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Autore: Hi Fis    25/04/2011    2 recensioni
Questa raccolta continua a raccontare le avventure di Hayat Shepard, la dove Heroes si era interrotta. La narrazione riprende dalla distruzione della base dei Collettori e traccia un possibile prologo per Mass Effect 3, appoggiandosi ad elementi del gioco.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Ben arrivati, Lettori, all’ultimo capitolo di Ronin, e seconda parte del duo che tratta dell’ultimo DLC di ME2  “The Arrival”. Assicuratevi di avere la cintura ben allacciata e che il tavolino di fronte a voi sia ben chiuso.
In altre parole, Buona Lettura.


Capitolo 7
Arrivò dal cielo
 
Arathot era in vista sui sensori a lungo raggio, e la Normandy avanzava nascosta ai satelliti di sorveglianza Batarian grazie ai suoi sistemi stealth. Questa volta, non ci sarebbe stato alcuno shuttle da sganciare con dentro una compagnia di guerrieri, come avveniva di solito, ma solo una donna.
Le viscere di Joker si agitavano al solo pensiero e non solo per le minacce che Liara gli aveva fatto: c’era qualcosa di tremendamente sbagliato nel lasciare che Shepard andasse da sola. Alla fine però, Joker avrebbe seguito gli ordini: perché per quanto Moreau fosse un saccente e sarcastico pilota che non nutriva alcun rispetto per le regole, lui era pur sempre un soldato. Con le ossa di gesso e un narcisistico senso dell’ego, ma era pur sempre un dannato soldato e il miglior pilota umano in tutta la via Lattea.
“Siamo nell’atmosfera di Arathot, Comandante. Ora locale, ventitré e trenta.”
“Apri la porta, IDA.”
E la stiva si aprì docile sotto il suo comando.
Da circa diecimila metri di altezza, Shepard vide la superficie butterata di Arathot e la città costruita in mezzo ad una vallata dove l’Egemonia aveva nascosto la sua prigione. A Shepard sembrò brutta, perfino da quell’altezza.
“Lancio al mio Mark. Comandante.”
Shepard ripercorse all’indietro la rampa, preparandosi a correre.
“Tre. Due. Uno. MARK!” E al segnale Shepard corse, superando l’orlo della rampa e saltando nel vuoto.
 
Quando l’umanità era entrata a far parte della comunità galattica, erano state molte le cose che avevano stupito della loro specie, dalla loro cultura a alla loro fisiologia: le prime informazioni scambiate con la Cittadella erano state sistematicamente analizzate in ogni loro aspetto, comprese quelle sulle tattiche militari Umane. Nonostante fossero una razza giovane, fu subito chiaro a tutti che i Terrestri avevano fatto della Guerra una scienza esatta.
I Turian l’avevano sperimentato sulla loro pelle durante la Guerra del Primo Contatto: gli esseri umani incarnavano la flessibilità sul campo, invece delle formazioni rigide e lineari delle truppe avversarie, che usavano tattiche che i Terrestri avevano abbandonato da almeno tre secoli.
Quello che inizialmente agli invasori alieni era sembrato solo un gruppo disordinato di uomini in uniforme, si era rivelato ben presto come un efficiente e adattabile gruppo di combattimento, su cui la superiorità numerica e tecnologica riusciva a fare ben poca presa. Gli umani non stavano un momento fermi: sempre in movimento, sapevano attirare in imboscate ben preparate le truppe nemiche, che si trovavano accerchiate e colpite a fianchi. Non appena rispondevano al fuoco, ecco che gli Umani si ritiravano e l’attacco arrivava dal lato opposto: per i Turian era stato un vero incubo, poiché quelle tattiche andavano contro tutto quello che avevano fino ad allora gli era stato insegnato.
Fu subito chiaro che fanteria contro fanteria, gli umani erano superiori: tanto che alla fine i Turian avevano preferito ritirare le truppe dal pianeta, usando solo i bombardamenti orbitali per mantenere il controllo su Shanxi.
Quello che aveva convinto i Turian a rimanere nello spazio e a non scontrarsi apertamente, era stata soprattutto la rapidità con cui gli Umani sapevano lanciare un attacco: le loro varie divisioni, fanteria, aviazione e artiglieria agivano in concerto come un unico essere. Nella cultura militare Turian invece, ogni divisione aveva il suo ruolo preciso e nessuno si era mai sognato di metterlo in discussione.
E invece, gli umani erano abbastanza pazzi o intelligenti, nessuno era in grado di capirlo quando si trattava di loro, da sganciare soldati e mezzi oltre le linee nemiche per creare scompiglio, per poi lasciare che ritrovassero la strada di casa da soli, mentre la nave che li aveva lanciati scatenava un inferno di fuoco e fiamme sulle trincee avversarie.
Era questo che nessuno si era immaginato: trattare i soldati alla stregua di bombe. Per eserciti in cui le navi trasporto sapevano solo atterrare, scaricare a terra i soldati per poi disimpegnarsi dal combattimento, quella era l’audacia di pazzi.
E gli Umani lo facevano, e lo facevano da abbastanza tempo da avere immaginato diverse tecniche per farlo: l’introduzione delle tecnologie a elemento zero, ne aveva fornita solo una in più.
 
La tecnica che Shepard stava adottando era quella di un lancio da altissima quota, per ignorare la contraerea nemica, con apertura del paracadute a bassissima altitudine: l’unica differenza è che in questo caso il paracadute non c’era.
L’elemento zero poteva diventare più pesante del piombo, se la corrente che lo attraversava aveva segno negativo: aggiustandone il valore attentamente, per esempio con un computer collegato ad un altimetro e mettendo tutto in uno zaino da indossare, il soldato poteva diventare pesante come un camion, precipitando a velocità esilaranti verso terra. Poi, alla quota giusta, la corrente che attraversava l’elemento zero cambiava di segno e il soldato rallentava diventando più leggero di una foglia.
Il nome in codice era “High Altitude No Open” ed era una tecnica con due vantaggi preziosi, rispetto a quelle con un paracadute: rendeva i soldati meno visibili al nemico e poteva essere usata in qualunque gravità, anche in assenza di atmosfera.
L’unico difetto di quella tecnica era il nome: H.A.N.O.
Non che contasse poi molto per Shepard: si stava divertendo un mondo.
 
Con un po’ di intuizione e l’addestramento di Samara, Shepard aveva capito che un biotico abbastanza potente e capace poteva controllare la sua caduta libera, così come faceva con la massa degli oggetti attorno a sé. Era stata Tela Vasir a darle l’ispirazione, dopo averla vista saltare nel vuoto e controllare la caduta per infilarsi nella sua macchina e tentare di sfuggirle.
Shepard stava facendo ora la stessa cosa, ma su scala molto più grande. I primi quattro chilometri, Shepard se li mangiò con una singola carica biotica: ricomparve appena sopra uno strato sottile di nuvole, mentre il terreno le veniva incontro sempre più vicino. Shepard si affidò alla gravità fino a quando non fu a meno di trecento metri da terra: da quel momento in poi, solo grazie alla sua volontà, il suo corpo cominciò a rallentare.
Alla fine, Shepard atterrò incolume davanti ai canali di scolo della prigione Batarian su Arathot, nel sistema Bahak, dopo essere caduta liberamente per circa dieci chilometri.
Nonostante il nome, lanciarsi senza paracadute e sopravvivere era molto più divertente che farsi un giro sulle montagne russe.
Un breve messaggio in codice confermò alla Normandy che era atterrata e che la nave poteva ritirarsi.
Shepard si prese un momento per guardarsi attorno, spiando la città in lontananza con il suo visore tattico: dai dati che IDA aveva appreso su quella colonia, oltre centomila persone erano schiave sul pianeta, mentre quasi il doppio era costituito da cittadini a tutti gli effetti dell’Egemonia. Shepard si chiese quanti, di quei duecentomila Batarian, fossero schiavisti: se anche avesse avuto la risposta precisa, per Hayat la cifra sarebbe stata sempre troppo alta.
Il comandante sapeva perfettamente di quali orrori i Batarian fossero capaci: suo nonno, pilota e proprietario di navi mercantili, aveva portato su Mindoir gli aiuti di prima necessità dopo il raid degli schiavisti. Hayat, che allora aveva sedici anni, era stata a bordo quando questo era successo: lei aveva visto, per averci passeggiato attorno, le case annerite dal fuoco.
Aveva conosciuto, piangendo assieme a loro, i pochi superstiti rimasti e stretto legami d’amicizia con i sopravvissuti. Un paio di essi, Vittoria Borja e Ziusudra Navarro, li aveva perfino ritrovati in Accademia anni dopo e aveva militato con loro nelle forze di reazione rapida dell’Alleanza.
Il comandante scosse la testa: non le capitava di ripensare a quei giorni da parecchio tempo.
Per quanto avrebbe voluto che fosse così, Shepard non era venuta su quel pianeta per liberare degli schiavi: era tempo di cominciare con la missione.
 
***
 
Latrina. Fogna. Buco Infernale. Puzzolente buco infernale.
Queste erano le descrizioni più accurate che Shepard riusciva a trovare per la prigione in cui Amanda Kenson era stata portata.
Zaeed una volta le aveva chiesto se fosse mai stata in una prigione Batarian. Era stata una domanda retorica, ma il mercenario aveva un modo tutto suo di raccontare le sue storie: “…hai solo due modi per uscirne, Shepard: spaccarti la testa contro un muro, o uccidere chiunque ci sia tra te e l’uscita.”
Ora Hayat capiva che Massani non aveva esagerato: era un luogo terribile.
Non tanto per la puzza, Hayat era diventata insensibile ai cattivi odori fin da quando aveva cominciato il suo addestramento con l’Alleanza su Titano, respirando aria riciclata e dormendo nella sua corazza per una settimana di fila, ma per l’estremo stato di degrado e incuria che quei tunnel mostravano. Sembrava che quegli edifici non fossero semplicemente invecchiati, ma fossero passati direttamente alla fase successiva, la decomposizione; e questo nonostante quell’edificio fosse nuovo, costruito negli ultimi dieci anni: i Batarian lasciavano il loro tocco personale in ogni cosa che costruivano.
Mentre faceva queste riflessioni, il cadavere di uno sfortunato prigioniero galleggiò seguendo la corrente verso di lei: Shepard si fece rispettosamente da parte, osservando il volto sfigurato dal dolore e dalla morte di un Batarian.
“Almeno non ci sono topi.” pensò Shepard, “I Varren che infestano i tunnel devono averli mangiati tutti.” Era bastato spezzare in due con i suoi poteri biotici il capobranco che per primo l’aveva assalita per convincere gli altri a non riprovarci.
Dopo aver seguito la mappa che il suo omnitool le proiettava davanti agli occhi per superare quel labirinto, Shepard giunse ad una scala in disuso che l’avrebbe portata al livello superiore: da quel momento in poi, qualunque allarme fosse scattato, avrebbe avuto i Batarian addosso.
Shepard inalò a fondo lo sporco di quei tunnel, brandendo il suo fucile: da quel momento in poi, ci sarebbe stato uno Spettro a muoversi fra le ombre.
 
