Principio d'inerzia
-
Era un tuo amico, quel ragazzo? -
Dominic
smise di tormentare la sua insalata con la forchetta, che dall'inizio
della cena non aveva neanche assaggiato, e sollevò lo
sguardo dal
piatto.
Diane
lo fissava, il capo inclinato da un lato e le posate in mano, pronte
ad attaccare la bistecca che aveva davanti.
-
… un compagno di classe. - precisò Dom, con un
sorriso tirato.
L'ultima
cosa che voleva era che sua madre si mettesse a fare osservazioni
sulle compagnie che frequentava – fortunatamente, non aveva
riconosciuto Bellamy. Era già abbastanza seccante che avesse
assistito allo scontro dalla finestra del salotto, nascosta dalle
tende: se l'avesse saputo si sarebbe contenuto, in qualche modo...
Forse.
Dom
si inumidì le labbra, bofonchiando: - Ero arrabbiato. -
Ad
essere del tutto sinceri, non si era nemmeno sfogato fino in fondo.
Se l'orario non glielo avesse impedito, la sua batteria avrebbe preso
tutte le botte che avrebbe volentieri destinato a tutt'altro
soggetto.
-
Che novità. -
Prima
che Dom potesse replicare, si vide sbattere letteralmente sotto il
naso il macinino del pepe che troneggiava accanto alla caraffa
dell'acqua al centro del tavolo.
-
Pepe di Caienna? Anche se non si direbbe si sposa molto bene, con la
lattuga. -
Ciò
che era accaduto quella sera aveva scosso i nervi di Dom più
di
quanto non volesse ammettere, nemmeno con sé stesso.
A
scuola, ormai, controllava automaticamente che nessuno lo stesse
seguendo o spiando – laddove “nessuno”,
ovviamente, stava ad
indicare una persona in particolare; nonostante tutto i giorni si
succedevano scialbi e tranquilli come se nulla fosse cambiato tranne
il suo umore, decisamente orientato verso una leggera paranoia che
pian piano scomparve a favore di un rinnovato senso di sicurezza.
Se
avesse trovato prima il coraggio di cantarle a Bellamy, invece di
crogiolarsi in paure inutili...
Era
solo un tipo un po' disturbato il quale non aveva ancora chiaro in
testa il fatto che perseguitare le persone non fosse il modo migliore
di guadagnarsi la loro fiducia ed amicizia. Era bastato fare la voce
grossa per costringerlo a desistere e tornare alla sua solita,
monotona ma sicura routine.
Lo
intravedeva solo in corridoio, durante i cambi d'ora, o a mensa. Come
in uno stupido film americano ambientato in un liceo scolastico,
Bellamy era il ragazzo emarginato che mangiava da solo in un angolo.
Almeno, la sua nomea gli forniva uno scudo virtuale da ogni possibile
presa in giro – dare in escandescenze gli era servito a
liberarsi
dei dispetti cretini dei bulletti della scuola.
Anche
se non incontrava nemmeno il suo sguardo, in quei casi, Dom non
poteva fare a meno di sbirciarlo dal suo personale ed altrettanto
solitario angolino dello sfigato.
Forse
Bellamy vedeva in lui un compagno di sventura, uno spirito affine...
Il che era senz'altro scorretto, perché perlomeno lui aveva
una
storia interessante, dietro. Dom, neanche quella.
Quel
giovedì pomeriggio, Chris sfrecciò a testa bassa
oltre la porta
della biblioteca dalla quale Dom stava per uscire, senza dar mostra
di essersi accorto della sua presenza sulla soglia.
Senza
stare troppo a pensarci, Dom lo richiamò con un incerto: -
Ehi. -
Chris
si bloccò immediatamente, voltandosi.
Era
accigliato, ed aveva i pugni serrati lungo i fianchi: subito dopo,
però, sembrò rabbonirsi nel mormorare: - Oh,
scusa, non so dove ho
la testa... Ciao, come stai? -
Dom
si pentì di averlo fermato – avrebbe dovuto capire
che non tirava
l'aria giusta per quattro chiacchiere di fronte alla macchinetta.
