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Autore: Rocket Girl    24/04/2011    1 recensioni
Iniziai a scappare.
Fuggivo da quell’incubo.
Evadevo dalla mia realtà, che non distinguevo più.
Cercavo me stessa e la mia vita, lontano da ciò che ero.
Pregavo perché esistesse qualcuno sopra di me.
Impetravo perché mi sbagliassi tremendamente.

L'intero mondo distingue ogni singola persona fra i folli e i retti.
I folli fra gli psicopatici e gli anticonformisti.
Il problema è che, a volte, la linea fra malattia mentale e la semplice voglia di apparire e scandalizzare si fa talmente sottile da dubitare che esista.
Il problema è che, a volte, le differenze si riducono al nulla.
Genere: Dark, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Lo videro entrare in un portone che sembrava l’ingresso per l’inferno. Era fra una congrega di una qualche setta religiosa ed una centrale nucleare in disuso, e sopra la catapecchia un’insegna sbilenca portava qualche segno che un tempo si sarebbe detto una parola. Dentro era buio, sembrava d’esser tornati nell’utero ed era meravigliosamente esaltante – perfino l’umidità si trasformava in gocce che scendevano lungo il suo viso, ed avrebbe potuto percepire il cordone ombelicale che gli portava quell’aria che sembrava liquida. Assunse improvvisamente movenze fini, e con gesti estremamente affettati lasciò cadere i vestiti che ricoprivano l’intera figura, rivelando un corpo snello e dalla muscolatura ben tenuta, anche se sottile – si sarebbe anche detto femminile. Sembrava scolpito nel marmo, e d’altronde la pelle candida riluceva dei pochi raggi rossicci che arrivavano, permettendo agli specchi che fungevano da pareti di riflettere una figura che sembrava tratta da un incubo, con l’armonica inquietudine nelle movenze che ricordava quella di un serpente. La sinuosità dei muscoli che si contraevano e distendevano era ipnotica ed aveva un che di letale, le gocce che si rifrangevano su quella marmorea apparizione soprannaturale – e più tendente al demoniaco che al divino - sembravano testimoniarlo. Le dita, che s’erano rilassate, tiravano i capelli maltrattati lasciandone soltanto pochi centimetri, che tuttavia ricordavano le ali di un corvo per forma e lucentezza.
Non si poteva definire bello, né fisicamente attraente- era troppo etereo per poter avere una benché minima carica erotica.
Tuttavia, nel modo in cui anche solo le spalle s’ingrandivano permettendo all’ossigeno di fare il suo circolo nel corpo, ammaliava un qualche osservatore immaginario. Era straordinaria la metamorfosi, quasi avesse accettato dentro di sé la totale presenza di Satana, con il suo lato distruttivo e l’irresistibile eleganza che faceva precipitare ogni essere nel proprio baratro. Era tuttavia meno interessato alla propria figura che mai.
L’oggetto delle sue attenzioni era un oggetto di legno lucido, nero nell’oscurità. Il candore dei polpastrelli si sporcò dell’acqua nera che cadeva goccia a goccia sulla superficie del piano, e arrivò a sfiorare i tasti, che sembravano i denti di una bocca ridente della crudele imperfezione di quella scultura vivente in marmo; al ché le unghie si strinsero su uno di quelli ed una nota dal suono profondo partì, a cui ne seguirono altre, finché una melodia dal suono dolce ed etereo si diffuse nell’aria. E, man mano che il viso del giovane sembrava attraversato da strazianti lampi d’emozioni, le note raggiungevano picchi acuti e gravi nello stesso minuto, in una cacofonia che aveva il suo fascino.  Era apocalittica, ed aveva un tono d’orgoglio smisurato – per sé e per la barriera che fieramente l’aveva sempre separato dalla nascita.
Le note sembravano cantare la storia della sua vita.
Sembrava cantare il pianto che non era mai nato, le urla soffocate da una nascita silenziosa come un aborto. Un bambino che era nato con un aspetto angelico, troppo bello, troppo perfetto.
Era silenzioso, sembrava voler risparmiare le proprie parole.
Ipotizzarono non urlasse perché fosse muto, poiché il respiro c’era, i polmoni lentamente e ritmicamente – dom, dom, dom – si riempivano e tornavano alla normalità quasi come con rimpianto, come se volessero tenere l’aria per sempre.
Era la sua vita. Era appena nato, e sapeva di dover trattenere tutto per sopravvivere. Era nato e già sapeva di dover mantenere un profilo basso,di cercare di strisciare sottogamba per poter colpire nei punti giusti e far franare chi aveva di fronte.
E ci si aspetterebbe che sia nato in una giornata gelida e piovosa, da una madre tutt’altro che in grado di mantenere un bambino ed,essenzialmente, incapace di gestire anche solo la propria vita.
Ed invece no.
Ed invece era nato in una splendida giornata di Maggio, non tanto calda da render perfino i muri madidi di sudore ma neanche fredda da infastidire, essendo la luce solare abbastanza forte da dare il calore necessario a sollevare gli umori e i corpi.
Era nato da madre giovane, ma cosciente di sé e del mondo, cosciente della propria lotta per l’affermazione – che tuttavia, neanche a dirlo, fu sopperita per i propri ideali.
Nacque fra lo splendore di cliniche private e la morbidezza di tessuti ben fatti, fra quasi troppa gente che s’occupasse del suo benessere ed alcun dettaglio che potesse nuocergli.
Nacque per essere un dominatore, un uomo di potere e di carattere che potesse arrivare a comandare il mondo.
Nacque essendo un perdente, un vigliacco che aveva dato i respiri per paura del soffocamento.
Crebbe per essere un uomo di mondo, pieno di cultura e con una dialettica incontrastabile.
Crebbe essendo un gracile esserino che amava ardentemente l’idea della fine ma era troppo codardo per realizzarla.
Visse per essere qualcuno.
Visse essendo nessuno.
  
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