I biotici, non importa la specie a cui appartenessero, venivano addestrati a usare i propri poteri come un’amplificazione dei loro movimenti: la tua mano spinge l’aria, e tonnellate di forza di spinta si scagliano sul nemico. Tu alzi una mano, e una spinta di sollevamento pari a diverse tonnellate lancia in aria l’avversario. E così via.
Gli asceti che avevano fondato l’ordine delle Justicar invece, avevano capito che per uccidere non era necessario usare così tanta energia: una volta che riesci a percepire i vari organi all’interno di un corpo, “leggendo” l’energia che scorre loro dentro, serve poca forza per prenderne il controllo.
Non c’è nulla di mistico in questo, ma solo una tremenda e assoluta concentrazione: grazie all’energia oscura dei propri poteri biotici, le Justicar avevano imparato a deviare gli orbitali degli elettroni, estirpare l’energia libera che corre fra le molecole, spezzare le catene proteiche e infine spegnere effettivamente un corpo.  Usare questa capacità per curare o uccidere, dipendeva esclusivamente dalla volontà di chi usava quei poteri.
Un normale biotico umano non sarebbe mai riuscito a padroneggiare quel talento, dato che perfino le Asari avevano bisogno di un secolo di addestramento per cominciare a dominare quella capacità; ma Shepard non era più un umana comune: dentro di lei, non c’era solo il naturale desiderio di sopravvivenza della sua specie.
Dentro di lei, c’era anche il desiderio di sopravvivenza di una specie che era già morta: i Prothean e la loro eredità. Shepard sapeva cosa sarebbe successo se non fosse stata abbastanza forte da fermare i Razziatori: non ne aveva solo una mera conoscenza intellettuale.
Lei lo ricordava e lo aveva sperimentato nuovamente in prima persona morendo.
Hayat era stata sempre convinta che una cosa rimane impossibile solo fino a quando siamo convinti che lo sia: cos’è imparare a domare la forza vitale, per qualcuno che sa cosa vuol dire essere morto?
 
Shepard era emersa dai condotti fognari nell’area della prigione che ospitava i dormitori delle guardie: avrebbe dovuto attraversarli tutti per raggiungere il braccio detentivo.
I Batarian non si accorsero nemmeno di venire sterminati: lo Spettro emerso dalle ombre alle loro spalle era sempre troppo rapido. Non ne uccise molti, solo quelli necessari per raggiungere il suo obbiettivo: due cadaveri furono nascosti tra le immondizie in un angolo del cortile. Un altro fu celato dentro ad un cassonetto, mentre la sua spina dorsale era piegata con un angolo impossibile.
Da un altro, la vita fu estirpata prima che il suo compagno si accorgesse di cosa stava succedendo: a lui, Shepard spezzò il collo con un fluido movimento fatto con un solo braccio. Niente e nessuno l’avrebbe fermata: se qualcuno l’avesse vista, rimanendo in vita per raccontarlo, avrebbe potuto narrare la storia di uno Spettro emerso dalle ombre, di un mostro o di un demone, che lastricava la sua strada dei cadaveri di coloro che cadevano attorno a lei.
 
Due Batarian osservavano, al di là di un pesante vetro a specchio, un loro simile intento a interrogare un umana, incatenata come un animale ad una tavola di metallo. Le due guardie ridevano e si davano di gomito a mano a mano che l’interrogatorio andava avanti: evidentemente, dovevano trovare lo scambio molto umoristico.
“…E così i Razziatori stanno arrivando. E questo dovrebbe convincermi a lasciarti andare?” Chiese quello che stava conducendo l’interrogatorio.
“Fai di me quello che vuoi, Batarian. Torturandomi non otterrai nulla.” Rispose una voce umana.
“Forse no. Ma mi divertirò.”
Shepard non uscì da un condotto d’aria per ucciderli di sorpresa: non aveva più bisogno di simili sotterfugi. Due Snap! gemelli, e i due Batarian che osservavano l’interrogatorio si accasciarono sul pavimento come cadaveri: le mani di Shepard brillavano di fulgore biotico.
Con la stessa calma che usava per passeggiare nella nave dell’Ombra, Shepard uscì nuovamente dalla stanza, percorse il corridoio alla sua sinistra e aprì la porta della sala in cui la Kenson era legata.
Un rozzo braccio metallico stava calando in quel momento dal soffitto, per chiudere la testa della dottoressa in una pinza elettrificata.
Il Batarian che manovrava lo strumento di tortura si voltò verso la porta giusto in tempo per vedere un pugno di Shepard arrivargli in faccia, mandandolo nel regno dell’oblio quando la corazza che proteggeva la mano del comandante connetté col suo naso: cadde a terra come un burattino a cui hanno tagliato i fili.

“La dottoressa Kenson? Sono Shepard.”
“Il Comandante Shepard? Avevo sentito che eri viva. Grazie al cielo, Hackett deve aver ricevuto il mio messaggio.” C’era sollievo nella voce della Kenson, ma non quanto Hayat si sarebbe aspettata.
La prima impressione che Shepard ebbe di Amanda Kenson fu buona: nonostante la donna fosse piuttosto anziana, forse più dello stesso Hackett, era una dura. Del resto devi esserlo, per fare l’agente sotto copertura nello spazio Batarian.
Il comandante aprì i lucchetti che la tenevano legata:
“Andiamocene da qui.” Disse la Kenson quando fu libera, ansiosa di lasciarsi quel posto alle spalle.
Shepard le passò la sua pistola e un piccolo generatore di scudo personale, che la Kenson si mise sotto la divisa dei prigionieri che aveva addosso.
“Andiamo. C’e un hangar navette poco distante da qui. Ruberemo una loro nave per fuggire.” Disse il comandante mentre guardava nel corridoio per verificare che non stesse arrivando nessuno.
“Solo un momento.” La fermò la dottoressa. Shepard la guardò, perplessa da questo ripensamento: quando capì cosa Kenson avesse in mente, era già troppo tardi. La guardia Batarian a terra si trovò il collo spezzato da un unico pestone: le sue ultime parole furono un grido soffocato di dolore.
Shepard fu più disturbata da quel gesto di quanto si aspettasse: infierire così su un avversario inerme le sembrò… fuori posto. Non c’era nessuna ragione per farlo: ancora più sbagliato fu il sorriso che Kenson le rivolse quando si girò nuovamente a guardarla.
“Sono pronta.”
In quel momento, l’allarme della prigione si mise a suonare disperato.
“Maledizione! Dobbiamo muoverci.” Disse Shepard, mentre saracinesche di sicurezza bloccarono il corridoio da cui era arrivata.
Kenson scosse la testa:
“Se volgiamo riuscire a decollare dobbiamo prima disattivare le loro difese satellitari, altrimenti le loro batterie GARDIAN ci abbatteranno non appena prenderemo il volo.”
Era un consiglio sensato e Shepard fu d’accordo:
“Come possiamo farlo?”
“Posso pensarci io, basta che lei mi copra. Da questa parte, presto.”
Kenson sapeva il fatto suo, Shepard non lo poteva negare: la donna l’aveva rapidamente guidata due piani più in basso, nelle fondamenta dell’area detentiva e lavorava febbrilmente ad un terminale, mentre il comandante faceva la copriva.
Per quanto fosse concentrata sul tenere lontani i Batarian, Shepard non poté fare a meno di notare la velocità con cui Kenson inseriva linee di codice in Batarian sul terminale.
“Ci vorrà un po’ di tempo per prendere il controllo della rete satellitare da qui e impedire che ci seguano. Si tenga pronta: non potrò impedire agli allarmi di scattare.”
“Proceda.” Disse Shepard con la sua voce di morte.
 
Il primo drappello di guardie venne accolto da Shepard con un saluto:
“SALVE, CADAVERI!” disse loro, cominciando a muoversi.
La battaglia fu a senso unico fin dall’inizio: i Batarian, non importava quanto esperti, non erano in grado di minacciare Shepard.
Lo Spettro aveva deciso di non farli passare e loro non sarebbero passati, non importava in quanti la attaccassero. E quando Shepard sigillò le porte di quel livello, costringendoli ad usare gli ascensori, il comandante fece in modo che nessuno arrivasse a destinazione pieno: un campo di distorsione contro il pavimento delle cabina ed essa veniva svuotata del suo carico di guardie, che precipitava nell’abisso sottostante.
Alla fine, nessuno ebbe più il coraggio di sfidare quel mostro: il terrore che la vista di Shepard generava, con la sua corazza insanguinata da capo a piedi, il fulgore dei suoi poteri biotici che la circondava come un’aura elettrica e il suo fucile fumante e rosso all’imboccatura come l’occhio di un demone, causò una ritirata disordinata e urlante di tutte le guardie.
La battaglia poteva essere durata cinque minuti come cinque ore, Shepard non sapeva dirlo e non le importava: quando lasciava libero il mostro che abitava il suo animo, il suo istinto prendeva sempre il sopravvento a scapito della lucidità.
 
Fino a quando non aveva conosciuto Liara, Hayat aveva temuto sarebbe arrivato un giorno in cui l’istinto avrebbe preso definitivamente il sopravvento sulla sua ragione e lei sarebbe diventata solo… un arma, da puntare contro il nemico. Niente più che un mostro da trattare con paura e riverenza, al massimo da usare e odiare, mai da amare. Il peggio, è che se fosse successo, Shepard l’avrebbe accettato: lei capiva la paura che causava negli altri umani.
Come si può non temere qualcuno in grado di sollevare quasi duecento volte il proprio peso, solo con la mente?
“Io non esisto solo per uccidere!” gridò silenziosamente Hayat nel suo animo. “Io non sono solo un veicolo per il desiderio di sopravvivenza. Io non esisto solo per uccidere!”
Era un mantra che Shepard si era ripetuta spesso negli anni; ma solo dopo aver conosciuto Liara, che l’aveva accettata nonostante il suo fardello, Hayat aveva cominciato a crederci davvero. Solo dopo aver conosciuto Liara, Shepard aveva imparato ad accettare il dono letale che il destino le aveva messo nel corpo.
Hayat amava Liara per questo, perché grazie a lei aveva trovato la pace nell’anima e la forza di accettare se stessa: grazie a T’Soni, Shepard aveva scoperto di poter essere anche una persona normale, o quasi.
“Io non esisto solo per uccidere!” ripeté Hayat a mezza voce. E come se avesse aperto una valvola di sfogo spirituale, il sakki, il vento demoniaco che preannuncia la morte, uscì dal suo corpo restituendole la sua lucidità.
 
“Ho finito.” Disse la Kenson dietro di lei.
Shepard si voltò verso la donna e annuì:
“Bene. Ora dobbiamo solo raggiungere l’hangar navette e andarcene di qui. Secondo le mappe, si trova cinque livelli sopra di noi.”
Per la Kenson quello non era un problema, infatti aggiunse:
“L’ho già preceduta. Ho bloccato tutti i livelli di questa installazione, tranne il montacarichi che ci può portare lassù.”
Shepard fu stupita dalle sue capacità: niente nei suoi dossier suggeriva che la Kenson fosse anche un abile hacker. Eppure era penetrata nella rete militare dell’Egemonia come solo IDA avrebbe potuto fare:
“Lei è davvero piena di risorse, dottoressa Kenson.”
Intendeva farle un complimento, ovviamente, ma la donna non rispose e rimase un momento in silenzio, come se stesse cercando di mettere a fuoco qualcosa.
Poi si limitò a scrollare le spalle e dirigersi verso il montacarichi che aveva sbloccato:
“Andiamo. I Batarian potrebbero ancora tentare di fermarci: le porte dell’hangar sono chiuse e dovremmo trovare un modo per aprirle.”
Qualcosa non tornava, ma non era il momento di preoccuparsene:
“Di questo me ne occuperò io.” Commentò Shepard asciutta, mentre una piccola fiamma blu avvolgeva i suoi guanti sporchi di sangue Batarian: le ultime vite che aveva preso l’avevano ricaricata d’energia.
 