Però,
che diamine, ormai era fatta.
-
Potrebbe andare meglio. - si guardò la punta dei piedi, un
po'
imbarazzato.
-
A chi lo dici... Lo stronzo ha deciso che non venire ad una prova
è
sufficiente per essere inseriti sulla sua lista nera personale. - si
lamentò Chris, cacciando poi un lungo sospiro esasperato.
Continuò
poi a parlare, stavolta con l'ombra di un sorriso sul volto stanco: -
La volta scorsa ho saltato... Avevo le mie
prove, con la mia band. Fixed Penalty. -
Quel
nome non suonava per niente sconosciuto alle orecchie di Dom.
-
Mai sentiti nominare? -
I
Fixed Cosi fanno cagare. Tu sei più bravo di Wolstencoso.
-
… no, mi spiace. -
Chris
non sembrò prendersela: si riaggiustò i riccioli
sulla fronte, i
quali ricaddero un istante dopo al loro posto.
-
Figurati... In realtà come sound siamo ancora in fase di
perfezionamento e... -
Si
fermò nel bel mezzo del discorso, ammettendo poi: -
… ok, siamo una merda. È
per questo che dobbiamo provare parecchio e spesso mettersi d'accordo
con gli orari e i giorni è un macello per via della scuola e
via
discorrendo. -
Dom,
mentre annuiva comprensivo, si chiese cosa fosse la repentina,
fastidiosa fitta che gli puntellò la pancia in quel momento.
Ah,
ok. Solo una pugnalata d'invidia alla bocca dello stomaco, niente di
cui preoccuparsi.
Raggiunto
il distribuitore delle merendine, Chris sembrò aver
recuperato un
po' del suo usuale buonumore.
-
Bene, ti ho tirato su di morale... Adesso tocca a te. Hai bisogno di
sfogare un po' di frustrazione? -
Dom
scosse il capo, affermando ironico: - Credo di stare sviluppando
un'allergia alla polvere ed alla carta... Per il resto tutto a posto.
-
Il
Mars di Chris piombò sonoramente sul fondo della
macchinetta: prima
di raccoglierlo, il ragazzo diede una breve occhiata a Dom per poi
dire: - Posso farti una domanda? Così, per
curiosità. -
-
Uhm... Ok. -
-
Te la fai con Matthew Bellamy? -
Quando
Chris notò l'espressione di Dom, alzò le mani e
precisò: - Non in
quel senso, eh... Solo che vedo che ti gironzola attorno, da qualche
tempo. Ti fissa molto, poi, in corridoio. -
-...
davvero? - riuscì a spiccicare Dom, immobile e con gli occhi
ancora
sbarrati dallo stupore.
Di
tutte le cose che potevano succedergli...
… no,
ok, la più sconcertante era ormai vecchia di qualche
settimana ma
quest'ultima era davvero, davvero, davvero un
fulmine a ciel
sereno – o forse no? Stupida, minuscola,
tutti-sanno-tutto-di-tutti
Teignmouth.
Chris
non fece che confermare l'idea di Dom sulle lingue troppo lunghe
dalle quali la scuola e l'intera città erano infestate senza
speranza di potersene liberare una volta per tutte.
-
Credo tu sia l'unico in tutta la scuola a non sapere della cotta di
Matthew Bellamy per Dominic Howard del terzo anno. -
ridacchiò,
scartando il Mars.
All'altro
era passato l'appetito, ed attendeva ulteriori spiegazioni.
-
Quindi... -
-
Ripeto, non so se lui abbia davvero certe tendenze, però... -
-
… però? -
D'improvviso,
Chris non dovette più trovare la faccenda così
divertente: agitò
una mano come a scacciare via ogni traccia delle chiacchiere appena
evocate, bofonchiando a bocca piena: - Senti, sono solo pettegolezzi,
lascia stare. -
-
Riguardano me? - insisté Dom, cercando di capirci qualcosa.
