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Autore: hotaru    22/04/2011    1 recensioni
- E com'è questa storia? -.
Forse era vero che solo Luna ne conservava memoria, dato che controllava il passato, perché sia Artemis che Diana si voltarono verso di lei.
La gatta nera si leccò lentamente una zampa, per poi passarsela sul muso ed esordire:
- Conosci Plutone, bambina? -.
Prima classificata al contest "La Tempesta" di Vienne e al contest "Un Segreto in Soffitta" di DarkRose86 e iaia86@
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Artemis, Chibiusa, Luna, Makoto/Morea
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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2- Di nuovo in soffitta Di nuovo in soffitta


Un giro di chiave 2


Il pomeriggio prima aveva raccontato tutti gli avvenimenti di quella fantastica giornata a sua madre, mentre la accompagnava a fare la spesa. Chibiusa era a dir poco indispensabile, in quei frangenti, perché a sua madre cadeva invariabilmente qualcosa, ogni volta. Il giorno prima era toccato a sei mele rosse dall'aspetto succoso, che nello scivolare fuori dalla borsa di plastica sulla soglia di casa si erano tutte ammaccate.
- Oh, beh... - aveva commentato sua madre, senza preoccuparsene troppo, mentre spingeva dietro la schiena una delle sue lunghe code. Chibiusa sapeva che le altre madri la consideravano una pettinatura infantile- glielo avevano detto i suoi compagni d'asilo, a loro non sfuggiva niente- ma a lei piaceva: sua madre era molto più giovane delle altre, in fondo, perché si era sposata presto, ed era lusingata che avessero più o meno la stessa pettinatura - ... tanto volevo fare una torta. Anche se sono un po' ammaccate non c'è problema, rimangono comunque buone -.
Non si poteva dire altrettanto del dolce che ne sarebbe stato ricavato, Chibiusa lo sapeva già. Ma si divertiva un mondo a pasticciare in cucina assieme a lei: i loro grembiuli rosa diventavano bianchi di farina, e si inzaccheravano tanto che quando suo padre rientrava diceva che le torte erano loro.
Ormai era quasi una tradizione che lei si presentasse nell'ingresso al suo ritorno, simile a un biscotto dai codini di zucchero, e il padre prendendola in braccio le desse un bacio sul naso, cercando di indovinare che dolce avevano provato a fare.
Una volta che aveva raccontato tale dinamica alla madre di una sua amica questa era rimasta quasi inorridita, ma Chibiusa non se n'era nemmeno accorta: per lei era la normalità quotidiana, la piccola principessa di due genitori che giocavano ancora a fare i fidanzati.
Quando quella sera si addormentò nel suo lettino, pensò che una giornata talmente perfetta non si poteva certamente ripetere.