Capitolo 8
Il Portale Alpha
 
Shepard e Kenson avevano rubato uno shuttle per fuggire dalla prigione di Arathot e se ne erano andate con una fiammata, anzi: un incendio. I motori dello shuttle al decollo avevano dato fuoco ai residui di combustibile che Shepard aveva sparso per l’hangar navette prima di partire, in modo da distanziare eventuali inseguitori.
 Anche quando i Batarian avessero domato le fiamme, non avrebbero comunque potuto inseguirle: il danno che la dottoressa aveva causato alla loro rete informatica era stato molto grave e sarebbero occorse delle ore per rimetterla in linea.
Per ora, erano in salvo.
Lo shuttle che avevano rubato stava viaggiando ad una velocità molto superiore a quella della luce, verso la base segreta della Kenson, celata dentro uno degli asteroidi maggiori del sistema: essendo un gigantesco sasso praticamente indistinguibile dai suoi vicini, l’installazione era al sicuro da occhi indiscreti.
“…Come hanno fatto a catturarla?” chiese Shepard. Una volta che la dottoressa si era ripresa, il comandante le aveva chiesto di raccontarle tutto quello che era successo.
“Due giorni fa avevo preso una navetta assieme ai miei uomini per condurre una missione di esplorazione. I Batarian ci hanno catturato, uccidendo i miei uomini e facendomi prigioniera.” La dottoressa scosse le spalle prima di continuare:
“A loro non piace che si cerchi di distruggere i loro portali.”
“Quindi l’accusa di terrorismo era vera.”
“Quella è sola metà della storia, Comandante: il portale di questo sistema non è affatto normale.”
“Cosa intende?”
“Normalmente i portali principali come questo comunicano a coppie: una rotta sola, percorribile in entrambi i sensi, che unisce due punti nella galassia distanti migliaia di anni luce…”
Shepard annuì: era noto a tutti che esistessero due tipi di portali galattici. Mentre il primo era monodirezionale, formando delle rotte simili a delle autostrade galattiche, il secondo tipo di portali formava una rete all’interno di un singolo ammasso stellare, permettendo
il transito rapido da un punto qualsiasi all’altro della rete.
Nessuno sapeva perché i Prothean (in realtà erano stati i Razziatori) avessero costruito in questo modo la loro rete dei portali: perché i principali fossero monodirezionali, mentre invece quelli secondari fossero omnidirezionali. Era così e basta, e la Galassia si adattava, tracciando le rotte interstellari di conseguenza.
“..Ma io ho trovato prove che il portale di questo sistema è in grado di funzionare come un portale omnidirezionale, permettendo il transito verso sedici portali principali indifferentemente, fra cui anche quello del nostro sistema solare.”
Shepard non fu colpita dalla notizia più di tanto, dato che aveva già trovato, e usato, un altro portale di strana fattura: il portale di Omega 4 collegava l’ammasso Omega, nel quale esisteva già un altro portale principale, con il centro della galassia, distante migliaia di anni luce.
“Ha idea del perché questo portale sia così diverso?” Shepard non aveva dubbi sul fatto che la Kenson dicesse la verità: le sue conclusioni erano il risultato di una vita passata ad indagare e i suoi risultati accademici, pubblicati in tutta la galassia, avevano scosso molti fisici.
“Potrebbe essere connesso all’artefatto ritrovato in questo sistema, che noi chiamiamo oggetto Ro. La sua origine è chiaramente aliena e io sono convinta che sia stato forgiato dai Razziatori.”
“Come fa ad esserne così sicura?”
“Perché l’oggetto è attivo, comandante. Quando l’abbiamo scoperto sull’asteroide, esso mi ha mostrato una visione, esattamente come è successo a lei con la sonda di Eden Prime. Le immagini erano così vivide… “ La Kenson si ammutolì un istante, ricordando la visione che le era stata impressa nella mente.
“Che cosa ha visto?” chiese Shepard, quando il silenzio cominciò a durare troppo a lungo.
“L’avvento dei Razziatori nella nostra Galassia e lo sterminio di ogni forma di vita.”
“Questo però non spiega perché lei ritenga sia un manufatto dei Razziatori.”
“Ci sono due ragioni comandante: il materiale di cui è composto è simile a quello di un portale galattico: estremamente denso e quasi indistruttibile. Inoltre l’artefatto usa una fonte di energia subatomica che lo permea completamente: una tecnologia troppo avanzata per qualunque specie.”
“E la seconda?”
“La seconda è che emette un impulso indirizzato verso una regione dello spazio oscuro a intervalli irregolari: più il tempo passa, più gli intervalli fra un’emissione e l’altra diminuiscono.”
“Un momento… se l’artefatto è stato creato dai Razziatori, come avete fatto a non cadere vittima dell’indottrinamento?”
“Non siamo stupidi, comandante: abbiamo preso tutte le precauzioni necessarie. Non ho nessuna intenzione di diventare un guscio vuoto.”
Shepard si rilassò visibilmente a quella notizia: sembrava che qualcuno avesse preso sul serio i suoi rapporti sulla pericolosità dell’indottrinamento di cui i Razziatori erano capaci.
“Se l’artefatto emette impulsi a intervalli irregolari, forse è una specie di… radiofaro?”
Kenson annuì, compiaciuta che anche Shepard fosse arrivata alle sue stesse conclusioni:
“Capace di guidare attraverso lo spazio oscuro extragalattico la flotta dei Razziatori, che lo attraversano senza punti di riferimento. Poi, attraverso il portale di questo sistema, saranno in grado di raggiungere ogni mondo della galassia e potranno distruggere ogni forma di vita evoluta.”
Shepard imprecò, violentemente:
“Quanto manca affinché il conto alla rovescia raggiunga lo zero?”
La Kenson la guardò senza capire.
“Lei ha detto che gli intervalli fra un emissione e l’altra diminuiscono: tra quanto questo conto alla rovescia raggiungerà lo zero?”
Kenson controllò il suo omnitool, prima di rispondere:
“Tra cinquantuno ore e ventisette minuti, comandante Shepard.” Rispose senza fare una piega.
La mente di Hayat si spense per un istante: due giorni.
Fra due giorni, i Razziatori avrebbero invaso la Galassia. Era stato stupido immaginare che i Razziatori non avessero un piano di riserva, ma due giorni!
DUE GIORNI!
La Galassia non era ancora pronta, e Shepard lo sapeva: l’evacuazione della Cittadella non era ancora nemmeno cominciata. I Portali non erano stati manomessi come Shepard aveva proposto: il virus informatico che li avrebbe distrutti quando si fossero interfacciati con un Razziatore era ancora allo stadio embrionale presso i Geth.
Senza preavviso, la visione che le sonde Prothean su Eden Prime, Virmire e Joab avevano impresso nella sua mente venne svolta a velocità doppia di fronte ai suoi occhi: Hayat rivisse l’Incubo, in cui la morte si presentava a lei in mille forme diverse, mentre i Razziatori distruggevano l’impero dei Prothean. La cosa più terribile è che non finiva lì: alla morte, succedeva la trasformazione, mentre i cadaveri dei Prothean erano riplasmati in un orrida caricatura della vita e usati come armi contro i loro fratelli.
Un’ondata emotiva la travolse: Shepard provò allo stesso tempo paura e rabbia, terrore e ira, rimpianto e furore; dolore fisico ed emotivo, assieme a tutte le altre emozioni più negative, sia Prothean che Umane.
Sul suo volto, i punti in cui la sua pelle non nascondeva gli impianti di Cerberus, normalmente confuse dalle persone comuni con cicatrici sottili, rifulsero al calor bianco.
La Kenson osservò stupefatta due sottili linee gemelle, situate appena sopra alla mandibola di Shepard, e una piccola linea che attraversava il suo sopracciglio destro, accendersi di una luce arancione. Vide i suoi occhi diventare di un colore quasi nero, mentre Shepard fissava il suo sguardo verso lo spazio oscuro, aldilà del finestrino dello shuttle; quasi volesse uccidere con un’occhiata le macchine che percorrevano le distese di tenebra sempre più vicine.
“Quindi è per questo che lei voleva distruggere il portale.” disse infine, e la sua sembianza demoniaca recedette: la Kenson si ritrovò di fronte un essere umano.
Amanda Kenson annuì:
“I Razziatori arriverebbero comunque in questo sistema: tanto vale distruggerlo. Senza questo portale, il portale Alpha, avrebbero bisogno di mesi o anni per raggiungere il resto della Galassia. In questo modo otterremmo più tempo per convincere la Via Lattea del pericolo che loro rappresentano.”
“Ha qualche idea su come farlo?”
“La mia squadra sta contrabbandando da Omega nuclei di elemento zero e sistemi di guida da quasi due mesi.”
La comprensione si fece strada nella mente di Shepard:
“Vuole far schiantare l’asteroide dove ha nascosto la sua base contro il portale.”
La Kenson annuì:
“Un po’ rozzo, ma efficace. C’è solo un problema però.”
Fu la volta di Shepard di annuire:
“Questo sistema sarà distrutto assieme al portale.”
I calcoli eseguiti da IDA avevano dimostrato che, distruggendo un portale, veniva liberata grossomodo l’energia di una nova: inevitabilmente la stella (e i pianeti) attorno a cui il portale orbitava sarebbero stati distrutti.
I Razziatori sapevano esattamene cosa stavano facendo, quando avevano costruito i portali.
“Esattamente.”
“Sulla colonia di Arathot si trovano più di trecentomila persone: perché non ha cercato di farle evacuare?”
“Mi avrebbero creduto, secondo lei, se gli avessi detto quello che stava per succedere?”
L’amarezza nella voce della Kenson non andò persa a Shepard: non era molto diverso da ciò che Hayat aveva provato leggendo i rapporti sull’Alleanza.
“…Inoltre non volevo che mi fermassero prima che fossimo pronti ad agire: se non mi avessero arrestato, l’asteroide sarebbe già stato lanciato.”
Shepard esalò un sospiro: la Kenson sembrava nutrire un odio profondo per i Batarian e anche se Hayat la capiva, in nessun caso poteva approvare; specie se c’era un modo molto migliore:
“Mi porti sulla sua base: da lì avviseremo Hackett di quello che ha trovato. Lui convincerà l’Alleanza ad intervenire e avremo due giorni per far evacuare i coloni.”
“Ma comandante…”
“Non intendo uccidere dei civili innocenti, Kenson! Useremo la forza per evacuarli, se sarà necessario, e solo allora distruggeremo il portale, coinvolgendo quanti più Razziatori sarà possibile nell’esplosione. Se tutto va come spero, in questo modo otterremo la prova dell’esistenza dei Razziatori e avremo l’Alleanza e l’Egemonia in prima linea contro di loro. Lei si atterrà ai miei ordini, dottoressa: c’è troppo a rischio per permetterle di fare di testa sua.”
 
La Kenson sembrò contrariata, ma annuì e il resto del viaggio proseguì in silenzio.
 
Capitolo 9
Nemesi
 
Shepard vorrebbe dire una profanità in Prothean.
 
Al contrario delle vocalizzazione che i Collettori si scambiavano, la lingua dei Prothean è assai evoluta e articolata.
In essa non esistono molte profanità e Hayat si era resa conto con sorpresa che i Prothean non pronunciavano quasi mai volgarità: erano usate solo come ultima risorsa, quando niente altro poteva bastare.
Quando Kenson le aveva detto di aver preso ogni precauzione contro l’indottrinamento, prima di studiare l’artefatto dei Razziatori, Shepard le aveva creduto, perfino con sollievo: finalmente un completo estraneo che si fidava di lei e delle sue parole!
Che errore madornale era stato quello: la Kenson aveva evitato di avvisare la colonia su Arathot non perché odiasse i Batarian.
Altro che ogni precauzione necessaria: la dottoressa non aveva la minima intenzione di portare a compimento il progetto per cui si era infiltrata nel territorio Batarian.
Amanda Kenson, così come ogni membro del personale nella base, era caduta vittima del’artefatto dei Razziatori.
 
