrei volerlo?» sibilai.
Lei alzò le braccia come in segno di resa: «Beh, magari perché sembrate tutt’altro che amici.»
«Infatti sembriamo due che si odiano.» feci, piccata.
«Ehm..» mugulò Chiara, «In realtà sembrate una coppietta di sposini.»
«CHE?!» ululai, strabuzzando gli occhi. «Allora, vogliamo parlare del tuo debole per Christian?»
«Io non ho un debole per lui, Andy!» sbottò, mettendosi seduta e incrociando braccia e gambe, offesa.
«Sì, beh, convinta tu.» ribattè la sua socia, con un sorrisino.
«Matteo, sh!» la zittii, divertita, facendo ridere Chiara e Alice.
Viola sbottò. «Ma cosa dici?! Sono settimane che sei su un altro mondo, e non vedi nemmeno quello che ti accade intorno!»
«Però le cose evidenti le noto, furba!» esclamai, saccente.
«Già, come vedi la tua grande cotta per Jacopo Giordani.» intervenne Alice, mostrandomi la lingua.
«Non ho nessuna cotta io! Tantomeno per lui!»
«Ecco, appunto.» ribattè Viola.
«Appunto cosa?» chiesi, confusa.
«Non vedi la realtà!»
«Vabbè..» dissi, passandomi una mano sugli occhi, «Cambiamo discorso, va!»
Chiacchierammo un po’ ancora, fin quando Chiara non pestò i piedi per vedere quel cavolo di film con Robert Parkinson/Pattinson. Lei e Viò erano elettrizzate, sprizzavano eccitazione da ogni poro, e sinceramente mi preoccupavano un po’. Alla fine, dovetti ammettere che come film non era poi male.
Quella sera, io e Chià ci mettemmo ai fornelli, mentre Viò e Ali ci guardavano e scommettevano su che cibo avremmo fatto esplodere la casa.
Io preparai qualcosa di decente, per lo meno, mentre Chià riuscì a combinare un disastro rovesciando la pizza, quando la consegna era solo: ‘mettila nel forno’. Alla fine, c’eravamo arrangiate con quello che potevamo, ma almeno c’eravamo divertite come matte.
La mattina dopo, ci svegliammo tutte e quattro all’una del pomeriggio inoltrata. Avevamo fatto decisamente le ore piccole, continuando a ridere e a scherzare, e a mangiare schifezze di ogni genere. Avevamo fatto talmente tanto casino che avevamo sentito il vicino di Chià urlarci di stare zitte e di non fare le galline.
«Ho sonno raga..» borbottò Chiara, stiracchiandosi e ributtandosi sul suo cuscino personale, ovvero io. «Sonno...sonno..»
«Dormiamo ancora un pochetto.» decretò Viò, sonnecchiando con la faccia contro il cuscino. Eravamo tutte decisamente in coma.
Finchè il campanello di casa non cominciò a suonare. Chiara imprecò sottovoce, ma noi che l’avevamo sentita ridemmo in modo smorzato e quasi isterico. Catalessi completa.
«Chi c’è..?» borbottò Viò, contro il cuscino.
«Ehm..bell’addormentata..» sbadigliò Chiara, «C’è il tuo principe che ti cerca.»
«Chi?» mugulò Viola, assonnata, tirandosi su.
«Matteo.» Viola balzò con vitalità in piedi, e trotterellò fuori dalla stanza tutta allegra e sveglia.
Io intanto controllai il telefono, e vi trovai un messaggio. Lo aprii, e un sorrisino mi spuntò sulle labbra.
From Giordani: il mattino ha l’oro in bocca! Sveglia!
Beh, come risveglio..era carino.
To Giordani: infatti mi sono svegliata ora :P Ma cos’è, hai preso gusto a mandarmi messaggi??
From Giordani: Sì, decisamente xD Buon pomeriggio, allora‼

  
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