Il fruscio della carta argentata arrivava fino alla mia camera.
Io sapevo che non andava bene spiare, e infatti restavo dentro il mio letto, ma il rumore della carta che veniva stropicciata riusciva a trapassare i muri sottili che dividevano la mia camera da quella dei miei genitori.
Doveva essere un segreto perché così il mattino successivo la sorpresa sarebbe stata doppia.
E io facevo la mia parte: quella del bambino che non capisce niente per far felici i genitori.
La mattina dopo l’uovo di Pasqua era sul tavolino del soggiorno, quello un po’ sbilenco che si reggeva grazie ad un foglio ripiegato più volte su se stesso che mia madre aveva sistemato sotto uno dei piedi del tavolino.
Io sgranavo gli occhi e correvo verso il tavolo per aprire immediatamente l’uovo, mangiare la cioccolata e cercare la sorpresina.
Un anno però non sentì nessun fruscio e, a dir la verità, piansi tra le lenzuola al pensiero che tutto fosse finito.
Del resto ero solo un bambino.
La mattina successiva, quando entrai nel soggiorno, non riuscii a credere ai miei occhi: sul tavolo c’era un uovo di Pasqua.
I miei genitori si sorrisero a vicenda, io ero al settimo cielo.
Com’era possibile? Come avevo fatto a non accorgermene?
La felicità fu tale che non riuscii a controllare la mia magia, e l’uovo esplose in mille pezzi.
Mio padre smise di ridere, mia madre sospirò.
Io non mangiai mai più cioccolata, e ancora oggi mi chiedo che sorpresa contenesse il mio ultimo uovo pasquale.