“Sono stati indottrinati!”
Questo era il pensiero che fece tempo a farsi strada nella mente di Hayat Shepard.
 
E lei si era lasciata ingannare: la Kenson l’aveva guidata non fino alla sala comunicazione della base, come le aveva chiesto, ma a quella che conteneva il famigerato oggetto Ro.
E quando la porta si era aperta di fronte a lei, Shepard aveva capito subito cosa aveva di fronte: l’artefatto era chiaramente stato fatto dai Razziatori. Era alto due volte un uomo, per la parte che usciva dalla roccia dell’asteroide in cui era piantato: le sue linee sinuose e la sua simmetria radiale lo facevano assomigliare ad una medusa gigante con i tentacoli in aria.
 
Un lampo di energia oscura emerse dall’artefatto e un tentacolo di pura malevolenza la catturò, svuotando la sua mente di ogni pensiero, compresa la profanità Prothean che le era affiorata alle labbra. Fu orribile, oltre ogni possibile descrizione.
Le sonde Prothean le avevano mostrato il passato in una visione come fosse una cosa viva: l’artefatto dei Razziatori le mostrò invece il futuro, in un destino di morte.
 
Avanzano, nel vuoto, inesorabili, inarrestabili…
“NO! Non sarà mai..”
I mondi cadono in fiamme sotto di loro.
“NO! Non lo permetterò.”
I suoi amici (ma suoi di chi?), trucidati. Fatti a pezzi. Trasformati. No, non trasformati: ascesi.
“NO! Io li difenderò!”
La Cittadella in fiamme, mentre navi enormi assaltano ogni braccio della stazione spaziale, devastando perfino il Presidio.
“NO! Non vi lascerò!”
E infine la Galassia in fiamme, svuotata ancora una volta di ogni forma di vita.
“NO!”
La testa di Shepard su di un palo, mentre i suoi occhi vuoti osservano la distruzione inevitabile.
“Liara, aiutami!”
Liara che si volta verso di lei: il suo corpo appassisce in un istante, mentre le fiamme la consumano riducendola in cenere e il dolore la consuma fino a lasciare un guscio vuoto. Un cadavere che sarà riplasmato per i nostri desideri…
“NOOOOOOO!”
 
Quando la visione terminò, Shepard cadde bocconi, non vedendo davvero nulla del pavimento davanti ai suoi occhi. Non sentendo davvero nulla di ciò che accadeva attorno a lei.
“Portate Shepard in infermeria: ci serve viva.” Queste parole arrivarono alle sue orecchie, ma lei non le registrò.
Non sentì due paia di braccia che la sollevavano dal pavimento, mentre sbavava come un povero mentecatto.
Non importava: nulla aveva più davvero importanza.
Shepard non sentì le guardie che la portavano via: la sua mente era stata annientata, non era riuscita a sopportare la visione del futuro che i Razziatori volevano infliggere alla via Lattea.
Come avrebbe potuto avere la propria mente violata in quel modo e conservare la sua sanità?
I Razziatori sarebbero arrivati e avrebbero vinto: era inevitabile. Era stato perfino sciocco tentare di opporsi.
 
NO!
Chi lo aveva detto?
Non puoi arrenderti. Perché avresti combattuto allora?
Davanti ai suoi occhi visioni Prothean e ricordi della sua vita scorsero assieme in un unico turbine incomprensibile, riempiendo il vuoto che i Razziatori avevano scavato violando la sua mente.
Chi sei tu?
E la risposta le apparve chiara come il sole all’alba.
I suoi piedi trovarono di nuova l’appoggio col terreno: le due guardie che la stavano scortando fuori dalla stanza si fermarono con lei.
“Hai detto qualcosa?” disse guardia numero uno, alla sua sinistra.
“Io? No.” ribatté guardia numero due, alla sua destra.
“IO SONO L’AVANGUARDIA DELLA NOSTRA SALVEZZA! IO SONO L’ULTIMA DEI PROTHEAN.” ripeté Shepard con tutto il fiato che aveva in gola, sorprendendoli entrambi.
Le sue guardie morirono all’istante: il suo corpo e la sua anima avevano bisogno delle energie che l’artefatto dei Razziatori aveva estirpato.
I due corpi essiccarono prima di toccare terra, in un lampo violetto di energia biotica: la sua mente era stata sfregiata dal contatto coi l’artefatto, ma i Prothean nella sua mente l’avevano in qualche modo protetta.
L’allarme suonò violento, sigillando la porta che Shepard aveva di fronte. Ma a quell’essere dagli occhi viola non importava: non aveva la minima intenzione di fuggire da quel luogo.
“Bloccatela, presto!” gridò la voce di Kenson attraverso gli altoparlanti nella stanza, prima l’amplificatore più vicino esplodesse per un colpo di fucile.
“Venite soldatini.” Sussurrò la donna con gli occhi viola: “Venite, e lasciate che vi mostri il mio inferno.” I suoi lineamenti, simili a quelli di un uccello da preda, sfolgorarono del lampo di poteri biotici e di quello delle sue protesi sottopelle.
Poi, ci fu solo movimento e azione.
 
Quanti ne aveva uccisi? Trenta? Cinquanta?
Se fossero stati soldati normali, avrebbero lasciato cadere le armi e sarebbero fuggiti come se avessero avuto il diavolo alle spalle. Il massacro che aveva compiuto nella prigione Batarian poche ore prima era nulla a confronto di quello che stava creando in quel luogo: il pavimento, le pareti e perfino lo stesso artefatto, erano zuppi del sangue dei soldati che si calavano dal livello superiore per tentare di soggiogare Shepard.
Ma loro non erano esseri umani normali: i Razziatori li avevano ormai ridotti a schiavi fedeli, che avrebbero abbracciato volentieri l’Apocalisse e lavorato alacremente per l’avvento dei loro padroni. Per loro, Shepard aveva pietà sufficiente solo per dargli una morte rapida: probabilmente più di quanto meritassero.
Un soldato agitò verso di lei un lanciafiamme, e un torrente di fuoco tentò di incenerirla: Shepard si tuffò dietro un macchinario della stanza, per sfuggirgli. Poi fu la volta del soldato di seguirla: venne sollevato da terra come se fosse stato gonfiato d’elio. Un singolo colpo di Mantis, il fucile da cecchino di Shepard, aprì un foro sul serbatoio del lanciafiamme e il proiettile esplosivo incendiò la miscela instabile dentro la bombola. Un'altra spinta biotica lo ributtò in mezzo alle fila nemiche, trasformandolo in una bomba che spazzò via tutti i soldati nelle vicinanze. Un onda di puro potere biotico attraversò le fiamme ancora alte e la carne annerita dal fuoco, scaraventando una donna dentro una corazza pesante dall’altra parte della stanza, trasformandola in una macchia sul muro ancora prima che usasse l’attacco tecnologico che aveva preparato. Un lampo azzurro fu l’araldo dell’arrivo di Shepard, prima che comparisse davanti a due guardie che erano rimaste lontane dall’esplosione: la prima fu neutralizzata quando lo Zapper si abbatté sul suo casco, un modo decisamente insolito per usare quell’arma.
La seconda fu letteralmente dissolta quando venne colpita da un campo di distorsione così potente da ridurla in polvere: passare da zero a mezza tonnellata di peso in un centesimo di secondo fu sufficiente a frantumare ogni molecola del suo corpo.
Da quella posizione, Shepard fece fuoco, e un fulmine attraversò il corpo di ogni presente, neutralizzando quasi ogni scudo: un altro lanciafiamme esplose, quando la saetta attraversò il suo serbatoio, creando una nuova palla di fuoco nella stanza.
“Non abbiate paura, l’artefatto la fermerà.” Urlò Kenson. Come a confermare questa frase, un’altra voce si unì a quella della dottoressa:
“L’AVVENTO È INEVITABILE, SHEPARD. DESISTI.”
“Esci. dalla. mia. testa!” urlò il comandante, e, sorprendentemente, la presenza dell’Araldo dei Razziatori fu bandita: nemmeno lui poteva nulla contro quella forza della natura.
Il berserkr non aveva finito: finché avessero continuato ad arrivare, lei avrebbe continuato a ucciderli.
Era la prima volta da molto tempo che aveva una simile libertà di agire senza controllo: dall’assalto di Skyllian, per l’esattezza, quando da sola aveva difeso un lato del perimetro dall’offensiva Batarian. Non era un caso: allora la sua crudeltà era stata liberata completamente, per il solo scopo di raggiungere la salvezza di una colonia.
In quel luogo, e in quel momento, c’era in gioco molto di più: il berserkr accolse con gioia e un grido la nuova ondata di soldati.
 
L’apice fu raggiunto poco dopo, quando un mech YMIR fece il suo ingresso nella stanza: un anno fa, Shepard avrebbe avuto paura di lui.
Ma non oggi. Non ora. Non più.
Shepard corse verso di lui dall’altra parte della stanza, caricandolo con i suoi poteri biotici quando fu a metà strada: il lampo azzurro arrivò contro il mech.
E lo attraversò, da parte a parte.
Shepard ricomparve dietro di lui, con in mano le barre di controllo della pila atomica che dava energia a quel titano; e un sorriso sul volto insanguinato.
L’allarme proveniente dai recessi del colosso, che avvisava di una fusione imminente del suo nucleo, andò perduto nella confusione della battaglia, ma non fu così per la conseguente esplosione.
Tutto ciò che c’era nella stanza, macchinari e cadaveri compresi, scomparì in un'unica palla di fuoco e luce: lo stesso pavimento in plastacciaio, una lega che si usava anche sulle astronavi, fu intaccato dall’esplosione.
Il metallo non fece in tempo a liquefarsi per il calore: vaporizzò all’istante in una nube incandescente espandendosi fino ad occupare tutta la stanza.
Quando la cenere si depositò, solo tre cose erano intatte: dato che l’esplosione aveva aperto una breccia nella parete del complesso e l’atmosfera della camera era stata risucchiata completamente all’esterno, la prima era il silenzio.
L’oggetto Ro era il secondo: in qualche modo, aveva eretto attorno a se una barriera protettiva di energia oscura.
Poco più distante, Shepard fece cadere la sua barriera biotica, che l’aveva protetta allo stesso modo dall’onda d’urto: l’elmetto della sua corazza, che era rimasto ripiegato sulle sue spalle fino a quel momento, era ora chiuso ermeticamente attorno al suo volto, permettendole di sopravvivere in assenza di atmosfera.
Una nota positiva c’era: il sangue sulla sua corazza era evaporato completamente lasciando il metallo fumante per il calore.
“NON PUOI VINCERE.” Disse dall’artefatto una voce arrogante.
“Guardami!”
L’oggetto Ro non aveva occhi, ma Shepard seppe che la sua attenzione, perché quell’artefatto era consapevole dell’ambiente circostante almeno quanto un organico, era rivolta esclusivamente verso di lei.
Hayat sentì l’equivalente di una risata, anche se l’Araldo non possedeva polmoni per ridere: “SARAI LA PRIMA, AD AMMIRARE LA GLORA DEL NOSTRO ARRIVO.”
E l’artefatto che fungeva da radiofaro per la flotta dei Razziatori da tempo immemorabile, esplose di malevola energia oscura, esaurendo in un'unica emissione la carica che gli era stata impressa e che sarebbe stata sufficiente per alimentarlo per i prossimi dieci milioni di anni.
Non ci fu alcun urto: Shepard fu attraversata dall’energia oscura da una parte all’altra, come se non ci fosse nemmeno. Non ci fu neppure alcun danno visibile: la sua corazza rimase intatta e il suo corpo non si mosse di un millimetro.
E tuttavia, lei cadde sul pavimento chiusa dentro la sua corazza senza poter fare nulla.
Questa volta, Shepard fece in tempo a dire la profanità in Prothean che era affiorata alle sue labbra.
 