- Qualcuno di voi mi aiuta a portare di sopra le cose che abbiamo usato per la recita? - domandò la maestra Makoto, alzando un pesante scatolone come se fosse stato pieno di gommapiuma.
"Ma non l'avevamo già fatto ieri?" pensò Chibiusa, offrendosi comunque volontaria. Non si sarebbe di certo fatta scappare l'occasione di salire di nuovo nella soffitta dell'asilo!
- E voi? Ci aiutate? - domandò la maestra ad altri due bambini lì vicino, che tuttavia scossero la testa e si allontanarono in fretta. La maestra Minako stava cantando una filastrocca in cerchio con gli altri, allegra come sempre.
- Hai visto, maestra? Hanno fatto come ieri: sono dei veri fifoni – le confidò Chibiusa, disapprovando tanta codardia.
- Come ieri? - chiese confusa Makoto, chiedendosi che gioco avessero fatto perché la bambina desse dei fifoni ai propri compagni – Comunque è normale avere paura del buio e di un posto che non si conosce, sai? -.
- Oh, ma io lo conosco – disse con condiscendenza Chibiusa, senza vantarsi.
- Lo conosci? - voleva dire che era già stata di sopra senza che lei se ne accorgesse? Possibile? E dire che, con tutta la sua altezza, di solito riusciva a tenere sotto controllo i bambini meglio di una chioccia coi pulcini; inoltre la porta era sempre chiusa a chiave – Ma... -.
- Dobbiamo andare in soffitta, non è vero? - fece Chibiusa, facendo per precederla.
- Aspetta, Chibiusa, vado avanti io – la fermò, visto che di sopra era buio e non voleva che inciampasse.
La bambina annuì, seguendola docilmente. Esultò internamente quando vide che in effetti stavano andando di nuovo in soffitta, e pensò che era stata davvero fortunata.
- Attenta, Chibiusa, la scala è un po' ripida – la avvisò la maestra, come se lei non lo sapesse già.
Quando arrivarono in cima e accesero la lampadina che illuminava una minima porzione di sottotetto, la maestra Makoto si grattò il capo sconsolata.
- Oh, accipicchia... e adesso come lo trovo, quello scatolone? - mentre si guardava intorno poco convinta, disse a Chibiusa: - Puoi esplorare un po' la soffitta, se vuoi, ma sta' attenta -.
Chibiusa annuì di nuovo, e lasciò su una sedia le maschere che aveva portato su- curiosamente molto somiglianti a quelle del giorno prima. Pensò a cosa poteva fare quella mattina, visto che l'esplorazione generale l'aveva già effettuata, e le venne in mente di andare di nuovo a dare un'occhiata a quello strano orologio.
Quando arrivò e guardò in su, fece un gran sorriso nel vedere che gli occhi del gatto erano ancora aperti come li aveva lasciati. Si guardò intorno e ritrovò la poltrona del giorno prima- strano, non ricordava di averla messa a posto, ma lì la confusione era tanta- per poi risistemarla sotto l'orologio e salirci sopra.
- Ciao – disse piano al micino. Ora che li guardava bene, le sembrava che quei grandi occhi avessero un po' lo stesso colore dei suoi – Hai visto che sono tornata? Ma mi sa che è l'ultima volta -.
Il gattino non rispose, ma seguitò a tenere gli occhi bene aperti. Che cosa curiosa, quello strano simbolo che aveva intagliato sulla fronte: era giallo e arcuato, come una piccola mezzaluna. Ma in fondo non era un gatto vero, quindi ci poteva anche stare.
- Saresti proprio un micino speciale – gli sussurrò Chibiusa – Chissà come potrei chiamarti... -.
Qualche rumore un poco più in là la fece voltare, e vide che la maestra Makoto aveva quasi finito. Saltò giù dalla poltrona, lasciandola lì dov'era, e salutò silenziosamente il suo gattino.
- L'hai trovato, maestra? - chiese a Makoto, raggiungendola.
- Sì, finalmente – rispose lei, passandosi una mano sulla fronte – Adesso possiamo scendere -.
Chibiusa annuì, anche se un po' dispiaciuta perché di certo non avrebbe avuto una terza possibilità di rivedere quella magnifica soffitta.
Più tardi non se ne dimenticò, anche se fu piuttosto occupata a chiedersi perché certi bambini non imparassero mai: quello che ieri si era rovesciato addosso la minestra lo fece di nuovo, e la stessa sua compagna che il giorno prima si era sbucciata un ginocchio cadendo dallo scivolo si fece di nuovo male, allo stesso ginocchio.
Ma lo sapevano che l'anno dopo avrebbero dovuto iniziare la scuola elementare? Davvero, c'era di che preoccuparsi.


- E così, mamma, sono andata di nuovo in soffitta! L'unica di tutto l'asilo che ha aiutato un'altra volta la maestra Makoto – stava raccontando Chibiusa a sua madre, mentre pulivano il disastro di cinque uova fresche finite disgraziatamente sul pavimento.
- Sei davvero coraggiosa – commentò Usagi ridacchiando – Io alla tua età non sarei andata in soffitta nemmeno se mi avessero promesso un piatto di dolci come premio -.
- Davvero? E papà? -.
- Oh, il tuo papà era molto più coraggioso – rispose Usagi, rischiando di scivolare mentre risciacquava la spugna sporca di tuorli e albumi – Anche se io non lo conoscevo, allora, ma mi hanno raccontato che era un vero cuor di leone! -.
- Allora io ho preso da lui? - domandò Chibiusa, fiera.
- Credo proprio di sì – annuì sua madre – In questo sei una vera Chiba -.
Ma quando Chibiusa fece per rialzarsi dal pavimento di nuovo decente, scivolò e cadde sul didietro, Usagi non poté fare a meno di pensare che per tutto il resto era proprio sua figlia.
 

