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Autore: LarcheeX    25/04/2011    6 recensioni
Rin è agorafobica, cioè ha paura degli spazi aperti, e non è mai uscita di casa nei suoi diciannove anni.
e allora che ci fa invischiata in un pazzo e sconclusionato viaggio on the road per tutta l'Europa?
e, ancora, cosa potranno mai Kagome, Inuyasha, Kikyo, Naraku, Shippo, Shiori, Miroku, Sango, Koga, Ayame, Kagura, Bankotsu, Jakotsu, Suikotsu e soprattutto Sesshomaru darle di importante nella vita?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. Chiacchiere intorno al fuoco (dicesi Spettegulessssss) parte 1

 

Senza filarsi le domande riguardo all’ambiguo collocamento di Sengoku, Miroku invitò tutti i passeggeri a salire sulla vettura gridando che aveva preparato una bella sorpresa per tutti quanti.

Avendo imparato cosa aspettarsi da quella specie di organizzatore, Rin, al sentir nominare la fantomatica sorpresa, non seppe se mettersi a piangere o buttarsi dal finestrino (quest’ultima opzione possibile solo dopo aver accuratamente spostato tutti i poster, foto, disegni che si frapponevano tra lei e la libertà). Naraku, avendo utilizzato di nuovo il suo sconcertante superpotere, e apparsole vicino come spuntato da sottoterra, le poggiò una mano sul braccio con un’aria professionale da far venire i brividi: “Vedrai non sarà terribile.” Rin, quella volta, non si fece sorprendere e rispose con un sarcastico: “Oh, certo.”

Non si accorse di essere capitata tra i due fratelli. Kagura e Naraku. Del secondo aveva mai appreso l’essenza – cosa che probabilmente la preoccupava più di Naraku stesso – ma Kagura rimaneva un mistero. Era impassibile, o quasi. Diciamo che non era rimasta tanto impassibile ad una palpatina di Bankotsu e, anzi, aveva sfoderato un amabile sorriso da squalo e gli aveva sbriciolato l’alluce con il suo ancor più amabile tacco dodici.

Ma, a parte Bankotsu, che, tra l’altro, stava ancora mugugnando qualcosa riguardante una scarpa col tacco, massaggiandosi il piede destro, Kagura era rimasta in silenzio o, al massimo, aveva chiacchierato con il fratello. Sembravano davvero molto uniti. Ma, prima che potesse pensare altro su Kagura McLovett, quella si girò, scrutandola con occhi curiosi, che, Rin notò con una punta di ansia, erano dello stesso colore del fratello. “Ciao.” La salutò, tanto per non sembrare scortese, sperando con tutta sé stessa di non aver balbettato troppo.

 

Manuale di sopravvivenza di Rin: 1) gli occhi rossi incutono terrore, spavento, ansia e altre patologie da infarto.

 

Lei rispose con un semplice cenno della testa, facendo ondeggiare i capelli acconciati in un aristocratico chignon. “È la prima volta che esci di casa?” chiese, con un tono che Rin non seppe definire se canzonatorio o strafottente: “Sembri spaventata.” Ok, questa era solo un’antipatica constatazione, ma pur sempre vera. Annuì con imbarazzo, mentre la donna si sporgeva verso il fratello: “Bastardo, ti devo due sterline!” esclamò, imbronciata. A quel punto per Rin fu inevitabile alzarsi di scatto dal sedile di Sengoku, indignata: “Avete scommesso su di me!?” esclamò, facendo scorrere uno sguardo furente sui due. Naraku, che sembrava tranquillamente compiaciuto, annuì: “Lei diceva che eri semplicemente fifona, mentre io sostenevo che eri agorafobica.” Spiegò, come se questo tagliasse la testa al toro. Rin stava per ribattere velenosamente, ma un provvidenziale scossone la fece letteralmente saltare in braccio a Naraku, che sembrava più divertito dalla sua reazione che dal suo imbarazzo: “Ehh, lo so che ho un fascino magnetico, ma puoi far a meno di saltarmi addosso.” Ridacchiò, con un sorriso strafottente. C’era una sola parola per definirlo. Insopportabile.