Poi fu il buio.
 
Capitolo 10
Intermezzo
 
“Ci sono notizie?” chiese una voce alle sue spalle.
Le mani che danzavano sulla console olografica dei comandi interruppero il loro movimento: il pilota ruotò la sua sedia per osservare il suo interlocutore con un’espressione intraducibile sul volto.
“IDA?” chiese il pilota.
“Questa è la centoquarantesima volta che qualcuno ci interrompe, Jeff.”
Jeff “Joker” Moreau soffriva dalla nascita della sindrome di Vrolik, che rendeva le sue ossa fragili come il gesso: una semplice pressione sarebbe bastata a fratturargli le tibie, dato che le ossa delle sue gambe erano praticamente cave.
Eppure, nonostante fosse un disabile, Jeff si alzò in piedi fermandosi così vicino alla faccia di Ken Donnelly, da poter sentire l’odore del suo fiato.
 
La Normandy aveva raggiunto il sistema Bahak quattro ore prima, e gli animi dell’equipaggio non erano mai stati così preoccupati. Da quasi un giorno, qualsiasi tentativo di raggiungere Shepard via radio era infruttuoso. Era facile capire come ogni membro della squadra fosse irrequieto: lei era il loro dannato comandante.
Chi non stava analizzando i dati in sala conferenze, sotto la supervisione di Miranda, era in giro per la Normandy, per cercare un modo per non impazzire: Jack aveva già rotto due sacchi di allenamento, mentre Grunt aveva smontato e rimontato il suo fucile troppe volte per poterlo fare ancora. Così, il giovane Krogan era passato a smontare la sua stanza.
Ma era Joker ha essere coinvolto più di tutti: il pilota non dormiva da almeno trenta ore e dopo aver passato così tanto tempo sui comandi della Normandy, i suoi occhi erano una collezione di capillari rotti.
Jeff era pericolosamente sul baratro della follia: per causa sua, Shepard era già morta una volta. Se fosse successo di nuovo, non sarebbe riuscito a sopportarlo: questa volta, avrebbe accolto volentieri la morte per mano di Liara, pur di espiare la sua colpa.
E oltre a non capire il suo stato d’animo, l’equipaggio si permetteva anche di interromperlo, mentre lui esplorava con la Normandy ogni asteroide del sistema: se la Kenson aveva una base nel sistema, perché era indubbio che Shepard e la dottoressa fossero fuggiti da Bahak, lui l’avrebbe trovata.
“Ken, hai per caso sentito un sospiro di sollievo uscire dagli altoparlanti, o IDA organizzare una tempesta di coriandoli attraverso i condotti di aerazione della Normandy?”
“No…”
“ALLORA PERCHÈ DIAVOLO DOVREBBERO ESSERCI NOVITÀ?”
“Torno al mio posto.”
E l’ingegnere Donnelly lasciò la plancia.
“Se qualcun altro viene a chiedermi se ci sono novità, giuro sulle mie rotule che lo sbatto nello spazio senza tuta.” Borbottò Joker tornando ai comandi.
 
Capitolo 11
Rincorsa contro il tempo
 
Immaginate di essere sepolti sotto ad una frana: sentite il vostro corpo che, schiacciato sotto tonnellate di sabbia e roccia, non riesce nemmeno a muovere un muscolo. Immaginate di essere in fondo ad un abisso: sopra di voi ci sono chilometri di acqua che vi impediscono di risalire, mentre la pressione lentamente vi schiaccia, togliendovi la poca aria che avete nei polmoni. Riuscite a immaginare tutto questo?
Era così che la coscienza di Hayat percepiva se stessa, sotto l’effetto dei potenti narcotici che la tenevano incosciente.
Ma stava combattendo: lentamente, un centimetro alla volta, il suo io risaliva verso la realtà. Salvo poi essere scagliata nuovamente nel torpore e nell’oscurità di un sonno senza sogni quando una nuova dose di droga le veniva brutalmente somministrata.
La sua salita ricominciava da zero ogni volta, ma Hayat stava comunque continuando a lottare.
Il suo corpo non stava cercando di vincere direttamente la droga: neanche il dannato comandante Shepard poteva rimanere in piedi quando nel suo corpo vi era cinque volte la dose di narcotico necessaria ad incapacitare un essere umano. Tuttavia, lentamente, vi si stava abituando: gli stupidi idioti che la tenevano addormentata avevano saturato il suo sangue con la droga, somministrandogliela come fosse una soluzione salina.
Tutti i biotici, e Hayat non fa eccezione, hanno un metabolismo estremamente rapido e tutte le droghe, nel tempo, provocano assuefazione e la loro efficacia decresce con ogni somministrazione. Grazie anche al suo fegato artificiale, il corpo di Hayat stava diventando ad ogni dose meno sensibile all’anestetico: prima o poi, esso avrebbe perso efficacia e Shepard si sarebbe svegliata.
La domanda era: Shepard sarebbe riuscita a risvegliarsi prima dell’arrivo dei Razziatori?
 
“… poco fa sembrava che Shepard stesse riprendendo conoscenza, ma deve stato un errore degli strumenti.”
Hayat aveva in bocca il sapore di due giorni senza uno spazzolino da denti e un corpo che si lamentava per essere rimasto immobile così a lungo. Ma era sveglia!
La sua mente non era ancora del tutto lucida, ma era sveglia!
Con decisione, aprì gli occhi e si mise a sedere, scoprendo di essere coperta solo da un misero lenzuolo.
“Ah. Dejà vu.” disse il comandante.
L’unica differenza rispetto al suo risveglio nella base di Cerberus era che non era stata la voce di Miranda a svegliarla, ma quella di un infermiera della base: una dei tanti poveri bastardi indottrinati che si aggiravano per l’asteroide, saggiando il confine tra esseri umani e marionette.
Più i Razziatori si insinuano nella mente di un organico, minori diventano le capacità del soggetto: era stato Saren stesso a dirlo, e Shepard gli credeva, dato che l’ex Spettro disertore era stato un esperto in materia. Se gli umani nella base fossero state ancora persone intelligenti, l’avrebbero incatenata al tavolo, oltre a riempirle le vene di narcotici: sfortunatamente per loro, il libero arbitrio era un requisito non richiesto per coloro che servivano i Razziatori.
L’infermiera, che fino a quel momento le aveva dato le spalle, si girò verso di lei: doveva averla sentita. Per un attimo i loro sguardi si incontrarono: quelli assolutamente senza vita della donna, e quelli totalmente determinati di Shepard.
La donna ci mise un attimo a reagire, un attimo di troppo: un bagliore violetto la avviluppò da capo a piedi, sollevandola ad un palmo da terra. Non c’era tempo per essere schizzinosi: per quel che Shepard ne sapeva, poteva avere solo pochi minuti prima che i Razziatori arrivassero. Nel caso i suoi nemici fossero stati già nel sistema o fossero già attraccati alla base, sapeva di essere già morta, ma non aveva intenzione di rendergli la vita più facile.
Shepard avrebbe trascinato quanti più Razziatori possibili con sé.
L’infermiera, una giovane donna, riuscì solo ad emettere un grido che Shepard non sentì. Fu un gemito più di sorpresa che di vero dolore e quando il comandante ebbe preso la sua vita, la donna si accasciò a terra morta.
Shepard sentì il proprio corpo venire pervaso da nuove energie e con un solo balzo fu giù dal letto, una rozza tavola di metallo in realtà, atterrando su gambe malferme: la branda contro le sue gambe fu l’appiglio che le impedì di cadere a terra.
Fece giusto in tempo a guardarsi attorno, memorizzando la stanza in un riflesso condizionato, prima che due uomini armati entrassero nella stanza. Evidentemente, il grido della sua prima vittima doveva aver richiamato le guardie all’esterno: per un momento, i due uomini passarono lo sguardo dal corpo dell’infermiera a terra a quello del comandante Shepard in piedi di fronte a loro, che ancora si appoggiava al lettino per non crollare sul pavimento.
Anche Hayat li guardò: lei era nuda, mentre i due uomini che aveva di fronte erano celati da una corazza pesante, con un fucile d’assalto militare ognuno.
 
Un battito del cuore
E le due guardie levarono le loro armi contro di lei, le dita sul grilletto.
Due battiti del cuore
E Shepard si lasciò cadere verso il pavimento, usando la gravità per aumentare la velocità iniziale del suo scatto, spingendo in avanti con la punta dei piedi.
Tre battiti del cuore
E i due uomini aprirono il fuoco: una selva di piccoli proiettili argentati scattò verso il punto in cui, fino ad un battito prima, c’era la testa di Shepard.
Quattro battiti del cuore
E Shepard fece partire il suo pugno, colpendo la gola del suo primo avversario con forza artificiale. Hayat sentì qualcosa cedere sotto il suo pugno, ma non c’era tempo per congratularsene.
Cinque battiti del cuore
E l’altra guardia fece roteare il calcio del fucile in avanti, con l’intenzione di colpirla sulla tempia. Shepard si abbassò sotto il suo braccio, rialzando la testa con uno scatto repentino.
Sei battiti del cuore
E la fronte del comandante impattò contro l’elmetto protettivo della guardia, mandandola al tappeto.
 
