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Autore: Slits    25/04/2011    2 recensioni
Gilbert Beilschmidt era un mancato sognatore che aveva scelto di vivere dentro un uomo corpulento. Aveva gli occhi rossi di un coniglio e lo sguardo affilato di un lupo. Indossava un lungo soprabito, stivali e grossi guanti di lana. La chioma bianca, spettinata e sbarazzina, gli ricadeva fino alle spalle. Selvatico. La prima volta che lo aveva incontrato, il pensiero di Antonio era stato immediato, appena percepibile. Da allora, non era cambiato di una virgola.
« Cavie! Tsk! Ma stiamo scherzando? » disse dopo un po’, entrando in casa e facendo schioccare forte la lingua.
La sua voce era tonante, quasi un ruggito. Gilbert era una specie in estinzione ormai.

La vita degli abitanti di Barcellona è come una matriosca. E, curiosamente, il grado di insanità mentale di chi la popola sembra variare proporzionalmente alla grandezza dei pezzi.
[Antonio/Rovino]
[!Linguaggio; AU]
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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#7. Di portinaie fangirl ed eccitanti cosplay. [Parte III]

- Mamma, ho fame. -
In alto uno scacciaspiriti ondeggiò su se stesso. Dopo un po’, una mano lo fermò.
- Non sono tua madre. -
Dall’altra parte della stanza il bambino vide un’ombra alzarsi ed incamminarsi verso l’uscita.
Come ogni altra volta, la precedette di corsa e l’aspettò davanti alla porta di casa. La guardò con un’insolita energia e dopo qualche istante di esitazione corse ad abbracciarla ed a strusciarsi contro le sue gambe come un gatto. Mentre rifletteva sui vantaggi di essere così piccolo, sentì di nuovo quella voce. La casa era talmente silenziosa che bastarono poche parole per inondare le stanze come un eco.
- Non mi aspettare alzato, va bene Peter? -
- Sì mamma! – rispose il bambino.
- Per l’ultima volta – tentò di spiegare l’adulto, mettendo entrambe le mani sulle spalle dell’altro – Non sono tua madre. -
Il minore fece spallucce.
- Allora se non sei la mia mamma puoi anche dirmi come sono nato, no? Dai, sarà il nostro piccolo segreto! Non lo dirò a nessuno! -
Arthur Kirkland fissò attonito suo figlio, per poi distendere i muscoli della faccia in uno strano sorrisino tirato.
- A… aspetta qui e fai il bravo, tesoro. Mammina vede di trovare qualcosa per la cena. -
Si chiuse il portone alle spalle senza aggiungere una parola. Un lungo, profondo sospiro.
Seppur a malincuore, ammise che era arrivata l’ora di documentarsi sul serio, a patto di non voler crescere il proprio figlio con la convinzione che i papà fossero le mamme e viceversa. La cosa a lungo andare avrebbe potuto creargli qualche problema.
Ora… com’era quella storiella della cicogna che portava in braccio il cavolo?

Fuori, il neon del locale aveva rivestito di turchese ogni angolo del marciapiede. Era l’una. Antonio percorse l’acciottolato che portava all’entrata senza scambiare una parola. Alle sue spalle, Gilbert e Francis lo seguivano come due ombre attente.
- Te lo dico fin da ora, quindi vedi di ripeterlo ai tuoi piccoli amici del bosco: per quel che mi riguarda potrà avere indosso anche l’intero libro della Jungla, Mowgli incluso, non mi interessa. Se è tres-jolie, vi sono ottime probabilità che pelliccia e manicotti stasera li appenda in camera mia. – concluse Francis, ponendo così termine anche al discorso “se incontro quella che”. Gilbert si limitò ad annuire comprensivo.
- Non preoccuparti. -
Antonio lesse chiare le intenzioni negli occhi del tedesco come se fossero state trasparenti: avrebbe fatto l’opposto di quello aveva detto e pensato l’opposto di ciò che gli altri credevano avrebbe fatto. Per renderla sopportabilmente breve, non avrebbe messo in atto una sola parola di quello che aveva promesso a Francis.