 

Miroku fermò Sengoku in una specie di spiazzo erboso isolato dal mondo se non fosse stato per l’unico segno di civiltà: un cestino per la cartaccia. Ma Rin, come del resto tutti i suoi compagni di viaggio, non capiva il nesso tra quello spiazzo erboso in quello che sembrava un boschetto limitrofo al parco di chissà quale Castello e la loro cena. E, sì, doveva ammettere di stare morendo di fame. Non mangiava dalla mattina, diamine! Ma interruppe il suo pensiero quando il suo cervello collegò mattina con casa, perché le vennero di nuovo gli occhi lucidi.

“Guarda che se sei agorafobica non vuol dire che sei esonerata dal preparare la cena.” Le disse Sango, avvicinandosi a lei. Mugugnò qualcosa riguardo la dubbia igiene di quel quasi-campeggio, rifiutandosi di cucinare.

Non che non ne fosse capace, spesso e volentieri, infatti, quando sua madre non era in casa, aveva dovuto provvedere al proprio nutrimento, ma l’idea di mangiare lì, su quel prato, le faceva immediatamente passare la fame e venire la nausea. Forse aveva qualche medicina nella valigia.

Si diresse verso il bagagliaio aperto di Sengoku, dentro il quale Miroku stava cercando qualcosa, ma rimase a bocca aperta: quello non era un bagagliaio, era un hangar!

C’era, a dir poco, di tutto: a partire dai bagagli dei viaggiatori, per finire con una cassettiera e una montagna di sacchi a pelo. Miroku, intanto, pareva seriamente impegnato nella ricerca di qualcosa, con l’ansia tipica di chi è partito e che si è scordato qualcosa di importante. Alla fine, sempre guardando tra le valigie, sacchi a pelo e altre cianfrusaglie sbottò in uno stizzito: “Cavolo!”

Rin, cercando di ignorarlo, entrò direttamente nel bagagliaio/hangar, alla ricerca della sua valigia con dentro forse delle medicine, sperava. Da quella mattina aveva scoperto di avere un bagaglio, ma, sia per la scarsità di tempo, sia per quella piattola di Naraku che sembrava averla presa di mira, non era riuscita a scoprirne il contenuto.

Sembrava di essere in un magazzino, tanta era la roba che vi era stipata dentro. In confronto, la soffitta polverosa di sua madre (che non aveva mai osato sfiorare nemmeno col pensiero) era quasi ordinata. Quasi eh!

Si addentrò con fare titubante tra tutti gli oggetti, inciampando almeno sei volte nello skateboard di Ayame, che sembrava davvero averla presa in antipatia e intenzionato a ostacolarla nelle ricerche. Dopodiché piombò a terra a causa dello zaino di Shiori che, non si sa come, aveva un righello di ottanta centimetri che sporgeva almeno di trenta, mentre imprecò sonoramente dopo aver sbattuto violentemente l’alluce sullo spigolo della cassettiera. Intanto Miroku borbottò di nuovo qualcosa riguardo a “le avevo portate” e spostò un sacco a pelo in modo da farlo cadere a pancia in sotto.

Ma, con lo spostamento del voluminoso ingombro, Rin riuscì a localizzare un pezzo della sua valigia, fiondandocisi sopra con un balzo degno di un canguro. L’agguantò per il manico e tirò più forte che poté, anche se poi si accorse di aver preso un granchio, e anche abbastanza pesante: quella non era la sua valigia, ma quella di… c’era scritto sul manico… Sesshomaru Tashio. Ecco, tra tutte le valigie la sua doveva prendere!

Anche se il bagaglio di Sesshomaru sembrava davvero vissuto! Accidenti, sembrava che avesse percorso itinerari di montagna, nel deserto, tra i ghiacci, sotto la neve, la pioggia, grandine e chi ne ha più ne metta, tanto era consunta. Il manico era spellato e mezzo scucito, la pelle delle pareti era consunta e rattoppata da qualche parte, le cuciture erano state cambiate perché, evidentemente, quelle originali avevano ceduto da un pezzo, e la lampo sembrava sul punto di cadere a pezzi. Forse Sesshomaru viaggiava molto di più di quello che dava a vedere, dato che dalla sua espressione si poteva solo capire che odiava tutto e tutti. Le faceva pensare ad un povero misantropo che si era rinchiuso nel suo angolino di mondo e che si rifiutava di vedere qualsiasi parente o conoscente.