“Aurgh!” Shepard si prende la testa fra le mani: le fa più male di quanto non pensasse fosse possibile. La sua visione si annebbia per un attimo, mentre lotta per mantenere lucidità ed equilibrio. La gravità vince: Shepard cade sul pavimento, raccogliendosi subito in posizione fetale. Il pavimento è freddo e scomodo sotto di lei, ma Shepard non se ne accorge racchiusa com’è in una sfera dolorante e pulsante.
In piedi!
Non c’è tempo per riposare.
Alzati!
I suoi piedi scalciano il vuoto, fino a trovare una presa sul pavimento: Shepard si aggrappa alla mobilia per rialzarsi, ma alla fine è in piedi.
E ora muoviti, Hayat!
Le sirene dall’allarme cominciano a suonare in quel momento, sottoponendo le sue orecchie ad una tortura sonora. La sua testa è in agonia, ma Shepard lo ignora: deve fare ordine nella sua mente.
Cosa fare come prima cosa? Rivestirsi? Dare il colpo finale alla guardia sul pavimento?
Procurarsi della armi?
Le sirene dall’allarme sono interrotte dalla voce della Kenson, ad un volume tale che al comandante sembra di avere due trapani dietro agli occhi.
“Shepard è libera. Bloccate ogni accesso all’infermeria!”
Quanto meno, la notizie sono buone: se preferiscono chiuderla dentro, piuttosto che venire a prenderla, significa che i Razziatori non sono ancora arrivati e che nella base non rimangono abbastanza uomini per soverchiarla un'altra volta, dopo la strage che ha compiuto prima di finire in infermeria.
La fortuna, a quanto pare, le sorrideva: Shepard decise di sfruttarla finché durava.
Prima ancora di cercare qualcosa con cui coprirsi, il comandante si mise a rovistare fra gli armadietti della stanza: quella era un infermeria dopotutto e con un po’ di fortuna…
“Eccovi qui!” pensò Shepard, pescando due stimolanti da un cassetto: entrambi contenevano l’adrenalina necessaria a far ripartire un cuore fermo. Shepard se li iniettò entrambi nella giugulare, uno dopo l’altro: era il momento di testare se il suo cuore era abbastanza forte da sopportare un simile sforzo, e il suo fegato artificiale capace di contenere gli effetti tossici dell’adrenalina nel resto del suo corpo.
Non tutti lo sapevano, ma a parità di concentrazione, l’adrenalina risultava più velenosa del cianuro di potassio: morire di spavento non è affatto impossibile.
Nel suo sangue, l’adrenalina combatté i sonniferi, con ripercussioni violente su tutto il corpo: se Shepard avesse avuto lo stomaco pieno, senza dubbio ne avrebbe svuotato il contenuto sul pavimento. Invece ebbe solo conati che sapevano di bile.
“Merda!” gridò Shepard in Prothean, dopo essersi pulita la bocca con una mano: non c’era tempo per la finezza.
Poi si diresse verso il tavolo dove era rimasta sdraiata, raccogliendo il lenzuolo che le era caduto di dosso e legandoselo sul corpo, così da coprire le sue vergogne: spogliare di una corazza una delle guardie avrebbe richiesto tempo che ora non aveva.
Nel piegare e annodare quel fazzoletto di stoffa, Shepard notò che le sue mani tremavano.
“Brutto segno.” Pensò Shepard osservandole attentamente. Non era il tremore di un alcolista, e Shepard conosceva il delirium tremens per averlo diagnosticato in prima persona, ma era abbastanza da intralciare la sua capacità di sparare.
Hayat distese le sue mani di fronte al viso per osservarle meglio. Respirando lentamente a occhi spalancati, Shepard si concentrò sulle sue mani: lentamente, a poco a poco, il tremore si affievolì, fino a scomparire del tutto.
Sembrava essere solo un effetto collaterale dell’adrenalina, per fortuna.
“Bene. E ora…”
Shepard raccolse uno dei fucili d’assalto a terra, svuotando il primo colpo nella testa della guardia ancora viva.
Fu una morte pietosa: infinitamente più pietosa rispetto a quella che i Razziatori o i loro agenti indottrinati le avrebbero dato.
Poi, i suoi piedi nudi batterono il tempo sul pavimento della base, mentre Hayat uscì dall’infermeria, un lenzuolo legato addosso e un fucile in mano.
Non aveva fatto che venti passi, che Hayat si fermò di nuovo:
“Non è possibile…”
Davanti a lei, ordinatamente accatastate, c’erano le sue armi e la sua corazza che la guardavano silenziosamente.
A quanto pareva, le capacità di coloro che l’avevano spogliata erano calate pesantemente se gli uomini della Kenson non si erano preoccupati di mettere le sue armi in un posto un po’ più irraggiungibile.
I suoi poteri biotici le permisero di indossare la sua corazza ad una velocità impressionante: ogni pezzo le scivolava addosso, governato dalla sua mente.
Quando si fu rivestita, e la corazza le si sigillò addosso, Hayat rimpianse di non avere sotto niente più che un lenzuolo: l’armatura le avrebbe lasciato dei segni non indifferenti sulla carne. Quel pensiero smise di occuparle la mente quando, controllando le sue armi, notò che erano ancora tutte cariche:
“Ma si può essere più stupidi?” pensò a voce alta Hayat.
Poi anche quel pensiero se ne andò, sostituito dall’urgenza: controllando il suo omnitool, Shepard scoprì che, se le stime della Kenson erano accurate, il comandante aveva dormito per due giorni.
Shepard aveva meno di un ora per far schiantare l’asteroide contro il portale e impedire così ai Razziatori di invadere la galassia.
Lo Spettro sorrise: “Ho ancora tempo per fermarvi.”, disse a se stessa.
Del dopo, Shepard se ne sarebbe occupata una volta messo in moto l’asteroide: il suo ultimo pensiero, prima di mettersi in marcia, fu per Liara e per la loro figlia non ancora nata.
“Vi amo.” Sussurrò a bassa voce.
Poi anche quel pensiero svanì, sostituito dal bisogno di mettere in salvo la galassia.
 
Capitolo 12
Confronto Finale
 
Di per sé, la consolle di attivazione del sistema di guida dell’asteroide non era ne particolarmente appariscente, ne particolarmente impressionante. C’era solo un grosso bottone olografico: a volte le cose più importanti sono quelle meno vistose.
Certo, per arrivare fino a quel pulsante Shepard aveva abbattuto diverse porte, usando campi di deformazione e spinte biotiche per aprirsi la strada fino alla sala di controllo principale, travolgendo qualunque ostacolo le si opponesse davanti. Non che ne fossero rimanesti molti che la Kenson, e gli altri uomini e donne indottrinati nella base, potessero metterle di fronte.
Di fronte alla consolle, Shepard esitò per un momento: era fatta. Premendo quel pulsante, i Razziatori sarebbero stati fermati, per un poco. La Galassia avrebbe avuto tempo a sufficienza per prepararsi all’invasione.
Quante vite sarebbe state salvare da un semplice pulsante: per Shepard, c’era una sottile ironia nell’usare un asteroide per distruggere un portale. Quattro anni prima, lei aveva impedito a dei terroristi Batarian di usare un asteroide come una bomba contro Terra Nova, una delle colonie di confine dell’umanità: l’impatto avrebbe causato la sterilizzazione del pianeta.  
Shepard era riuscita a fermare quei criminali, catturando alla fine il loro capo, anche se purtroppo non era riuscita a salvare gli ostaggi.
E ora, avrebbe usato la stessa tecnica, per salvare delle vite: il destino aveva un senso dell’umorismo davvero perverso a volte.
Quante vite sarebbero state distrutte dal suo gesto? Shepard non sapeva nemmeno se ci fossero delle navette per fuggire da quell’asteroide, ma era pronta al martirio, perché fermare i Razziatori era la sola cosa che potesse fare.
L’interfaccia olografica tremò un attimo, mentre la sua mano ci passava attraverso.
Seguendo una sequenza preprogrammata, quattro enorme reattori ad elemento zero si accesero, cominciando a spingere un asteroide di 8*1018 chilogrammi verso il portale del sistema.
Era fatta.
Ora non le restava che salvare quante più vite possibili: Shepard aprì un canale di comunicazione:
“A tutti i coloni del sistema Bahak…”
Avere dei principi su cui basare la propria vita, significa attenersi ad essi nonostante i propri sentimenti.
Shepard odiava i Batarian, ma Hayat non aveva mai ucciso seguendo i suoi sentimenti: lei era una guerriera, non un carnefice.
Combatteva per impedire ai Razziatori di distruggere un'altra volta ogni forma di vita evoluta nella Galassia: ogni forma di vita.
Perfino i Batarian.
La sua comunicazione venne interrotta dal volto della Kenson, che apparve sulla consolle di fronte a lei tagliando il ponte radio che aveva appena creato.
“Shepard, che cosa hai fatto?”
“Ho appena fermato i Razziatori, Kenson. Arrenditi.”
Gli occhi della Kenson la fissarono con puro e inconfondibile odio. Ma c’era anche paura in quegli occhi: Amanda non osava affrontarla faccia a faccia:
“Non mi lascia altra scelta, comandante. Se non posso fermare l’asteroide, lo distruggerò.”
Dunque era così che voleva giocare: Shepard raccolse la sua sfida.
“Computer, dove si trova la dottoressa Kenson?” chiese lo Spettro all’IV dell’asteroide.
“La dottoressa Kenson si sta dirigendo al modulo di controllo del reattore principale.” rispose compita l’IV.
Gli occhi di Amanda, sullo schermo, si riempirono di un luccichio folle:
“Anche la fusione di un solo nucleo eezo distruggerà questo asteroide: è una scelta estrema, ma è colpa tua. Tu mi hai costretto a farlo: i Razziatori mi hanno già privata della loro grazia, ma distruggendo te, forse mi redimerò ai loro occhi.”
“Io ti fermerò, Kenson.”
“Non ci riuscirai.” Amanda chiuse la comunicazione. Ormai, della donna che Hackett le aveva chiesto di salvare dalla prigione Batarian non era rimasto nulla: le sue stesse parole, testimoniavano la follia di cui era vittima.
Una follia che purtroppo non poteva essere curata: l’indottrinamento era orribile, ma soprattutto, irreversibile.
 
***
 
La sala meeting della Normandy era ingombra di datapad, corpi addormentati e vassoi di cibo vuoti da tempo. La voce di Joker dall’intercom si insinuò in quella calma innaturale con la stessa grazie di un bombardamento aereo:
“Comandante!”
Miranda Lawson aprì gli occhi e si alzò dal tavolo dove era crollata addormentata: il suo aspetto era tutt’altro che dignitoso e sulla sua guancia sinistra c’erano impresse le lettere dell’alfabeto inglese, dato che aveva usato un datapad come cuscino.
Lei, così come gli altri presenti, aveva macinato dati fino a esserne nauseata e poi ancora un po’: lei e gli altri avevano combattuto il disgusto per quelle analisi improduttive, fino a cadere addormentati dove capitava.
Miranda ci mise un poco a mettere a fuoco la stanza: erano più due giorni che non dormiva in un vero letto.
“Rapporto, Joker.” Gracchiò Lawson con una voce tutt’altro che melodiosa. Nel frattempo, anche gli altri occupanti della sala si stavano scuotendo dal sonno.
“Non so come spiegarlo, ma c’è un asteroide che si sta muovendo qua fuori. Ed è maledettamente grosso.”
“La sua rotta?”
“Dritto contro il portale galattico.”
Se anche gli altri occupanti della sala non avevano ascoltato l’inizio della conversazione, gli bastò sentire le parole “asteroide” e “portale” per afferrare perfettamente la situazione.
“Rotta di intercettazione, Joker. Mantieniti a….”
“So cosa fare: tempo di intercettazione trenta minuti.”
E con quello, la comunicazione si chiuse.
Miranda fece scorrere lo sguardo in giro per la stanza, osservando tutti i presenti, con occhi esausti:
“Chi vota per impedire a Shepard di lasciare di nuovo la nave da sola?”
Tutte le mani, indifferentemente dal numero di dita, si alzarono immediatamente verso il cielo.
 
***
 
“Kenson, è finita.” Anche Shepard era stanca. Stanca di inseguire la dottoressa per tutta la base. Stanca di dover combattere esseri umani indottrinati: è pronta a morire se sarà necessario, ora più che mai, ma questo giocare a rimpiattino con l’inevitabile e le guardie rimaste, l’ha davvero stufata. Shepard non è nemmeno più interessata alla sua salvezza: ha inseguito la Kenson perché, fondamentalmente, non aveva niente di meglio da fare oltre ad aspettare la fine.
“Si arrenda.” Shepard sperò che la dottoressa le obbedisse.
Ma la Kenson scosse la testa, portandosi la mano sinistra al capo, come se provasse dolore.
“Me li hai portati via. Non sento più le loro voci.”
La dottoressa la guardò negli occhi e Shepard vide il vuoto della follia:
“Me li ha portati via…” ripeté, ossessivamente a voce alta: “e ora, io non conoscerò mai la loro grazia.”
 
Come spiegarle che era stato l’artefatto a fare da tramite fra lei e i Razziatori, lo stesso oggetto che aveva messa fuori combattimento Shepard usando tutta la sua energia? Quale lingua usare, per far capire a quella povera donna che il fatto che le voci che agitavano i suoi sogni e tormentavano le sue veglie tacessero, era una cosa buona?
Ma no, che sciocchezza, era ormai troppo tardi: Kenson era ormai null’altro che una zelota votata ad una causa di sterminio.
 