-
Oh, Dio... Non ti piacerà. -
-
Che cosa? -
Chris
tacque per un po', come a cercare il modo giusto di comunicare a Dom
una notizia che sapeva sarebbe stata molto, molto sgradita.
Alla
fine, riluttante, sputò il rospo.
-
C'è chi crede che tu sia un po'... -
Non
c'era neanche bisogno che tirasse fuori il gesto classico e non molto
elegante del toccarsi l'orecchio, in realtà – Dom
seppe subito
dare la giusta interpretazione alla reticenza di Chris.
Senza
dubbio, era quello il vero fulmine a ciel sereno.
Dom
si mise le mani fra i capelli – troppo lunghi, troppo biondi,
troppo puliti... Cazzo! - e mormorò: -... Cristo. -
-
Dai, seriamente... È quella vacca di Julie che mette in giro
delle
voci solo perché non le sbavi dietro come tanti altri. -
argomentò
placido l'altro, per consolarlo.
Certo.
Lui che era più alto di una spanna ed aveva già
la barba che gli
cresceva da una parte all'altra del viso fino a metà guancia
e
soprattutto non attirava l'attenzione di piccoli esaltati dal dubbio
orientamento sessuale poteva permettersi di restare calmo.
Parlano
di me... Anzi, di me e di Bellamy. Come se ci fosse davvero un
“me
e Bellamy” di cui parlare.
-
Per quello che vale, mi sembri etero. Certo, con i capelli
più corti
faresti un altro effetto, ma... Cioè, non lo so. -
Grazie
dell'aiuto, bello.
-
Io devo trovare quel mostriciattolo... Giuro che lo farò a
pezzi. -
-
Non è colpa sua se Julie e chiunque l'ascolti sono dei
cretini, eh.
-
Chris
gettò la carta del Mars nel cestino accanto a lui, e fece
per
tornare da Bowman; non prima però, di dispensare a Dom un
consiglio.
-
Tu apri le orecchie, ogni tanto, e non guardare sempre in basso
quando cammini. -
Dom lo seguì, a partire dall'indomani.
Non
gli era mai risultato tanto gravoso alzarsi al mattino ed andare a
scuola, neanche quando temeva di vedere Bellamy spuntare dietro una
porta, un armadietto, un vaso, un altro studente assieme al suo
incisivo storto e le sue proposte idiote.
Stavolta,
era tutto un dannatissimo liceo ad andargli contro – per far
fronte
alla situazione, l'unica era davvero provare a scrutare un minimo
l'ambiente nel quale trascorreva la maggior parte della sua
vita.
Così,
Dom si impose di iniziare ad andare in giro a testa alta, dopo aver
richiuso il suo
armadietto – poteva essere il mini-poster dei Queen attaccato
allo
sportello a trarre in inganno? Insomma, non bisognava essere gay per
apprezzare i Queen, no?
Una
ragazza lo guardò per un nanosecondo, e lui sentì
forte l'impulso
di ritornare alle sue vecchie abitudini.
No.
Sguardo fisso in avanti, Dom, devi capirci qualcosa.
Credette
di vedere con la coda dell'occhio un gruppetto di tre tizi squadrarlo
attentamente e ridere. Un'altra ragazza attirò la sua
attenzione –
una faccia nuova, ed anche piuttosto carina. Chissà di quale
anno
era.
Non
era male, in fondo, e con un po' di allenamento avrebbe anche smesso
di sentirsi come se qualcuno gli avesse infilato un manico di scopa
su per il culo allo scopo di fargli raddrizzare schiena e testa,
probabilmente.
Il
suo ottimismo andò a farsi benedire quando, tra decine di
studenti
in transito per il corridoio, si trovò di fronte quello dal
quale
voleva più tenersi alla larga.
-
Dominic... Ciao. -
Perché
doveva mettersi addosso quei colori così sgargianti, e
stridenti?
Perché doveva parlare a voce così alta?
Tremando
dal nervosismo, Dom mugugnò: - Stammi lontano, io non ho
alcuna
intenzione di darti quello che cerchi. - e sorpassò Bellamy,
il
quale tentò di fermarlo afferrandogli una spalla.