- Dobbiamo sistemare i costumi e le maschere della recita, chi mi aiuta? - chiese il giorno dopo la maestra Makoto, al che Chibiusa fece tanto d'occhi.
"Come, ancora?" pensò. Ma la recita era stata soltanto una, possibile che ci fossero ancora delle cose da sistemare? E poi quelle maschere le sembravano uguali a quelle del giorno prima, e di quello prima ancora.
Comunque, se poteva tornare in soffitta un'altra volta...
- Vengo io! - si offrì Chibiusa, di nuovo l'unica in mezzo a tanti fifoni.
Così andarono nuovamente in soffitta, la maestra Makoto dovette cercare ancora lo scatolone perduto e Chibiusa ebbe il tempo di fare un altro giro del sottotetto. Cominciava a considerarlo il suo regno, visto che era la terza volta che ci metteva piede.
- Sono la regina del Regno della Soffitta e tu, o micino, sei il mio consigliere – annunciò all'orologio, quando ebbe riportato la poltrona davanti alla teca e vi fu salita sopra. Ma non l'aveva lasciata lì, sotto al quadrante?
Poi tornò di sotto dagli altri assieme alla maestra, giocò e cantò. Un bambino si rovesciò la minestra addosso e un'altra si sbucciò un ginocchio.
E tutto ciò si ripeté il giorno dopo. E il giorno dopo ancora.
Chibiusa era a dir poco confusa, e aveva provato a dirlo a sua madre, che in tutta risposta aveva rievocato i propri magnifici giorni all'asilo- lo stesso frequentato dalla figlia- in cui non faceva altro che giocare, dormire e mangiare. Ah, che bella vita.
Dal canto suo, Chibiusa non faceva altro che aiutare la maestra Makoto tutte le mattine, portando sempre le stesse maschere su in soffitta e andando a salutare il suo micino dell'orologio, salendo ogni volta sulla stessa poltrona che qualcuno rimetteva sempre a posto.
Non sapeva più che giorno era, perché tutti i giorni erano sempre uguali. Almeno all'asilo, perché poi a casa sua madre inventava un pasticcio diverso ogni giorno.
Una delle mattine in cui era in soffitta, ad aspettare che la maestra Makoto trovasse come sempre uno scatolone infilato chissà dove dalla maestra Minako, prima di spostare la solita poltrona si mise a guardare quello strano orologio nella sua interezza.
Il pendolo nella teca oscillava lentamente ma incessantemente, come se potesse continuare per sempre, e Chibiusa si ritrovò a fissarlo a lungo, seguendone il movimento con gli occhi, come ipnotizzata.
Poi guardò in su, verso il suo micino color lilla dalla mezzaluna sulla fronte, che da un po' di tempo a questa parte guardava la soffitta con occhi vivaci e attenti.
Chissà se...?
Spostò come al solito la poltrona e vi salì sopra, aprendo di nuovo la teca del quadrante. Di nuovo provò a girare quella specie di chiave, con tutte le proprie forze, per due o tre volte.
Guardò in su, e constatò con stupore che il bel micino al centro della mezzaluna era sparito. Ora si vedevano solo stelle e pianeti, e dalla parte sinistra iniziava a fare capolino una forma tonda e bianca. Magari...
Chibiusa si mise d'impegno, e riuscì a dare altri due giri alla chiave inserita nel quadrante, tenendo contemporaneamente d'occhio la mezzaluna sopra di sé. E scoprì che il suo dubbio era fondato: nel corso di quegli ulteriori due giri, dalla parte sinistra sorse la sagoma di un altro gatto, sul cui sfondo si stagliava una forma bianca e perfettamente tonda. Se quelli di prima erano i pianeti, quella doveva essere la luna, pensò Chibiusa.
Anche il gatto era cambiato: era nero, e le sembrava che fosse più grande rispetto a quello di prima; se l'altro era un micino, quello era un gatto adulto.
Ma gli occhi erano perfettamente identici: grandi e di un marrone tendente al rosso, aperti e attenti.
Chibiusa saltò giù dalla poltrona, osservando quel nuovo felino che faceva capolino dalla cima dell'orologio. Chissà se il giorno dopo l'avrebbe rivisto.
Andò dalla maestra Makoto, e per quel giorno lasciò di nuovo la soffitta.
   
 
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