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Autore: Keyra93    22/04/2011    1 recensioni
Tre brevi capitoli che descrivono emozioni e pensieri di Erik e Madame Giry quando il nostro eroe arriva al Teatro... mi sono concentrata per lo più su di lui, ma la Giry mi ha impedito di ignorarla, ha fatto tutto lei...
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nel Buio, 1-Primi incontri

Altra fic sul Fantasmone... sono proprio originale, eh? Modestamente.
Tre piccoli capitoli per descrivere un po’ cosa provano Erik e l’allora giovine Madame Giry all’arrivo di lui al Teatro. Be’, ovviamente mi concentrerò più su di Erik... ma questi sono dettagli!
Scritta principalmente per farmi perdonare dal Maestro (ho osato dire di preferire l’Erik del libro... non ripeterò più lo stesso errore xD), alla fine era un’idea carina e sono contenta. Ma ricevere commenti, idee, critiche, pareri è sempre salutare: siete i benvenuti!
Detto ciò, enjoy.

 

NEL BUIO
CAPITOLO 1 - PRIMI INCONTRI

Sembrava essere fatto per l’oscurità.

Non era mai stato in quel posto, mai aveva vagato in quei corridoi bui e apparentemente impenetrabili, eppure non si era mai sentito così a casa. Sembrava che le ombre volessero accoglierlo, nasconderlo da tutti, da quella ragazza che lo conduceva sempre più lontano dalla luce, dall’aria notturna accesa da stelle e lampioni, dal suo passato, presente, futuro, da se stesso. Da tutto. Mentre lei, la strana ragazza, sembrava diventare ogni momento più inquieta e spaventata da quel buio, lui si ritrovava sempre più a suo agio. Nonostante il sacco che portava ancora sulla testa, riusciva a discernere ciò che lo circondava - lei no, ne era certo - e in ogni angolo vedeva una scappatoia, una via inesplorata, un nascondiglio. Quel posto, quel teatro... era affascinante.

Era un ragazzo, così mingherlino poi che lo avrebbero certo scambiato per un bambino, se qualcuno l’avesse osato guardare... eppure, non era facile affascinarlo davvero. Certo, ogni cosa nuova esercitava su di lui un iniziale fascino, quel fascino che ogni mente curiosa e grande come la sua non poteva non avere per lo sconosciuto; ma presto la cosa perdeva di rilevanza, perché il ragazzo arrivava a conoscerla in ogni suo dettaglio. E qualcosa che conosceva raramente poteva rimanere affascinante, per quei suoi occhi così affamati di novità. Eppure... eppure quel luogo sembrava così bello nel suo essere buio e nulla, che fu sicuro che avrebbe sempre potuto ritrovare quella sensazione di sconcerto e ammirazione che cresceva in lui passo dopo passo, in qualunque momento fosse tornato a visitarlo. La fanciulla invece sembrava così spaventata... la vedeva agitarsi, guardarsi intorno, sembrava terrorizzata. Di cosa poi? Credeva forse che qualcuno si aggirasse per quei cunicoli? Era così sconvolta che Erik non riuscì a reprimere un ghigno di scherno. Per poi pentirsene subito dopo.

Mi ha salvato la vita. Ho appena ucciso un uomo, di fronte ai suoi occhi. E mi ha salvato la vita. Sono davvero un mostro, se rido di lei.