Beh, era ora di mettersi a cercare il suo, di bagaglio!

Non passò molto tempo che inciampò nella sua valigia, aprendola ed evitando per un pelo di farla esplodere, tanto era piena: c’era di tutto! Pantaloni, gonne, calzini, magliette, maglioni, una giacca a vento di un improbabile color giallo evidenziatore tanto sgargiante da dar fastidio, reggiseni, mutande, canottiere, spazzolino da denti, dentifricio (sfrittellato), pettine, spazzola, camicette, costumi, parei, ciabatte, scarpe da ginnastica, scarpe col tacco (ma quando aveva comprato tutta ‘sta roba?), guide di varie città, un piccolo beauty case con la crema solare e altre dai dubbi usi e…

“Due padelle?!” esclamò, tirandole fuori da quel marasma di vestiti & co. Erano proprio due padelle: una era larga e piatta, tipica per fare le frittate o le crêpes, così larga che non capiva come era riuscita ad entrare in quella sottospecie di valigia consunta, mentre l’altra era più fonda, per fare la pasta.

Udendola, Miroku si precipitò da lei, felice: “Grazie Rinuccia, credevo di essermi scordato le pignatte!” e, presele le padelle di mano, uscì con un balzo dall’hang… garage e cominciò a preparare la cena.

A quel punto, poiché non aveva proprio nulla da dire, tanto era scioccata, il suo stomaco ritenne opportuno protestare per la fame. Infondo non mangiava da quella mattina!

 

In pochi minuti erano tutti seduti in cerchio, mentre Miroku girava con la padella (di Rin) per distribuire la pasta.

“Ecco perché sei venuta con lui!” rise Sango, serena, dopo che Rin l’ebbe spiegato come fosse arrivata fino a quel praticello francese: “Credevo che fossi la sua amante.” Rin arrossì a quel pensiero. Lei, l’amante di quel pervertito? HA!

“Non sembri fidarti molto di lui.” Riprese Ayame, quando il diretto interessato le oltrepassò, dedicandosi al piatto di Bankotsu.

Lei annuì, parlando sottovoce: “Beh, prima di me non aveva mai avuto una ragazza fissa, andava da una all’altra come niente fosse, e qualche volta ne vedeva due la stessa notte, un vero maniaco! Quindi credevo che non avesse perso il vizio.”

Kagura, avendo seguito insieme a Rin Ayame e Sango nel loro discorso, posò lo sguardo su Miroku, mentre si sedeva e cominciava a chiacchierare con Inuyasha: “Beh, ora sembra abbia messo la testa a posto, da come lo vedo come persona che lo ha conosciuto oggi.”

Sango annuì, e Rin fu sicura di aver visto la felicità nei suoi occhi.

“Ehi, manca il pennellone!” esclamò Koga dopo i primi bocconi di spaghetti, attirando l’attenzione di tutti. “Il chi?” chiese Bankotsu, alzando un sopracciglio.

“Ma sì, quello alto e silenzioso…” disse Shippo, pensieroso: “Il fratello suo!” e indicò Inuyasha che sogghignò quando capì che l’aggettivo “pennellone” era tutto per Sesshomaru, ma dopo ripristinò la sua aria bonaria e disse: “Beh, conoscendolo, è piuttosto normale.” Spiegò: “Non gli piace stare in mezzo alla gente.” Concluse, prendendo un sorso di birra che Miroku gli aveva offerto, anche se di dubbia provenienza.

“Ma così salterà la cena!” protestò Shiori che, nonostante fosse un mezzodemone, era di buon cuore anche verso gli sconosciuti.

Inuyasha fece spallucce: “Non ti preoccupare, ha già digiunato per sette anni, non credo che un pasto in meno gli peserà un granché.”

Rin, a quel punto, si bloccò con la forchetta a mezz’aria e la bocca aperta, stupita per quello che aveva sentito: digiunare per sette anni? Rabbrividì: lei era già di costituzione debole, se avesse digiunato per un lasso di tempo così lungo ci avrebbe di sicuro lasciato le penne.

