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Autore: BimbaTroppoCresciuta    22/04/2011    1 recensioni
Laura, una tredicenne con mille problemi. Francesco, il ragazzo di cui è innamorata. Una vita incasinata, fatta di amicizie, sofferenze, studio, litigi, nella quale solo con l'amore si può trovare un senso.....
Dal primo capitolo: Vedi, questa mattina io e alcuni miei amici…” cominciò esitante “…io e alcuni miei amici abbiamo fatto una scommessa. Non potevo fare la figura del codardo…”
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo compiuto tredici anni da dieci giorni esatti.
Erano le sette e trentacinque, e mi stavo preparando per andare a scuola, come tutte le mattine. Ogni giorno della mia vita, perlomeno finché c’era la scuola, si rassomigliava. Quella mattina, però, qualcosa di diverso c’era. Dovevo comprare un quaderno.
A sorpresa, il giorno prima al mio quaderno di letteratura erano rimaste soltanto due pagine bianche.
A sorpresa, la mia riserva di quaderni a righe era terminata.
E così, per la prima volta nella mia vita dovevo comprare un quaderno proprio prima di andare a scuola. Ripensandoci, è proprio con una novità che la mia vita monotona è terminata. È proprio grazie a quel quaderno, se adesso posso dire di aver vissuto veramente.

Arrivata davanti alla scuola, salutai mia madre e scesi dall’automobile. Mi diressi verso l’istituto scolastico e, soprattutto, verso la mia migliore amica.
Conoscevo Alessia dall’età di tre anni, e da allora non ci eravamo mai lasciate. Non avevamo niente in comune, assolutamente niente. Io ero alta, snella al punto giusto, capelli castani ricci, timida, introversa, amante dello studio e della lettura, portavo gli occhiali. Lei era bassina, magrissima, capelli biondi lisci, esuberante, estroversa, amante della musica e della danza.
Dicevo, mi diressi verso di lei e la salutai
“Ciao Ale, tutto bene?”
“Si sì, te?” disse abbracciandomi
“Hai fatto letteratura? Io non ci sono riuscita”
“Sì, se arriviamo presto in classe ti do una mano. Una mano, non ti faccio copiare!” dissi ridendo
“A proposito, ho finito il quaderno e devo comprarlo. Vieni con me?"
“Sì, così magari mi riscaldo un po’, fa un freddo cane. Andiamo!” disse, poi prendendomi sotto braccio cominciò a camminare.
Avevamo percorso solo qualche metro, quando la campanella trillò.
“Uffa, e ora la prof chi la sente? Ale, fai una cosa, corri in classe e inventati qualcosa per temporeggiare finché non arrivo, ok? Corri” dissi, dandole una leggera spintarella. Mi incamminai a passo svelto, pensando a quale quaderno comprare per abbreviare i tempi. Ad un tratto vidi venire verso di me un volto conosciuto.
Francesco.
Francesco era mio amico dall’età di sette anni, ma ci conoscevamo da molto prima. Ed io ero innamorata di lui. Lo so, “innamorata” è una parola grossa a tredici anni, ma non ne ho mai trovata un’altra. “Mi piace” mi pareva troppo restrittivo, così la mia cottarella infantile la chiamavo amore. Era alto cinque dita più di me (e la cosa mi mandava in bestia), capelli castano scuro, occhi castani, allegro, estroverso, spiritoso, permaloso, e riusciva a comprendermi. In pochi erano capaci di farmi tornare il sorriso nei momenti di sconforto, e lui era tra questi.
Comunque, veniva verso di me con una faccia strana, dispiaciuta, come se si sentisse in colpa per qualcosa.
Una faccia che non era da lui.
Non ebbi nemmeno il tempo di salutarlo, quando fece una cosa stranissima: mi avvicinò a lui, mi misi una mano dietro la testa e l’altra davanti alla bocca. Quindi, si posizionò dall’altra parte della mano.
“Scusami” mormorò.
Ci misi qualche istante ad analizzare quella posa inusuale, ma capii che dall’esterno poteva sembrare un bacio. Cominciai a divincolarmi, ma la sua stretta divenne ferrea, e l’unica cosa che riuscii a fare fu mordergli un dito. Dopo qualche secondo mi lasciò di scatto, ed io corsi verso la scuola, la mia ancora di salvezza.                                                                                                                                          
Troppo tardi capii che la scuola, altro che salvezza, era l’inferno! La nostra scenetta era stata tutt’altro che privata, e presto ne avrei pagato le conseguenze. Ah, ma Francesco non sarebbe certo rimasto impunito! All’uscita di scuola, lo avrei massacrato…
In una specie di stato di shock, entrai in classe e mi accomodai al mio posto, notando a malapena l’assenza della professoressa.  