Il ghigno si trasformò immediatamente in una smorfia amara, che quelle labbra conoscevano fin troppo bene: la smorfia che si era abituato ad avere in faccia, per evitare la disperazione completa. Era arrivato a schernirsi da solo, tante volte, per tenere le mani a freno e non attorno al collo dei suoi aguzzini... o al suo stesso. Aveva subito tutte le loro angherie, gli sputi, le bastonate, le urla; aveva sopportato tutto, godendo dei momenti di pace per leccarsi in fretta le ferite e potersi guardare attorno, ansioso di utilizzare quel genio che chissà chi gli aveva donato. In tutti i modi aveva cercato di ingannare gli zingari, riuscendo il più delle volte a rubare loro qualche rara leccornia - tutto era meglio di ciò che gli somministravano sotto il nome di “pasto” - e a guadagnarsi qualche attimo di pace, di solitudine, di silenzio. E col tempo il silenzio si era trasformato in musica... aveva presto scoperto la meraviglia della propria voce, come gli potesse tenere compagnia nei momenti più oscuri e disperati, come potesse fargli sembrare di poter volare, di poter essere libero. E alla fine qualcuno l’aveva sentito: ancora oggi malediva quel momento in cui non si era trattenuto e aveva cantato quand’era ancora troppo vicino all’accampamento... quando gli zingari gli comunicarono che sarebbe diventato il loro personale canarino, da esibire come fosse uno strumento oltre che il Figlio del Diavolo, aveva preso seriamente in considerazione l’idea di scappare una volta per tutte; ma, come al solito, era stato zitto e aveva obbedito, maledicendo ogni persona e divinità che avesse avuto mai a che fare con la sua vita. Era sempre stato zitto, sempre aveva sopportato, sempre aveva fatto passare tutto... tranne quella notte. Quella notte aveva ucciso lo zingaro.

E il momento dopo aveva saputo di essere perduto, perché due occhi terrorizzati lo guardavano dalla fessura della tenda, increduli. La selvaggia passione e l’orribile soddisfazione causata da quella vita terminata fra le sue mani si era spenta sul momento, non lasciando che disperazione dietro di sé: sapeva di non avere più scampo, sapeva che l’avrebbero ucciso. E invece lei l’aveva salvato. Chissà perché poi, si chiese il magro ragazzo, mentre interrompeva bruscamente la sua corsa nei bui cunicoli, la ragazza improvvisamente bloccata e tremante come una foglia.

“Qui sarai al sicuro... non farti vedere, per favore, e non dire a nessuno che ti ho portato qui...”

La voce le tremava, e continuava a guardarsi intorno, gli occhi che schizzavano da una parte all’altra di quel buio rischiarato solo dalla piccola lampada che teneva in mano.

“Perché?”

Lei lo guardò stupefatta, e per un attimo il terrore sembrò sparire dal suo volto. Il ragazzo riconobbe in quegli occhi lo stesso stupore che fin troppa gente provava al sentire la sua voce... una voce d’angelo in un corpo da diavolo, come lo schernivano i suoi aguzzini. O per meglio dire, ex-aguzzini.

“Perché... perché non dovresti essere qui, insomma! E io non ho il permesso di far entrare sconosciuti e dovrai rubare da mangiare alle cucine e io non voglio...“

“Perché mi hai aiutato?” Disse lui piano, cercando di essere il più gentile possibile. Probabilmente non ci riuscì: la vide tentennare e distogliere lo sguardo, mentre si dondolava per un attimo sulle gambe. Ovviamente, aveva paura di lui...

“Perché... non mi sembrava giusto, è chiaro. Sei solo un ragazzino, e ti trattavano come un fenomeno da baraccone, o peggio come... come un...”

“Mostro.” Completò lui. La ragazza non lo guardò, ma scosse piano la testa; sembrava tutt’a un tratto triste.

“Mi dispiace.” sussurrò piano, e questa volta fu lui a stupirsi. Le dispiaceva? E di cosa? L’aveva salvato! Doveva essere lui a dispiacersi, dispiacersi che lei l’avesse visto, che si fosse messa in pericolo per un demonio come lui. Non ne valeva la pena, lo sapeva bene... del resto, prima o poi sarebbe dovuto scappare via, e qualcun altro l’avrebbe reso il suo personale mostriciattolo da mostrare in giro per il mondo a guadagnare... ebbe un moto di rabbia al pensiero che non avrebbe mai potuto godere di quella libertà, quella normalità che tutti davano così per scontata. E che lui non aveva mai conosciuto.

“Be’, come ti chiami?”

Lui la guardò perplesso, due paia d’occhi che si studiavano a vicenda nell’oscurità. Sembrava interessata a lui... eppure vedeva l’ombra della paura che non lasciava il suo sguardo.

“Erik.”