Del resto, in pochi sarebbero stati capaci di spiegare quello che era successo alle precedenti fiamme del francese. A mano a mano che il tempo passava, il ricordo di quelle donne avvolte nei loro costosi capi di pelletteria si faceva sempre più vago. Un’ indiana che scappava urlando mentre uno scorpione si divertiva ad entrare ed uscire da un paio di mutandine dimenticate su una sedia; una spagnola che fissava agghiacciata nidiate e nidiate di topolini bianchi, da laboratorio, piovere giù dal soffitto come grandine. Un’italiana che si scapicollava giù dalle scale inseguita da uno stormo di curiosi uccellini gialli e così via. Tutti incidenti inspiegabili, a detta di Gilbert. Forse voluti dal karma.
Antonio era solito dirgli di sì con poca convinzione. Francis ormai non trovava neanche più la forza di controbattere. In quei giorni, si limitava a sfogare la frustrazione facendo spese pazze in centro. In macelleria, per voler essere più precisi.
Entrarono nel locale e si misero a sedere ad un tavolino vicino ad una lunga passerella. Con uno strano sorriso in volto, Francis tirò fuori una mazzetta di banconote da cinque euro e le dispose ordinatamente sul ripiano di legno. Ripiano che per inciso Gilbert stava probabilmente cercando di disintegrare con la forza del pensiero.
Le luci si abbassarono ed un nugolo di spogliarelliste cominciò a scorrazzare fra i clienti. Antonio temette per un attimo che Francis si sarebbe avventato sull’intero gruppo, con il preciso intento di separare gli individui più deboli e malati dal branco per poi attaccarli in tutta calma. Invece il francese accavallò le gambe con una classe insolita ed allungò con nonchalance una prima banconota ad una ragazza con un vitino di vespa e due grandi occhi nocciola.
- Geez, ma chi diavolo è il proprietario di questo posto? Hannibal Lecter? -
- Cosa? -
- Ho visto bracconieri trattare prede con più rispetto. Sedie di pelle, ripiani di ebano. Ebano! Ma siamo impazziti! Hanno la più pallida idea di quante specie abbiano messo in ginocchio soltanto per dare il tocco cul e tresh a questo buco? – spiegò, indovinando l’ignoranza dell’altro – Ho intenzione di andare a fare due chiacchiere col serial killer che gestisce questa bettola. Vieni con me, ‘tonio? -
Il maestro rifletté per qualche istante ed annuì con convinzione, non tanto per cortesia quanto per impedire che il coinquilino si ritrovasse a passare l’ennesima nottata al pronto soccorso dopo aver tentato di fracassare il cranio ad uno alto tre metri e largo minimo due.
- Meglio così. Sento le mani cominciare già a prudere. -
Un’occhiata di sfuggita gli suggerì che Gilbert stava cominciando a partire per la tangente.
- Francis, noi andiamo ad ordinare qualcosa da bere. – improvvisò, ottenendo come risposta uno della vasta gamma di grugniti del biondo che, a seconda dei casi, poteva stare a significare “Ordinate anche un bicchiere di vino per me” “Fate con calma” oppure “Non me ne può sbattere di meno col ben di Dio che mi sta passando davanti”. A giudicare dallo sguardo vitreo del francese, sia Antonio che Gilbert propesero per l’ultima possibilità.
Attraversarono il locale in silenzio. Ogni tanto il tedesco sorrideva al compagno e guardava con astio il bancone che si stagliava dalla parte opposta del locale. Qualcosa diceva ad Antonio che Gilbert non stava andando a scambiare i soliti convenevoli e che il locale presto avrebbe necessitato di un nuovo arredamento antirissa, ovviamente a patto che pareti e pavimenti fossero rimasti integri a testimonianza della tragedia.
- Oi! Contribuisci a spargere il sangue per questo posto? -
L'ex-ricercatore afferrò per una spalla un cameriere che stava riordinando dei bicchieri e formulò la domanda in modo da far sospettare allo spagnolo che, se l’altro avesse annunciato che in realtà quello era un lavoro di copertura e che gli serviva per poter continuare il proprio spaccio di stupefacenti, probabilmente Gilbert si sarebbe limitato a dargli una poderosa stretta di mano e a lasciarlo andare.
- Prego signore? -
- Lavora per questo posto? – intervenne Antonio, sotto lo sguardo vitreo di Gilbert – Potrebbe chiamarci cortesemente il proprietario? -
La richiesta parve riscuotere il cameriere, che fermò la danza dei bicchieri e dopo un inchino educato scomparve nel retrobottega.
- Dai, è stato gentile. – tentò di mitigare Antonio.