Ma Rin non era l’unica a essere stupita: tutti erano rimasti sorpresi a quella notizia da record, e si erano tutti immobilizzati con gli occhi fissi su Inuyasha.

Kagome, che era una persona che trovava sempre un pretesto per mangiare e difficilmente ne faceva a meno, guardò prima la sorella, che aveva abbassato il bicchiere e osservava curiosa Inuyasha, poi chiese, sospettosa: “Ma come ha fatto? Insomma, non mi sembra un’impresa da nulla, anche per un demone.” Credeva che Inuyasha stesse raccontando una balla poiché, da come lo aveva visto per la prima volta (e ci teneva a precisare che non gli aveva pestato un piede), non gli sembrava un tipo molto affidabile.

Inuyasha, invece, non capendo l’aria sospettosa della ragazza, rispose, semplicemente: “Beh, sai com’è, in tempo di guerra è molto difficile trovare cibo…”

Il silenzio serpeggiò tra i presenti, mentre pareva quasi di vedere un enorme punto interrogativo sovrastare le teste di tutti, tranne quella di Inuyasha.

A rompere il silenzio fu Naraku: “Ehm… scusa, ma quale guerra?”

In quel momento il mezzodemone allargò gli occhi, come se non credesse alle proprie orecchie (morbide nda) e disse, come se la cosa fosse ovvia: “Ma nella Seconda Guerra Mondiale, che domande! Quella dal 1939 al 1945, avete presente?”

“Ma!?” disse Naraku, alzando un sopracciglio. Se Sesshomaru aveva digiunato durante la Seconda Guerra Mondiale vuol dire che doveva essere nato un po’ prima dello scoppio di questa, per permettere al suo corpo di sopportare la privazione del cibo per quel lungo periodo, il che voleva dire che…

“Scusa ma quanti anni ha tuo fratello?” chiese Jakotsu, inclinando la testa da un lato, cosa che faceva quando non capiva qualcosa.

Inuyasha, che, si poteva semplicemente capire dallo sguardo, non vedeva l’ora di annunciare quella notizia bomba, disse, come se fosse una cosa da tutti i giorni: “Ne ha novantanove e fa cent’anni ad agosto, è nato nel 1910.”

Rin soffocò nel boccone di pasta che stava per mangiare, correndo subito con la mano al bicchiere per evitare di lasciarci la pelle e bevendo un lungo sorso d’acqua.

Cento anni? Per lei erano decisamente troppi, contato che ne aveva a malapena un quinto, ma le sembrava strano perché Sesshomaru dimostrava sì e no venticinque anni, mentre ne aveva il quadruplo, e le pareva ancor più strano, dato che quell’affascinante demone aveva dodici anni in più di suo nonno.

Poi, chissà per il diretto interessato cosa significava avere così tanti anni… magari per lui era essere adolescente!

Però un secolo è sempre un secolo… chissà come ci si sentiva ad essere così veterani della vita, chissà cosa si provava nel rimanere sempre uguali in un mondo in evoluzione, chissà cosa aveva provato nel vedere la miseria, la povertà e la fame della guerra e chissà se il carattere freddo e austero lo aveva sviluppato in base a qualche dura esperienza…

Quei pensieri la fecero sentire come un piccolo pulcino inesperto che era appena stato buttato giù dal nido, al confronto con la grande e maestosa aquila che non bramava altro che fare di lei un antipasto. Si sentiva così piccola e goffa.

“Beh, salute.” Disse Koga, per rompere l’atmosfera. Qualcuno ridacchiò, ma non Ayame, che guardò il lupo con espressione assassina. Era ancora arrabbiata per il fatto dello skateboard.

“Beh, cambiamo argomento.” Disse Miroku ad un certo punto, dopo qualche forchettata di pasta: “Su, come tema di questa cena dovete raccontare cosa vi è capitato prima di arrivare qui.” Propose, mentre Rin sperava di non dover parlare, dato che era risultata decisamente ridicola anche senza sparlare di sé.