-
Ma aspetta...! -
Forse
avrebbe potuto ascoltarlo – quel particolare, sordo senso di
colpa
che associava a Bellamy si era ripresentato e gli bruciava sugli
zigomi e gli annodava la gola – ma... C'erano quei ragazzi
laggiù,
e Dom sibilò istintivamente: - Non mi toccare. -
Non
era cattiveria, ma... Non era cattiveria, punto.
Era
difficile spiegarlo a Bellamy, però.
-
“Devi solo chiedere scusa, Matthew, vedrai che ogni cosa si
sistemerà”... Seh, come no. -
Acre
ed astioso, mentre indietreggiava senza smettere di fissarlo negli
occhi, Bellamy sputò: - Scusami, signor Preferisco Dar Retta
Ad Una
Puttana Bugiarda Qualunque Piuttosto Che Allo Scemo Del Villaggio. -
Si
voltò, allontanandosi a passo di carica.
Il
pericolo era passato – di quale pericolo si trattava,
però,
restava un mistero.
A
mensa, Bellamy era assente – almeno fisicamente.
Un
pettegolezzo rimbalzava di bocca in bocca fra i tavoli, deformandosi
ed ingigantendosi ad ogni salto.
-
Hai sentito di Bellamy? Oggi ha risposto male ad una prof e dicono
che lo rispediranno in istituto! -
-...
e ha tirato fuori un cacciavite! Voleva cavare gli occhi alla
Geoffrey! -
-...
l'hanno trattenuto in tre, a quanto pare sembrava indemoniato... -
-
… bestemmiava e si contorceva come un pazzo. Insomma, come
sé
stesso, ecco. -
Quando
arrivò casualmente alle orecchie di Dom, il resoconto del
gesto di
Bellamy era divenuto un racconto a metà fra lo splatter ed
il
thriller psicologico: nonostante fosse ormai consapevole di come i
suoi compagni di scuola riuscissero a tessere elaborate panzane con
la perizia di un cantastorie medievale e quindi fosse preparato a
distinguere la tara aggiunta dal resto della storia, qualcosa di vero
doveva pur esserci se Bellamy non si era presentato a pranzo,
né
alle lezioni del pomeriggio, né il giorno dopo e l'altro
ancora.
Cosa
diavolo gli era scattato nella testa, di nuovo? E perché?
… era stata colpa sua?
La
Pennyworth era in ritardo. Il che non accadeva da decenni,
probabilmente.
Dominic
guardò l'orologio, aprendo poi la finestra per scuotere
fuori il
piumino impolverato.
Forse
il suo criceto era morto e stava celebrando il suo funerale –
da
quanti anni lo aveva in casa? I criceti non vivevano a lungo, no?
Prima
di trovare una risposta al quesito, la signora Pennyworth si
palesò
sulla soglia della biblioteca.
Stravolta
e con gli occhiali un po' storti sul naso, attraversò la
stanza con
una velocità insospettabile, vista la sua stazza, fermandosi
di
fronte a Dom.
Allungò
un indice verso di lui, e sbraitò con il fiato mozzo e gli
occhi
ridotti a due fessure: - Da oggi in poi non ti allontanerai dall'aula
senza un mio esplicito permesso o ordine, giovanotto. -
-
Cos... Perché? - ribatté Dom, confuso prima
ancora di essere
arrabbiato.
Un
rumore di passi distrasse entrambi, portando la loro attenzione
sull'uscio occupato dalla figurina scarmigliata di un corrucciato
Matthew Bellamy.
Capitolo
un po' di transizione, definiamolo così. Dovevo far
precipitare gli
eventi. XD
Come
sempre, anche in questo caso mi rimetto al giudizio di chi
leggerà
il capitolo per capirci qualcosa – quando ti trascini una
cosa
tanto a lungo non riesci neanche ad essere tanto obiettiva, nel
giudicare il tuo operato, quindi... Ok. Mi dileguo e vi lascio il
tutto.
Grazie
in anticipo, a presto. ♥