Shepard la osservò bene: dietro di lei, c’era il sistema di raffreddamento del nucleo del reattore, attorno al quale la dottoressa stava armeggiando quando il comandate l’aveva trovata. Se fosse saltato quello, l’asteroide si sarebbe aperto a metà come una mela, rendendo vani tutti gli sforzi del comandante: rendendo inutile tutti quegli sforzi e quelle morti.
Il comandante esitava a spararle: non perché temesse di colpire le macchine dietro di lei, che potevano sopravvivere benissimo ad un colpo di pistola, ma per quello che la dottoressa aveva nella sua mano destra. Un piccolo detonatore, non più grande di un pennarello, che la Kenson era pronta a premere senza preavviso.
“Kenson, si allontani da lì: non è troppo tardi, possiamo ancora ritornare all’Alleanza. Potrà rivedere Hackett.”
Falla parlare, si disse Shepard, falla parlare e creati un varco.
La Kenson rimase un attimo pensierosa e il suo sguardo andò fuori fuoco:
“Hackett?”
“Hackett. Può ancora tornare indietro.”
La Kenson sembrò tornare per un attimo la donna che era stata. Ma fu solo un attimo: la bambina petulante che parlava di sterminio tornò subito a prenderne il posto.
“NO! Tu mi hai tolo le loro voci e ora io non posso tornare indietro. Non vedrò il loro avvento, quando spargeranno la loro gloria su ogni pianeta, ma almeno potrò portarti con me!”
Era fatta: Shepard sapeva fin dall’inizio che non se le sarebbe cavata a parole.
“Piano B.” Pensò.
La sua pistola sparò un solo colpo, colpendo la dottoressa al cuore, mentre con la mano libera, Shepard eresse una barriera biotica dietro alla Kenson, non un istante troppo tardi: con l’ultimo alito di vita che aveva in corpo, la dottoressa premette il detonatore.
Il sistema di raffreddamento fu salvato, ma Shepard fu investita in pieno dall’esplosione della bomba e venne sbalzata all’indietro, colpendo malamente lo spigolo della parete dietro di se con un fianco.
Prima di svenire, riuscì solo a pensare a Liara: non l’avrebbe più rivista.
“Perdonami, amore mio.”
Poi fu di nuovo il buio.
 
 
 
 
 
A risvegliarla fu la voce dell’IV della stazione. Shepard ci mise un po’ a sedersi: sentiva sapore di sangue in bocca e le sue orecchie ronzavano come… come se le fosse esplosa una bomba a meno di cinque metri di distanza.
Nonostante la confusione e il disorientamento, qualche parola riuscì a filtrare fino al suo cervello esausto:
“T meno dieci minuti all’impatto.”
A quanto pareva, era quasi finito tutto: Shepard era contenta di essersi svegliata prima della fine. Avrebbe potuto mettersi il cuore in pace, prima dello schianto. Questi erano i suoi pensieri, almeno fino a quando una spia cominciò a suonare dal suo omnitool, richiedendo fastidiosamente la sua attenzione.
Non aveva nemmeno premuto il pulsante, che la voce di IDA arrivò alle sue cuffie.
“Hayat! Riesce a sentirmi?”
Era strano essere chiamati da qualcuno per nome e allo stesso tempo sentirsi fare delle domande usando la terza persona.
“Sono qui IDA.” Riuscì a borbottare. All’insaputa del comandante, IDA stava acquisendo i dati della sua corazza, trasmettendoli in tempo reale all’equipaggio della Normandy.
“Si sente bene?”
“Credo di avere una costola fratturata.” Commentò Shepard con lo stesso tono con cui avrebbe parlato del tempo.
“Per la verità ne ha tre: una di esse ha perforato il polmone.”
Ecco spiegato il sapore del sangue in bocca. Il dolore era una cosa distante quanto l’orizzonte in quel momento: i sistemi di primo soccorso della sua corazza l’avevano inondata di stimolanti e antidolorifici.
Attraverso la nebbia che i sistemi di primo soccorso le avevano iniettato nel sangue, una certezza si fece strada nella sua mente.
Avrebbe rivisto Liara: Shepard si sentì pronta a scalare una montagna.
“IDA, mi stai per caso spiando?”
“Non è il momento di scherzare, Shepard.” La redarguì l’IA “Ce la fa a raggiungere la superficie dell’asteroide?”
“Potrei. La Normandy sarà là ad aspettarmi?”
“Ci puoi scommettere, Shepard.” Arrivò una nuova voce.
“A dopo, Joker.”
Il comandante chiuse la comunicazione: “E ora, in piedi.” E il suo corpo le obbedì.
 
Non fu difficile arrivare all’esterno: le bastò seguire le porte lasciate aperte dagli ultimi superstiti delle base, che come lei si stavano dando alla fuga. Quando raggiunse i portelli ermetici, le ultime navette stavano partendo, portando il loro carico di schiavi indottrinati lontano.
Ne rimanevano comunque alcuni, che non avevano trovano posto sulle navette: Shepard imbracciò lo Zapper, per finire il lavoro che aveva iniziato quasi due giorni fa.
Anche se i poteri che Samara le aveva donato non potevano riparare le ossa, potevano almeno restituirle l’energia e la concentrazione: non fu una cosa lunga, nonostante Shepard trascinasse ogni passo. Mentre avanzava in un mondo senza suoni, il comandante assistette impotente mentre un'altra navetta prendeva il volo.
Dov’era la Normandy?
Shepard si incamminò su piedi incerti verso l’area di decollo: se da lì potevano partire degli shuttle, potevano anche atterrare.
Era quasi arrivata e pregustava già l’idea di essere nell’infermeria della Normandy, quando una luce dorata apparve davanti ai suoi occhi: per un attimo, Hayat credette che fosse uno scherzo della sua mente esausta e imbottita di stimolanti. Poi, i fotoni che danzavano di fronte a lei assunsero una forma, una forma che lei conosceva.
Davanti a lei, la forma torreggiante di un Razziatore si erse inutilmente maestosa: da tempo, Hayat non aveva più paura di loro.
 
“VOI ESISTE PERCHÉ VE LO PERMETTIAMO. E VI ESTINGUERETE, PERCHÉ LO ESIGIAMO.” Quando la Sovereign aveva pronunciato quelle parole su Virmire, Shepard aveva avuto paura. Ma veder esplodere quel Razziatore durante la battaglia della Cittadella, aveva definitivamente estirpato il timore che Shepard nutriva verso di loro.
 
Loro potevano essere distrutti: non erano affatto invincibili come avrebbero voluto far credere.
“SHEPARD. STO COMINCIANDO A STANCARMI DI TE.”
Hayat riconobbe quella voce: era inconfondibile. La figura che si ergeva di fronte a lei, comunicando attraverso la distanza e la mancanza di atmosfera era quella dell’Araldo. Era così che Shepard e la sua squadra chiamavano il Razziatore che aveva guidato i Collettori in battaglia, fino alla loro sconfitta nel cuore della galassia.
Evidentemente dovevano essere molto vicini, per riuscire a materializzare davanti ai suoi occhi quel gioco di prestigio e comunicare direttamente con lei.
“COMBATTI CONTRO L’INEVITABILE: È INUTILE OPPORSI CONTRO LE CORRENTI COSMICHE. ANCHE SE LA DISTRUZIONE DI QUESTO SISTEMA PUÒ SEMBRARTI UNA VITTORIA, IL TUO RAGGIUNGIMENTO È VANO. IL DESTINO DI OGNI CIVILIZZAZIONE DELLA GALASSIA È SEGNATO: ESSE CADRANNO. I VOSTRI LEADER SI INCHINERANNO A NOI, COSÌ COME È SEMPRE STATO.”
“E pensare, che una volta avevo paura di voi.” Pensò il comandante. A voce alta poi, e non le importava se l’Araldo la sentisse o meno, Hayat disse:
“Sì, forse avete ragione: forse noi non possiamo vincere. Forse noi siamo davvero solo dei batteri al vostro cospetto, ma siamo i batteri che vi uccideranno. Noi siamo i germi che vi stermineranno tutti. Vi prometto questo, Razziatori: noi siamo gli ultimi che voi massacrerete. Se anche alla fine riuscirete a spazzarci via da questa Galassia, voi cadrete con noi.”
Shepard non sapeva nemmeno se la capivano, ma lo sperava: Hayat lasciò che le sue stesse parole si imprimessero nella sua mente, fino a quando non ci fu niente altro:
“Noi. Siamo. Gli. Ultimi!” fu il suo grido.
I Razziatori la sentirono:
“LE TUE PAROLE SONO VUOTE, COME IL TUO FUTURO: PRIMA DI MORIRE QUI INVANO, SHEPARD, OFFRI UN PENSIERO ALLA TUA RAZZA. ESSA SARÀ LA PRIMA A CADERE. PREPARATEVI ALL’AVVENTO.”
Shepard scoppiò a ridere:
“Io non morirò qui, Araldo.”
Alle sue spalle, la sagoma predatrice della Normandy sbucò dall’orizzonte.
Shepard avvertì per un attimo un’emozione, qualcosa di troppo remoto per essere qualcosa di umano, ma che assomigliava terribilmente alla furia di un dio scornato:
“QUESTO NON CAMBIA NULLA. CI INCONTREREMO ANCORA, SHEPARD!”
Detto questo, il gioco di luci che rappresentava l’Araldo tremolò e scomparve nel buio.
 
Capitolo 13
Tornare all’Inizio
 
Shepard era sdraiata nell’infermeria della nave, spogliata della corazza e vestita di un comodo pigiama. Nonostante fosse il medigel a permetterle di respirare, chiudendo le varie ferite che aveva sopra, dentro e perfino attorno al suo corpo, Shepard era tutto fuorché inerte: Chakwas era troppo occupata ad impedire agli altri di venirla a trovare, per tiranneggiarla obbligandola al riposo.
“IDA?”
“Sì, Shepard?”
“Quanti Razziatori sono rimasti coinvolti dall’esplosione del portale?”
Era inutile chiedere se ci fossero dei sopravvissuti nella colonia Batarian: Arathot e la stella attorno alla quale orbitava erano stati spazzati via.
“Fare una simile stima è molto complesso.”
“Provaci, per favore.”
IDA rimase in silenzio per un lungo periodo di tempo: Shepard notò le luci dell’infermeria sfarfallare, segno che l’IA stava attingendo ad ogni riserva energetica della nave.
“Devo avvertirla che le mie proiezioni non sono attendibile oltre il 30 % .” disse infine l’IA.
“Stupiscimi.”
“La cifra esatta è impossibile da determinare. L’esplosione che ha distrutto il sistema Bahak poco dopo la nostra fuga si è mossa alla velocità della luce, andando incontro ad una flotta che viaggiava a propulsione FTL. Nemmeno la Normandy sarebbe riuscita a evitare una simile deflagrazione.”
“…E quindi?”
“Esiste la fondata possibilità che circa metà della flotta dei Razziatori sia stata coinvolta dalla distruzione del portale.”
 
Shepard sorrise per quella vittoria: certo, avevano perso una colonia, ma distrutto metà della flotta dei dannati Razziatori.
Erano morte 300'000 mila persone, ma ne aveva salvate miliardi: anche se poteva sembrare mostruoso felicitarsi per una cosa del genere, era quello il suo ruolo. Il suo compito. Il suo destino: salvare la Galassia dai Razziatori.
Rifiutava di sentirsi in colpa per questo: per aver fatto dei sacrifici.
Se e quando i Batarian le avessero chiesto di rispondere di quelle vittime, avrebbe voluto dire che la Galassia era stata salvata.
E che la sua battaglia era finalmente finita.
“Per favore, invia il rapporto della missione a Hackett.”
“Non all’Ombra?”
“Preferisco informarla di persona, IDA.”
Shepard fu scossa da un brivido a quel punto: Liara sarebbe stata furiosa con lei. E Shepard non poteva farci niente.
C’erano cose che perfino il comandante Shepard temeva.
 