“Oh, sì comincio io!” disse Ayame, sventolando in aria la mano.

 

Svitata n°1 – Ayame Hanvarg

La sveglia suonò le sei e mezza, ma non le badò molto, anzi, le tirò il cuscino e si girò dall’altra parte, almeno finché il nonno non la venne a srotolare fuori dalle coperte, tuonando: “Nipote!”

“AHHH!” esclamò, colta alla sprovvista, balzando giù dal letto e mettendosi in posizione da combattimento: “Dove sono? Dove sono, ho detto! Li faccio fuori tutti quanti!” ma poi, essendosi accorta della sola presenza del vecchio del suo vecchio, si ricompose e si mise una mano dietro la nuca.

“Buongiorno nipote.” Disse il nonno, facendo un cenno col capo: “Muoviti, Ayame, che devi partire.” Le ricordò, e la yasha si mise sull’attenti.

Quando il nonno fu uscito si ricordò che non aveva fatto la valigia. Si infilò una maglietta a maniche corte mentre con i denti apriva lo zaino e con i piedi cercava di infilarci altre sei magliette, si mise un paio di shorts mentre si ricordava che sotto la maglietta non aveva messo il reggiseno e perciò, mentre aggiungeva altri abiti alla sua sacca, pescò un reggiseno a caso (non che poi le servisse più di tanto, dato per portava a malapena una seconda) e cercò di infilarselo senza levare la maglietta, dopodiché, mentre si lavava i denti chiuse il bagaglio e lo spedì sotto le scale con un calcio, si allacciò le scarpe mentre si sistemava i capelli color fuoco (o tentava di farlo) in due codini, anche se non sapeva come aveva fatto con sole due mani, poi prese la sua adoratissima macchina fotografica e la mise in un comparto riparato dello zaino che andava aggiunto alla sacca, dopodiché, inforcato lo skateboard, ipod nelle orecchie, saettò sui gradini delle scale, prese al volo la sua sacca e uscì fuori di casa con un Freestyle, gridando: “Ciao nonno!”

“Non spendere troppo, mi raccomando!” le raccomandò, fuori dalla porta.

Lei sorrise: suo nonno non si sarebbe mai smentito, da bravo scozzese era un risparmiatore eccezionale, dote che aveva ereditato al massimo.

 

Hey now you're an All Star get your game on, go play
Hey now you're a Rock Star get the show on get paid
And all that glitters is gold
Only shooting stars break the mold…
*

 

Ignorò, come al solito, le proteste dei passanti che, indignati, strillavano al suo passaggio, mentre, veloce come un fulmine, si dirigeva in stazione.

 

“È qui che si prende il diretto per Londra?” chiese, fermandosi di colpo davanti alla biglietteria, saltando la fila per risparmiare tempo, anche perché era in ritardo pazzesco.

Il commesso la guardò, stranito, ma poi disse, dispiaciuto: “Sono costernato, ma il treno sta partendo in questo momento.” E indicò il binario più vicino, dove un treno stava per uscire dalla stazione.

Ayame imprecò sonoramente, strappò un biglietto dalle mani del ragazzo, lasciò i soldi e si lanciò con lo skateboard all’inseguimento del treno, fino a che non giunse davanti alla locomotiva, sbracciando come una forsennata: “Ehi, tu, pezzo di idiota maledettamente puntuale, vuoi fermarti oppure devo piazzarmi sui binari?” non credeva che il conduttore l’avesse sentita, perciò accelerò, superò il treno e si mise sopra ai binari, a debita distanza per farlo fermare senza essere spappolata sotto le ruote.

Il poveretto, vedendo una lupa pazza apparire sulla sua traiettoria, sussultò e frenò di botto.

Ayame, soddisfatta, salì sul treno e concluse il suo viaggio.

 

La guardavano come se fosse pazza: “Ehi, guardate che è davvero successo!” esclamò Ayame.

“Non lo mettiamo in discussione.” Disse Sango: “Solo che sei un po’ spericolata.”

Lei ghignò: “Solo il minimo indispensabile.”

Koga aveva ormai appreso che quella là era da evitare.