“Finalmente, dov’eri finita?” mi accolse Ale con un fiume di parole “Per fortuna che la professoressa non c’è, dicono che è malata, speriamo manchi per un mese! Ma che ti è success... ”
“Wow, Laura, complimenti per lo spettacolo. Queste cose te le prepari a casa o improvvisi?” esclamò entrando in classe Giacomo, il più bravo dopo di me ma anche il più sfrontato e irriverente della classe. Spesso le sue battute erano divertenti, ma altrettanto spesso erano inappropriate, proprio come in quel momento.
Alessia gli diede una risposta che non udii, poi si concentrò su di me: “Mi spieghi, cortesemente, che è successo?"                                                     
Così, con frasi sconnesse, riuscii a farle capire l’accaduto, mentre l’attenzione dei presenti si concentrava su di me.
I maschi ridevano a gran voce, le femmine emettevano acuti risolini chiedendomi da quanto tempo ero fidanzata.
L’arrivo della seconda ora, e con essa del supplente assegnatoci, mi rincuorò un pochino, e mi diede modo di pensare a mille modi per vendicarmi. Nessuno mi interrogò, e fu una fortuna perché avrei solo descritto in modo molto dettagliato l'atroce tortura alla quale avrei sottoposto Francesco. Suonata la campanella, corsi immediatamente fuori dal portone, e poi verso il luogo nel quale io e Alessia aspettavamo abitualmente quell’infame traditore. Nell’attesa altri alunni che avevano visto la scena quella mattina fecero delle battute alle quali cercai di non badare.
Appena Francesco fu a portata di orecchio, lo aggredii. “Mi fai capire cosa ti ha detto quel tuo cervello dal diametro di 2 millimetri ormai permanentemente abitato da mosche? E muoviti, che voglio arrivare il prima possibile a casa” dissi, cominciando quasi a correre, per il nervosismo e per la fretta, appunto, di andarmene.
“Ma dai, non è successo niente, è stata una sciocchezza” tentò di dire.
Proprio in quel momento quasi a volerlo smentire, uno dei miei compagni di classe passo con la bicicletta fischiando verso di noi “La vedo, la sciocchezza” risposi amara “Vuoi almeno spiegarmi il motivo di tale azione?”
“Vedi, questa mattina io e alcuni miei amici…” cominciò esitante “…io e alcuni miei amici abbiamo fatto una scommessa. A turno avremmo baciato la prima ragazza e passava, e così…. Ma se tu non fossi passata proprio in quel momento… Non potevo fare la figura del codardo…”
Qualunque cosa mi sarei aspettata, ma non quello.
La mia vita era momentaneamente rovinata, e per che cosa?
Una scommessa.
Una scommessa.
Scoppiai a ridere, una risata nervosa, isterica. "
Una scommessa? Ma io ti ammazzo, altroché. Ti ammazzo! Stai a vedere che uno non è libero di passare quando vuole perché un’idiota ha fatto una scommessa con i suoi amici. Una scommessa! La prossima volta avverti, metti i manifesti, così mi asterrò dal passare. Ma non ci sarà una prossima volta, perché io ti ammazzo adesso!” e cominciai a dargli schiaffi sulle braccia, in faccia, ovunque riuscissi a raggiungerlo.
Alessia, che fino a quel momento era stata in ascolto, intervenne per separarci. Non sarebbe mai riuscita a trattenermi, ma mi lasciai allontanare e ripresi una facciata dignitosa. Solo in quel momento mi accorsi che avevamo raggiunto casa mia, quindi salutai promettendo a Francesco che non sarebbe finita lì, e suonai il citofono.
Entrata in casa, posai lo zaino e mi afflosciai sul divano, ancora incredula. Una scommessa. Una scommessa infantile, per di più. Quando mia madre mi chiese il motivo di tanta tristezza, le dissi tutto. Cercò di rincuorarmi, ma in fondo anche lei era un po’ preoccupata.
E così, la mia facciata da brava ragazza andava a farsi benedire. Mi avrebbero preso in giro per settimane, e io non potevo farci niente. Nessuno mi avrebbe creduto se avessi detto la verità.
Scoppiai in lacrime, e nulla poterono le parole di conforto di mia madre contro la mia vergogna.
  
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