***
 
“Comandante.” Hackett si mise sull’attenti, entrando in infermeria.
“Ammiraglio. Mi vorrà scusare se non mi alzo.” Rispose Shepard, ricambiando il saluto.
Dopo aver ricevuto il suo rapporto di missione, Hackett aveva richiesto un incontro faccia a faccia. Nonostante la Normandy avesse già messo la prua verso la base dell’Ombra, il sistema Solare era sulla rotta, e quindi la deviazione sarebbe stata minima.
Accoglierlo a bordo era stata una faccenda tremendamente tediosa e complicata: tecnicamente, la Normandy SR2 era ancora una nave di Cerberus. Convincere l’Alleanza che inviare un loro ammiraglio a bordo non avrebbe comportato alcun rischio era stato stancante: si erano convinti solo quando Hackett aveva minacciato di dimettersi dal suo posto.
Hackett era accigliato: ogni fibra del suo corpo esprimeva preoccupazione:
“Ho letto il suo rapporto. Come si sente?”
“Sarò presto di nuovo in piedi, signore.”
Il silenzio si allargò fra loro per un attimo: fu Hayat ad interromperlo.
“La situazione è così grave, signore?”
“Molto di più, comandante. I Batarian sono sul piede di guerra e l’Alleanza vuole la sua testa. Non potrò proteggerla quando comincerà la caccia alle streghe.”
“Spero che riconoscano che non c’era altra scelta: non c’era tempo per agire diversamente.”
“Non la sto giudicando, comandante. Se fosse per me, le avrei già dato una dannata medaglia…”
“Ma ci sono altri che non sanno, e non vogliono capire la pericolosità della minaccia che i Razziatori rappresentano.” Lo interruppe Shepard, guardando la parete a fianco dell’Ammiraglio.
Hackett annuì tristemente, voltandosi su un fianco e osservando il ponte della Normandy oltre il vetro dell’infermeria:
“Esistono persone che non vogliono vedere ciò che mette in discussione il loro piccolo mondo. Ma non si può odiarle per questo, solo compatirle.”
“Il tempo della compassione è finito, Ammiraglio.” Qualcosa nella voce di Shepard lo fece voltare verso di lei: sembrava arrabbiata e triste assieme.
“Non si preoccupi, comandante. Terrò gli avvoltoi lontano da lei più che potrò.”
“Non lo farà invece, Ammiraglio.” Shepard lo fissò con i suoi occhi violetti. Hackett la guardò perplesso:
“Comandante, se quello che ha scritto nel suo rapporto è vero, non possiamo permetterci che i politici dell’Alleanza le mettano le mani addosso.”
“Invece è proprio quello che faremo.”
“È forse impazzita?”
Shepard aveva capito cosa fare solo dopo che la Normandy era arrivata nel Sistema Solare:
“Ci pensi, signore: se io mi consegnassi, i Batarian verrebbero placati, per un poco almeno. E l’Alleanza sarebbe costretta a confrontarsi con l’opinione pubblica e la minaccia dei Razziatori, allo stesso tempo. Loro non hanno capito che processandomi, per condannarmi saranno costretti a provare che i Razziatori non esistono.”
“Sta pensando di convincere i politici a schierarsi contro i Razziatori?”
Shepard annuì:
“E allo stesso tempo evitare una guerra su vasta scala con i Batarian che non ci possiamo permettere con i Razziatori alle porte. Mi hanno disegnato un bersaglio addosso, Ammiraglio: non ho intenzione di fargliela passare liscia.”
L’Ammiraglio la scrutò attentamente con i suoi occhi azzurri:
“E lei sarebbe disposta a sacrificarsi. Sarebbe disposta a farsi sbattere in una cella dell’Alleanza sulla Terra, pur di servire il bene più grande.”
Quando capì questo, per un momento Hackett ebbe paura, ma non di lei. Hackett ebbe paura per lei: cosa sarebbe diventata, quella donna?
C’era qualcosa che non potesse fare? Ma fu solo un momento, poi fu di nuovo Shepard quella al suo fianco, la sua vecchia subordinata.
“Lei è davvero una persona dotata di un grande onore, lo sa? Sono felice di sapere che lavorare con Cerberus non l’ha cambiata.”
Hackett si raddrizzò togliendosi il capello d’ordinanza e offrendole la mano:
“Questa volta, non dovrà fare tutto da sola, comandante. Io sono con lei e l’aiuterò come potrò.” E al diavolo la mia carriera pensò Hackett.
Shepard gli strinse la mano:
“Allora speriamo che l’Alleanza sappia chi si sta mettendo contro.”
Questo strappò una risata ad Hackett, ma fu solo un momento.
“Ha già deciso come muoversi?”
Shepard annuì:
“Una volta che sarò nuovamente in forma smagliante, mi consegnerò io stessa alle autorità.”
“Il suo equipaggio?”
“L’Alleanza sarà troppo occupata con me per preoccuparsi anche di loro. Comunque ho intenzione di affidargli una missione che li terrà lontani dalla Terra.”
L’incarico che Hayat intendeva affidare al suo equipaggio sarebbe stato quello di rintracciare il personale indottrinato che era riuscito a scappare; ovviamente dopo essersi presi una licenza: Shepard non era una tale schiavista.
“Devo preoccuparmi?”
“No, Ammiraglio. Al contrario di me, il mio equipaggio sa come essere discreto.”
Questo strappò una risata ad Hackett, che sapeva esattamente di cosa stesse parlando: con la distruzione, Shepard aveva cominciato presto.
Hackett e Shepard parlarono ancora per qualche minuto, poi Garrus riaccompagnò l’Ammiraglio al suo shuttle.
Nel frattempo, Chakwas era rientrata in infermeria: la dottoressa acquistò un pericoloso color rosso rubizzo quando scoprì che Shepard non si era affatto riposata mentre lei non c’era.
A malincuore, dato cosa aveva appena passato, Chakwas le aumentò la dose morfina. Le proteste di Shepard furono inutili: per quanto riguardava la dottoressa, in infermeria lei era il boss e fine della discussione.
Il comandante trascorse il resto del viaggio immersa in un sonno senza sogni, fino a quando non raggiunsero la Base dell’Ombra, circa diciotto ore dopo. Fu Armata che la trasferì sulla nave di Liara ancora addormentata e la depose sul suo letto, lasciando poi la base assieme alla Normandy e al resto dell’equipaggio. Non prima però, che ognuno registrasse un messaggio per lei, in cui le spiegavano quello che avevano passato in quei due giorni.
Leggendo quei rapporti, Shepard avrebbe commentato di non ricordare affatto di avere così tanti madri e padri.
 
Anche Liara fu estremamente sollevata di rivederla, anche se finse per un po’ di essere arrabbiata con Shepard per il pericolo in cui si era cacciata: come se fosse stata colpa sua! Hayat sapeva che comunque alla fine l’avrebbe perdonata, ma avrebbe dovuto lavorarci parecchio: al confronto di combattere umani indottrinati, comunque, era una piacevole distrazione affrontare un Asari gravida.
 
Capitolo 14
Epilogo
 
Shepard aprì gli occhi di scatto, trovandosi nel buio più totale. Le sue protesi oculari trasformarono la tenebra in sfumature di verde, permettendole di vedere nella stanza come fosse giorno. Ci era voluto un po’ per abituarsi al suo nuovo corpo, ma ora Hayat trovava quasi utili quelle capacità che Cerberus le aveva dato.
Al suo fianco, il respiro di Liara testimoniava quanto fosse profondamente addormentata. Molto dolcemente, Hayat si districò dall’abbraccio in cui l’aveva intrappolata, alzandosi silenziosamente dal letto: anche dormendo, Liara era sempre attenta a non pesare mai sulle sue costole in via di guarigione. Era stata un’intuizione a svegliarla nel cuore della notte: un’idea luminosa quanto una nova.
Prima ancora di accorgersene, Hayat si ritrovò nel suo ufficio: aveva trovato la risposta.
 
“Perché i Razziatori vogliono distruggere ogni forma di vita evoluta della Galassia?” Rilesse Hayat sulla lavagna di plexiglass.
Shepard prese il pennarello e scrisse una frase in Prothean. Poi, fece un passo indietro, leggendo la frase a voce alta:
“Essi temono.”
Non era tutta la verità, probabilmente, ma ne era una parte, Hayat ne era convinta. Sentiva la correttezza di quella frase risuonare nel suo animo con la voce della verità: I Razziatori temevano la concordia che si era instaurata tra le varie razze.
Temevano che non sarebbero riusciti a sconfiggerli, questa volta.
I Razziatori avevano paura!
“Essi temono.” Ripeté Shepard a bassa voce.
E poi si mise a ridere:
“ESSI TEMONO!” gridò a squarciagola, mettendosi a piangere e ridere allo stesso tempo.
 
In quel momento, Shepard seppe che avrebbero vinto.
 
Il rumore di una porta che si apriva dietro di lei la fece voltare: davanti a lei, c’era Liara, dentro una comoda (e sensuale) camicia da notte.
Senza dirsi nulla, Hayat e Liara si buttarono l’una fra le braccia dell’altra, unendo le loro menti quasi nello stesso momento in cui la loro pelle si toccò.
Dopo un momento, in cui la rivelazione di Hayat passò da lei a Liara, lo scambio di pensieri rallentò fino a fermarsi.
Shepard e T’Soni rimasero semplicemente abbracciate, a godere del reciproco calore, con il volto di Liara appoggiato sul collo di Shepard, mentre il naso di Hayat si appoggiava alla tempia di T’Soni.
“Temevo che te ne fossi andata di nuovo.” Disse dopo un po’ Liara dal suo rifugio: l’assenza di Hayat nel loro letto l’aveva svegliata.
“Mai. Mai ti lascerei da sola.” Disse Shepard baciandole la fronte all’attaccatura delle creste.
Liara si rilassò ulteriormente: Hayat sapeva mantenere le sue promesse.
Le due assaporano ancora il calore del contatto, mentre la notte scivolava loro attorno:
“Torniamo a letto, Liara...” Disse infine il comandante ”Ho la sensazione che domani sarà un magnifico nuovo giorno.”
 
E per quella notte, non ci fu nulla da aggiungere.

 FIN


“And the rest, is Silence.”
Spero che la crudezza di alcune scene di questo capitolo non vi abbia spaventato e che siate arrivati comunque fino a qui, sani e salvi.
Questo capitolo è pieno di un sacco di cose negative, lo so, ma volevo che fosse così, in modo che la speranza contenuta nell’Epilogo, quella piccola luce di vittoria, brillasse più luminosa.
Dopotutto, i Razziatori sono una minaccia che non si può accantonare con facilità: essi sconfinano nell’incubo e nel mito. Shepard ergendosi contro di loro, diventa a sua volta una leggenda ed è compito suo prendere decisioni che nessun altro sarebbe in grado di prendere.
In questo caso, non c’era nulla che Hayat potesse fare per salvare la colonia Batarian: questo però non vuol dire che li abbia sacrificati con leggerezza.
Tutte le Specie della via Lattea sono in Guerra con i Razziatori: c’è bisogno di leader per affrontarli, e in tempi disperati, essere leader comporta prendere decisioni perfino crudeli. Non solo: bisogna anche continuare ad agire, senza lasciarsi sopraffare dal senso di colpa.
Detto così, diventare degli eroi perde molto del suo fascino, non è vero?
Eppure, c’è sempre speranza.
 
Prima di salutarci e di dire arrivederci, vorrei dirvi soltanto che mi ha molto divertito scrivere di Mass Effect e che è stato un vero piacere.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito per questa raccolta, Avventuriera e Goldr31, e anche tutti gli altri lettori anonimi che mi hanno seguito.
Spero che ME3 non si faccia aspettare troppo e che si possa rivederci presto.
  
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