“Io sono Eloise... piacere” disse lei, tendendogli una mano incerta. Lui spostò lo sguardo su quella mano che gli veniva offerta, apparentemente così semplice e chiara. C’era forse un trabocchetto? L’aveva ingannato e portato in un’altra trappola? Perché sembrava fidarsi di lui, quando lo aveva appena visto uccidere un uomo? Cercò di non pensarci, per non vomitare, e passò lo sguardo dalla mano agli occhi di lei. Sembrava sorridergli, incoraggiante... e improvvisamente il giovane fu preso da un’idea. Le strinse la mano in silenzio, e quando lei la ritirò, spostando lo sguardo all’intorno nervosamente, lui prese a parlare piano ma con chiarezza.

“Questo posto mi piace. Ho deciso che voglio rimanere qui... l’oscurità è più accogliente dei fuochi degli zingari.” Lei ora lo guardava in silenzio, gli occhi ancora vagamente spaventati ma ora attenti. “Non avrò bisogno di molto, non sono abituato a mangiare troppo. Adesso esplorerò ancora questo luogo, ma mi sembra pericoloso... tu torna pure a casa tua. Non ho più bisogno di te.” Si voltò, volgendole le spalle, e cominciò ad addentrarsi più in fondo, ormai certo che sarebbe scappata via di corsa. E quando sentì la mano di lei sulla sua spalla, le afferrò il polso con velocità impressionante, l’altra mano pronta a colpire; ma si fermò immediatamente, vedendo lo sguardo preoccupato e insieme categorico della giovane.

“Avrai bisogno di una mano. Vediamoci domani... ti porterò qualcosa da mangiare e da bere...”

“Non senti questo rumore anche tu?” Lei lo guardò smarrita, e lui continuò, sbuffando leggermente e lasciandole il polso. Muovendo vagamente la mano verso la posizione opposta a quella da dove erano venuti, “da quella parte c’è dell’acqua,” disse, “quindi non preoccuparti per il bere. Per un po’ mi accontenterò di quella, per il futuro mi arrangerò da solo. Non sono solo un mostro, sono anche un mostro geniale!” Terminò la frase con un accento amaro, un piccolo ghigno sulle labbra; labbra che lei non poteva vedere... e non poteva che esserne contenta, rifletté lui.

“Ma magari non è pulita, magari non...”

“Credi sul serio che l’acqua degli zingari lo fosse?” Lei abbassò lo sguardo, imbarazzata, mentre lui tornava a voltarle le spalle. “Torna a casa, ti dico.”

“Questa è la mia casa.”

Questa volta si girò lui, dopo qualche attimo di silenzio, guardandola stranito.

“Abiti... in un teatro?”

“Sì,” rispose lei sommessamente, “sono un’apprendista ballerina, e torno dai miei genitori solo nei finesettimana. Oggi è martedì, quindi potremo vederci tutti i giorni ancora per almeno tre giorni...” Al silenzio di lui, Eloise rispose con un debole sorriso. “Spero che ti possa trovare bene qui...”

“Anche se ne dubiti,” terminò lui la frase ancora una volta. Lei annuì, di nuovo il flebile sorriso sulle labbra, e lui continuò a guardarla fisso per qualche momento di silenzio. Ancora non si spiegava perché lo aiutasse... esisteva davvero la compassione, l’amore per il prossimo, che aveva sentito predicati da un frate in una strada? O finiva tutto come aveva creduto fino a quel momento - sotto un cumulo di botte senza alcun sorriso di compatimento, proprio come quel frate, che aveva provato a convertire alla sua religione alcuni zingari ubriachi? Sembrava che quella giovane ragazza volesse dimostrargli che sì, esisteva qualcosa di diverso dell’odio e del rancore insensati che tutti gli esseri umani avevano provato nei suoi confronti, fin dalla nascita... Mia madre per prima.

“Be’ allora... ciao.”

Lui si limitò a continuare a fissarla, quel sacco che gli copriva l’orribile volto a nascondergli anche la metà sana, la metà umana. Eloise alla fine si girò, allontanandosi, tornando a casa... nella parte vivibile e piena di luce del teatro.

“Eloise,” la chiamò piano. Lei si voltò a guardarlo, incuriosita.

“Grazie.”

   
 
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