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Autore: BimbaTroppoCresciuta    24/04/2011    0 recensioni
Laura, una tredicenne con mille problemi. Francesco, il ragazzo di cui è innamorata. Una vita incasinata, fatta di amicizie, sofferenze, studio, litigi, nella quale solo con l'amore si può trovare un senso.....
Dal primo capitolo: Vedi, questa mattina io e alcuni miei amici…” cominciò esitante “…io e alcuni miei amici abbiamo fatto una scommessa. Non potevo fare la figura del codardo…”
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La settimana seguente fu infernale. Ogni volta che io e Francesco ci incontravamo, cominciavamo a litigare. 
O meglio, io cominciavo a litigare. 
Spinta da una furia incontrollabile, cominciavo ad urlargli contro, senza dargli nemmeno il tempo di ribattere alle mie accuse. Solo dopo ho capito che la mia era una reazione esagerata, ma in quei momenti perdevo il controllo. 
Avevo fatto di tutto per rimanere nell’ombra, farmi conoscere da meno persone possibili, e ci ero anche riuscita. Certo, l’essere la più brava della classe mi rendeva relativamente famosa, ma i tre quarti dell’istituto non sapevano chi fossi. 
Ora, invece, ero sulla bocca di tutti per una cosa che non avevo fatto. Già, una cosa che non avevo fatto. Su questo mi ci fece riflettere Alessia, durante uno dei miei tanti sfoghi spesso correlati con un pianto. 
La piccola, dolce e ingenua Alessia mi disse “Ma non è che la cosa ti infastidisce tanto proprio perché non è successa? Cioè, non so se mi hai capita….”. 
Non risposi, ma l’avevo capita benissimo. 
Aveva ragione. Se almeno lui mi avesse baciata, mi sarei tolta uno sfizio, e la cosa avrebbe addolcito la situazione. 
Chissà, magari lui si sarebbe accorto di me…. Invece, oltre al danno la beffa. 
E comunque, a me dispiaceva litigare così accanitamente con lui. Era prima di tutto mio amico, gli volevo bene. Però non riuscivo a controllarmi.                                                                                                                                                

Il lunedì seguente, ad una settimana dal “fattaccio”, ero andata a studiare a casa di Alessia. Dopo il pranzo, avevamo guardato insieme la nostra serie tv preferita, e ci eravamo sistemate in cucina per studiare. 
La cucina aveva un terrazzo che si affacciava sul cortile dove abitavano tutti i parenti della mia amica. 
Quindi, non era raro che qualche zio o cugino andasse a farle visita quando c’ero anch’io. 
E quindi, nessuna delle due si stupì quando, verso le 16.30, sentimmo trillare il campanello di una bicicletta. Alessia si precipitò fuori per vedere chi era, e tornò dentro con un’espressione preoccupata “è per te” disse soltanto. 
Mi affacciai, e lo vidi. 
Era appoggiato al muretto che delimitava il piccolo orto, e giocherellava con i pedali della bici. Scesi le scale, la rabbia che montava.
“Che vuoi?” ruggii raggiundendolo
“Ciao anche a te, come stai oggi, inviperita come sempre?”
“Che vuoi?” 
“Parlare”
“Mi sembra che io e te abbiamo già parlato abbastanza, che dici?”
“Forse tu hai già parlato, perché da una settimana a questa parte non mi lasci più aprire bocca”
“Per sentire le tue scuse idiote? No, grazie, preferisco di gran lunga urlarti contro!” Non era vero. Però dissi questa frase con cattiveria, e lo colpii. 
Rimase per un attimo interdetto, quindi continuò “La cosa che non hai ancora capito è che non tutti sono perfetti come te. Gli essere umani compiono degli errori, a volte gli capita. Tu, invece, fai sempre la cosa giusta, non è vero? Bhe, ora ti rivelerò un’altra cosa a te sconosciuta. Le persone perfette sono noiose, monotone, sempre uguali nella loro impeccabilità”
Lo avevo sottovalutato. Sapeva far male, altrochè. E quello era un tasto sensibile per me.
“Io non sono perfetta, io sbaglio, non sai quanto. Semplicemente evito di compiere gli errori più elementari” 
“Giusto, io commetto errori elementari. Ma hai ragione, hai perfettamente ragione. L’errore più grande l’ho fatto io” disse risalendo in bici
“Vedo che finalmente l’hai capito, che bravo” risposi acida 
“No, non mi riferivo a quello, mia cara. Il mio errore più grande è stato innamorarmi di te!” esclamò, quindi corse via. 
Lo osservai svoltare l’angolo, e rimasi impalata. 
Il vento mi sferzava il viso, il naso diventava sempre più rosso, ma non mi muovevo. 
Dopo qualche minuto, o forse qualche anno, due mani mi cinsero la vita trascinandomi via. 
E in quel momento le parole che non avevo avuto la forza di prununciare, qualche minuto prima come negli anni precedenti, uscirono dalla mia gola, appena udibili, e fu come se mi fossi tolta un peso. 
Dissi solo “Ti amo anch’io”.

  
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