“Ora racconto io!” disse Shippo, mettendo a posto il suo piatto vuoto. Tutti si misero in ascolto.

 

Svitato n°2 – Shippo Fox

“Trenta, trenta, trentaaa!♪” gridò una voce, uscendo dall’università con aria trionfale e ballando la mazurca, mentre tutti gli altri studenti che dovevano sostenere l’esame lo guardarono malissimo.

Shippo avanzò ancora qualche passo danzando, felice come una Pasqua per il suo primo esame, che era andato a meraviglia, per poi cominciare a ballare con il bidello incredulo che, però, dopo qualche secondo decise di rinchiuderlo nello sgabuzzino delle scope, mentre lui cantava ancora: “Trenta, trenta, trentaaa!♪”

Un passante, sentendo lo sgabuzzino canterino (Trenta, trenta, trentaaa!♪) si allontanò velocemente, ricordandosi di non bere mai più il solito bicchierino prima dell’esame.

Dopodiché Shippo, sempre cantando (Trenta, trenta, trentaaa!♪) spalancò lo stanzino con un calcio, essendosi ricordato che, poiché erano le undici e ventisette, doveva prendere il treno per Londra e corse quindi via, improvvisando prima una specie di balletto con il povero rettore della sua università, che aveva avuto la sfortuna di capitargli sotto tiro (Trenta, trenta, trentaaa!♪).

Fece tutta la strada ballando, qualche volta saltando, facendo toccare i talloni, come in un ballo russo, avvinghiandosi ogni tanto al primo sfigato che passava, imperterrito nel suo balletto di gioia (Trenta, trenta, trentaaa!♪).

Dopo questa danza sfrenata, che, grazie al cielo, trovò la sua fine con un incontro molto ravvicinato tra suo inguine e la palizzata del suo giardino per non aver imbroccato al primo colpo l’entrata, Shippo afferrò la valigia che si trovava all’ingresso della casa che condivideva con suo fratello e la moglie e gridò, sull’uscio: “Kyle, Leah, ho preso trenta all’esame!” non ricevette subito risposta, ma le sue orecchie da volpe percepirono prima un gemito decisamente ambiguo, poi una frase: “Ma non se n’era già andato?”

Mmh, niente male, erano le undici e trentadue e già ci stavano dando dentro. Ahh, allora è proprio vero che era il terzo incomodo!

“Beh, sapete, ora io parto, no? Così potete scopare quanto vi pare!” gridò ancora: “Ci vediamo a settembre!” e, fatto cenno ad un immaginario maggiordomo, se ne andò alla stazione.

[qualche camera più in là]

Kyle: “Ma te guarda che razza di fratello!”

Leah: “For-ah… forse ci voleva saluta-AH! piano!”

[ehm… torniamo a Shippo]

Ridacchiò, pensando alla bella sorpresa che aveva fatto al caro fratellino che non aveva fatto altro che bistrattarlo tutto l’anno per sfrattarlo e godersi – nel vero senso della parola – la moglie.

Trotterellò (Trenta, trenta, trentaaa!♪) fino alla stazione, finché non prese il treno e si sedette in seconda classe, non senza rimbambire il vicino con la cronaca dettagliata del suo esame.

 

“Ma sei veramente uno stronzo!” esclamò Naraku, scompigliandogli i capelli.

“Beh, se calcolate che certe volte mi hanno chiuso fuori di casa per le loro seratine romantiche e che ho dovuto dormire su una panchina…” spiegò Shippo, riparando il suo disordinato codino dalla mano di Naraku.

“Allora potevi andare a vivere per conto tuo.” Disse Kikyo, parlando per la prima volta nella serata. Naraku non poté non notare che la sua voce sottile e tagliente era tipica della persona che ha ricevuto la sua più grande delusione della vita, probabilmente era stata lasciata sull’altare.

Non aveva mai avuto un caso di bidonate sentimentalmente, e il caso gli interessava decisamente, anche perché Kikyo era una gran bella ragazza.

Kagura squadrò il fratello che, a quanto pareva, aveva messo gli occhi su quella che pareva una morta, ma era la solita espressione da scienziato pazzo, e cominciava a preoccuparsi. Per Kikyo.