- Anche Abramo all’inizio è stato gentile. Poi vedi in quanti pezzi ha ridotto il povero Isacco. -
- Ma veramente, nella Bibbia si dice che… -
- ‘tonio, credimi. Non è il momento. -
Le ultime parole che stava dicendo gli restarono impigliate in gola e per poco non gli andarono di traverso. Gilbert lo guardò per un istante, infastidito. Poi tornò a contemplare l’entrata del retrobottega. Pochi istanti dopo, l’ombra longilinea e dinoccolata del cameriere rifece la propria comparsa dietro il bancone.
- Il… il proprietario non può salire ora… - mormorò, articolando la frase in un pigolio alla vista degli occhi del tedesco – Tuttavia… se ha qualche lamentela, signore, può raggiungerlo in uno dei bagni del locale… sta… sta dando istruzioni ad un nuovo addetto alle pulizie… -
Gilbert fulminò con un’occhiata il ragazzo che si era fatto piccolo piccolo dietro il bancone. Gli indicò la direzione dei bagni e distolse lo sguardo. Antonio lo osservò in attesa, il tedesco ricambiò con un ringhio proveniente dalla parte più profonda di sé e si lanciò alla volta dei bagnetti. Lo spagnolo gli stette dietro. Così, almeno avrebbe evitato che l’altro si rompesse l’osso del collo o uccidesse inavvertitamente qualche cliente. Entrarono nei bagni in silenzio. Non tardarono a riconoscere che il proprietario, all’altro capo dello stanzino, corrispondeva per filo e per segno alla descrizione di quei brutti ceffi che in quasi ogni film sull’argomento delegano al ruolo di pappone o di spacciatore. Soltanto quando l’uomo si voltò, Antonio riconobbe l’addetto alle pulizie con cui stava avendo l’accesa discussione.
- Rovino? -
L’altro trattenne il respiro. Gli tremava leggermente una mano, di rabbia probabilmente, e teneva alzato lo spazzolone che usava per pulire. Se non fossero intervenuti, sarebbe stato probabilmente l’italiano a concludere la missione punitiva del tedesco.
- Conoscete questo lavativo? – chiese il proprietario.
- Dipende. Hai qualcuno fra questi lavativi disposto a raccoglierti tutti i denti davanti? -
- Rovino, esci di qui. – disse lo spagnolo, senza distogliere gli occhi dal tedesco.
Ma l’italiano lo ignorò, intuendo le intenzioni di Gilbert ed offrendogli aiuto con un’occhiata. L’altro rifiutò, intimandogli di seguire il coinquilino nella saletta. A dividere la preda probabilmente non vi sarebbe stato gusto.
Il maggiore dei fratelli Vargas si appoggiò ad un braccio di Antonio, che continuava a saettare con lo sguardo da Gilbert al proprietario, e lo trascinò fuori dalla stanza. Quello stramboide sembrava forte abbastanza da poter uccidere un toro a mani nude. Ed in ogni caso, anche se fosse stato in fin di vita, sembrava covare in corpo abbastanza rabbia da permettergli di scalare il K2 andata e ritorno a mani nude e senza ossigeno.
Quando anche Antonio ebbe la certezza che Gilbert non avrebbe impiegato più di cinque minuti a risolvere la questione, cominciò a concentrarsi su Rovino. Mise in dubbio se fargli o meno una domanda del genere, ma pur di smorzare la tensione non gli sembrava il caso di andare troppo per il sottile nella scelta dei quesiti da porre.
- Allora… lavori qui… -
L’altro gli lanciò un’occhiata scettica. In un primo momento pensò che lo stesse prendendo per il culo, ma quando vide che l’espressione dell’altro era più seria che mai si rese conto di stare avendo semplicemente a che fare con un emerito imbecille. Nulla di più e nulla di meno.
- La notte mi piace mettermi una tuta da spazzino e girare per i locali facendomi chiamare Cinzia. E’ divertente sai? … Seriamente, ma che diavolo ti dice il cervello, cazzone? Ovvio che lavori qui! -
Antonio rimase in silenzio per una buona manciata di secondi. Dopo qualche minuto riaprì bocca per parlare.
- Giuro che se stai per chiedermi se indosso il costume da spazzino con il preciso scopo di eccitare i clienti, prendo lo spazzolone e ti ci raddrizzo la colonna vertebrale. -
L’altro richiuse la bocca, improvvisamente a corto di domande.
   
 
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