“Ehi, guarda che quella è la mia eredità, non ci dovrebbe vivere lui!” protestò Shippo, incrociando le braccia.

“Ora dico io, io!” esclamò Kagome, alzando anche la mano della sorella.

 

Svitate n° 3/4 – Kagome e Kikyo Higurashi

“Dai Kikyo, ormai ho prenotato, non puoi assentarti così all’improvviso!” esclamò Kagome, mettendosi davanti ad una sorella sprofondata nel divano a consolarsi con il gelato, con i gomiti piantati sui fianchi.

Kikyo la guardò con indifferenza, e mangiò un pezzo di gelato alla fragola.

“Avanti, non puoi non venire!” esclamò, prendendo le loro valigie e invitandola con il movimento del braccio. “Vieni, sennò ti chiudo in casa!” la minacciò infine, mettendo un cipiglio arrabbiato.

Kikyo la guardò con indifferenza, e mangiò un pezzo di gelato alla fragola.

Kagome alzò gli occhi al cielo, sbuffando in un “mmh” abbastanza impaziente, avvicinandosi al divano: “Ti muovi sì o no? Devo prenderti in braccio?”

Kikyo la guardò con indifferenza, e mangiò un pezzo di gelato alla fragola.

Le cominciavano davvero a saltare i nervi, e avrebbe di sicuro buttato fuori la sorella a calci nel sedere, ma pensò che, vista la critica situazione in cui quello stronzo del futuro marito l’aveva infilata, pensò di dover essere più delicata verso la sua sorella.

“Dai, magari in questo viaggio incontri un ragazzo più simpatico di…” poi si ricordò che anche solo pronunciare il nome dell’ex futuro marito poteva essere fatale: “Beh, incontrerai un sacco di bei ragazzi, ne sono sicura! Sango ha detto che vengono degli amici del suo fidanzato e magari c’è quello giusto per te!” disse, dolcemente.

Kikyo la guardò con indifferenza, e mangiò un pezzo di gelato alla fragola.

Allorché tutti i buoni propositi di Kagome andarono a farsi fottere, e Kikyo si ritrovò fuori di casa.

Per colpa di quella depressa di Kikyo avevano fatto tardi e ora si ritrovavano a correre, ma per fortuna abitavano vicino all’aeroporto, ed erano già quasi arrivate alla sala attesa.

“Ehi, mi hai pestato il piede!” gridò ad un certo punto un voce astiosa, appartenente ad un ragazzo in corsa come loro.

“Io non ti ho pestato proprio niente!” esclamò Kagome, irata: “E pretendo delle scuse per le tue accuse infondate!” pretese, sempre in corsa, sempre affiancata dal tipo che le aveva parlato, un mezzodemone dai capelli d’argento e le orecchie da cane che, sentendo l’ultima frase, esplose: “Ehi, ma come ti permetti, ragazzina! E poi mi hai triturato un piede, con quel tuo dolce peso!” erano quasi arrivati, vedeva Sango!

Ma questo qui deve rompermi le scatole ancora per molto?

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eccomi quiii :D (Ricchan, ci ho messo meno del previsto XD)
credevo di non farcela... il mio computer aveva completamente cancellato tutto ciò che avevo scritto prima del 19, praticamente tutto il capitolo, e ho dovuto riscriverlo tutto da capo... che pizza!
bon, come avete visto ho deciso di dividere questo capitolo in 2 parti per 2 motivi:
1 prima di tutto perché a scrivere tutto di tutti in un solo chap è terribilmente pesante per chi legge;
2 poi dovevo documentarmi da una parte :P
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alors, avete visto, è COMINCIATO IL GIOCHINO DELLE CANZONIII
vi dico che questa qui che ho messo è abbastanza semplice, diciamo, perché... no non vi dico perché, sennò è troppo facile :P
la canzone è segnata con un asterisco blu elettrico
(*)
poi volevo ringraziare chi ha preferito, seguito e ricordato e/o recensito la mia fic :D
e anche chi ha letto, ricordato, preferito e recensito la mia One-shot "Il fodero è buio"
bon, mi pare di aver detto tutto...
Buona Pasqua :)

LX °°°
  
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